Domenica, 09 Luglio 2017 00:03
Le disuguaglianze, la forza politica dei cittadini organizzati e la debolezza dei partiti: intervista a Fabrizio BarcaDi Nello Avellani
'Disuguaglianze: cittadini organizzati, partiti, Stato' è il titolo della lectio magistralis che Fabrizio Barca ha tenuto ieri a L'Aquila, in occasione del Festival della Partecipazione. Su iniziativa della Fondazione Basso, un gruppo di organizzazioni da anni attive in Italia sul terreno dell'inclusione sociale - ActionAid, Caritas Italiana, Cittadinanzattiva, Dedalus cooperativa sociale, Fondazione di comunità Messina, Legambiente, UISP - ricercatori e accademici hanno dato vita ad un Forum sulle Diseguaglianze che, sostanzialmente, vuole essere un luogo in grado di produrre e promuovere proposte che favoriscano la realizzazione dell'articolo 3 della nostra Costituzione, rimuovendo 'gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e la partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese'.
In un intervento di circa un'ora, innanzi ad un Auditorium del Parco gremito, Barca ha spiegato come, negli ultimi trent'anni, la cultura e le politiche egemoni in Occidente "abbiano sistematicamente ignorato la necessità di intendere il progresso umano come aumento della 'libertà sostanziale sostenibile' delle persone, ovvero, in linea con la nostra Costituzione, dell’opportunità di ogni persona di vivere la vita che è nelle proprie e diverse potenzialità vivere, senza ridurre la stessa libertà per la successiva generazione". Questa idea alternativa di progresso umano è sul tavolo, "ha influenzato molti esperimenti e sta dietro al disegno degli Obiettivi mondiali dello Sviluppo Sostenibile per il 2030, ma al momento di disegnare politiche e di costruire bilanci, uguaglianza e inclusione sociale sono in genere trattati come vincoli alla crescita - ha sottolineato l'ex ministro - fattori di cui tenere conto per evitare che le tensioni sociali blocchino un progresso definito solo in termini di dinamica del reddito medio".
Ne sono risultati un diffuso aumento della disuguaglianza di reddito, una forte concentrazione della ricchezza, "la creazione di fasce diffuse di 'perdenti', specie nelle periferie, nelle piccole città e nelle vaste aree rurali di ogni paese, luoghi dove degrado sociale e degrado ambientale si sono alimentati l’un l’altro. Queste disuguaglianze si sono aggiunte a disuguaglianze radicate e di lunga durata, in alcuni casi modificandone le caratteristiche, in altre amplificandone la portata".
Questo è innanzitutto un problema di per sé, che, comprimendo la libertà sostanziale di molte persone, ripropone con forza la questione della giustizia sociale, nei risultati e nei destini individuali. "D’altra parte - ha proseguito Barca - vecchie e nuove disuguaglianze hanno ripercussioni significative, ma fino a poco tempo fa largamente sottovalutate, sul funzionamento dell’economia e sulle dinamiche politiche. Come mostra un numero crescente di studi, esse hanno prodotto effetti negativi sulla stessa crescita e poi sulla 'crisi' iniziata nel 2008. E hanno avuto effetti politici ora appariscenti: un diffuso rifiuto della concorrenza e della libertà di circolazione; una crescente intolleranza per le diversità; una sorta di 'esodo dalla cittadinanza' con sentimenti di diffidenza e risentimento verso tutto ciò che è istituzione; la richiesta di poteri forti; infine, il rigetto della 'globalizzazione' – termine assai elusivo - tout court, come se l’integrazione dei mercati e la riduzione di distanza fra luoghi e individui sia responsabile in sé di tutto ciò, e non lo siano piuttosto le politiche nazionali e internazionali che hanno attuato e accompagnato questi processi".
Le politiche, appunto: Barca ha offerto una lettura sostanzialmente ottimistica, argomentando che, trattandosi non di fenomeni ineluttabili ma delle scelte politiche che sottendono ai processi, le stesse si dovrebbero, semplicemente, cambiare.
"Quella stessa 'globalizzazione' - ha chiarito - ha in realtà significato anche un veloce e positivo ritorno di Cina e India sulla frontiera dello sviluppo. In presenza di condizioni concorrenziali e di un’accresciuta libertà di circolazione, la loro industrializzazione ha dato un decisivo impulso all’uscita dalla povertà di centinaia di milioni di persone e alla formazione di un nuovo ceto medio, vasto oggi come quello dell’Occidente. Grazie a questo sommovimento, e nonostante l’aumento della disuguaglianza all’interno della maggioranza dei paesi, per la prima volta, almeno dall’800, la diseguaglianza complessiva del mondo (fra le persone) si è ridotta".
