LA-U dell'OLIVO

Forum Pubblico => Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. => Discussione aperta da: Admin - Aprile 12, 2013, 11:29:41 pm



Titolo: Fabrizio BARCA.
Inserito da: Admin - Aprile 12, 2013, 11:29:41 pm
Barca commenta il Professore: liste non bastano, servono partiti

Il ministro di Monti in un'intervista a l'Unità dice: sinistra e destra ci sono ancora, chi lo nega non vuole cambiare le cose.

Di Bianca Di Giovanni
5 gennaio 2013


Fabrizio Barca continua alacremente la sua attività di ministro della coesione territoriale, anche nell’infuriare della campagna elettorale, dopo i concitati appuntamenti dei vari round delle primarie del Pd e di Sel. Eppure forse nessun ministro attuale ama la politica come lui. In fatto di partiti, schieramenti, scenari ha le idee acute come lame di coltello. Sentite: «Sinistra e destra non esistono? La differenza è viva e vegeta. Chi la nega non vuole cambiare le cose».

Lui per ora sta cercando di cambiare tutto in fatto di progetti finanziati dall’Ue, o di ricostruzione dell’Aquila. Quando parla con l’Unità è appena uscito da un incontro con i commissari del concorso che hanno selezionato i 300 giovani funzionari pubblici (su 16mila domande) che si occuperanno del cratere abruzzese. «Ce la faremo a chiudere a gennaio - assicura - Così faremo il record del concorso più veloce della storia».

Oggi la politica è tornata in primo piano. C’è stato un errore di valutazione quando si è asserita la superiorità della tecnica?
«L’errore sta nel dissociare le due parole. Non c’è un tecnico impegnato a governare che non sia anche politico. Sicuramente quello che oggi emerge è che nel paese c’è una forte domanda di partecipazione, che si è espressa in diversi modi: nelle primarie, nella richiesta a Monti di entrare in politica, e anche nel voto per il movimento Cinque Stelle».

Il ruolo dei partiti esce rafforzato. Anche qui sbagliava chi li dava per morti.
«Emerge un bisogno di partiti, ma si capirà solo nei prossimi mesi se i partiti sapranno rispondere a questa richiesta. Non bastano questi segnali per decretarne la rinascita. I partiti sono organismi complessi, hanno bisogno di capillarità sul territorio, di luoghi di confronto. La forza dei partiti nei confronti di altri corpi intermedi, come i sindacati, le associazioni, i gruppi religiosi, sta nel fatto che questi sono particolari, mentre i partiti sono generali. Il loro meglio lo danno quando dal confronto di interessi particolari emerge l’interesse generale, il loro peggio quando rappresentano una sommatoria di interessi particolari. Finora abbiamo visto il peggio, ora speriamo di vedere il meglio».

Non le pare che i partiti stiano diventando troppi?
«Molte sono solo liste, si vedrà dopo se diventeranno partiti. A quel punto non potranno che ridursi. La lista può servire in fase elettorale, ma quando si passa alla fase deliberativa e a quella di governo serve un vero partito».

Non teme il proliferare di partiti personali, come ha segnalato Bersani?
«Anche qui si tratta di liste, che per loro caratteristica in questa fase storica si aggregano attorno a una persona. Ma questo organismo in realtà non è ancora un organismo politico strutturato, direi quasi che è un non-partito».

L’offerta politica di oggi è multipolare. Il bipolarismo è tramontato?
«Anche qui dobbiamo ancora aspettare per dirlo. È possibile che dietro questa pluralità di liste ci sia un riassetto partitico. Per ora siamo a livello dell’aspirazione, ma siamo lontani dalla configurazione di un nuovo scenario. Se il bipolarismo sia morto o no lo sapremo verso fine anno. Allora potremo vedere quale di queste liste sarà in grado di trasformarsi in un’organizzazione permanente. Un’altra possibilità è che si creino diversi raggruppamenti parlamentari e non partiti. In questo caso lo scenario non sarà certo mutato: di nuovi gruppi parlamentari ne abbiamo visti a iosa».

Per lei cosa vuol dire tagliare le estreme, come chiede Monti?
«Non farei molta filosofia su affermazioni come questa. È chiaro che chi si presenta per il centro invita a eliminare gli estremi. È campagna elettorale».

Qualcuno ha paragonato la coppia Bersani-Vendola a quella Prodi-Bertinotti. Che ne dice?
«Dico che Prodi e Bertinotti non ci azzeccano proprio niente con Bersani e Vendola. Tra i primi due c’è almeno un’affinità territoriale nelle loro origini, e tra i secondi ci sono esperienze politiche diversissime. E poi Vendola amministra da anni una Regione del sud, Bertinotti ha fatto tutt’altro».

È chiaro che il parallelismo era un’evocazione dell’ingovernabilità di una coalizione di questo tipo.
«Evocazione infondata e evidentemente anche qui si tratta di propaganda».

I mercati sembrano reagire bene, nonostante il confronto politico molto duro.
«Gli investitori internazionali sono abituati a confronti feroci: in Inghilterra e Stati Uniti ce ne sono di molto più duri del nostro».

C’è chi dice che esiste una sola agenda per l’Italia, chiunque vinca.
«Non è così. La verità è che le formazioni politiche non si confrontano sulle agende, ma sulla radicalità - qui ci vuole - e la ragionevolezza che mostrano di avere riguardo alla creazione di sviluppo. Ovvero radicalità nello spiazzare le classi dirigenti poco innovative e nel modernizzare la macchina dello Stato».

Un’altra vulgata è il superamento di destra e sinistra. È d’accordo?
«Chi dice che non c’è differenza tra le due parti, o racconta un mondo monistico in cui esiste una sola soluzione ai problemi, in verità non vuole cambiare le cose e vuole favorire solo una parte, con il convincimento di possedere una soluzione tanto superiore alle altre da voler abolire il pluralismo. In verità il bene comune si raggiunge soltanto con il pluralismo, e come dice Amartya Sen, anche con un confronto acceso. Non esistono cose che vanno bene per tutti, ma cose che vanno più bene di altre. Dare più peso all’inclusione sociale piuttosto che alla crescita, o meglio pensare che non c’è crescita senza inclusione è di sinistra. Credere che il servizio sanitario debba essere universale, dunque anche per i ricchi che riescono ad avere pressione e quindi a migliorarlo, è di sinistra. L’idea invece che la sanità pubblica debba essere riservata ai poveri e che i ricchi pagano, mostra un’idea di Stato pauperistico, e non di Stato strumento per riequilibrare gli squilibri sociali».

Lei non ha ancora sciolto la riserva sul suo futuro politico, pur credendo molto nella politica.
«Oggi voglio fare solo il ministro. Annunciare altri impegni mi avrebbe impedito di far bene il mio lavoro».

da - http://www.unita.it/italia/barca-commenta-monti-sinistra-e-destra-ci-sono-ancora-1.477361


Titolo: Fabrizio BARCA. CENTROSINISTRA, LA SFIDA DEL RINNOVAMENTO
Inserito da: Admin - Aprile 14, 2013, 07:45:29 pm
POLITICA
12/04/2013 - CENTROSINISTRA, LA SFIDA DEL RINNOVAMENTO

Il progetto-Barca “Il Pd che ho in mente”


«No all’occupazione dello Stato, ridurre il finanziamento, basta coi signori delle tessere. Ma non sarà un partito liquido»

PAOLO FESTUCCIA
ROMA

Il pieno e il vuoto. Comincia così la “memoria politica” di Fabrizio Barca per dare corpo a un «partito nuovo per un buon governo». Un partito – lo descrive il ministro per la Coesione territoriale – saldamente radicato sul territorio, di sinistra, che «richiamandosi con forza ad alcuni convincimenti generali» sia capace di promuovere la ricerca continua e l’uso efficace del denaro pubblico. 
Insomma, una sorta di “partito palestra”, non di occupazione della Stato, che offra lo spazio per la mobilitazione cognitiva e che ponga i suoi cardini sulle idee. Idee innovative, maturate dal confronto, per sospingere la macchina dello Stato nella direzione richiesta dello sperimentalismo. 
 
Già, la macchina dello Stato. E’ qui che pone l’attenzione Fabrizio Barca, mettendo il dito nella piaga di uno «Stato troppo fortemente governato dai partiti», che insieme a una macchina arcaica e autoreferenziale ha prodotto anni di malgoverno. «Il combinato di partiti stato-centrici e macchina dello stato arcaica – scrive Fabrizio Barca – tende a impedire politiche pubbliche efficaci e dunque buon governo, bloccando tutte le fasi del processo ricorsivo di costruzione dell’azione pubblica». 
 
Ed è proprio da questi “indizi”, spunti politici, dunque, che Barca parte per prospettare come antidoto al “mal governo”, un partito di sinistra per governare. Una sinistra di governo, con un partito rigorosamente separato dallo Stato, sia in termini finanziari, sia con l’assoluta separazione fra funzionari e quadri di partito. Insomma, un partito che lavori a una nuova legge elettorale, perché «la vigente suggella questo stato di cose, creando a sua volta una filiera gerarchica perversa che vede i capi-cordata concordare con i leader del partito i singoli eletti da presentare in un pacchetto chiuso agli elettori». Nasce da qui, la visione alternativa di Barca. Con una nuova macchina pubblica, moderna, tecnologicamente avanzata, finalizzata a riequilibrare i divari forti di potere contrattuale fra le diverse articolazioni della società. 
 
«Questa azione – scrive il ministro – può aiutare il cambiamento, quando i corpi intermedi non sono essi stessi parte, con le élite, dell’equilibrio perverso». Un cambiamento che per Barca passa soprattutto attraverso il partito. Mentre, invece, la selezione dei candidati via primarie, se da un lato ridà un ruolo a iscritti e simpatizzanti e può produrre buone sorprese, dall’altro non risolve in alcun modo il problema in termini dinamici: una volta eletti, secondo Barca, «qualunque sia il modo in cui essi sono arrivati in quella posizione, il loro rapporto con il partito avrà fondamenta improprie». 
 
Quanto, invece, al ricorso alle primarie per l’elezione del leader del partito o del candidato premier, esso assicura condizioni minime di “democrazia elettiva” rispetto a ogni forma di «auto-proclamazione, ma non tocca in sé la deriva descritta». 
 
...

L’intervista integrale in edicola o nella versione digitale 

da - http://www.lastampa.it/2013/04/12/italia/politica/il-progetto-barca-il-pd-che-ho-in-mente-ei1W0h3t9bp473sT48HNPM/pagina.html



Titolo: VASSALLO Fabrizio BARCA. Ma il partito di Barca è un ibrido tra il Pci e il M5S
Inserito da: Admin - Aprile 16, 2013, 05:30:00 pm
Ma il partito di Barca è un ibrido tra il Pci e il M5S

Salvatore VASSALLO

Il rischio è che il modello implicito siano due forze politiche in fondo accomunate dall’idea che “il partito” debba “sfidare lo stato”, e non invece assumersi la piena responsabilità

I tratti chiave della “teoria” di Barca sul “partito nuovo” mi paiono due.

1) «Serve un partito che torni, come nei partiti di massa, a essere non solo strumento di selezione dei componenti degli organi costituzionali e di governo dello stato, ma anche “sfidante dello stato stesso” attraverso l’elaborazione e la rivendicazione di soluzioni per l’azione pubblica. Serve un partito che realizzi questi obiettivi sviluppando un tratto che nei partiti di massa tendeva a rimanere circoscritto alle “avanguardie”, ossia realizzando una diffusa “mobilitazione cognitiva”».

2) Per essere più credibile ed efficace come “sfidante”, «il partito nuovo sarà rigorosamente separato dallo stato, sia in termini finanziari, riducendo ancora il finanziamento pubblico e soprattutto cambiandone e rendendone trasparente metodo di raccolta e impiego, sia prevedendo l’assoluta separazione fra funzionari e quadri del partito ed eletti o nominati in organi di governo, sia organizzandosi in modo da attrarre il contributo di lavoro (volontario o remunerato) di persone di buona volontà per periodi limitati di tempo, sia stabilendo regole severe per scongiurare ogni influenza del partito sulle nomine di qualsivoglia pubblico ente».

Mi pare ne venga fuori (e si intraveda, come modello implicito) un ardito ibrido tra il Pci e il Movimento 5 Stelle, due forze politiche in fondo accomunate dall’idea che “il partito” debba “sfidare lo stato”, e non invece assumersi la piena responsabilità, di fronte agli elettori, e sulla base del loro mandato, di governare. Per altri versi fa venire in mente la fantasiosa narrazione che si diffuse in vista del Congresso del 2009 secondo cui la Lega stava crescendo anche nella zona rossa grazie a una presenza organizzativa simile a quella che un tempo era stata del Pci, e dunque bisognava imitarla, per tornare agli antichi splendori.

La chiave della sua “teoria” sta in un termine che Barca usa in modo non convenzionale. Per la comunità scientifica (e per i politologi italiani che la frequentano) la “mobilitazione cognitiva” non è una tecnica o una modalità di partecipazione. A partire dagli studi di Ronald Inglehart e Russel Dalton, è definita come un processo di arricchimento/modernizzazione della cultura politica prodotto dalla diffusione del benessere, delle informazioni, delle conoscenze e delle aspettative, oltre che dalla moltiplicazione delle fonti attraverso cui le conoscenze sono diffuse e le opinioni si formano. Un processo che rende gli individui più indipendenti, ben disposti a partecipare ma meno identificati con uno specifico partito. Anzi, più inclini a muoversi da un partito all’altro.

Nel lessico di Barca, preso a prestito da Marco Revelli, la “mobilitazione cognitiva” diventa invece una pratica militante per la formazione collettiva delle opinioni, per la scelta della linea politica e la selezione dei dirigenti. Una sistema di meet up permanenti “strutturati e radicati nel territorio”, in pratica di sezioni, attraverso cui si definisce (e quindi si restringe) il perimetro di chi è dentro rispetto “agli altri” e si produce un “pensiero unitario”. La traduzione attualizzata del partito come “intellettuale collettivo”.

Al punto che Barca alla fine si chiede non “se”, ma «come …. offrire davvero ai giovani le opportunità di impegno cognitivo prima descritte, avendo come luogo di riferimento primario i circoli territoriali; […] come favorire e tutelare la partecipazione alla mobilitazione cognitiva di individui e associazioni che non condividono i convincimenti generali del partito (gli “altri”) e vogliono mantenere la propria piena indipendenza […]; come assicurare che l’iscrizione e i diritti che ne derivano in termini di partecipazione alle scelte e alla selezione dei gruppi dirigenti siano vincolati all’effettiva partecipazione ai processi di mobilitazione cognitiva».

Ad essere onesto, trovo l’ultima proposizione “goffa e coraggiosa” (gli iscritti dovrebbero certificare una “effettiva partecipazione ai processi di mobilitazione cognitiva” per esercitare i loro diritti ). Volendo, lo è anche nell’accezione positiva dei due aggettivi ricordata da Mario Lavia, dunque Barca dovrebbe andarne fiero. Di sicuro è un perno della sua “teoria” del “Partito nuovo”.

La quale parte da presupposti molto diversi da quelli posti a fondamento del Pd, quando è nato: a) che oggi ci sia una grande disponibilità a partecipare e ad esprimere la propria opinione da parte di cittadini che, per fortuna, se la formano in tanti luoghi e modi diversi dalle sezioni di partito; b) che quindi i confini tra chi è dentro e “gli altri” vanno azzerati, con le primarie, un momento nel quale si confrontano, al tempo stesso, candidati e orientamenti politici; c) che il Pd si pone a servizio degli elettori per offrire un governo riformista al paese e dunque, attraverso il suo leader e gli eletti nelle sue liste, se ne assume pienamente la responsabilità.

Sia chiaro, è giusta la richiesta di rendere incompatibili i ruoli di «funzionario o quadro» alle dipendenze del partito con i ruoli elettivi o di governo, così come l’invito a stabilire «regole severe per scongiurare ogni influenza del partito sulle nomine di qualsivoglia pubblico ente». Purché questo non voglia dire che «funzionari e quadri del partito» debbano tornare a «dettare la linea» agli eletti o ai nominati. Semmai il loro compito è predisporre quelle forme di partecipazione che consentono ai cittadini di scegliere i candidati e impongono a questi ultimi di rendere conto.

da - http://www.europaquotidiano.it/2013/04/12/ma-il-partito-di-barca-e-un-ibrido-tra-il-pci-e-il-m5s/


Titolo: Fabrizio BARCA. La bocciatura di Prodi un errore senza precedenti
Inserito da: Admin - Aprile 30, 2013, 04:38:21 pm
L'intervista

«Il governo frutto dell'insuccesso PD Io e Renzi siamo complementari»

Barca: non penso di correre per la segreteria, il sindaco ha leadership.

La bocciatura di Prodi un errore senza precedenti


Fabrizio Barca, come le pare il nuovo governo?
«Mi pare il risultato reso necessario dall'insuccesso del Pd. Nell'"atto eccezionale" della rielezione di Napolitano era implicito il riconoscimento che, pur essendo usciti dall'emergenza finanziaria, non siamo usciti dall'emergenza civile ed economica, sottolineata da un evento grave come l'attacco a Palazzo Chigi. Diciamo che il patto Pd-Pdl era nelle cose. Del resto, il Paese ha chiesto con urgenza un governo».

Ha colpito il tweet con cui lei, nelle ore della rielezione di Napolitano, ha giudicato incomprensibile la scelta del Pd di ignorare la candidatura Rodotà.
«Nel momento in cui la strada verso il governo di larghe intese appariva ormai inevitabile, ho creduto necessario richiamare il Pd all'enormità dell'errore commesso con la bocciatura di Prodi. Un errore di una gravità senza precedenti. Guardare oltre, al nuovo governo, non può essere per il Pd il modo per mettere da parte un problema che lo riguarda».

L'apertura ai Cinque Stelle era sincera? È mai stata presa davvero in considerazione la candidatura di Rodotà?
«Col senno del poi, mi sembra che non tutto il partito abbia esperito davvero il tentativo».

E Bersani?
«Bersani si è confermato uomo di straordinaria trasparenza. Nella sua coscienza si vede come in uno specchio».
Se lei fosse parlamentare, voterebbe la fiducia al governo Letta?
«Non farei mancare il mio contributo: in queste circostanze, o una coalizione è coesa, o non è. Ma nello stesso tempo richiamerei il partito alla terribile responsabilità assunta da chi ha affossato Prodi. Ed è incredibile che, a distanza di giorni, non uno dei 101 franchi tiratori sia venuto allo scoperto».

Pensa di candidarsi alle primarie per la segreteria del Pd, in autunno?
«Non penso proprio. Ci sono altri modi per contribuire a evitare in futuro altri errori, e per sostenere il partito in cui sono appena entrato nel doppio impegno che lo attende: le riforme istituzionali, a cominciare da una legge elettorale che restituisca ai cittadini la possibilità di esprimere una preferenza; e gli strumenti per fronteggiare una crisi gravissima delle imprese e del lavoro».

Qual è la sua opinione di Renzi?
«Un'opinione molto forte. Renzi è uomo di estrema correttezza. Quando fa una battaglia, tutti sanno che l'ha fatta. Non è uno che si trincera nel segreto».

A parte il metodo, come giudica la sostanza?
«Renzi ha capacità di leadership e di catalizzare coalizioni molto forti. Nel viso e nella parola mi ricorda lo spirito evocato da Saviano per spiegare come si è vinto il referendum in Cile: con il sorriso, senza retorica, guardando avanti, stimolando le energie di un Paese che crede di potercela ancora fare».

