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Autore Discussione: PAOLA SUBACCHI Una donna per il dopo Strauss-Kahn  (Letto 2126 volte)
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« inserito:: Maggio 20, 2011, 08:52:34 am »

18/5/2011

Una donna per il dopo Strauss-Kahn

PAOLA SUBACCHI*

Caro direttore, ancora non sappiamo se le accuse di stupro e di sequestro di persona di cui deve rispondere Dominique Strauss-Kahn, il direttore generale del Fondo Monetario Internazionale (Fmi), saranno confermate. Il dato è importante, ma irrilevante dal punto di vista della carriera di un uomo il cui tragitto professionale e politico sembrava solo in ascesa. Durante i quattro anni del suo mandato Strauss-Kahn ha ridato lustro al Fmi e in qualche modo arginato la sfiducia nei confronti degli interventi del Fondo e del cosiddetto «Washington consensus» che si era creata dopo la crisi asiatica del 1997. Lavorando di concerto con il G20, in particolare con i ministri finanziari e il «Financial Stability Board», Strauss-Kahn si è distinto come una delle figure di punta nella gestione della crisi finanziaria, lavorando per il contenimento dei possibili danni da questa generati e per il successivo processo di ripresa economica. La presidenza della repubblica in Francia sembrava essere il passo successivo per Strauss-Kahn, anche se l’intenzione di candidarsi non era ancora stata annunciata ufficialmente.

L’inevitabile cambio di dirigenza apre una serie di scenari e sicuramente imprime un’accelerazione ai processi di governance che Strauss-Kahn, nel tentativo di rendere il Fondo più rispondente ai cambiamenti nell’economia mondiale e all’ascesa dei Paesi emergenti, aveva avviato. La domanda che molti si pongono è dunque se il prossimo direttore del Fmi sarà un altro europeo, continuando così la tradizionale divisione di potere tra il Fondo (Europa) e la Banca Mondiale (Stati Uniti). Il problema della successione di Strauss-Kahn si sarebbe posto in ogni caso nell’eventualità che questi avesse dato le dimissioni nei prossimi mesi per le primarie del partito socialista francese. Il nuovo elemento emerso nei giorni scorsi è l’urgenza di nominare il nuovo direttore, soprattutto dopo le annunciate dimissioni di John Lipsky, il vice-direttore generale. Tale urgenza limiterà certamente lo spazio di manovra dei Paesi europei che dovranno trovare un candidato a tutti accettabile entro tempi brevi.

Non è difficile scorgere un parallelo tra l’arroganza dei comportamenti privati di Strauss-Kahn e il potere che il Fondo ha spesso esercitato su Paesi in crisi finanziaria. E il ricordo di tale arroganza ancora oggi condiziona l’immagine e l’operato del Fmi in molti Paesi in via di sviluppo. Non è un caso che i Paesi asiatici, prima fra tutti la Cina, oggi possano contare su ampie riserve monetarie da mobilizzare in caso di crisi, evitando così di ricorrere all’aiuto del Fondo. Un direttore generale proveniente da un Paese in via di sviluppo potrebbe imprimere una svolta radicale alla governance e dunque cambiare il modo in cui il FMI è percepito in molte regioni del mondo. Un direttore europeo sarebbe invece troppo sensibile agli interessi dei governi del Vecchio Continente per promuove un radicale processo di riforma. Possibili candidati spaziano da Kemal Dervis, ex ministro delle Finanze turco, all’indiano Montek Singh Ahluwalia. Di certo il prossimo direttore non sarà cinese.

Si deve infine aggiungere un’altra amara riflessione: la vicenda in cui è stato coinvolto Strauss-Kahn appare ancor più spregevole alla luce del recente impegno del Fondo a migliorare il «gender balance» del proprio staff, soprattutto a livello di dirigenza. La nomina di un direttore generale donna, proveniente da un Paese in via di sviluppo, combinerebbe entrambe le istanze di governance e darebbe un segnale di grande apertura. Questo scenario, per quanto auspicabile, è però poco plausibile. Ma una donna europea potrebbe essere una soluzione di compromesso tra governance globale e interessi regionali o nazionali. Anche qui i nomi non mancano - da Christine Lagarde a Elena Salgado. Tutto dipende, però, da quanto i governi europei si ostineranno a mantenere lo status quo. Si profila una battaglia dura in cui Stati Uniti ed Europa faranno fatica a convincere il resto del mondo che il potere concentrato nel Fondo Monetario non possa essere condiviso.

*direttore della ricerca economica a Chatham House

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