Ma non finisce qui. Perché "grandi masse di persone sono poco al di sopra della soglia mondiale di povertà (l’equivalente di 1,90$ negli USA). Perché l’1% più ricco della popolazione mondiale ha visto crescere in questi stessi anni la propria quota di reddito e di ricchezza privata, arrivando a controllare quasi la metà di quest’ultima. E soprattutto perché, nello stesso periodo, una terza parte del mondo, specie nel continente africano, ha visto immutata o addirittura peggiorata la propria situazione, con conseguenti disastri umani e creando le condizioni per le massicce migrazioni in atto".
Così il cerchio si chiude. "I 'perdenti' dell’Occidente si sentono insidiati sia dal nuovo ceto medio dei paesi emergenti, sia dai 'poveri che ci invadono'. E sono tentati di volgere contro di loro e contro le frontiere aperte le proprie preoccupazioni, anziché verso politiche sbagliate. La vicenda dell’Italia, a parte le note differenze, ricalca questa traccia", ha sostenuto Barca.
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Che fare, dunque? Innanzi alle tendenze epocali degli ultimi anni, "sono stati commessi due errori gravi" ha spiegato Barca: "Da una parte, l'apertura del mercato, di fatto, l'ha reso più competitivo, con vantaggi solo per le classi sociali abbienti però. Sarebbe stato necessario intervenire rafforzando lo Stato sociale, invece si è andati nella direzione opposta indebolendo il welfare e lasciando soli i lavoratori; dall'altro, i cittadini sono stati trasformati in votanti/consumatori, esclusi dalla res publica. Assistiamo alla chiusura degli spazi di partecipazione e democrazia quando invece la fase chiederebbe di ampliarli".
Spazi che vanno recuperati, dal basso, con la costruzione di nuovi luoghi che possano acquistare egemonia culturale e politica nel Paese. E' il compito della cittadinanza attiva, delle organizzazioni che "debbono tentare di lavorare insieme per non corporativizzarsi e segmentarsi trovando, invece, terreni comuni; lo Stato, invece, dovrebbe "coltivare le sue 'case matte' di sperimentazione, e la strategia aree interne - ha inteso ribadire Barca - è un bellissimo modello, in questo senso".
Sul ruolo dei partiti, l'ex ministro ha lasciato la domanda in sospeso: "li vedo talmente disattenti, o strumentali nell'attenzione, quando si manifesta, che non so davvero rispondere"; sta di fatto che si è detto convinto, prima o poi, torneranno, "altrimenti - mi chiedo - come si può cambiare il Wto internazionale, come si può far passare, in Europa, l'idea di un fondo di disoccupazione di cui abbiamo bisogno tra 7 mesi; insomma, credo ancora nei partiti ma, al momento, fatico davvero a lavorarci. Con le organizzazioni della società civile, con la cittadinanza attiva, mi ritrovo ad avere una lettura della società, di cosa vuol dire politica, che è maggiormente rispondente alla mia".
E' per questo che, dopo aver provato a far cambiar rotta al Pd, riformandolo, Barca è tornato a dedicarsi all'associazionismo diffuso pur restando iscritto ai dem: "Il Partito Democratico ha tante cose che non vanno; è anche vero, però, che fatta salva la 'frescaccia' delle ultime ore, ha sempre parlato di frontiere aperte, ribadendo che gli immigrati siamo noi - che gli immigrati siamo noi, ha ripetuto, non che li aiutiamo a casa loro, concetto ben diverso - e ponendosi come forza europeista: per questo sono ancora iscritto", ha spiegato ai nostri microfoni. "Se assumi una posizione del genere, tuttavia, devi farti anche carico degli 'esclusi', di coloro che sentono di essere tagliati fuori, delle radicate disuguaglianze; altrimenti, arrivano i 'pifferai' dei confini chiusi e dei muri che, scaricando le responsabilità della crisi sociale sulle aperture del mercato e delle frontiere, cavalcano il tema della sovranità nazionale. Per fortuna, la gente non è mica scema: se lo fosse, si sarebbe già abbandonata ai 'pifferai'; al contrario, si sta comportando in maniera interessante, stante la debolezza dei partiti".