Renzi è l'uomo giusto per restituire all'Italia fiducia in se stessa?
«Io penso di sì: rompere le croste, liberare le potenzialità, sollecitare il cambiamento. Detto questo, non è facile superare le resistenze con cui si è scontrato anche il governo Monti. Abbiamo una macchina pubblica arcaica. Il blocco è a Roma, nell'amministrazione centrale».

Quindi lei e Renzi non siete alternativi ma complementari?
«Questa è la mia percezione, questo è il mio augurio».

Lei è stato ministro nel governo dei tecnici. Salutato dal Paese con sollievo all'inizio, ma poco rimpianto alla fine.
«È vero, si è passati da un eccesso di entusiasmo, da una luna di miele un po' cieca, a giudizi molto severi. La verità è che, rientrata con l'estate l'emergenza finanziaria, si è persa la spinta propulsiva, è finita la fase ascendente. Abbiamo smesso di normare e ci siamo limitati ad attuare. Ma il governo è durato sino all'ultimo giorno: abbiamo appena fatto la variazione di bilancio per portare mezzo miliardo all'Aquila, individuato il sito dove ricostruire la Città della scienza, rimosso il commissario che non ha prevenuto l'esondazione del Crati...».

Resta il fatto che un governo senza partiti non ha funzionato.
«Per questo, nella "Memoria" che ho appena pubblicato, ho parlato di partito-palestra. È evidente che oggi gli italiani vogliono sapere se c'è ancora la Cassa integrazione in deroga, se ci sono i fondi per l'infanzia e gli anziani non autosufficienti. Ma qualsiasi governo deve avere alle spalle un partito che non si ritrova ogni cinque anni per la campagna elettorale, ma che è al lavoro sempre, che sa scegliere le persone, che si occupa dell'inceneritore costruito male, dei nidi di infanzia cattivi, del sindaco che non ha strutturato bene l'Imu. I partiti dovrebbero essere il ponte tra lo Stato e la società. Oggi il ponte è crollato. Il triangolo è rotto. Sono entrato nel Pd per dare una mano a farne un partito-palestra. E per aiutare il leader che verrà».

Aldo Cazzullo

29 aprile 2013 | 8:36© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/politica/13_aprile_29/cazzullo-governo-frutto-dell-insuccesso-pd_7eb3f5e6-b093-11e2-b358-bbf7f1303dce.shtml


Titolo: Sul “partito delle idee” di Barca
Inserito da: Admin - Maggio 02, 2013, 06:54:52 pm
Sul “partito delle idee” di Barca



I partiti di sinistra hanno perduto ovunque il loro più straordinario collante interno: la "religiosità" del fine da raggiungere, che metteva a tacere gli egoismi e la riottosità dei singoli, come anche le possibili degenerazioni corruttive. Occorre ora un collante capace di surrogare la vecchia "religiosità militante" nel nuovo, e positivo, contesto di "pluralismo delle fedi". Un commento sulla proposta di Fabrizio Barca.

di Piero Bevilacqua, da il manifesto, 30 aprile 2012

È difficile intervenire sul documento di Fabrizio Barca "Un partito nuovo per un buon governo", quando il partito oggetto del disegno riformatore è andato in frantumi. E mentre quello speciale sopramondo che è la vita politica italiana è precipitato nel caos. Anche se proprio in momenti drammatici come questi si possono generare gli ardimenti delle svolte risolutive. D'altra parte, quello di Barca vuole essere un progetto di medio-lungo periodo, com'è giusto, perciò la discussione può riguardare aspetti per cosi dire fondativi della sua proposta.

Dunque lasciando sullo sfondo - ma solo fino a un certo punto - le spinosissime questioni immediate. Di tali aspetti progettuali io privilegerei, per brevità, l'idea di separare nettamente il partito dallo Stato. Un "Partito-palestra", scrive Barca, radicato localmente, fondato sul volontariato, » e in grado di procurarsi dal basso le risorse necessarie alle sue attività. Si tratta di un punto di portata strategica.

Come da tempo ha messo in evidenza la politologia internazionale, in quasi tutti i paesi avanzati il sistema politico si è andato configurando come un meccanismo di cartel party, un cartello controllato da due partiti dominanti. Nelle democrazie inglese e americana il bipartismo perfetto incarna pienamente tale modello, con due organizzazioni che fanno la stessa politica e competono per il controllo del potere. Questi partiti sono diventati nei decenni i gate keepers, come li chiamano Y. Meny e Y Surel. In Populismo e democrazia, «i guardiani che vietano l'accesso ai nuovi arrivati », impedendo loro l'accesso alle risorse pubbliche e tenendo lontane tutte le forze, i movimenti, le culture politiche minoritarie che vogliono entrare nelle istituzioni.

Il Pd è nato per incarnare questo modello in una fase storica in cui esso mostrava tutta la sua grave usura storica, il deficit crescente di democrazia che imponeva negli stessi paesi in cui era nato, dove pure aveva garantito, con alti e bassi, un qualche tasso di rappresentatività. Dunque la nascita del Pd costituisce un tentativo tardivo e involutivo di "modernizzazione" del sistema politico, che ha creato molti più problemi di quanto non ne abbia risolti. Intanto, anche grazie al sistema elettorale maggioritario, ha finito con l'emarginare e cacciare dal Parlamento le varie culture politiche disseminate nel paese che non trovano più rappresentanza. La sinistra radicale - formazione anche tatticamente utile in un Parlamento nel quale si vogliono vincere resistenze conservatrici - è stata messa in un angolo. Non senza responsabilità - questo è ovvio - da parte della medesima.

Un partito siffatto, nella fase storica in cui le risorse da distribuire con il welfare diminuiscono costantemente, che ha abbandonato gli ancoraggi con le realtà locali e dunque il supporto della militanza diffusa, vede nelle risorse finanziarie pubbliche (ma anche private!) lo strumento fondamentale per la competizione con il partito avverso. Diventate sempre più ristrette le basi del consenso popolare, anche per effetto delle scelte neoliberiste - promotrici delle virtù del mercato su quelle del governo dei fenomeni sociali - il Pd diventa un partito che non promuove più azione sociale, ma produce messaggi e ha perciò bisogno di televisione e di tutti i costosi strumenti del marketing elettorale. Ma ha bisogno anche di potere e di danaro per tutti i suoi dirigenti a livello centrale e periferico. E tale necessità diventa, a sua volta, inevitabilmente, il fine dell'agire politico di un numero crescente di figure sociali, sempre più svincolate da obblighi di appartenenze ideologiche.

Il lettore può agevolmente riempire tale schema con la cronaca politica e giudiziaria degli ultimi anni. Quanto la trasformazione di un partito di massa in una macchina elettoral-clientelare abbia devastato lo spirito pubblico nazionale, specie nel Sud, e favorito la crescita della criminalità, è intuibile. Senza dimenticare che tale partito competeva con una forza politica che faceva e fa della violazione delle regole dello Stato di diritto il suo marchio d'origine.

Si comprende, dunque, come la proposta di Barca va a colpire una struttura fondamentale della degenerazione di un potenziale partito di massa. Una questione normativa - dunque eminentemente tecnica - che ha riflessi politici e perfino morali di grande rilevanza. Io credo molto in questo approccio "tecnico" di Barca per una ragione fondamentale. I partiti e soprattutto i partiti della sinistra, hanno perduto ovunque il loro più straordinario collante interno: la religiosità del fine da raggiungere, che metteva a tacere gli egoismi e la riottosità dei singoli, e rendeva il collettivo sufficientemente coeso da reggere agli urti della lotta. Oggi questa coesione si è dissolta, anche per motivi storici generali e positivi. Le società occidentali si sono secolarizzate, la religione ha cessato di essere istrumentum regni - salvo nelle goffe sette sopravvissute nei partiti italiani - il pluralismo delle fedi costituisce la stoffa della soggettività delle grandi masse. Occorre che un partito di sinistra ritrovi il collante capace di surrogare la vecchia religiosità militante. E a tale fine le prediche morali servono a poco.

Ciò che è utile - oltre alla rappresentanza dell'interesse collettivo - sono le norme, la sapienza dei vincoli e delle sanzioni, il coinvolgimento partecipativo. Perciò la questione del finanziamento - affrontato da Barca - diventa rilevante. Io credo, ad esempio, che l'imposizione di un tetto egalitario di spesa a tutti i candidati, nella competizione elettorale, costituisca uno strumento fondativo per separare i partiti dai poteri economici dominanti. Per renderli autonomi e più legati agli interessi popolari, obbligati a cercarsi il consenso con la presenza militante nei territori.

Non per nulla negli Usa i due maggiori partiti, che raccolgono danaro per faraoniche campagne elettorali, sono alle dipendenze del potere economico-finanziario e la politica dei presidenti è una mediazione faticosa ( nel migliore dei casi) che lascia intatti gerarchie e privilegi. Oggi possediamo la strumentazione tecnica - la rete- utile non solo per un monitoraggio costante degli eletti da parte dei cittadini militanti, ma anche per la veicolazione dei saperi, che si producono nei territori, all'interno del partito. Quali sono questi saperi? Sono un impasto di conoscenze, valori, passioni che si esprimono nella cura dell'ambiente, nella difesa del paesaggio, dei beni culturali e monumentali, nella tutela dei beni comuni dell'acqua, dell'aria e della terra fertile,nella volontà di accesso al sapere, nella critica alle forme devastanti dell'urbanesimo neoliberista, nella ricerca del cibo senza contaminazioni, nella rivendicazione dell'eguaglianza sociale, nella difesa dei diritti, dei valori dell'accoglienza e del dialogo con gli altri, nella difesa della pace e dei popoli sotto dittatura e privi di cibo, nella rivendicazione del ruolo protagonista delle donne, nella volontà di avere ascolto, di controllare chi detiene il potere e di squarciarne le opacità, di mantenersi costantemente informati sulle cose del mondo. E' a questa cultura, che fa la sostanza più profonda di una nuova sinistra diffusa e maggioritaria nel paese, che occorre dare forma organizzata e capacità di partecipazione. Nel gruppo dirigente Pd non c'è quasi nulla di tutto ciò. Potrà entrarci con un lavoro sia pure di lunga lena?

Qui la prospettiva deve fare i conti con il presente. Il Pd è un partito impotente. Una delle ragioni non dette della mancata scelta di andare alle urne nel novembre 2011 è che esso non avrebbe retto alla prova per le proprie divisioni interne e sarebbe esploso, come un areo in volo. Nessuno si è accorto, in questi ultimi anni, del silenzio fragoroso dei dirigenti di questo partito su episodi anche gravi della vita nazionale? La ragione è semplice: se qualcuno prende posizione si scatena la canea delle contrapposizioni. Ed è il caos.

Ciò che è accaduto con l'elezione del capo dello Stato è l'ultimo suggello. Nel frattempo, questo partito fa mancare al paese una reale opposizione, una forza di sinistra, un rappresentanza degli interessi popolari sempre più colpiti dalle politiche recessive, esattamente ciò che sarebbe più vitalmente necessario per trovare uno sbocco alla crisi. La quale nasce, com'è noto, dalla iniqua distribuzione delle ricchezze. E' Grillo che ha supplito a questa assenza clamorosa. E allora? Non sappiamo se la collera popolare ci darà il tempo. Forse Barca potrebbe tentare una vasta ricognizione nelle periferie del Pd per verificare se, almeno qui, il partito è ancora vivo e se può essere utilizzato, almeno in parte. Perché il suo gruppo dirigente, in quanto dirigente, è morto da un pezzo.

(30 aprile 2013)

da - http://temi.repubblica.it/micromega-online/sul-partito-delle-idee-di-barca/


Titolo: Fabrizio BARCA. Pd: ma dove sono finiti gli operai?
Inserito da: Admin - Giugno 20, 2013, 11:49:26 am

Pd: ma dove sono finiti gli operai?

Pubblicato: 19/06/2013 13:38

Fabrizio BARCA

Ma dove sono gli operai? Fatico a incontrarli nei circoli Pd durante il mio viaggio in Italia. Nei grandi centri la concentrazione degli inviti nelle zone di ceto medio e alto spiega la cosa. Ma non così altrove, a La Spezia e a Napoli, in Veneto e nel modenese, a Marghera.

Ne ho incontrati in discussioni organizzate dal sindacato o dal "campo largo della sinistra", ma non nei circoli del Pd. E nei loro interventi, secchi, legati alla durissima crisi che l'industria conosce in questi terribili mesi, hanno sfatato l'idea "intellettualoide" secondo cui un testo lungo e acerbo come quello che ho scritto non sarebbe roba per loro. Tutto il contrario!

"Se il Partito democratico non tornerà ad occuparsi dei nostri problemi, chiudo i battenti e me ne vado" minaccia il segretario del Pd di Porto Marghera Antonio Cossidente - lucano in terra veneta - che ci spiega che il partito è venuto meno al rapporto fiduciario con gli "elettori operai" e sulle questioni del lavoro "è stato ondivago e, alla fine, non ha tutelato nessuno".

Nel Partito democratico di Marghera l'assenza degli operai è particolarmente eclatante. Ma la fotografia è simile un po' ovunque. E non dovrebbe sorprendermi viste le stime di come hanno votato.
Se ancora negli anni Settanta il naturale interlocutore degli operai era il Pci e forte assai era l'attenzione alla Dc, oggi tra astensionismo e Movimento 5 Stelle, il punto di riferimento di certo non è il Pd: "Almeno Berlusconi ci toglie l'Imu" è il motto di molti, come ci raccontano i pochi che incontriamo.

La "verità vera" è che al Pd manca un progetto chiaro sul lavoro. Manca due volte. È assente l'adesione forte alla priorità del manifatturiero, né più né meno di come l'ha messa giù il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi che giustamente chiede "quota 20%": perché lo domanda un paese che non ha materie prime, perché da lì viene l'impulso alla produttività, perché la nostra meccanica come il nostro agro-industria possono essere ancora fonte importante di occupazione e tratto identitario dell'Italia.

E manca l'idea che dal lavoro dipendente dell'industria può venire, come è venuta in passato, una sferzata alla classe dirigente del paese, l'impulso a rovesciare la gerarchia sociale tumefatta che lo blocca.

Ma per realizzare l'una e l'altra cosa il punto di vista di chi lavora in fabbrica deve tornare a farsi sentire nelle unità territoriali come nelle stanze dei gruppi dirigenti del Pd. Confrontandosi in modo informato e vivace con le espressioni del mondo imprenditoriale, piccolo e grande.

Solo così il pensiero dei ceti medi urbani che domina in tutte le stanze dove si assumono decisioni può essere messo alla prova, scremandone la vocazione di rentièr ed esaltandone la capacità innovativa.

Solo così può essere costruito il dialogo giusto con chi il lavoro lo ha perso o non riesce a trovarlo, a cominciare dalle donne e dai giovani segnati da tassi di occupazione tanto bassi da configurare una vera e propria emergenza sociale, o con il lavoro precario frutto di una grave deriva normativa.

Il lavoro tutto ha perso dignità nella dialettica politica. Lo stesso vale, infatti, nelle aree interne del paese, per il lavoro agricolo. Il Partito democratico negli ultimi due anni ha organizzato due conferenze nazionali sul lavoro, che hanno prodotto contenuti di qualità: nei circoli nessuno ne ha mai fatto riferimento, mi chiedo come mai.

Nel documento "Un partito nuovo per il buon Governo" scrivo che, nella generale crisi dei partiti di massa, "si è prodotta una peculiare esclusione del lavoro, in particolare di quello operaio - e quindi della "manifattura" - dalla centralità della rappresentanza politica, anche nei partiti di sinistra.

Questa rappresentanza è divenuta appannaggio prevalente dei nuovi ceti medi urbani, pur faticando i partiti a raccoglierne la spinta creativa e piuttosto accomodandone gli interessi particolari". Forse è il caso che nel processo di revisione di strategia che il Pd deve intraprendere un posto di rilievo lo abbia la ripresa di attenzione al lavoro.

http://www.huffingtonpost.it/fabrizio-barca/pd-ma-dove-sono-finiti-gli-operai_b_3464456.html?utm_hp_ref=italy


Titolo: Fabrizio BARCA “Alla ricerca di un Partito nuovo” DI Silvia Allegri
Inserito da: Admin - Luglio 09, 2013, 05:00:31 pm
NewsItaliaSocieta

“Alla ricerca di un Partito nuovo”

Il Viaggio in Italia di Fabrizio Barca

Intervista all'ex ministro

Silvia Allegri
Lunedì 8 Luglio 2013, 18:09



Viaggio in Italia: così sul suo sito (www.fabriziobarca.it) è intitolato il tour che Fabrizio Barca sta conducendo attraverso le città italiane e i circoli del Pd. Un titolo ricco di suggestioni letterarie, ma a differenza di Goethe o di Stendhal, Barca nel suo viaggio di romantico coglie ben poco. L’obiettivo, ufficialmente, è quello di presentare il suo documento “Memoria politica dopo 16 mesi di Governo Monti”. Ma parlando con l’ex ministro, oltre alla sua disarmante lucidità nell’analizzare il corto circuito che ha interessato di questi tempi il Partito Democratico, si percepisce un intento ben più profondo: quello di cercare un confronto vero, sincero e appassionato con gli elettori, con quelli che nutrono ancora qualche speranza di vedere il Paese e il Partito risalire dal baratro in cui sono precipitati, e con quanti vanno ai suoi appuntamenti mossi soltanto da curiosità. Barca si presenta in maniera diretta e gioca subito una delle sue carte migliori: la capacità di ascoltare la gente. Lo fa con semplicità, con uno sorriso sincero e accattivante, con adesione e pazienza, facendo emergere una cifra etica e un senso di rispetto per l’altro che ci eravamo ormai dimenticati, di fronte agli scivoloni e alle cadute di stile dei tanti politici che affollano quotidianamente gli schermi televisivi.

La radicalità delle idee e delle posizioni di Barca non infastidisce il pubblico, può infastidire semmai qualche collega di partito. Perché Barca parla chiaro. Con sintesi e ironia, parla dei problemi che affliggono il Pd senza offrire facili speranze, ma sbattendo in faccia a chi lo ascolta la verità nuda. E al tempo stesso, rifiuta quel sistema di comunicazione oggi tanto in voga fatto solo di sms e tweet, scegliendo invece di redigere un documento di diverse decine di pagine, che definisce un “esercizio di scrittura”, con cui spiegare cosa intende per “convincimenti comuni a un partito di sinistra”. Usa termini come “catoblepismo” (da catoblepa, animale leggendario che fulmina con lo sguardo e ha una testa pesantissima che lo costringe a guardare sempre a terra, ndr) per indicare il fenomeno con cui i partiti gestiscono uno Stato che dovrebbe a sua volta far esistere i partiti: termini che gli hanno fatto meritare l’appellativo di snob, lontano dal linguaggio delle masse, forse troppo abituate a formule e slogan di facile e immediato consumo.

Fabrizio Barca: ministro del Governo meno amato dalla maggioranza dei militanti Pd, e ora che ci si avvicina al Congresso e si moltiplicano i candidati alla Segreteria, uno dei nomi più accreditati. Lei però non si è ancora fatto avanti. Cosa aspetta o cosa si aspetta?

Niente. Non ho nessuna intenzione di candidarmi. Sono e mi definisco volentieri un elemento destabilizzante. La mia funzione? Far discutere un partito che di questo non discuteva. La mia è una tesi non condivisa: la causa del non governare non è un deficit d’autorità, ma di conoscenza. E la strada è ancora lunga.

Renzi: per tanti una grande risorsa; per altri, un pericolo per gli assetti di potere costituiti all’interno del Pd.

Una cosa è certa: assistiamo a una ritrosia impressionante al cambiamento. Si percepisce la resistenza dei gruppi dirigenti del Pd. Che guardando indietro, dovrebbero a volte dire chiaramente: abbiamo sbagliato!

Dal congresso, insiste a ripetere, dovrà uscire una piattaforma e un profilo più nitidi del partito. Alcuni, invece, vorrebbero già definita una piattaforma per il prossimo governo: un errore di prospettiva?

E’ prematuro pensare che da un partito che ha una non chiarezza identitaria e una non chiarezza su cosa serve per governare emerga già una piattaforma per un governo. Piuttosto, deve emergere uno spazio per la ricostruzione del partito.

Il Congresso potrebbe sancire la fine del governo Letta. Crede eventualmente possibile quell’alleanza con Grillo che agli elettori di sinistra nei mesi scorsi non sarebbe spiaciuta?

Il compito del partito nei confronti di Letta è dire con forza cosa il partito chiede a Letta. Visto che è un governo di compromesso. Un governo imbarazzante perché il Pdl è imbarazzante. E’ difficile spiegare ai cittadini del mondo che ci guardano dall’esterno e per molti aspetti ci stimano come sia possibile che il Pdl governi ancora. E’ un paradosso troppo grande. E attualmente manca un Pd che dica a Letta cosa deve fare con la stessa forza con cui invece lo sa dire Berlusconi. Il grande successo del Movimento 5 Stelle è il segnale che la massa vuole cambiare. Se questa forza venisse canalizzata nel Pd le cose potrebbero cambiare davvero. Ma non è facile. C’è un’isteresi. Una coazione a ripetere.

Il Pd fatica molto ad affermarsi nella cosiddetta Padania. Negli anni scorsi qualcuno aveva pensato ad un Pd del nord più autonomo e territoriale.

Sia sul piano statuale, sia sul piano del partito sono stati commessi a questo riguardo molti passi frettolosi.

Sta battendo palmo a palmo l’Italia dei circoli e delle Sezioni: che impressioni ne ha tratto sulla vitalità di questo partito che ha definito più volte “una enorme risorsa inutilizzata”?

Il Partito Democratico è l’unico partito ad avere carattere di democrazia. Dispone di incredibili risorse umane, e soprattutto di radici identificative molto forti: cristiano-sociale, socialista e liberale. Ora è un partito che divide queste anime, perché eletto da funzionari.

Nel suo tour ha detto di aver incontrato nei circoli anche “giovani cadaveri ed elementi di quarta cooptazione”, mettendo sotto accusa i meccanismi di selezione. Quale sinistra esprimono e da dove vengono?

Ho visto questi giovani cadaveri, ma ho visto anche giovani che spingono per il cambiamento. Questa situazione è il frutto degli errori organizzativi degli ultimi anni. Non sono state selezionate persone attraverso un vero confronto, ma soltanto per scelte esterne.

Lei immagina una rete di “comunità territoriali” attive e propositive, parla di “strutture cognitive” e di “fonti del sapere” al servizio del partito, auspicando una democrazia deliberativa che parta dal basso per convergere dialetticamente al centro. Si prepara a combattere contro i mulini a vento?

Solo l’utilizzo della rete in maniera intelligente (ossia per raccontare le proprie azioni, di certo non per votare!) può gettare le basi per avere un partito in rete. Deve nascere una piattaforma di luoghi collegati tra loro, cha faccia parlare la società attraverso il partito. Non sarà certo facile far passare questo messaggio.

Cosa dovrebbe indurre una classe dirigente di partito arroccata nel potere a portare un vero cambiamento?

L’attuale classe dirigente ha paura del tracollo. Sente l’assedio interno ed esterno. E ha paura perché c’è incertezza.

I rapporti con SEL?

Sel  è una risorsa e un pezzo dell’esterno molto importante. E’ un pezzo dell’assedio culturale al Pd e credo si stia muovendo bene in questo momento.

Suo padre Luciano è stato un dirigente prestigioso del vecchio PCI. Che cosa è passato al figlio di quella esperienza e di quella cultura e cosa se ne può ancora salvare?

Difficile sintetizzare quanto è passato. Molto difficile. Direi una radicalità e una autonomia delle posizioni. Sui principi non vale la pena fare nessun compromesso.

 


Dopo averlo ascoltato, si fa fatica ad accettare che un leader come questo non abbia intenzione di candidarsi al Congresso. Certo è che il suo obiettivo lo raggiunge ogni volta che parla direttamente con gli elettori: fa sperare in una rinascita del Partito Democratico, ma soprattutto sa trasmettere autentica passione e lealtà. E chissà che non cambi idea, nei prossimi mesi…


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Titolo: Fabrizio BARCA. Il Pd ha davvero bisogno di leader carismatici?
Inserito da: Admin - Settembre 09, 2013, 08:59:12 am

Il Pd ha davvero bisogno di leader carismatici?

Pubblicato: 08/09/2013 06:00


In questo ultimo quarto di secolo aperto dalla caduta del muro di Berlino e segnato da Tangentopoli, quante volte abbiamo sentito parlare di cambiamento, rinnovamento, nuova visione, ricambio delle classi dirigenti? Quante volte abbiamo sentito dire che ci voleva un leader unico con forti poteri ("il sindaco d'Italia" lo chiamava Mario Segni) circondato da tecnici capaci di soluzioni straordinarie e risolutive? E assieme una rappresentanza diretta della società civile che dialogasse direttamente con quel leader, superando particolarismi, correnti e oligarchie?

In nome di questa narrativa abbiamo avuto due riforme elettorali mirate a dare più potere e stabilità al governo. Abbiamo avuto ben tre "partiti" della società civile affidati a un "proprietario", a un mattatore e a un tecnico. I partiti di centrosinistra che popolano oggi il Partito democratico hanno avuto 14 leader. Di governi ne abbiamo visti 14 (10 premier) a esito di grandi campagne elettorali ed entusiasmi delle folle.

I risultati di questo quarto di secolo sulla nostra qualità della vita, nonostante l'energia e l'impegno di tanti grumi della società, sono pari a zero. Produttività ferma, uscita di Lombardia e Emilia Romagna dal pacchetto di testa delle regioni d'Europa per competitivitá, Sud bloccato, esclusione sociale e ineguaglianza in aumento, depressione culturale. E' mai possibile predicare oggi le stesse cose che hanno dato questi esiti?

Non sorge il dubbio che stiamo sbagliando e che bisogna cambiare rotta? Che, certo, ci vogliono leader carismatici, ma dietro devono avere una squadra e una strategia frutto di fatica e dibattito? Che ciò che manca per governare l'Italia non è il potere ma la partecipazione e il presidio moderno dell'attuazione? Che la squadra, la strategia e la partecipazione hanno bisogno di un partito-palestra, innovativo, strumento della società? È questo il senso del documento che ho scritto e dei 6 impegni di rinnovamento del Pd che ho proposto.

Molti, come me, legano il loro voto al Congresso a posizioni chiare dei candidati a segretario su questi e altri contenuti. É da queste posizioni che può venire quel confronto acceso sul merito che é condizione di vero cambiamento.

da - http://www.huffingtonpost.it/fabrizio-barca/il-pd-come-partito-palestra-per-mettere-in-moto-un-vero-cambiamento_b_3886960.html?utm_hp_ref=italy&ref=HREC1-4


Titolo: Fabrizio BARCA. Le mie domande a Renzi, Cuperlo, Civati e Pittella
Inserito da: Admin - Ottobre 20, 2013, 11:28:21 pm
Le mie domande a Renzi, Cuperlo, Civati e Pittella

Pubblicato: 19/10/2013 13:30

Se mai ve ne fosse stato bisogno, la costruzione della Legge di Stabilità e le reazioni che ne sono seguite, dentro (prima ancora che fuori) la compagine di governo, ci ricordano che il rinnovamento vero e radicale del paese richiede un rinnovamento vero e radicale dei partiti. Che tornino a coagulare lo straordinario bagaglio di saperi dispersi nelle filiere territoriali produttive e sociali del nostro paese e a tradurli in una visione e nei modi per attuarla.

Perché ciò avvenga i partiti devono recuperare identità di valori, darsi un metodo moderno di confronto - acceso, regolato, aperto all'apporto dell'associazionismo esterno caparbiamente indipendente, verificabile sulla Rete - e un'organizzazione efficace . Sono le idee che ho discusso in questi mesi con circa 14mila cittadini che, iscritti o non iscritti al Pd, considerano questo partito ancora la ciambella di salvataggio del Paese.

Ma ora a questi cittadini e a moltissimi altri non interessa sapere cosa ne pensi io. Interessa sapere cosa ne pensi e cosa intenda fare chi si è candidato a guidare il Pd. Lo leggeremo e con la dovuta franchezza lo discuteremo sulla base delle mozioni che stanno uscendo. Ma già ora, dietro il paravento riprodotto dai media, trapelano alcune intenzioni.

Prendiamo ad esempio quelle di Matteo Renzi, emerse grazie all'incalzare di Sergio Staino e soprattutto al clima franco e allegro - sì, allegro - di una serata fiorentina.

Ecco un estratto:

    "In questi anni - ha affermato Renzi in quell'occasione - il partito si è strutturato intorno ai dipartimenti romani. Invece da cosa è fatto il Pd? Da 3 gambe: 1) I circoli, che vanno aperti: il problema non è tenere persone chiuse in una stanza a parlare tra loro. L'importante è portare i circoli là dove c'è la vita vera: nelle piazze, nei luoghi senza rappresentanza. 2) Ci vuole un Pd che con i suoi parlamentari giochi all'attacco e non stia in difesa. 3) Chi fa il sindaco, l'assessore, non abbia paura di considerare il partito come un luogo diverso da sé."

E ancora:

    "Vorrei che il Pd da gennaio facesse una campagna a tappeto, comune per comune, con gli strumenti nuovi di partecipazione che tengano insieme il social network e il colloquio interpersonale; che diano senso ai circoli e agli iscritti e che contemporaneamente valorizzino le nuove forme di comunicazione. Partiamo dal basso questa volta - ha aggiunto Renzi - per decidere la riforma della scuola anziché dire le nostre idee e imporle agli insegnanti sentiamo e facciamoli partecipare davvero. La tua mobilitazione cognitiva seria sugli insegnanti e su quello che loro chiedono".

Come realizzare tutto ciò, chiedo a Matteo Renzi e agli altri candidati? Visto fra l'altro che la "freschezza che viene dal girare in mezzo alla gente" - per citare di nuovo Matteo Renzi del Corriere del 18 ottobre - un Segretario può ottenerla soltanto se decide di schiodarsi sia da Roma sia da Firenze, viaggiando dal lunedì al sabato in tutti i territori del paese.

Siete d'accordo che per rinnovare il Pd servono almeno 4 delle mie 6 proposte - sulle quali peraltro solo Pippo Civati si è esplicitamente espresso - e un finanziamento pubblico come quello che disegna Piero Ignazi? O cosa altro proponete, di operativo? Di verificabile una volta eletti? E ancora: quando vi confronterete assieme, all'italiana, non all'americana, sulla "libera associazione" che intendete organizzare? Terrete assieme 5 o 6 incontri, o forse 7, sui temi che ci angustiano, L'Europa, per cominciare?

Intanto e comunque buon lavoro.

Da - http://www.huffingtonpost.it/fabrizio-barca/le-mie-domande-a-renzi-cu_b_4127535.html?utm_hp_ref=italy


Titolo: Fabrizio BARCA: Tutti i nostri problemi derivano da mancanza di conoscenza...
Inserito da: Admin - Novembre 19, 2013, 05:44:00 pm
Questo libro di Fabrizio Barca, edito per Feltrinelli nel 2013, è costruito in effetti intorno ad un’unica idea: tutti i nostri problemi non derivano da mancanza di potere, ma di conoscenza.

È questo il problema dello Stato e dei Partiti. Questa è la ragione per la quale non è efficace l’azione di governo e appare così grande l’impotenza.

Siamo in una profonda crisi socioeconomica da oltre venti anni; dal 1992 siamo soggetti a un profondo senso di incertezza e di “spavento”; abbiamo promosso frenetiche e continue riforme della Pubblica Amministrazione e del mercato del lavoro, senza realmente incidere; si registrano ininterrotti comportamenti abusivi del ruolo pubblico, di una gravità, diffusione ed arroganza secondo Barca non comparabili con le vicende di altri paesi (B, p. 49).
Il bandolo di questa matassa va ricercata nei partiti e, più profondamente, nel modo in cui viene costruita ed utilizzata la conoscenza necessaria ad agire. La conoscenza che non è concentrata nelle mani di pochi, ma è “dispersa fra una moltitudine di soggetti, privati e pubblici, ognuno dei quali possiede frammenti di ciò che è necessario sapere” (B., p.66), ancora meglio (Barca dice “più”), “la conoscenza necessaria spesso neppure esiste quando sorge un problema o un’opportunità; essa scaturisce piuttosto come <innovazione> dal confronto e dal conflitto fra molteplici soggetti che possiedono conoscenze parziali”.
Dunque, tutte le soluzioni che spingono per concentrare il potere decisionale in mano a pochi sono in tensione con il principio ci competenza (oltre che con quello di rappresentanza). È semplicemente un errore.
Per questa ragione il bandolo va ricercato nei partiti; che siano in grado di costruire processi per coinvolgere i molteplici detentori di conoscenza ed esperienza, a confrontarla e crearne di nuova; consentendo innovazione e avanzamento. L’idea è di “muovere da quadri regolativi inziali volutamente provvisori e prevedere la loro progressiva revisione attraverso un processo di analisi continua degli esiti nei rispettivi contesti, fondata sulla partecipazione attiva dei cittadini, verificabilità, monitoraggio e valutazione in itinere, presidio dei risultati e forte utilizzo della rete per dare semplicità, apertura e tempestività a queste funzioni” (B., p. 69).
Si tratta di articolare l’azione in tre stadi: decisione, presidio dell’attuazione, apprendimento per migliorare le nuove decisioni. La prima deve avvenire dopo aver “estratto ed aggregato” conoscenza (dagli esperti, dai produttori e dai beneficiari), notoriamente imperfetta ed in deficit (cognitivo), cioè incompleta. Il presidio dell’attuazione cerca di compare questo deficit, servono allo scopo spazi di confronto pubblico in grado di garantire (tramite opportune procedure) l’informazione, l’imparzialità, l’espressione del dissenso, l’apertura e la ragionevolezza del dibattito. Ciò significa usare la rete, far emergere le innovazioni e decidere cosa farne, utilizzare gli errori e gli ostacoli per apprendere. Di qui può partire un nuovo round di decisioni.
Bisogna fare chiaramente tanta strada per rendere possibile questo metodo (peraltro praticato abbastanza comunemente in altre realtà), aggiornando una macchina pubblica arcaica, affinando le procedure, informatizzando, adeguando il personale e formandolo; identificando chiaramente le responsabilità; cambiando molte leggi.
Una delle cose che serve è un “partito palestra”; capace di raccogliere intorno a sé un “aperto e governato conflitto sociale”. Un partito che sia saldamente radicato che tragga la propria legittimazione dalla partecipazione e dal volontariato, come anche una parte preponderante del proprio finanziamento non dallo Stato né dalle donazioni delle imprese, ma da iscritti e simpatizzanti. Un partito che ritorni ad essere “sfidante dello Stato”, e non solo strumento della selezione dei membri delle élite. La sfida deve restare attiva tramite l’elaborazione e rivendicazione delle soluzioni per l’azione pubblica. Questo è quel che Barca chiama <<mobilitazione cognitiva>>.
Ciò che non serve è il “partito scuola di vita”, il vecchio partito-massa nel quale si ascoltano i bisogni e si insegna una “linea” già definita (un partito che muove da un’avanguardia verso una massa da istruire ed unire), non serve neppure il “partito che occupa lo Stato”. E nel quale “si vende e si compra di tutto: prebende, ruoli, pensioni, appalti, concessioni, ma anche regole, visioni, idee”. E non serve il “partito liquido” della crisi della politica, una sorta di vetrina nella quale mettere in mostra “offerte politiche”. (B. , p.46).
Occorre avere, a questo fine, una propria identità per la quale Barca indica quattro dimensioni (“pilastri”): eguaglianza, pace, cultura ed avanzamento sociale; lavoro e concorrenza; libertà delle persone; partecipazione come fine in sé e fonte di conoscenza.
 
 
Un simile partito non promana dall’alto verso il basso, non da un governo innovativo che modifichi dall’alto la macchina dello stato per tre ragioni: 1- perché non si deve come sia possibile determinare tale forte guida senza un partito “alle spalle” dotato di una adeguata visione del futuro e della capacità di mobilitare intorno ad esso le conoscenze necessarie; 2- perché non riuscirebbe a vincere le resistenze, senza forte appoggio e mobilitazione dal basso.
Se non può la volizione politica di un gruppo direttivo, surrogare alla necessaria mobilitazione sociale, neppure la “rete web” può sostituire i partiti. Perché non può assicurare la disamina approfondita dei problemi, il confronto anche acceso ma ragionevole.
Allora, se bisogna raccogliere, confrontare, selezionare e aggregare (talvolta producendo) conoscenza sul da farsi dell’azione di governo, e se si tratta di fare questo anche attraverso un confronto pubblico, informato, acceso, aperto e ragionevole nei luoghi presenti sul territorio, quindi fra gli iscritti ed i simpatizzanti, i membri delle associazioni, è necessario disporre di nuovi “quadri”. Assolutamente distinti dagli eletti e dai governanti o dagli amministratori, scelti essenzialmente per la loro capacità di essere facilitatori di questi processi. (B, p. 89)
Dunque un simile partito deve aprirsi all’esterno, agli “altri” anche allo scopo di tenere vivo il processo di apprendimento. E si deve separare dallo Stato, sia in termini finanziari sia di relazione tra i funzionari del partito e le persone elette o nominate. Queste ultime devono essere scelte con criteri di merito.
Il partito sommatoria di interessi va dunque smontato, al fine di innovare realmente la macchina dello Stato arcaica e autoreferenziale, controllata di fatto da una élite estrattiva ed i partiti Stato centrici, che ne costituiscono i fratelli siamesi.
 