In questo quadro, i cittadini organizzati debbono avere la pretesa di contare politicamente: "rispetto al Festival dell'anno passato, noto una maggiore consapevolezza di dover contare a livello di sistema, e non per farsi acchiappare in qualche partito ma per pesare sul tavolo delle decisioni; per dire, Cittadinanzattiva ha parlato della necessità di una riforma costituzionale, ed erano dieci anni che l'argomento restava tabù, e così l'Alleanza per la Povertà ha introdotto una proposta sul reddito sociale che è un passo avanti rispetto alle iniziative assunte, sin qui, da alcuni partiti. Questo significa contare, fare politica".
L'obiettivo è mettere insieme esperienze diverse "per rendere più simile il linguaggio, individuando proposte da mettere sul tavolo del dibattito pubblico sostenendole con grandi campagne di sensibilizzazione"; senza cadere nella 'tentazione' di aggregare le organizzazioni in forma partitica: "Maurizio Landini, persona generosa e che stimo enormemente, ad un certo punto aveva intravisto la possibilità di un'alleanza tra mondo del lavoro e formazioni sociali; sebbene l'abbia sempre negato, si intravedeva dietro l'angolo l'idea di una formazione politica. Credo sarebbe stata una esperienza perdente, è assolutamente frettoloso pensarci: piuttosto, le organizzazioni debbono continuare a 'pesare' politicamente come stanno dimostrando di saper fare".
Insomma, Barca è scettico sulla possibilità di costruire un nuovo soggetto politico, "i giovani sono restii, la disillusione è troppa a sinistra", e non vede margini di recupero per il Partito Democratico: "vedo un Pd imballato, la botta era già arrivata alle regionali dell'Emilia Romagna; ricordo ancora il messaggio personale, durissimo, che mi inviò l'appena eletto Presidente aggredendomi perché avevo detto in televisione che quella elezione era il punto più basso per la democrazia: lo rispetto, figurarsi, e rispetto il gruppo dirigente che l'ha espresso, intendevo mettere in luce, piuttosto, che aveva votato il 40% degli aventi diritto. Era davvero necessario attendere l'esito delle ultime amministrative per rendersi conto che in una delle Regioni più ricche del scendere al 40% d'affluenza rappresenta un vero e proprio fallimento? In Germania, nelle regioni più ricche votano il 70-80% degli aventi diritto. Spero che il ministro Andrea Orlando possa aiutare a raddrizzare la rotta, in questo: l'ho votato alle primarie, mi ha convinto il modo in cui ha lavorato sulle carceri, coinvolgendo prima le realtà attive nei penitenziari e soltanto dopo gli architetti". Parlando di sé, ribadisce di essere "andato altrove". E prova a spiegare cosa non ha funzionato nel tentativo di riformare i dem: "Ho trovato difficoltà con la classe dirigente nazionale: diciamoci la verità, le proposte che ho avanzato non se l'è filate nessuno. Mi ha colpito: evidentemente, non sono riuscito a farmi capire, o non ho trovato la giusta sensibilità. Penso alle questioni principali che avevo posto: la prima, che i circoli tornassero ad essere luoghi non per assorbire la cittadinanza ma per ascoltarla e dialogarci; la seconda, che il partito fosse riorganizzato a livello nazionale con una direzione di 15 persone: una base molto porosa e un centro capace di dirigere, questa era l'idea. Ebbene, sono finite dentro un documento che non ha difeso nessuno".
Detto del rapporto col Pd, e dello scetticismo sulla nascita di formazione politica altra, moderna e progressista, l'ex ministro non si mostra comunque spaventato da coloro che ha definito 'pifferai': "La Lega Nord, Fratelli d'Italia, alcuni dei 5 Stelle, non stanno proponendo delle soluzioni, non stanno aggregando, lisciano l'ortica per non puncicarsi come si sarebbe detto una volta; il popolo è l'ortica e l'accarezzano, ma non affrontano i problemi per risolverli. Questo atteggiamento può dare risultati nel breve periodo, ma non si tratta certo di avanguardie: tra l'altro, pezzi di Lega Nord e Fratelli d'Italia, una grossa parte del Movimento 5 Stelle, nella articolazioni territoriali propongono anche cose interessanti e neppure badano a tali atteggiamenti. Sono convinto che il 'pifferaismo', in Italia, non paghi: è l'intuizione di un uomo straordinariamente intelligente come Silvio Berlusconi che continua a parlare ai moderati, non cedendo alla linea lepenista. Conosce troppo bene il nostro Paese, molto articolato territorialmente e che non andrà dietro a certo derive; pericolose certo, da non sottovalutare, ma l'Italia tiene ancora".
Ultima modifica il Domenica, 09 Luglio 2017 00:49
Da -
http://news-town.it/politica/16597-le-diseguaglianze