Nel testo è presente anche un interessante articolo di Salvatore Biasco, dal titolo “Limiti e necessità dello sperimentalismo democratico”, nel quale la proposta centrale di Barca è messa alla prova e interrogata a partire dall’esperienza dell’autore. Intanto pare a Biasco che l’accentuazione del momento cognitivo, nel Partito disegnato da Barca, sottovaluti il momento identitario, la visione propria, che un partito deve necessariamente avere per giocare un ruolo. Per soggettivarsi.
Inoltre, e più nel merito, sottolinea come la trattazione di Barca sia sottodeterminata rispetto alle importanti differenze che si danno nelle diverse arene decisionali ed in riferimento alle diverse policy. Non è la stessa cosa decidere su un’area urbana dismessa o restare in Afganistan, o privatizzare le Poste Italiane. O le decisioni “per pacchetti”, nei quali complessi bilanciamenti tra le diverse dimensioni sono da effettuare. Sollevando questa questione Biasco propone di considerare che molte decisioni non si prestano ad essere ridotte ad un quesito referendario; anche in tal caso il coinvolgimento della maggior misura possibile è opportuno, ma occorrerà che poi ci sia qualcuno che trae le conclusioni e le giustifica.
In effetti il modello proposto da Barca sembra poter essere letto anche in questo senso, con la sua decisionalità “incompleta” (ma tuttavia decisione), soggetta a successiva valutazione e monitoraggio al fine di eventuale integrazione o modifica.
Inoltre Biasco ricorda che su alcun temi, in particolare fiscali o regolatori, l’interlocutore non è il cittadino ma le organizzazioni specializzate (o sociali). Queste relazioni, per essere produttive, richiedono la costruzione di relazioni “di affidamento e stima”. E in questo terreno il partito è particolarmente indietro. E il personale politico competente insufficiente ed inadeguato. In particolare mancano i “mediatori culturali” tra  i mondi professionali ed accademici nei quali è presente il sapere tecnico necessario; individui capaci di tradurla, cioè, in visione politica e proposta concreta. Per questo servirebbe un personale di grande capacità, cultura, radicamento, stima, che fa gravemente difetto.
Ma, inoltre, queste persone se fosse possibile attivarle, sarebbero da valorizzare e rendere utili. La mobilitazione intellettuale deve, insomma, servire (mentre oggi le routine politiche restano ad uso esclusivo del professionismo politico).
 
 
Il testo di Barca, insomma, come tutte le proposte di natura essenzialmente procedurale è soggetto ad essere letto (e Biasco, ad esempio, tende in tal senso, ma sembra anche le Mozioni di Cuperlo e Civati) come infrastruttura utile a molti scopi. Anche se il testo fa lo sforzo, in alcune dense ma vaghe pagine, di individuare valori fondanti il cuore dell’argomento è che non c’è un contenuto a priori od una conoscenza autentica prima e senza interazione sociale. “Le idee giuste scaturiscono da una corretta pratica sociale”, dice Barca, nell’ultima parte del libro.
Si tratta di quel che Habermas chiamerebbe un pensiero “Post-metafisico” che a sua volta soffre di problemi di fondazione. Nei suoi termini questi problemi di fondazione (cosa rende corretto un costrutto senza fondazione autonoma? Solo la corretta interazione? Cosa rende “corretta” tale processo?) vengono sollevati da Biasco che coglie sicuramente un punto. Se sono i partecipanti a legittimare le scelte non si fa altro che spostare l’onere sulle modalità di espressione e selezione di essi (sono tutti gli interessati? O solo i più attivi, perché più connessi? Come viene ordinato il discorso, come regolato l’accesso, come selezionati gli enunciati validi?). Sono problemi con i quali l’approccio deliberativo alla democrazia si confrontano da decenni, e che hanno costretto anche uno dei più autorevoli e storico sostenitore di esso, Jurgen Habermas, a rifugiarsi al fine nella sua “svolta istituzionalista”, rappresentata da Fattie Norme.
 
Certo, si tratta di una provocazione salutare e di grande utilità, che lo scrivente condivide in buona sostanza, ma che richiederebbe maggiore specificazione e dettaglio (anche tecnico).

Postato 3 weeks ago da Alessandro Visalli
Etichette: Fabrizio Barca

Da - http://tempofertile.blogspot.it/2013/10/fabrizio-barca-la-traversata.html


Titolo: Fabrizio BARCA. Ricominciando
Inserito da: Admin - Dicembre 03, 2013, 04:28:34 pm
Ricominciando
pubblicato in: Il blog   il 29 novembre 2013 da Fabrizio Barca

Si chiude un blog, se ne apre un altro. Si chiude una fase, il Viaggio, se ne apre un’altra, Luoghi idea(li). Dopo mesi trascorsi a “imparare” un partito e verificare la tenuta di un metodo, è il momento di metterlo in pratica. E così, in un processo di mutuo apprendimento, proveremo ad applicare le idee sul partito nuovo in un numero limitato di luoghi e a tradurre le idee del territorio in prototipi per il partito. Ovviamente, ogni volta, attorno a una visione robusta che tocca la vita di quel territorio.

Il progetto per i prossimi dodici mesi, il progetto al quale intendo dedicare il tempo libero dalla mia attività di pubblico amministratore, nasce proprio dai risultati del Viaggio. Dalla conferma che il rinnovamento del modo di governare e di fare politica potrà venire prima di tutto dai luoghi e dal lavoro attorno a obiettivi concreti, che muovono teste e pance. È qui che, attorno a molti circoli e alcune federazioni provinciali, ho trovato le idee, l’impegno, la determinazione di cambiare subito, senza attendere Roma. Lavorando nel campo largo della sinistra.

Lavorare nei luoghi dove più promettente appare la sperimentazione o la volontà del cambiamento: per spronare, affiancare, mettere in Rete queste esperienze. È questo il micro-progetto. Lo “sviluppo rivolto ai luoghi” è il mestiere in cui mi sono specializzato in questi anni di lavoro istituzionale. Ed è anche il metodo con cui posso contribuire a quel Pd “di sinistra, aperto e palestra di idee e di persone” che ho in mente, assieme a molti altri. Incrociando senza equivoci l’impegno e la passione di chi è a sinistra ma non nel Pd.

Gli strumenti di lavoro li abbiamo messi a fuoco guardando alle esperienze che già esistono, in Italia e fuori: metodi nuovi per la decisione partecipata e per coniugare specialismi e visione generale (“idee”), formazione, uso della Rete, acquisizione di conoscenza dagli “altri”. Quegli strumenti vanno provati sul campo. Non ci sono “luoghi ideali”, ma ci sono luoghi che possono decollare sulle ali di nuove idee: ecco il senso di Luoghi idea(li).
Per realizzare questo micro-progetto, oltre alla convinzione di chi sul campo ci sta e all’impegno volontario, serve un supporto, come è stato per il Viaggio. Per finanziarlo ho scelto di lanciare, oggi, una raccolta fondi, un crowd-funding aperto e trasparente. E’ il metodo migliore per verificare – dal lato della domanda – se il progetto che propongo è ritenuto utile e per dargli indipendenza. Dettagli, obiettivi, modi di finanziamento li trovate direttamente nella pagina della piattaforma di crowd-funding. Vedremo fra 60 giorni se il progetto ha le gambe per camminare.

Intanto, il mio auspicio è che dal 9 dicembre nel partito si apra uno spazio di confronto e di discussione nazionale che dia visibilità e voce alla “pressione” dei luoghi. Il nuovo Segretario è chiamato a partire anche da lì. Anzi, soprattutto da lì. Dai buoni esempi di democrazia partecipata e dai futuristici casi di partito in Rete. Ispirandosi alla parte più vera della militanza di base, che resiste, nonostante tutto. Dimostrando che Roma sa essere meno lontana dalle “periferie”. Convincendosi – e convincendoci – che non è più il tempo di una dirigenza autoreferenziale e lontana dalla realtà.
Il possibile domani parte da ognuno di noi. Facciamocene una ragione.

Da - http://www.fabriziobarca.it/ricominciando/


Titolo: Fabrizio BARCA. Il mio progetto Chi sono?
Inserito da: Admin - Dicembre 03, 2013, 04:31:32 pm
Il mio progetto
Chi sono?

Sono Fabrizio Barca e scrivo qui nella mia veste di cittadino che fa politica, iscritto da alcuni mesi al Partito democratico, circolo territoriale Centro Storico di via dei Giubbonari in Roma.

Contesto

Ho appena concluso un Viaggio nei circoli del Pd con l’obiettivo di far conoscere e discutere le proposte di una memoria scritta al termine dell’esperienza di Ministro per la Coesione territoriale del Governo Monti. Le proposte riguardano due questioni: come cambiare (al centro e nei territori) il metodo di governo dello Stato per uscire dalla trappola che blocca lo sviluppo del paese; come cambiare organizzazione e funzionamento dei partiti – segnatamente del Partito democratico – per provocare e poi pressare questo cambiamento del metodo di governo. Due cambiamenti veri, radicali, che non sostituiscano nuovi clan a vecchi clan, ma rendano i partiti strumento della società e rinnovino macchina e comportamenti pubblici.

Il Viaggio ha toccato in sei mesi 110 luoghi del paese, dove ho incontrato 15.000 persone, in 2-3 ore di intenso confronto. E’ stato un percorso lungo oltre 30 mila chilometri, autofinanziato, al quale circoli e altre associazioni hanno contribuito facendosi carico delle spese di viaggio e soggiorno. I resoconti degli incontri sono pubblicati nel sito dedicato all’esperienza. Dal lavoro svolto prima dell’estate 2013 ho tratto nuove idee, critiche e spunti che hanno dato vita a un libro (La traversata, ed. Feltrinelli). Dove, accanto a una sintesi delle mie proposte, parlo dei valori di sinistra necessari per costruire una visione del domani, di un partito aperto all’esterno, di come realizzare una mobilitazione delle conoscenze che selezioni anche la classe dirigente di domani. Nei mesi successivi, assieme ai miei sei compagni di viaggio, ho ricavato dall’esperienza fatta le idee e la convinzione per preparare nuovi materiali sugli attrezzi di lavoro di un partito nuovo, che saranno presto pubblici.
Progetto

Il progetto – il micro-progetto – al quale intendo dedicare il tempo libero dalla mia attività di pubblico amministratore da febbraio all’autunno del 2014, nasce dai risultati del Viaggio. Dalla conferma che il rinnovamento del modo di governare e di fare politica potrà venire in primo luogo dai territori. E’ qui che, attorno a molti circoli del Pd e ad alcune federazioni provinciali, ho trovato le idee, l’impegno, la determinazione di cambiare subito, senza attendere Roma. E ho trovato dunque l’ascolto e il confronto con le proposte fatte. La stagione congressuale, pure caratterizzata in alcuni luoghi da deviazioni e anche degenerazioni, ha confermato in altri luoghi questa valutazione. Ecco allora il progetto Luoghi idea(li): spronare, affiancare, facilitare il dialogo fra queste esperienze per sperimentare nei fatti una nuova idea di partito.

Lo “sviluppo rivolto ai luoghi” è il mestiere in cui mi sono specializzato in questi anni nel lavoro istituzionale. E’ anche il metodo con cui posso dare un contributo a costruire il Pd aperto e palestra di idee e di persone che ho in testa, assieme a molti altri.

Obiettivi del progetto, rivolto ai circoli e alle articolazioni territoriali del Pd dove più promettente appare la volontà di cambiamento, sono:

    favorire la sperimentazione di forme di confronto e di deliberazione informate, accese e aperte sulle questioni sociali, economiche e culturali prioritarie per il territorio;
    promuovere in questi luoghi la formazione e la pratica dei valori di sinistra, della cultura politica e degli strumenti per comprendere e cambiare la società e l’utilizzo di metodi per verificare e mettere sotto pressione l’azione pubblica;
    ricercare e praticare forme di lavoro e dialogo che rendano il partito interessante per i giovani impegnati a “cambiare il mondo” in modo concreto e motivato;
    realizzare tutto questo con un utilizzo della Rete come strumento di verifica, di diffusione dei risultati, di relazione con esperienze simili e di apprendimento.

Per conseguire questi obiettivi sono necessarie tre condizioni:

    la forte volontà dei partecipanti al Pd di questi luoghi (iscritti e non) nel realizzare le sperimentazioni e il loro interesse ad avvalersi del volontario contributo mio e di altri;
    la disponibilità di altri contributi volontari per realizzare le necessarie attività formative e di accompagnamento;
    una micro-struttura che supporti l’attività volontaria mia e di altri.

Le prime due condizioni sono state manifestate in questi mesi con forza, da molti e in diversi luoghi. Per realizzare il progetto resta dunque da soddisfare la terza condizione: una micro-struttura operativa a supporto del progetto (con Fulvio, Lucio, Mattia, Michela, Piergiorgio e Silvia), fermo restando che, come per il Viaggio, la logistica delle “missioni” sul territorio continuerà a essere finanziata dai territori stessi. Ciò richiede mezzi finanziari adeguati stimati in 40 mila euro. È la somma che intendo raccogliere con il lancio di questo crowdfunding e che sotto dettaglio. È un metodo di finanziamento che costituisce in sé una verifica della validità del progetto e che, se verrà, renderà l’esercizio libero da ogni condizionamento.  Non potranno essere accettati finanziamenti superiori ai 500 euro.
I risultati (a partire da febbraio) dell’attività realizzata anche grazie ai fondi raccolti, coerentemente con il progetto che vado diffondendo, saranno resi pubblici sulla piattaforma di crowdfunding Shinynote e su questo blog.
Budget e avanzamento del crowdfunding
Ecco la specifica dei fondi necessari:

    Comunicazione e redazione testi: una persona, 12.400 euro;
    Rapporto con le strutture territoriali e organizzazione della domanda di affiancamento: una persona, 12.400 euro
    Organizzazione dell’offerta di affiancamento: due persone, 7.800 euro
    Costruzione e manutenzione di piattaforma on line: una persona, 1.000 euro
    Assistenza video: una persona, 1.000 euro
    Materiali, integrazioni della logistica e varie: 5.400 euro

Per un totale di 40.000 euro
Come sostenere il progetto

    Carta di credito, carta di credito ricaricabile, postepay, paypal. Effettuando una donazione sulla scheda progetto pubblicata su Shinynote, piattaforma di crowdfunding.
    Bonifico bancario. La donazione potrà anche essere effettuata con un bonifico bancario intestato a Fabrizio Barca, IBAN IT79 Y030 6905 0571 0000 0006 743, specificando nella causale “Donazione Luoghi ideali”: in questo caso la transazione verrà comunque  registrata e pubblicata sia su questo blog sia sulla piattaforma Shinynote.

Riconoscimenti per chi partecipa con una donazione

    3-10 euro: Ringraziamento dei sostenitori sul blog;
    Oltre 10 e fino a 15 euro: Ringraziamento dei sostenitori sul blog + motivazioni del contributo sul blog;
    Oltre 15 e fino a 30 euro: Ringraziamento dei sostenitori sul blog + motivazioni del contributo sul blog + foto sul blog;
    Oltre 30 e fino a 70 euro: Ringraziamento dei sostenitori sul blog + motivazioni del contributo sul blog + foto sul blog + copia autografata della memoria “Un partito nuovo per un buon governo”;
    Oltre 70 e fino a 200 euro: Ringraziamento dei sostenitori sul blog + motivazioni del contributo sul blog + foto sul blog + libro “La Traversata” autografato;
    Oltre 200 euro e fino a 500 (soglia max): Ringraziamento dei sostenitori sul blog + motivazioni del contributo sul blog + foto sul blog + cena con altri contributori cucinata da Fabrizio Barca (Roma) per due persone (al netto delle spese di trasporto :) )

Una volta effettuata la donazione, chi sia interessato a ricevere le varie tipologie di riconoscimento è pregato di inviare una mail a crowdfunding@fabriziobarca.it segnalando i dati necessari per l’assegnazione delle stesse. La manifestazione di interesse è intendersi come autorizzazione alla pubblicazione dei dati segnalati. Questi, per le diverse classi di riconoscimento, andranno dal semplice nome e cognome, alla pubblicazione di una  fotografia personale, all’invio del recapito di spedizione. Allo stesso indirizzo mail ci si potrà rivolgere per ogni quesito.

Requisiti per l’invio delle fotografie
Si richiede l’invio di un file .jpg ritraente il solo donatore. L’immagine dovrà avere e forma quadrata (dimensioni massime 500x500px) o, nel caso di forma rettangolare, ritrarre il soggetto in posizione centrale.

Da - http://www.fabriziobarca.it/luoghi-ideali-crowdfunding/


Titolo: Fabrizio BARCA. Dopo il mio "Viaggio" nel Pd mi è venuta voglia di...
Inserito da: Admin - Dicembre 03, 2013, 04:36:41 pm
Dopo il mio "Viaggio" nel Pd mi è venuta voglia di... ricominciare

Pubblicato: 02/12/2013 20:15

Bella occasione, domenica scorsa. Tornare a parlare di sinistra al Nuovo Sacher, luogo mitologico targato Nanni Moretti - lo confesso - mi ha fatto un certo effetto.

"What is left?" si chiedono Gustav Hofer e Luca Ragazzi in un documentario nel loro stile. "What is left?"ci siamo chiesti noi, in quel luogo, immersi nel clima a un tempo profondo e ironico che Gustav e Luca sanno creare (la battuta sulla società-civile come un condominio è imperdibile e anche - devo dirlo - l'ironia sulla mia memoria e Carla Bruni).

Chiamato a dire la mia, mi sono lasciato andare a ricordi d'altri tempi. "Era il 1972"... l'anno della mia maturità, l'anno in cui con altri giovani - Veltroni e Adornato tra loro - decidemmo di "darci alla politica". Ma fu un attimo. Tre mesi, o poco più. La politica mi travolse. Forse fu fortuna. Ripiegai sui libri.

Parole sovrapposte al presente. Succede. Ma in realtà ora la politica mi ha solo...travolto di sentimenti. Visto che, chiuso il Viaggio, mi è venuta voglia di... ricominciare.

    Si chiude un blog, se ne apre un altro. Si chiude una fase, il Viaggio, se ne apre un'altra, Luoghi idea(li). Dopo mesi trascorsi a "imparare" un partito e verificare la tenuta di un metodo, è il momento di metterlo in pratica. E così, in un processo di mutuo apprendimento, proveremo ad applicare le idee sul partito nuovo in un numero limitato di luoghi e a tradurre le idee del territorio in prototipi per il partito. Ovviamente, ogni volta, attorno a una visione robusta che tocca la vita di quel territorio.

    Il progetto per i prossimi dodici mesi, il progetto al quale intendo dedicare il tempo libero dalla mia attività di pubblico amministratore, nasce proprio dai risultati del Viaggio. Dalla conferma che il rinnovamento del modo di governare e di fare politica potrà venire prima di tutto dai luoghi e dal lavoro attorno a obiettivi concreti, che muovono teste e pance. È qui che, attorno a molti circoli e alcune federazioni provinciali, ho trovato le idee, l'impegno, la determinazione di cambiare subito, senza attendere Roma. Lavorando nel campo largo della sinistra.

    Lavorare nei luoghi dove più promettente appare la sperimentazione o la volontà del cambiamento: per spronare, affiancare, mettere in Rete queste esperienze. È questo il micro-progetto. Lo "sviluppo rivolto ai luoghi" è il mestiere in cui mi sono specializzato in questi anni di lavoro istituzionale. Ed è anche il metodo con cui posso contribuire a quel Pd "di sinistra, aperto e palestra di idee e di persone" che ho in mente, assieme a molti altri. Incrociando senza equivoci l'impegno e la passione di chi è a sinistra ma non nel Pd.

    Gli strumenti di lavoro li abbiamo messi a fuoco guardando alle esperienze che già esistono, in Italia e fuori: metodi nuovi per la decisione partecipata e per coniugare specialismi e visione generale ("idee"), formazione, uso della Rete, acquisizione di conoscenza dagli "altri". Quegli strumenti vanno provati sul campo. Non ci sono "luoghi ideali", ma ci sono luoghi che possono decollare sulle ali di nuove idee: ecco il senso di Luoghi idea(li).

    Per realizzare questo micro-progetto, oltre alla convinzione di chi sul campo ci sta e all'impegno volontario, serve un supporto, come è stato per il Viaggio. Per finanziarlo ho scelto di lanciare, oggi, una raccolta fondi, un crowd-funding aperto e trasparente. E' il metodo migliore per verificare - dal lato della domanda - se il progetto che propongo è ritenuto utile e per dargli indipendenza. Dettagli, obiettivi, modi di finanziamento li trovate direttamente nella pagina della piattaforma di crowd-funding. Vedremo fra 60 giorni se il progetto ha le gambe per camminare.

    Intanto, il mio auspicio è che dal 9 dicembre nel partito si apra uno spazio di confronto e di discussione nazionale che dia visibilità e voce alla "pressione" dei luoghi. Il nuovo Segretario è chiamato a partire anche da lì. Anzi, soprattutto da lì. Dai buoni esempi di democrazia partecipata e dai futuristici casi di partito in Rete. Ispirandosi alla parte più vera della militanza di base, che resiste, nonostante tutto. Dimostrando che Roma sa essere meno lontana dalle "periferie".

    Convincendosi - e convincendoci - che non è più il tempo di una dirigenza autoreferenziale e lontana dalla realtà. Il possibile domani parte da ognuno di noi. Facciamocene una ragione.

Da - http://www.huffingtonpost.it/fabrizio-barca/dopo-il-mio-viaggio-nel-pd-mi-e-venuta-voglia-di-ricominciare_b_4373130.html?utm_hp_ref=italy


Titolo: Fabrizio BARCA. Noi associati al Pd...
Inserito da: Admin - Dicembre 11, 2013, 11:27:55 am
Prima il partito

pubblicato in: Il blog   il 9 dicembre 2013 da Fabrizio Barca


La vittoria di Matteo Renzi, prevista, è stata amplificata dai tre milioni di voti alle primarie, non previsti. È un segno importante per il Pd. Nonostante i guai che ha combinato, oltre il 6 % degli elettori italiani è convinto – al punto di andare a votare alle “primarie”– che questa associazione–partito sia uno strumento che la società può usare per cambiare il paese.

A una prima lettura, questo esito e la vittoria di Renzi appaiono chiare. Ha convinto la proposta secca di un forte rinnovamento generazionale. “E la fine di un gruppo dirigente” ha detto Renzi nella notte. E la scelta della segreteria né è un primo, positivo segno. A una seconda lettura, nel voto si distinguono due domande: una relativa al governo, una al partito. Da una parte sta la domanda di un governo di cambiamento, prima con una discontinuità nell’azione del governo in carica, poi con il ritorno alle urne. Dall’altro, sta la domanda di dare vita a una nuova associazione-partito, che costruisca valori, visione e proposte, facendo emergere una classe dirigente che possa poi andare al governo del paese.

Non sono due domande incompatibili, se il nuovo Segretario saprà lavorare su entrambe i fronti, ma concentrando impegno e passione sul fronte per cui ha avuto l’incarico, per il quale verrà subito giudicato e da cui dipende la successiva capacità di governare: il partito.

Si sa come la penso. Senza un nuovo partito che maturi una visione di sinistra dell’Italia – dove sinistra vuole dire sia uguaglianza e libertà sostanziale, sia concorrenza e merito, sia lavoro salariato riunificato – e che sviluppi e pratichi un metodo moderno di partecipazione e mobilitazione delle conoscenze e di verifica aperta dell’azione pubblica, non si governa l’Italia. Gli insuccessi degli ultimi 20 anni mostrano che non ci sono scorciatoie. Se viceversa il partito rimane un comitato elettorale e le sue risorse umane nei territori restano inutilizzate, il Pd diventa un problema anziché parte della soluzione. E mancherà all’appuntamento del governo.

Ovviamente l’idea che si debba investire nella qualità e reputazione dell’associazione Pd è estranea ai cattivi consiglieri che si affannano attorno al vincitore. Soprattutto è estranea al ragionare de la Repubblica, intenta a spingere subito Renzi verso il baratro della fretta e della iper-semplificazione: “governare il Pd non è difficile, è inutile”, Renzi “deve andare al più presto alla partita finale”, “basta lasciar fare la strana alleanza Grillo-Berlusconi per far cadere il governo”, commenta oggi dalle sue pagine. Se questi sono amici, guardatene!

In realtà, i primi passi di Renzi fanno pensare che sul partito stia ragionando, anzi che avesse già ragionato. Con la necessaria durezza e guardando sia ai valori, sia al metodo interno. “Stiamo cambiando giocatori non stiamo andando dall’altro lato del campo”, ha detto nella notte dell’8, e la rapidità del ricambio di segreteria mostra a cosa si riferiva. “Non può bastare essere iscritto al club degli amici per avere un ruolo, non sostituiremo un gruppo dirigente con un altro. Cambieremo il metodo. Anzi, ammesso che esista una corrente Renzi, da oggi è sciolta”, ha proseguito mentre l’accoglienza muta della platea, da lui sottolineata, dava veridicità all’affermazione.

Noi associati al Pd, che a Renzi abbiamo dato il 45% dei consensi, favoriremo questa direzione di marcia, questo investimento prioritario sul partito, se appoggeremo e favoriremo il ricambio dei giocatori, e se lavoreremo a costruire dal basso prototipi di un partito nuovo, a ridosso di questioni sociali ed economiche dei territori non dilazionabili. A questo obiettivo darò il mio contributo.

Da - http://www.fabriziobarca.it/prima-il-partito-vittoria-matteo-renzi/


Titolo: Fabrizio BARCA. Una giornata particolare
Inserito da: Admin - Dicembre 16, 2013, 06:36:13 pm
Una giornata particolare

pubblicato in: Senza categoria   il 14 dicembre 2013 da Staff Fabriziobarca.it


Il colpo d’occhio sulla sala della Sirenella, costruita mattone per mattone dopo la guerra dai bolognesi  liberi, è di quelli che ricorderò, per dimensione e intensità della partecipazione. Nonostante sia il primo fine settimana dopo la conclusione di una campagna elettorale impegnativa; nonostante i militanti siano sfiancati dalle competizioni locali; nonostante molti iscritti non abbiano visto vincere il proprio candidato … si respira moltissima voglia di politica, qui a Bologna. Si interrogano sul rinnovamento. Ma sanno bene che è l’impegno a cambiare in modo radicale, che ha portato tre milioni di elettori a rinnovare la fiducia nel Pd. E vedono negli interventi dei “Pd d’Italia” che stanno cambiando un segno che li convince.
A bordo del treno che mi riporta a Roma, mi tornano alla mente le esperienze, l’entusiasmo, i volti . Il Pd di Donini, la rivoluzione “copernicana” di Cagliari, la mobilitazione di La Spezia; da Catanzaro a Milano, storie di un uso avanzato della Rete e di forme di partecipazione che assicurano tempestività.
Oggi è il primo giorno della nostra seconda fase (Scarica le Slide). Vedremo presto le reazioni ai nostri strumenti di lavoro. Ma tornando a Roma con l’allegro team di questi mesi, una cosa è certa: Luoghi Idea(li) convince. Convince l’idea di testare i valori di sinistra e i nuovi metodi sui temi più caldi che spaventano e bloccano i nostri territori. Sulla tensione fra sicurezza e lavoro, sulle crisi aziendali, sul tragitto scuola-lavoro, sulla manutenzione del territorio, anche sulla paralisi dell’integrazione europea. Ora tocca a noi.

L'autore
Staff Fabriziobarca.it   

Da - http://www.fabriziobarca.it/una-giornata-particolare/


Titolo: Fabrizio BARCA. Grazie a tutti voi
Inserito da: Admin - Gennaio 11, 2014, 11:40:51 am
Grazie a tutti voi

pubblicato in: Il blog   il 9 gennaio 2014 da Staff Fabriziobarca.it



Ecco, ci siamo: 40.407  mila euro raggiunti in meno di un mese, 460 “crediamo in voi”, 460 “andate avanti”, 460 pacche sulle spalle. La responsabilità è grande, così grande da togliere il fiato. Questa notizia è tanto importante da dover infrangere – sorry – la regola di Lucio, il nostro uomo digitale (“qui ci scrive solo Fabrizio”). E così oggi occupiamo il blog di Barca!

Per una confessione, un mea culpa e un buon proposito. Quando, qualche settimana fa, osservando il crowd funding del figlio biologo (5 mila euro per il suo studio sui cambiamenti faunistici del Belpaese) Fabrizio disse “proviamoci”, alcuni di noi aggrottarono le ciglia: pensar di poter lavorare ancora 10 mesi sostenuti unicamente da una raccolta fondi era - per noi italici poco avvezzi al senso di comunità – un’idea un tantino “originale”. Quel giorno poche certezze, qualche idea, tanti dubbi: lo confessiamo.

Ma col passare dei giorni la comunità ci ha sorpreso, insegnandoci una cosa importante: le nostre convinzioni erano il prodotto di preconcetti fallaci e la verità è, infatti, che non siamo i soli a voler cambiare le cose. Così, in meno di un mese, la cifra è stata raggiunta: voi tutti avete voluto scommettere su di noi. Mancano una ventina di giorni alla chiusura del crowd e, oggi, “rischiamo” di poter proseguire anche più in là di quei 10 mesi.

Questo significa che il progetto di Fabrizio funziona e tra qualche settimana saranno selezionati i circoli con cui lavorare: saranno questi i Luoghi Idea(li), i prototipi da affiancare, incoraggiare e portare come esempio di “buon partito”, a Roma come nelle periferie. L’impresa è fuori dalle righe, quasi anacronistica in questo cinico mondo che non ammette riflessioni. Ma può funzionare. Perché se non si riparte dal territorio, le possibilità di uscire dal tunnel son ben poche.

A tutti voi che ci avete sostenuto credendo in questa “folle” impresa, va il  nostro ringraziamento: faremo il possibile per prenderci cura delle vostre aspettative. Tra poco si comincia, dunque, alla ricerca di quel “partito nuovo” che noi tutti inseguiamo.

Grazie ancora,

Il team di Luoghi Idea(li): Silvia, Lucio; Michela; Mattia; Piergiorgio e Fulvio

PS: Ancora una volta dobbiamo ammettere – sottovoce – che “il capo aveva ragione”. Ma non ditelo a lui.
Post a tema

    Manca poco, siamo a un passo dai luoghi idea(li)

Da - http://www.fabriziobarca.it/grazie-tutti-voi/


Titolo: Fabrizio BARCA: "Mia idea del Pd non è diversa da Renzi"
Inserito da: Admin - Marzo 26, 2014, 10:40:33 am
24 marzo 2014

Barca: "Mia idea del Pd non è diversa da Renzi"

Un anno di tempo per costruire undici progetti legati a temi specifici, ognuno sviluppato da un circolo del Pd del Nord, Centro e Sud Italia. Scopo finale: "Lanciare un messaggio per dire che tutto il partito può lavorare così". Fabrizio Barca, esponente di spicco dell'ala sinistra dei democratici, ha presentato allo storico circolo di via Giubbonari, a Roma, il suo percorso de "I luoghi ideali". Barca nega che il suo traguardo sia la conquista della segreteria del partito, ma si dice fiducioso sul fatto che le sue idee possano trovare spazio anche in un Pd sempre più modellato sulla figura del suo leader, Matteo Renzi. La scommessa dell'ex ministro è tenere insieme comunità virtuale e la rete di circoli del partito: "Perché senza una corrispondenza tra il web e i luoghi reali, la capacità di avere peso evapora, come successo al M5s"

di Marco Billeci


Titolo: Fabrizio BARCA. La traversata accelera
Inserito da: Admin - Marzo 26, 2014, 11:38:09 pm
La traversata accelera

Pubblicato in: Il blog   
il 24 marzo 2014 da Staff Fabriziobarca.it

Il 3 dicembre 2013 lanciavamo la raccolta di 40mila euro per finanziare la sperimentazione nel Pd di un nuovo modo di fare partito, il progetto Luoghi Idea(li). Oggi la sperimentazione parte, in 11 territori. Terminerà nel marzo 2015.

Parte mentre una scossa insolita sembra venire da Roma. Una scossa guardata dal paese con speranza; dalla classe dirigente con sorpresa, timore e calcolo. Il timore che fallisca – i pochi riformatori radicali; ovvero il timore che riesca – i molti conservatori; il calcolo di come occupare lo spazio che la scossa potrebbe aprire – gli opportunisti. Quale momento migliore per mettere alla prova la capacità del Pd di mobilitare i cittadini al di fuori dei momenti elettorali?

Perché lo spazio che la scossa potrebbe aprire va usato per migliorare a un tempo efficacia dello Stato e giustizia sociale; e ciò avverrà solo se esso si riempirà della conoscenza e della spinta dei cittadini organizzati nei territori, attorno a temi concreti. Perché ora più che mai il Pd ha il dovere e l’occasione di pretendere, luogo per luogo, da chi governa i territori, che una scossa arrivi ovunque: per ottenere trasparenza nella spesa, ascolto e partecipazione dei cittadini, valutazione dei risultati, apertura a tutti delle informazioni, etica pubblica. E, per fare ciò in modo credibile e riguadagnare fiducia, il Pd deve realizzare una frattura coraggiosa al proprio interno, allontanando acchiappa-tessere e burocrati e realizzando metodi e forme nuove di partecipazione e di utilizzo della rete.

Come ha scritto di recente Giuseppe De Rita riferendosi in generale ai corpi intermedi della società, è il momento di “riandare agli interessi concreti, agli umori della gente” (Corriere della Sera, 16 febbraio). O come ha scritto Franco Arminio, “L’agenda delle riforme dovrebbe vedere al primo posto il ritorno delle cose vere. Il mondo si fa per le strade, nelle case, dentro la terra.” (Il Fatto Quotidiano, 16 febbraio).

Per chi crede che i partiti debbano essere “strumento della società” l’occasione va colta. Cosa sarà il Pd dipende da tutti noi associati. Il progetto Luoghi Idea(li) costruisce una traccia concreta su cui lavorare, su cui investire, con cui dialogare. La volontà di cambiamento e la determinazione mostrate dai gruppi dirigenti del Pd degli 11 luoghi con cui lavoreremo suggeriscono che possiamo farcela.

Per arrivare a questi blocchi di partenza il lavoro dal quel 3 dicembre è stato intenso.

Il 14 dicembre a Bologna, incoraggiati dai primi 10mila euro raccolti e di fronte a un a presenza robusta e incoraggiante raccolta dal Pd bolognese, presentavano il documento “Per un partito che sappia governare” che tracciava il metodo con cui lavorare. E che motiva con chiarezza le ragioni e la forza della “strada territoriale” intrapresa (una sintesi di queste considerazioni e contenuta in allegato a questa nota).

Il 3 febbraio chiudevamo la raccolta di fondi con 53mila euro (13mila più dell’obiettivo), ricevuti da 583 cittadini, iscritti e non iscritti al Pd, con contributi compresi fra 5 e 500 euro (il valore massimo consentito, per consentire che nessuno potesse condizionare l’esito della raccolta). Finanzieranno il lavoro del piccolo team nazionale.

Il 3 marzo chiudevamo la raccolta delle candidature dei luoghi (circa 60) e dei volontari per lavorarci (oltre 120). Prima è dopo quella data si è lavorato per chiarire contesto e obiettivi – passo fondamentale e non facile in un paese che confonde obiettivi e azioni – renderli verificabili, evitare equivoci, individuare la squadra. Le schede riassumono questi dati e riportano i responsabili locali dei progetti e i coordinatori dei relativi team di Luoghi Idea(li). Per strada sono cadute molte belle candidature. Alcune speriamo di riprenderle più avanti.

Con gli 11 progetti selezionati (scarica le schede – scarica le slide per la stampa) tocchiamo temi assai diversi, tutti di forte interesse nazionale: dall’organizzazione del lavoro in fabbrica (partecipativa o costrittiva?) alle bonifiche ambientali, dall’innovazione sociale a beneficio di anziani e infanzia alla cultura come volano di legalità e sviluppo nel Mezzogiorno, da nuove forme di governo partecipato dei Comuni a nuove forme di lavoro e mobilitazione (in luoghi fisici e virtuali) del PD stesso, dall’impegno per modificare il comportamento dei cittadini nei confronti dei beni comuni al tentativo di governarli nell’interesse collettivo.

E mettiamo alla prova tutti i principali tratti di un “partito palestra” o di mobilitazione delle conoscenze: i valori distintivi di una cultura di sinistra; il metodo partecipativo e deliberativo; l’apertura all’esterno e la capacità di attrazione, anche dei giovani; la piattaforma virtuale di comunicazione; gli spazi materiali di pubblico confronto acceso e informato; e ovviamente il fondamentale requisito della separazione fra partito e Stato.

Ogni luogo si è impegnato a lavorare in modo pubblico secondo regole in larga parte comuni fissate in un Protocollo di lavoro (qui la versione base). L’impegno fiduciario che abbiamo preso con 583 finanziatori si trasla così in un impegno fiduciario fra ogni luogo e la squadra di Luoghi Idea(li) che in quel luogo lavorerà.

Dal 30 aprile il lavoro, i risultati, i problemi, i documenti saranno su una piattaforma costruita allo scopo. Che potrà essere usata da ogni circolo del Pd d’Italia e fuori. Anche per narrare e discutere altre esperienze. Secondo una logica non-proprietaria che è condizione per incoraggiare i migliori e più creativi. Per i prossimi quaranta giorni assicureremo l’aggiornamento in questo spazio più angusto.

Augurateci buon viaggio!

Da - http://www.fabriziobarca.it/la-traversata-accelera/?utm_source=feedburner&utm_medium=email&utm_campaign=Feed%3A+FabrizioBarca+%28Fabrizio+Barca+%C2%BB+Report%29


Titolo: Fabrizio BARCA. 10 tweet per l’aquilano
Inserito da: Admin - Aprile 07, 2014, 11:40:41 pm
10 tweet per l’aquilano

pubblicato in: Senza categoria   

il 5 aprile 2014 da Fabrizio Barca


(1) Come può ognuno di noi contribuire al rilancio dei 57 comuni cratere aquilano? Visitandoli 2 giorni, per conoscere le immagini e i dati

(2) Così incontreremo uno degli 11.500 operai edili attivi nel cratere aquilano e ci narrerà del suo lavoro, della sicurezza, dei pensieri

(3) E vedremo le gru dei 250 cantieri che popolano ora il centro storico dell’Aquila o dei 200 cantieri dei centri storici degli altri comuni

(4) E ci faremo raccontare della preoccupazione dei commercianti a rientrare nel centro storico aquilano e degli incentivi mal distribuiti

(5) O del fratello di quella ragazza che ha deciso di andarsene, perché vede le gru ma non vede il futuro

(6) E incontreremo anche il sindaco combattivo di un piccolo comune arroccato diviso fra sfiducia e speranza, nel suo ufficio di Fossa

(7) E poi ci colpirà uno sbotto di rabbia, per qualche professionista malandrino che ha preso troppi incarichi … ma anche

(8) …la gratitudine per un funzionario pubblico, trentenne, assunto con concorso – “niente trucchi” – che ha accelerato le pratiche

(9) E poi torneremo a guardare i numeri. 110 milioni di euro spesi al mese. E con controllo rigoroso dei costi. (Le nostre tasse, usate bene)

(10) E capiremo infine che la ricostruzione aquilana cammina – in barba ai gufi del Nord – ma mancano la coesione e una visione di sviluppo


Da - http://www.fabriziobarca.it/10-tweet-per-laquilano/


Titolo: Fabrizio BARCA. Sotto il pantano cova una nuova Italia
Inserito da: Admin - Aprile 08, 2014, 04:18:57 pm
Sotto il pantano cova una nuova Italia
Pubblicato in: Senza categoria   
il 7 aprile 2014 da Fabrizio Barca

Sotto il pantano grigio e incrostato dell’Italia vista dai palazzi romani o milanesi – poco importa se dell’amministrazione o dei giornali – si prepara forse una nuova stagione di colori.

Lo scopriamo ogni volta che sappiamo infilarci nelle pieghe della crosta. L’ho ritrovato in dieci ore di immersione totale a Melpignano, piana salentina, 2mila abitanti stabili, un balzo da Lecce, banchi di pietra densa del ’500 dove si trattavano tele e spezie, ulivi, frantoi dove il lavoro era quasi schiavitù, turismo lento – suona meglio slow? -  musica e pizzica, attorno al fuoco o per 140.000 (una volta l’anno). Ci sono arrivato grazie a Paolo – in queste dieci ore solo nomi – sindaco e guida di Saluzzo, alle pendici del Monviso, mille chilometri e tante ore di distanza.

Con Ivan – sindaco e molla di cambiamento a Melpignano – Paolo ha aderito e promuove Borghi Autentici d’Italia. Entrambi interpretano l’identità locale e la cultura dei loro antichi insediamenti come un patrimonio da innovare e aprire a nuove identità, non come una ridotta da difendere. Per Paolo questo è il modo di affrontare l’arrivo ogni primavera di centinaia e centinaia di lavoratori migranti, per raccogliere pesche e kiwi. Ed è in un momento delicato dell’estate 2013 che l’ho incontrato e l’ho visto affrontare una di quelle situazioni che non divengono “cronaca” perché sono bene amministrate. Sabato scorso con suoi concittadini è sceso a Melpignano, in uno scambio di culture e di metodi che ha visto Ivan salire in Piemonte. E mi ha proposto di essere con loro.

Così ho imparato che una seconda cosa li accomuna. La stessa che accomuna tanti focolai di cambiamento del paese. Entrambi praticano senza fronzoli forme moderne di partecipazione democratica dei cittadini alle decisioni e alla gestione dei servizi. (Insomma, dicono insieme, quella cosa che tu chiami – ahi!  – sperimentalismo o mobilitazione cognitiva).

Esploriamo il sito del progetto Cooperazione di comunità di Melpignano. Scopriamo un’alleanza di 138 soci, utenti, lavoratori e finanziatori che, grazie a un progetto del precedente sindaco, installa, gestisce e mantiene impianti fotovoltaici sui tetti, che azzerano la bolletta dei cittadini. E che Ivan ha spinto anche a gestire l’erogazione dell’acqua, depurata – “talora esce rossa dall’acquedotto” – e fresca, in apposite Case, a 5 centesimi al litro, in bottiglie di vetro (“pensa – mi dice – i risparmi e le migliaia e migliaia di bottiglie di plastica risparmiate all’ambiente”). Gli utili sono reinvestiti in progetti di comunità.

Salta in queste esperienze la separazione rigida fra pubblico e privato. Al centro emergono i bisogni, delle singole persone, i “valori d’uso” che esse attribuiscono alle cose. Poi, la soddisfazione di quei bisogni si confronta con il mercato ma si sottrae al “prendere o lasciare” di chi già lo domina. E sollecita nuove soluzioni che saranno “auto prodotte” se la partecipazione incontra la tecnica. E che spingeranno i privati a ingegnarsi per offrire qualcosa di ancora meglio. “E’ la concorrenza, bellezza” che produce innovazione.

Non sono forme di partecipazione chiusa, localistica. Basta guardare nel sito la mappa delle Case dell’acqua che stanno invadendo il Salento. L’apertura è nelle corde di Paolo e Ivan. E’ la vocazione “glocal” – come direbbe il lombardo Bassetti (mannaggia, ma vuoi vedere che sotto la crosta il paese pensa in modo unitario e innovativo) – che esplode nella musica, l’agente di sviluppo di questo territorio.

Esplode nell’accostamento voluto e felice, in una chiesa strapiena, di un canto della Passione durissimo e struggente di quelle terre e dei suoni celestiali dei canti sacri di Cuglieri – due quartetti di padri e figli arrivati dalla Sardegna. Ed esplode la sera con la musica in crescendo di un gruppo elettrizzante di giovani (lavoratori e studenti) dove la pizzica che alla fine ci trascina le gambe raccoglie tradizioni antiche contaminandole con i suoni e i ritmi di altri luoghi. E’ un messaggio cosmopolita che – mi narra Sergio, il sindaco che ha preceduto Ivan e che dell’apertura culturale ha fatto ragione di vita – ha dovuto superare le resistenze di un’accademia chiusa.

Sono un simbolo, queste resistenze, degli ostacoli che nei prossimi anni i germogli nascosti dovranno incontrare in ogni angolo del paese per rompere la crosta del pantano. Ma si vince combattendo ogni singola battaglia.

...

(Pubblicato su Lettera43.it )

Da - http://www.fabriziobarca.it/sotto-il-pantano-cova-una-nuova-italia/?utm_source=feedburner&utm_medium=email&utm_campaign=Feed%3A+FabrizioBarca+%28Fabrizio+Barca+%C2%BB+Report%29


Titolo: Fabrizio BARCA. Senza rassegnarsi al fango
Inserito da: Admin - Aprile 15, 2014, 05:57:05 pm
Senza rassegnarsi al fango

Pubblicato in: Senza categoria   il 11 aprile 2014 da Fabrizio Barca

CHE la Calabria si potesse “aprire” partendo dalla Sibaritide l’ho imparato presto, sin dal mio primo impegno per lo sviluppo dei territori, nel lontano 1998. Molti anni dopo, le vicende della vita, l’incrocio fra l’incarico di ministro e l’incuria del territorio culminata con l’evitabile esondazione del fiume Crati, mi hanno riportato in questa terra. E ho visto più da vicino l’acuto stridore fra le possibilità di sviluppo e lo stato delle cose. Ma ho anche toccato con mano quelle potenzialità tante volte lette: la “mitologia” di Sibari e la speranza nella memoria, gli agrumeti della Piana, i borghi medioevali sulle pendici del Pollino. E ho incontrato le persone che credono al cambiamento e sono pronti a rischiare per raggiungerlo: sindaci che non esitano a pretendere la legalità nell’uso delle terre demaniali o a interrompere pratiche di lavori inutili; funzionari dello Stato di straordinaria competenza; imprenditori che non aspettano aiuti per dare spazio alla creatività e per innovare.

Quando l’incarico di Ministro si è concluso, lasciare le relazioni e il lavoro avviati in quei luoghi è stato un gran costo. E’ per questo che quando nella mia attività volontaria di associato Pd ho ricevuto la proposta da Antonello Pompilio, segretario del circolo Pd di Castrovillari, di lanciare proprio a Sibari e nel Pollino uno dei progetti di Luoghi Idea(li) non ho nascosto la mia gioia. Sarà dura, ho pensato, ma dobbiamo provarci e riuscirci.

Non è possibile rassegnarsi all’acqua e al fango che ciclicamente coprono il parco archeologico e il paesaggio di memorie millenarie. Così come non è possibile accodarsi al silenzio sui colpevoli dell’esondazione del Crati: quelle famiglie che, illegalmente, hanno impiantato i loro agrumeti sull’alveo del fiume bloccandone il deflusso, e quelle istituzioni conniventi, locali e nazionali, che da decenni hanno chiuso gli occhi di fronte a quello scempio, a rischio di tante vite umane, a costo di veder inghiottita nella melma una risorsa territoriale unica per produrre benessere, lavori di qualità, senso di appartenenza.

Da tempo esistono le condizioni e le risorse perché la Piana di Sibari e i territori che vi si affacciano compiano un salto di sviluppo e legalità coniugando tre formidabili potenziali: il richiamo storico e ideale delle antiche città stratificate che emergono dall’area archeologica; una filiera agroalimentare specializzata, capace di esportare e completabile con nuove attività complementari e integrate; la qualità e capacità di offerta turistica dei centri urbani, dei borghi medioevali, del sedimento ancora robusto di cultura albanese delle pendici del Pollino e del mare. Per emarginare l’illegalità, combattere la criminalità organizzata, superare la paralisi amministrativa e per costruire una racconto credibile attorno alla “città ideale” di Sibari come volano di un disegno di “apertura” e sviluppo, è necessario però realizzare un’alleanza orizzontale fra quelle tre potenzialità, rafforzandole reciprocamente. Ed è necessario accompagnarla con un’altra e altrettanto importante alleanza fra queste dimensioni locali e la dimensione nazionale, che favorisca innovazione, rottura delle vecchie incrostazioni e cambiamento. Sono queste due alleanze che il progetto Sibari-Pollino, fortemente incoraggiato dal rinnovando Pd della Calabria, intende perseguire e realizzare, in rete con gli altri Luoghi Idea(li).

Ci siamo dati un anno per sperimentare e provare a fare accadere le cose. Con Mimmo Cersosimo e i Pd del territorio stiamo costituendo un Comitato, che raccolga competenze e responsabilità locali e nazionali rilevanti per i diversi profili da cui dipende il salto nello sviluppo dell’area, e un team operativo di volontari-esperti che nei prossimi mesi condurranno audizioni, indagini pubbliche, campagne di sensibilizzazione e formazione; alimenteranno flussi informativi e relazioni permanenti fra i diversi soggetti coinvolti; produrranno una mappa delle risorse umane e finanziarie, dei progetti privati e pubblici, delle idee progettuali, delle criticità amministrative e istituzionali, delle minacce criminali e alla legalità che caratterizzano l’area. E ancora: iniziative di pressione pubblica per lo sbocco degli interventi, proposte e sollecitazioni alle autorità locali e nazionali, promozione della partecipazione e del confronto. Ci proveremo, con fiducia e alla luce del sole. Perché crediamo che il cambiamento locale si consegue con azioni collettive e innovazioni sociali e politiche, dal basso e dall’alto. Perché crediamo nell’” apertura” della Calabria.
Pubblicato sul Quotidiano della Calabria

da - http://www.fabriziobarca.it/senza-rassegnarsi-al-fango/?utm_source=feedburner&utm_medium=email&utm_campaign=Feed%3A+FabrizioBarca+%28Fabrizio+Barca+%C2%BB+Report%29


Titolo: Fabrizio BARCA. Una piattaforma per cambiare il PD
Inserito da: Admin - Maggio 15, 2014, 11:03:47 am
Una piattaforma per cambiare il PD

Pubblicato in: Senza categoria   
il 12 maggio 2014 da Staff Fabriziobarca.it


Possiamo rigirare le cose di diritto o di rovescio, ma cosa serve per fare “buona politica” in questo nuovo secolo – ancora nuovo perché non si è capito affatto verso cosa si va – è chiaro a chiunque abbia occhi per vedere: obiettivi da perseguire con tempi certi; valori per avere una rotta e per tenerla e scaldare i nostri animi nelle inevitabili battaglie; uno spazio di confronto e di conflitto, informato e aperto, in luoghi fisici e virtuali, fra interessi e soluzioni diverse; una tensione creativa fra radicamento territoriale e sradicamento globale, fra contesto e sistema.

Con Luoghi Idea(li) mettiamo alla prova tutti questi ingredienti. Noi che venivamo dall’esperienza nazionale del Viaggio in Italia, attorno a una certa idea di partito, ci siamo incontrati e “annusati” con 11 Progetti locali, con 11 pezzi del Partito Democratico che volevano lavorare in modo nuovo attorno ai temi centrali per il proprio territorio. Qualità della vita e coesione sociale, fra generazioni e fra culture; ambiente come responsabilità comune alla prova dei fatti; emancipazione dei lavoratori e competitività, assieme; cultura, creatività e sviluppo; politica credibile e governo attraverso partecipazione, apertura, conoscenza e sperimentazione nel territorio (I Temi): questi sono i temi di interesse nazionale che gli 11 progetti toccano. E lo fanno usando metodi moderni, di partecipazione, di raccolta fondi e comunicazione, di valutazione. E senza nascondere i valori di sinistra che li animano. Tutt’altro.

Nello stile che è di questo “progetto di progetti”, gli obiettivi ora sono allo scoperto, descritti senza veli nella piattaforma che ci siamo regalati, www.luoghideali.it Se ce la faremo o no entro il 30 marzo 2015 – la nostra improrogabile scadenza – a raggiungere gli obiettivi, lo scoprirete guardando questa nuova casa di vetro, entrandoci dentro da porte e finestre. E dandoci consigli, giudizi, critiche, suggerimenti. O magari narrando altre esperienze che vi paiono cogliere il quadrilatero: valori-obiettivi-spazio-tensione.

L’obiettivo nazionale è esplicito. Certo, in primo luogo, “fare accadere le cose”, ossia favorire il successo degli 11 progetti e la formazione in quei luoghi di gruppi dirigenti campioni nell’uso di metodi innovativi. E fare emergere in questo modo concreto l’esistenza e l’utilità di valori di sinistra attorno a obiettivi verificabili di pubblico interesse. Ma se ogni progetto è una storia a sé, è anche vero che ognuno di essi è anche un prototipo-paese. E allora obiettivo nazionale è anche ricavare da quei prototipi idee e strumenti utili per tutti, tramite il confronto e la contaminazione reciproca di una comunità in rete. E alla fine, come è evidente, come era nella testa dei 583 donatori e dei moltissimi volontari che rendono possibile questa rete c’è l’obiettivo ultimo: convincerci e convincere con i fatti che è possibile e utile ridisegnare l’organizzazione del PD come un “partito palestra”. Un’associazione separata dallo Stato che attragga chi vuole “cambiare il mondo” – in piccolo o in grande che sia –, che produca innovazione e soluzioni, che ricostruisca rappresentanza. Noi si lavora anche a questo. Veniteci a trovare in “piattaforma”.

Fabrizio Barca

(Da Left del 10 maggio 2014)

Da - http://www.fabriziobarca.it/una-piattaforma-per-cambiare-il-pd/


Titolo: Fabrizio BARCA. Dialogo con un arrabbiato
Inserito da: Admin - Maggio 30, 2014, 07:54:23 pm
Dialogo con un arrabbiato
Pubblicato in: Il blog   il 24 maggio 2014 da Fabrizio Barca

(Apre il tema Sergio) Voterò PD.

(Reagisce Giacomo) “Ebbè, si sapeva, e allora?”.

Lo voterò perché è il modo per dare forza alla maggioranza di noi Italiani nel durissimo negoziato politico europeo che inizia il 26 maggio.

“Lo hai già detto”.

Perché in quel negoziato si liberino gli investimenti dai lacci del patto di stabilità, si aprano i capitoli dell’Europa sociale, si gettino le basi dell’indispensabile integrazione politica …

“OK OK Ti abbiamo sentito. E poi ci dirai che serve a recuperare un governo politico, legittimo dell’euro, togliendo al dollaro il comando dei giochi e …”

Credo profondamente a queste cose. Un forte mandato elettorale e politico al Presidente del Consiglio e un forte Partito che lo incalzi ad attuarlo e gli dia forza negoziale possono aprire una stagione nuova. Ma…

“Ma?”

…se non vi ho convinto, se non vi abbiamo convinto …

“Allora?”

…insisterei ancora. Ricordando che se l’Europa è bloccata non dipende dall’euro ma dall’assenza di un Ministro Europeo dell’Economia e di un Parlamento che lo controlli, con un bilancio europeo vero, una politica fiscale, un debito pubblico, abolendo così tutte quelle stupide regole automatiche che hanno ucciso la sacrosanta discrezionalità della buona politica e delle politiche.

“Non ci stai dicendo nulla di nuovo. Non mi hai convinto. Punto e basta. Non mi fido più”

Allora voti Tsipras ? Ho un amico straordinario che si presenta … se voti al Sud …

“No. Non mi capisci. Credo che voterò M5S. Perché se non voto penseranno che non ce ne frega niente. Non è così. E’ che non mi fido più. Dei partiti. Di tutti quelli che ci hanno condotto a questo punto”

Ho capito. E’ tardi, maledettamente troppo tardi, per convincerti che se ti fidassi del PD e gli stessi addosso, anche dopo il voto, unendoti a tutti quelli che ci stanno dentro e vogliono “cambiare il mondo”, allora il PD non ti tradirebbe … Ho capito. Ma una cosa ancora, l’ultima, posso dirtela?

“Prova”

Se davvero vuoi dire NO a tutti i partiti. Se vuoi mostrare che al voto ci credi, ma che nessuno ti offre soluzioni, proposte, persone convincenti. Se vuoi dare una scossa, uno schiaffo a “tutti noi”. Se non vuoi, non sei disposto, a trasformare la tua rabbia in speranza. Allora, questa tua rabbia esprimila davvero.

“Che diavolo vuoi dire?”

Non uccidere la tua rabbia, non toglierle forza dando fiducia a uno che la echeggia ma di cui tu sei il primo a non fidarti. Perché ne vedi il vuoto. Usala, esaltala votando SCHEDA BIANCA. Fai bene a votare, a non confonderti con i pigri e i remissivi. Ma dì “NO” davvero a tutti. Ecco, questo volevo dirti in questi ultimi minuti. E poi ritroviamoci subito dopo. Il 26 maggio. Attorno a cose concrete. Nel territorio.

“Non so che ne penso. E se lo sapessi non voglio dirtelo. Ma una cosa nuova stasera me l’hai detta”

Da - http://www.fabriziobarca.it/dialogo-con-un-arrabbiato-fabrizio-barca/?utm_source=feedburner&utm_medium=email&utm_campaign=Feed%3A+FabrizioBarca+%28Fabrizio+Barca+%C2%BB+Report%29


Titolo: Fabrizio BARCA. Un altro viaggio per l’Italia -2-
Inserito da: Admin - Agosto 09, 2014, 05:49:11 pm
Un altro viaggio per l’Italia -2-

Pubblicato in: Senza categoria   il 8 agosto 2014 da Fabrizio Barca

CLARISSA: Più in là c’è un ristorante che richiama il lago (anche se il lago sembra ristretto, lontano).

FABRIZIO: Anche i laghi artificiali hanno un’estetica. Ci sono quelli che riempiono gole rocciose con un blu denso che riflette strane forme e evoca mostri scozzesi. Quelli che lambiscono il bosco dando ai suoi limitari l’aspetto di un groviglio di mangrovie. Quelli che creano alle estremità acquitrini verdeggianti adatti alle bufale. E poi ci sono invece i bacini “fessi”, slavati, dove vedi il falso dei bordi, come in una parrucca mal fatta. O i laghi artificiali incombenti, dove la massa d’acqua ti appare una minaccia per chi vive da basso …

Beh, più mondanamente al ristorante fanno carne alla griglia. Apri il menù e ti illustra le carni a disposizione: Texana, Argentina, Irlandese…e poi… Marchigiana e Chianina. Chiediamo di vederle e l’oste con orgoglio tira fuori intere costate di bue. Parla con grande autorevolezza dei tagli e delle striature di grasso, dei suoi fornitori, del tempo necessario di macerazione. Un massimo esperto, insomma, amante del proprio lavoro. Ti convince. Insiste caparbiamente che non va messo il sale durante la cottura, che se la mangi al sangue non devi preoccuparti della mancanza di striature. E’ un educatore, un propagatore di buone pratiche, ha imparato ‘fuori’ e porta il messaggio ‘dentro’. Ma la carne Texana che c’entra? Se non per la moda del Far West Saloon? Non si poteva aggiungere l’abbacchio meraviglioso della zona? Tutte quelle pecore che vediamo gironzolare libere sui pendici delle montagne che ci circondano? O sarebbe troppo simile a tutti gli altri?

La seconda che hai detto. La pecora domina le terre dell’intera Regione. E i suoi ristoranti dell’interno. Qui invece si gioca il tematismo. Se sei di queste parti vorrai provarli tutti quei manzi e vitelli. E magari poi parlare di quello che ruminano. Oltre che del chilometraggio che la loro carne ha percorso per arrivare lì. L’importante è che si è mangiato bene. E che abbiamo incontrato le persone giuste. Una bella tavola di operai della Fiom, con cui si commentano i guai delle fabbriche del distretto dell’automotive. Ci torneremo spesso girando. Perché il turismo va ancora messo a punto ma il manifatturiero non dobbiamo perderlo.

Da - http://www.fabriziobarca.it/viaggio-per-litalia-2/?utm_source=feedburner&utm_medium=email&utm_campaign=Feed%3A+FabrizioBarca+%28Fabrizio+Barca+%C2%BB+Report%29


Titolo: Fabrizio BARCA. La cima e la (troppa) solitudine di quel mondo incantato
Inserito da: Admin - Agosto 12, 2014, 06:20:26 pm
Un altro viaggio per l’Italia -5-
Pubblicato in: Senza categoria   il 11 agosto 2014 da Fabrizio Barca
La cima e la (troppa) solitudine di quel mondo incantato

CLARISSA: La cima della Maiella, il Monte Amaro, 250 metri sopra il Manzini, la mattina seguente, con il suo bivacco a forma di cupola geodetica, color ruggine accesa, elegante … ma pieno di scritte sulle pareti interne, formule banali di amore e di filosofia, con qualche dedica a una persona amata persa nella vita. La costa adriatica si estende ai nostri piedi, fino al Gargano, percepibile in lontananza. L’alba ci premia con una vista sul complesso del Gran Sasso, sul Pollino e il Terminillo e dall’altra parte sul Matese. 360 gradi di terra meravigliosa.

FABRIZIO: È bello esser soli ma colpisce che non ci siano altri. Lì i camminatori arrivano, lo so, specie quelli che percorrono la lunga cornice alta della Maiella. Ma su e giù per la valle che parte da Fara sono pochi. Ce lo rivelano i libri dei rifugi. E allontanandoci dalla vetta per iniziare il ritorno si capisce ancor meglio il perché. Dopo meno di un’ora di chiari segni rosso-bianchi, senza un numero per la verità, resta ben visibile solo uno dei tre sentieri che riportano in valle. Ovviamente scompare quello che serve a noi che, passando a nord del Macellaro, penetra in un’altra gola e raggiunge le (mitiche) Grotte del Cavallone. Una buona mappa, anni di cammino, la limpidezza della giornata ci consentono di seguire le curve di livello e di arrivare alla meta. Ma, scopriamo poi, solo pochi giorni prima si sono persi i tre. Ci vuol poco e chi lo intuisce non ci va.

Le Grotte del Cavallone, enormi, un mondo incantato di stalattiti e stalagmiti, distese di foreste e statue pietrificate alla Tolkien, ha 40 visitatori al giorno a luglio e agosto, se va bene. Le associazioni e cooperative di guide, qui impersonate da due ragazze bravissime, stanno in cima a 500 scalini tutto il giorno senza potere fare neppure pipì, e aspettano… il biglietto è un imbarazzante 7 euro per 80 minuti di visita guidata. Come pensare che il sistema possa reggere?

Per non parlare del metallo vetusto delle strutture, dei tetti delle scale di risalita cariche di sassi e soprattutto delle condizioni penose della cabinovia – quella che, senza fare un passo, può portare i turisti in pochi minuti dal fondovalle alle Grotte (e che a noi risparmia 300 metri e passa di discesa) – dove due cabine su tre sono chiuse col nastro da pacchi perché hanno la maniglia difettosa. Vedere per credere.

Quando scendiamo la giovane madre della guida 19-enne ci regala un provvidenziale passaggio per tornare all’auto. Fuma e ride mentre guida, a velocità “cospicua”, per la stretta strada di mezza costa. Ha lavorato 12 anni in quella Honda oggi in seri difficoltà e il cui direttore è accusato di aver rubato. Tanto. Ora non ci lavora più.

Nel trasferimento in auto cade il portatile dalla tasca. Ce n’è accorgiamo quando madre e figlia sono ripartite. Mentre tentiamo di inventare una strategia, la vecchia auto romba all’imboccatura delle gole. Hanno trovato il portatile. Sono tornate indietro. Con due grandi sorrisi. Evviva!

Da - http://www.fabriziobarca.it/viaggio-per-litalia/?utm_source=feedburner&utm_medium=email&utm_campaign=Feed%3A+FabrizioBarca+%28Fabrizio+Barca+%C2%BB+Report%29


Titolo: Fabrizio BARCA. I mille volti della nostra terra… ancora Maiella
Inserito da: Admin - Agosto 12, 2014, 06:34:41 pm
I mille volti della nostra terra… ancora Maiella

CLARISSA: In una valle strettissima, sotto al massiccio più massiccio di tutta la zona, nell’ombra minacciosa di una gola scavata da un torrente che alimenta il mito, c’è una distesa di capannoni. Forme geometriche diverse con orientamenti diversi e colori diversi: verde, blu chiaro e blu scuro. Le tre fabbriche di pasta Del Verde, De Cecco e Cocco. L’acque blu-verde, chiara e limpida, sembra quasi per il freddo, scorre accanto e sarebbe il motivo ‘storico’ per cui SOLO qui si può fare pasta di qualità. Furgoni di misura improbabile per la dimensione della strada vanno e vengono. Seicento persone in larga parte del paese accanto ci lavorano. Molti non ci lavorano più. Pare che la pasta che si esporta in tutto il mondo si possa fare anche altrove, senza l’acqua del torrente che sgorga giù dalla Maiella. Tanto nessuno se ne accorgerà.

FABRIZIO: E invece pare che se ne siano accorti. Eccome. Raccontano – il bello di andarsene a zonzo senza uno scopo è di poter registrare senza dover verificare (per una volta, evviva!) – che anche per questo motivo le cose non vadano affatto bene e a pagare sono stati proprio i locali, vittime della classica riorganizzazione.

L’unica azienda non in difficoltà, ci dicono, è la più piccola, quella che ha puntato sul lusso. Mezzo chilo di Cocco per non meno di 2 euro e 50. Il Bulgari dei pastifici. Si sa che il lusso in Italia regge.

Regge, anzi cresce dappertutto. E non solo perché la crisi ha favorito i benestanti. C’è qualcosa di più. Preferenze indotte? Bisogno di associate al proprio consumo di cibo strumenti antichi, per la pasta è il rame, evocatore di purezza? Recupero di attenzione ai gusto, all’impatto delle forme col palato? Un po’ di tutto questo e di altro ancora, in un trend di crescente attenzione alle caratteristiche dei prodotti consumati – Come sono stati fatti? Da chi? Come? In parte, come aveva previsto Lancaster, è quanto si può permettere di chiedere chi ha soddisfatto i propri bisogni essenziali, in parte è il segno di un protagonismo individuale nel fare valere le proprie particolarissime preferenze o idiosincrasie. (Una cosa non lontana dal protagonismo dei nuovi cittadini di cui ragiona Giovanni Moro. Ma di questo un’altra volta) E poi la pasta Cocco non può non starci simpatica visto che i macchinari sono stati recuperati dalla famiglia dopo la furia nazista.

Qualunque ne sia la ragione c’è chi questi nuovi gusti alimentari li sa raccogliere. Un ristorante di gran simpatia serve la clientela nella zona industriale, manager, distributori, venditori e anche il turista di passaggio o la famiglia di fondo valle. Quando entri prima ti fanno scegliere la forma della pasta dallo scaffale, poi decidi cosa metterci insieme. Funghi porcini, funghi chiodini, salsicce, pecorino, con rigatoni corti.

Un piatto notevole. Ne prendo due volte. Non saprei proprio se sarebbe stato così diverso con un’altra pasta. Ho il sospetto che sia tutto merito del cuoco.

È un cuoco giustamente entusiasta del proprio lavoro. Gira i tavoli e discute forme, tempi e sughi e tutte le infinite varietà su questo tema. In tutti gli altri paesi del mondo mangi o ‘spaghetti’ o ‘macaroni’ e mai avresti pensato che c’è una differenza così fondamentale che può diventare oggetto di diverbi in famiglia.

Anche per questo, forse da un po’ soprattutto per questo, siamo rimasti in questo paese. No, non mi riferisco alle varietà di pasta ma alla VARIETÀ in genere. L’orografia del bel paese ha dato la base a questa diversità, con i suoi microclimi, i suoi salti di temperatura e umidità al girare l’angolo. I semi e il DNA arrivato da tutto il mondo a riempire quelle pieghe della terra hanno fatto il resto. Sta a noi saperla non solo consumare, quella diversità, ma rigenerare e rinnovare. Senza copiare da paesi con vallate o altopiani infiniti. Inteso?

Da - http://www.fabriziobarca.it/


Titolo: Fabrizio BARCA. Un altro viaggio per l’Italia -6-
Inserito da: Admin - Agosto 13, 2014, 06:19:22 pm

Pubblicato in: Il blog   il 12 agosto 2014 da Fabrizio Barca
Un altro viaggio per l’Italia -6-   
Verso il Matese come in un nastro di Moebius

Clarissa: Con la mappa aperta sul tavolo, individuiamo una zona ‘interna’ che sembra interessante e dove non siamo mai stati – cosa che sta diventando sempre più difficile con i tuoi viaggi di scoperta, di verifica e di discussione.

Fabrizio: Effettivamente i percorsi amministrativi di questi ultimi mesi – non tanto quelli politici, tutti più urbani, anche per evitare sovrapposizioni improprie – mi hanno aperto pieghe prima sconosciute del paese. E ora è irresistibile girare loro attorno o intersecarle con altre pieghe, nuove ancora.

È a cavallo di Molise e Campania, elevata, isolata, ed è un parco. Ci sono antichi borghi. Si parte. Si va nel Matese. Nella mia testa calcolo tre ore o più di viaggio e non capisco perché non hai fretta di partire. Quando di mettiamo finalmente in macchina piove fitto e l’orizzonte è minaccioso. Ho quella sensazione di quando sei sotto a un tetto sicuro e la battaglia degli elementi fuori non ti riguarda. E’ solo scena. Mi adagio comodamente nel sedile del passeggero e mi preparo al lungo viaggio, i muscoli tirati ancora dal giorno prima. Dopo poco tempo già c’è la svolta a destra.

È a sinistra per la verità.
Ma come? Siamo già arrivati? La Campania è così vicina? L’approccio dagli Abruzzi mi disorienta.

Il fatto è che tutti noi nelle pieghe del paese ci andiamo per “fuggire dalle città”. Sui prati, nelle osterie, nei borghi, nei bed and breakfast, ai laghi. Ma ci arriviamo attraverso grandi arterie, che poi si fanno via via più fine, fino alla nostra destinazione. Assai di rado passiamo da una piega all’altra. E questo lascia nella nostra testa una lettura del territorio fatta di centri e periferie. Come un abete. L’albero più noioso che ci sia. E invece, passando da piega a piega si scopre l’immagine di un groviglio interconnesso, come i ficus dove i rami possono innestarsi gli uni negli altri. Fino a che l’Italia appare come un mirabolante nastro di Moebius che si percorre di sopra e di sotto, in un verso e nell’altro. (E qualunque sia il Moebius che si abbia in testa va bene lo stesso. Tutti i Moebius pensano laterale).

Saliamo lungo una strada dissestata, cartelli che ti mettono in guardia da mucche vaganti, frane e sassi che cadono. Con la filosofia del nulla programmato e del carpe diem dei bed and breakfast attraenti, iniziamo la ricerca. Il Parco del Matese occupa una vasta area. Oltre al lago artificiale – sì, sì, ho capito, erano un segno di progresso e sviluppo, e hai ragione, spesso sono belli – ci sono montagne, ettari e ettari di campi coltivati, rustici, fattorie, cavalli, pecore, mucche, passeggiate, un centro di ‘educazione all’ambiente’ tristemente abbandonato, la struttura di legno diventata una piattaforma per la defecazione umana (di qualcuno che chiaramente non ha frequentato i corsi). La ricerca di un posto dove dormire perde naturalezza e casualità. Si fa affannosa e si sposta sul web.

Connesso. Mica era scontato.
Esce fuori il nome di un “miralago”, che il lago non lo mira affatto, è rivolto dall’altra parte. È chiuso d’estate. Come i rifugi segnati sulla mappa del Parco (per dichiarazione della bacheca). Sono per l’après sci.

Morale. Toccata e fuga. Forse anche colpa nostra. Se avessimo avuto una mappa dettagliata del parco ci saremmo magari inoltrati su per qualche sentiero, con le carabattole per fermarsi una notte. E avremmo scoperto una nuova piega. E invece no. Si scende. Verso Sud-Est.

Da - http://www.fabriziobarca.it/verso-il-matese-come-in-un-nastro-di-moebius/?utm_source=feedburner&utm_medium=email&utm_campaign=Feed%3A+FabrizioBarca+%28Fabrizio+Barca+%C2%BB+Report%29


Titolo: Fabrizio BARCA. Un altro viaggio per l’Italia -8-
Inserito da: Admin - Agosto 14, 2014, 05:48:41 pm
Un altro viaggio per l’Italia -8-
Pubblicato in: Il blog   il 14 agosto 2014 da Fabrizio Barca

Clarissa: Si scende verso Telese. Il miraggio di acqua calda delle terme ci aiuta a rinunciare più volentieri a trovare alloggio in quota. Digiti Terme Telese e trovi come primo classificato il Grand Hotel. Potrebbe essere divertente dopo le condizioni spartane degli ultimi giorni, e poi, è il nostro anniversario. Ma sì. Si può fare. Per una volta. Rimango in macchina. Non siamo esattamente conciati da Grand Hotel. Da lontano vedo il tuo pollice verso. C’è posto, ma la struttura “termale” è aperta solo di mattina! Ma siamo matti? Con quei prezzi non possono permettersi una persona per tenere la piscina aperta anche il pomeriggio?

Fabrizio: Eppure quello sguardo come di commiserazione fra il portiere dell’albergo e una cliente antica mi ha lasciato un senso di esclusione voluta. Da una piscina calda fantasmagorica, una sauna con legni ricercati, un bagno turco dove ti perdi … accessibili da quella porta in fondo alle grandi scale. Forse ero davvero impresentabile. Paranoie.

Loro stessi, con una scrollata di spalle pare che abbiano suggerito una spa vicino. Strano … non usciva fuori da Google. Saliamo per una strada appena accennata. Piove ancora, è mercoledì, sono le 17.30. Se non funziona nulla al Grand Hotel, penso tra me, un po’ delusa, figurati qui. Troviamo un borgo medievale, chiesetta, casa feudale, case contadine e stalle, tutto perfetto e in ordine. “Certo, sono funzionanti le strutture, con il bagno turco”. “Certo c’è una stanza classic”. “Certo c’è il ristorante”. Dentro l’acqua calda mi sento rinascere. Attraverso la grande vetrata una vista delle montagne inospitali da cui siamo scesi, come un miraggio.

Rintanato nel bagno turco mi racconto che è un modo straordinario per depurarsi dei veleni di un anno, che ti sono entrati dentro e che ora scorrono via. Se la mente si convince di questo forse succede davvero e diventa sopportabile. Quello che sto facendo è davvero bello. Basta crederlo.

La mattina dopo, un po’ meno accecati dal sollievo del corpo, ci guardiamo meglio attorno. Parlando realizziamo che qui, fino a poco tempo fa, c’era solo un bosco, forse i ruderi di una costruzione, ma nulla del borgo o della “masseria” che il presente ci lascia immaginare. Un architetto con gran gusto. Un grosso (ma grosso) investimento ai piedi della montagna povera e autentica per creare un borgo ricco e di fantasia. Ecco dove eravamo.

Tradizione inventata. Classica. Senza abitanti-attori come sarebbe stato in Georgia – USA, intendo – ossia di gusto, italiana, non americana. E dunque senza la pretesa di inventarti anche relazioni umane, che ti lascia solo evocare, che lascia alla tua libera fantasia (mentre ti domandi cosa mai sarà successo un giorno fra quelle mura). E libero è anche l’uso dello spazio, senza i vincoli di un passato. Che non esiste. E dunque tutto rivolto a soddisfare bisogni del presente. Ho visto cose simili in Puglia. Per rispondere a una domanda crescente di luoghi … che non ci sono. Diciamocelo. Meglio così, meglio di quei tentativi goffi di adattare un borgo vero, con una storia, a un’esigenza di oggi che in nessuno modo gli può calzare. Violentandolo. Teniamole distinte le due cose. Come distinti sono i turismi che le consumano. Ristrutturare i borghi veri va benissimo. Ma se la ristrutturazione è rivolta a ospitare vita, persone che cercano anche relazioni, con altre vite e persone, non solo con un passato imbalsamato nelle pietre. Allora quei borghi avranno anche i servizi, le piazze per i propri cittadini. Veri. Altrimenti, meglio inventarne di finti. A ciascuno il suo.

Da - http://www.fabriziobarca.it/


Titolo: Fabrizio BARCA. Un altro viaggio per l’Italia -9-
Inserito da: Admin - Agosto 21, 2014, 06:54:27 pm
Un altro viaggio per l’Italia -9-
Pubblicato in: Il blog   il 15 agosto 2014 da Fabrizio Barca

Clarissa: Ho sempre pensato che il vino, insieme alla birra artigianale, all’olio e al cibo locale, ma veramente locale, sia una frontiera per il futuro dell’Italia – riprendersi la terra, per la prossima generazione, può essere davvero l’affermazione di un’identità che mescoli la tradizione dei nonni, l’abitudine all’uso dei social network, e le connessioni con il mondo, risultato delle emigrazioni di massa. Grande osservazione, mi dirai. Lo sanno tutti

Fabrizio: Lo sanno tutti ma lo praticano in pochi. Il fatto è che la stessa ragion d’essere dell’Italia, oltre che nel suo patrimonio culturale (da cui mungiamo come rentiers), sta nella diversità (e quindi nella tenuta) delle sue comunità e negli spiriti animali imprenditoriali che ci animano. Perché queste due cose ci diano sviluppo c’è bisogno di organizzazione, di ingegneria, quella che la manifattura ha regalato ad alcune delle nostre terre e che ora dobbiamo riuscire a trasfondere dentro le filiere dell’agroalimentare e del turismo. Allora sì, rialzeremo la testa. Su una cosa hai totalmente ragione: le connessioni con il mondo sono decisive. Furono importanti per il nostro Sud – ce lo insegnó Nitti, rompendo letture vetuste – le competenze degli emigranti che tornavano; sono importanti oggi le competenze dei giovani studenti che si riaffacciano “a casa” , come quelle degli emigrati e dei profughi che arrivano nel nostro paese. Ma bisogna saperle usare, farle parlare. Come oggi non facciamo.

Comunque, il fatto è che qui in “alta Irpinia” il ruolo della terra lo vedi come trasformazione fisica della campagna. Filiera dopo filiera il Fiano avanza, nascono cantine e enoteche. Il vino è “fico”, non c’è l’onta della povertà da cui sono scappati i genitori. Il vino è cool, ti dà una dimensione internazionale, ma richiama riti antichi. L’Aglianico rosso sangue. Anche l’olio buono fa la sua figura ormai. Un pezzo di pane casareccio con olio d’oliva e origano è un pasto chic. I visitatori, incantati, pagano pure un buon prezzo.

Cento varietà anche per l’olio, e gradazioni e “stagionature”. Preferenze indotte? Vere? Comunque così è. E la terra effettivamente cambia colori. Dal dorato dei frumenti, che pure tornano anch’essi in varietà “uniche”, ai verdi delle viti e degli olivi. Inframmezzati da case. Case su case secondo quel paesaggio ad antropizzazione diffusa che si spegne poi lentamente più ti muovi verso oriente, “Irpinia d’oriente” scrive il poeta.

Da - http://www.fabriziobarca.it/tappa-in-irpinia-in-vino-veritas/?utm_source=feedburner&utm_medium=email&utm_campaign=Feed%3A+FabrizioBarca+%28Fabrizio+Barca+%C2%BB+Report%29


Titolo: Fabrizio BARCA. Un altro viaggio per l’Italia -11-
Inserito da: Admin - Agosto 21, 2014, 06:55:23 pm
Un altro viaggio per l’Italia -11-
Pubblicato in: Il blog   il 17 agosto 2014 da Fabrizio Barca
Una botta e una risposta sulle pale eoliche

Clarissa: In tutta l’Irpinia d’oriente si scorgono sulle colline ondeggianti enormi braccia di nuotatori, stile dorso; nuotatori fermi nonostante l’impegno profuso contro il vento. Sono le pale eoliche. A volte si presentano in una fila elegante, come in un nuoto sincronizzato; a volte appaiono in raggruppamenti caotici, e le pale sembrano andare in direzioni ostinatamente opposte. Girano e girano. Catturano il vento, raccolgono la sua energia, la trasformano in elettricità. Questo so. Ma dove va poi? Tutta questa energia, a chi finisce?

Fabrizio: Storia lunga e ormai nota. Non far finta di non conoscerla. Il poeta non le ama, per usare un eufemismo. Non perché rappresentino la modernità (è condividendo assieme la bellezza di un viadotto bianco e sinuoso contro il verde scuro di un bosco senza fine che ci siamo conosciuti). Non le ama perché non sono state costruite badando all’interesse di chi quelle colline abita. Benissimo accrescere, come l’Italia ha saputo fare, l’indipendenza da fonti non rinnovabili – che lo si lasci dove sta quel gas e quel petrolio che riempie le fenditure della terra profonda – ma male farlo con tecnologie di altri, talora senza neppure accumulare tutta l’energia prodotta, attraendo con incentivi impropri anche produttori dubbi, e quasi sempre “comprando” l’assenso dei locali con poche briciole. Le cose stanno cambiando. Facciamole cambiare più rapidamente. Ti ho risposto. Bene così? Stanato a sufficienza?

Da - http://www.fabriziobarca.it/una-botta-e-una-risposta-sulle-pale-eoliche/?utm_source=feedburner&utm_medium=email&utm_campaign=Feed%3A+FabrizioBarca+%28Fabrizio+Barca+%C2%BB+Report%29


Titolo: Fabrizio BARCA. Un altro viaggio per l’Italia -10-
Inserito da: Admin - Agosto 21, 2014, 06:56:18 pm
Un altro viaggio per l’Italia -10-
Pubblicato in: Il blog   il 16 agosto 2014 da Fabrizio Barca
Castelli e castellani

Clarissa: A Taurasi il castello pubblicizza un ‘percorso sensoriale’ ma, come tutti i castelli della zona, è rigorosamente chiuso. Per fare il vero percorso sensoriale basta inoltrarsi nei vicoli: canti della chiesa, in pura tradizione popolare orale, odore di pane fresco, la campana che suona e poi, incorniciato dalla porta della città che dà sulla terrazza che sovrasta l’intera vallata, tutto si trasforma in un set. Una Ferrari guidata da un tipo identico al Geppy della Grande Bellezza porta via una sposa e uno sposo accaldati, il tutto catturato in HD da un fotografo che quasi finisce sotto le ruote per fare le riprese dal basso, come si deve.

Fabrizio: Faccio io il guastafeste per una volta. Benissimo tutto e benissimo anche le enoteche che riempiono il borgo. Ma le tre voci di francesi – ammesso che fossero turisti e non amici di un “emigrato” che rientra per l’estate – non bastano per dare un senso ai fondi spesi per ristrutturare il castello. Un solo B&B in un posto famoso per il suo vino, anche fuori dell’Irpinia, è un segnale pessimo. E in quelle enoteche stasera, sarà un caso, non si vede nessuno. Dove sta la visione che leghi quel borgo agli altri in un progetto sostenibile di sviluppo? Dove sono i nuovi castellani?

Beh, allora parliamo del castello di Gesualdo. Qui è nato e vissuto il grande compositore di madrigali e motetti appassionati e tormentati, con armonie discordanti e quasi dolorosi ma estremamente moderni per l’epoca. Pare che abbia avuto una vita depravata, e che tanta era la sua apatia che usava pagare bande di ragazzini che dovevano frustarlo per dargli una carica. Come spesso accade, grande creatività e grande tormento vanno mano nella mano, facilitati da una enorme quantità di denaro e da una posizione di rendita assoluta. Il Conte era sempre il Conte. O no? Ora il castello è alla fine di una lunga ristrutturazione, ma non si sa che cosa ci farà il Comune. La solita sala polivalente? Una biblioteca comunale, da tenere chiusa? Una sala convegno da usare tre volte l’anno? Dico una fesseria, ma se si trasformassero i castelli in scuole statali di nuova generazione, aperte tutto il giorno, con saloni a quel punto veramente polivalenti per fare musica, teatro, danza, arte, sport, biblioteche vive, e salette più piccole per seminari, lezioni, dibattiti, inviti a personalità esterne? Dimmi se non potrebbe funzionare? Forse si troverebbe il talento, questa volta senza tormento, dentro a quei muri intrisi di storia?

Ecco, hai trovato i nuovi castellani! Si potrebbe anche fare. Se la filiera della scuola, Roma in testa, si impegnasse e se sindaci e cittadini e famiglie e insegnanti e giovani ci credessero. All’idea di diventare castellani. Lavoriamoci. Ma comunque, la prossima volta, prima di rifare i contenitori decidiamo i contenuti. Una piccola lezione ? Viene da Cairano. Non c’è il castello ma ci sono i castellani. Lavorano a riempire le strade di fiori in un gioco-competizione lanciato da un cairanese che vive nel mondo, mentre in altri locali uno che il teatro lo sa fare e interpretare e vivere – un mio caro amico che incontriamo d’improvviso e con gioia nelle viuzze del borgo – inventa serate che mancheremo con rimpianto.

Da - http://www.fabriziobarca.it/un-altro-viaggio-per-italia-castelli-e-castellani/?utm_source=feedburner&utm_medium=email&utm_campaign=Feed%3A+FabrizioBarca+%28Fabrizio+Barca+%C2%BB+Report%29


Titolo: Fabrizio BARCA. Un altro viaggio per l’Italia
Inserito da: Admin - Agosto 21, 2014, 06:57:19 pm
Un altro viaggio per l’Italia
pubblicato in: Il blog   il 7 agosto 2014 da Fabrizio Barca
Istantanee di un tour senza meta. I nostri dialoghi surreali (ma veri). La Maiella

CLARISSA: Ci metti poco con l’autostrada, ma poi ti perdi con la statale SS81 che piega inspiegabilmente a destra e a sinistra senza dare indicazione di come proseguire, quasi che il guidatore sia tenuto a saperlo per DNA.

FABRIZIO: Ma è colpa nostra, che abbiamo tentato di tagliare a 5 chilometri da Chieti. E poi questa estate non s’era detto “Prima regola: perdersi”?

Arriviamo a uno dei molti laghi artificiali creati in Italia quando andavano di moda le stazioni idroelettriche e i relativi lavori pubblici.

Di moda? Ma era quando l’Italia aveva una strategia: “usare la forza dell’acqua”. E poi il bacino oggi attrae uccelli di ogni tipo. L’antropizzazione può essere un bene.

Insomma, eccoci a un Bed and Breakfast in mezzo al nulla alla fine di una strada, su una rocca, affiancato da case in rovina, e chi ti apre la porta? Una signora sulla sessantina portati benissimo … inglese, of course. Dopo si scopre che sua nonna è emigrata a Londra a inizio secolo, dove più tardi la famiglia ha gestito un caffè in una zona operaia, fino agli anni ‘90. Ora lei e suo marito hanno comprato casa in questo angolo nascosto di Abruzzo e ci stanno sei mesi all’anno, volando con 39 euro con Easyjet su Pescara. A maggio arrivano con provviste inglesi, comprate da Tesco, aspirina e polvere per la lavatrice incluse, e a novembre riportano indietro olio e marmellate, lasciando il Bed and Breakfast incustodito.

Torna e ritorna questa storia degli aeroporti a 50-70 minuti. E’ il raggio di un nuovo “pendolarismo globale”. Sei mesi l’anno, una nuova vita ma con la possibilità di visitare ed essere visitati dai propri amici e parenti. Oppure vacanze volanti ma in borghi. O le classiche due settimane, in tutte le stagioni, combinando cultura, paesaggio e cibo, mare e montagna come è possibile in un paese “stretto”. Le forme sono le più disparate, ma in comune c’è l’arrivo di “altri”, curiosi, senza pregiudizi, pronti a mescolarsi, a portare e prendere idee, non solo aspirine e marmellate. E’ una roba glo-cal di cui non abbiamo ancora studiato bene gli effetti. Ma che ci serve come il pane. Anche perché rompe barriere e rilancia l’identità territoriale senza l’asfissia della sua autoreferenzialità. E poi, evviva, non sono solo classe media alta e intellettuali. Ma popolo.

Comunque, non ho capito se contribuiscano all’economia e allo sviluppo locale della zona o se semplicemente ogni straniero che arriva pensa di aver trovato la chiave del proprio paradiso individuale. Vendere le case agli stranieri – costano veramente poco – è una soluzione duratura per il territorio? O è solo il pezzo di un puzzle che resta da costruire?

Credo sia un pezzo, importante, ma solo un pezzo. Se il sistema locale, le sue imprese, le sue filiere pubbliche, i cittadini, lo cavalcano in modo individuale – per vendere qualche posto a tavola in più, per raccogliere imposte o per allargare la propria cerchia di relazioni – molti singoli staranno meglio, ma non si attiverà un cambiamento. E’ necessario un impegno collettivo, sul fronte privato e pubblico, per capire di quali processi su più ampia scala questi “esploratori” possono essere l’avanguardia, per adattare ai loro bisogni l’offerta, per migliorare i servizi essenziali, per utilizzare gli esploratori come strumenti di marketing di filiere agroalimentari locali, per accompagnare i loro interventi isolati nei borghi con riassetti edilizi rivolti anche ai residenti. Questo mi veniva di pensare risalendo la strada sfasciata che ci aveva condotto a quella casa sul lago.

Da - http://www.fabriziobarca.it/860/


Titolo: Fabrizio BARCA. Un altro viaggio per l’Italia -13-
Inserito da: Admin - Agosto 21, 2014, 06:58:11 pm
Un altro viaggio per l’Italia -13-
Pubblicato in: Il blog   il 19 agosto 2014 da Fabrizio Barca
Fantasie e musei delle tradizioni popolari

Clarissa: Ad Aquilonia sappiamo di trovare un amico che ha scritto e allestito uno spettacolo basata sulle leggende irpine. Una fantasia d’estate, una specie di Cirque du Soleil locale, completo di gru e droni volanti telecomandati, un corpo di ballo, attori professionisti, di valore, e un cavallo e un cane in carne in ossa. Il palcoscenico è una vasta distesa di terra ondulata, il proscenio una quercia secolare, le colline, una luna crescente e le stelle per quinte. Un miracolo organizzativo tra tre comuni, e decine di associazioni. Le scene di folla e di ballo sono interpretate dai giovani di Aquilonia, quasi tutto il paese porta la maglietta rossa STAFF.

Fabrizio: Quattrocento persone e più a godersi lo spettacolo. Tutti i volti di questi giorni, i volti dei borghi e delle campagne, dei vecchi e dei giovani. La famiglia mista, mezza tedesca e mezza italiana, che abbiamo incrociato due sere prima a Morra a mangiare baccalà in 10 diverse straordinarie versioni. I ragazzi che sembravano tirarla lunga al bar. Gli amministratori di queste terre. L’amico poeta. Il politico antico con cui amo conversare, come facevo con mio padre.

Poi in paese dopo lo spettacolo la sera la movida, in pieno centro. Così non c’è bisogno di prendere la macchina e sballarsi a 20 km da casa per poi rischiare la vita sulla via del ritorno. Prima, nel pomeriggio, la banda del paese, la salvezza della musica in Italia, quasi l’unica via per prendere in mano uno strumento e suonare insieme ad altri. Una grande tradizione. Qui, per festeggiare la prima dello spettacolo, si erano aggiunte, in prestito sempre dagli Stati Uniti, le majorette in uniforme e pom pom.

Fra la banda e il “fantasy” irpino l’occasione per ricredersi. Sui “musei delle tradizioni popolari”. Almeno su uno. C’è ne sono a bizzeffe in giro per le aree rurali di tutta Italia, finanziati con fondi comunitari, spesso “dolci” ma modesti, assai spesso rigorosamente chiusi. E così avevo ironizzato su quello di Aquilonia, richiamato in un incontro pubblico. Eh no, questo è davvero una bella sorpresa. Strumenti, beni, foografie, didascalie che ti inchiodano a guardare. Che ricostruiscono il farsi e la fatica del farsi di prodotti artigianali o della terra, di quegli stessi che ora tornano. Un modo di legare le esperienze di questi giorni. Morale. Mai generalizzare. Altrimenti fai come quel famoso duo di opinionisti quando scrivono del finanziamento pubblico delle “sagre”: ce ne sono che finiscono lì – hanno ragione loro – utili giusto per far tirare il fiato a un pó di lavoro, altro che “investimenti pubblici”; ma ce ne sono altre che radicano una tradizione favorendo il giro di boa di un paese. Vedere per capire. (Ciò scritto, perché qui il giro di boa avvenga manca ancora il passo decisivo: la costruzione di quello che il mio amico economista chiama un “sistema intercomunale”, dove i comuni, uniti in associazione, e i loro cittadini si muovono assieme e il museo, come ogni altra offerta, diventa parte di un circuito per chi si affaccia in queste terre)

Da - http://www.fabriziobarca.it/fantasie-e-musei-delle-tradizioni-popolari/?utm_source=feedburner&utm_medium=email&utm_campaign=Feed%3A+FabrizioBarca+%28Fabrizio+Barca+%C2%BB+Report%29


Titolo: Fabrizio BARCA. Crisi chiama crisi e acciughe molli
Inserito da: Admin - Agosto 21, 2014, 07:30:46 pm
Crisi chiama crisi e acciughe molli

Clarissa: Sembra che più c’è crisi più c’è crisi. Eh? Anticipo la tua reazione: perché dici cose ovvie? Comunque il fatto è che dopo due giornate con Tito …

Fabrizio: … niente racconti, copyright riservato sui “viaggi interni interni” e i loro mirabili protagonisti …

… scendiamo verso il mare del Cilento.

Scegliamo la strada alta, perché è domenica e la strada normale, riaperta due giorni a settimana “perché sta scendendo a vista d’occhio” – Siamo Pazzi Noi Italiani – la descrivono come impossibile. (Il mio amico giornalista è stato qui prima di noi è ha scritto un pezzo memorabile)

Un ‘villaggio’ dove eravamo approdati per caso l’anno scorso ha una bella baia protetta e decidiamo di tornare. Almeno non c’è folla. Insomma, c’è sempre meno clientela, le ultime famiglie fedeli che vengono lì da sempre, con i figli adulti …

… cresciuti lì con gli altri figli e per questo contenti di venire – ti anticipo perché lo sai che su questo da tempo la pensiamo diversamente … Effettivamente quando chiediamo della signora napoletana con cui avevamo condiviso idee e sensazioni l’anno prima ci guardano come se fossimo marziani … eppure il posto è lo stesso.

Insomma, di fronte ai segni di crisi cosa fanno i gestori? Tirano sulle cose piccole. Le bottigliette di acqua minerale e – peggio di tutto – il cibo. Mai mangiato così male. Ma quanto costa un buon piatto di spaghetti? Carote, sedano e finocchio bollito adagiati su un po’ di pasta non può essere considerata una cena. E le quantità? Nemmeno in un rémise en forme dove paghi per essere obbligato a fare la dieta.

Non riesco a contraddirti, anche se la cura delle casette del villaggio, meravigliosamente nascoste dagli alberi, e la simpatia del bagnino – mi ricorda una figura mitica della mia fanciullezza Santamarinellese – non puoi sotterrarle, visto che ci hanno riportato qui. Ma effettivamente il cibo … Perché non racconti di quella che mia nonna avrebbe chiamato una “sciacquattura di piatti” e dei frammenti di peperone collocati strategicamente nel piatto per dare colore a quattro acciughe presentate come “acciughe fritte”, divenute molli dopo l’incontro con l’olio bollente avvenuto tanto, troppo, tempo prima. E vogliamo aggiungere che con la notte al “borgo inventato” – che se li meritava tutti – è l’unica sosta costata soldini in questo viaggio. Si, hai ragione, crisi chiama crisi. Lezione per tutti noi: se ti becca la crisi, fai uno sforzo innovativo, non ti immiserire.

Da - http://www.fabriziobarca.it/crisi-chiama-crisi-e-acciughe-molli/?utm_source=feedburner&utm_medium=email&utm_campaign=Feed%3A+FabrizioBarca+%28Fabrizio+Barca+%C2%BB+Report%29


Titolo: Fabrizio BARCA. Un altro viaggio per l’Italia -16-
Inserito da: Admin - Agosto 23, 2014, 12:29:13 pm
Un altro viaggio per l’Italia -16-
Pubblicato in: Il blog   il 22 agosto 2014 da Fabrizio Barca
   

Clarissa: Avvicinandoci in macchina, da nord, al primo dei borghi medioevali delle pendici del Pollino calabro, sotto il sole cocente di mezzogiorno, vediamo un giovane salire le curve a piedi, faticosamente, trascinando un trolley. Si ferma ogni tanto per prendere fiato e allontanare la camicia elegantemente stirata dalla schiena sudata. Gli chiedo fin dove deve arrivare. Mi risponde ‘il centro flora faunistico … devo fare un provino.’ Si era alzato alle 3 del mattino dalla Sicilia ed è arrivato solo ora, con il trasporto pubblico. Non capisco cosa c’entrino flora e fauna, ma gli auguro buona fortuna e proseguiamo per la nostra strada.

Fabrizio: Per scendere in Calabria abbiamo fatto eccezione alla regola del viaggio. Lasciando da parte le pieghe strette delle strade minori siamo piombati in autostrada. È la nuova Salerno- Reggio, quella dei pontoni che si stagliano lontani quando ti arrampichi su per Pollino.

Un bel borgo in ristrutturazione e un via vai inaspettato di persone, una piazzetta ventilata in cima con un chiosco-bar, e il centro flora faunistico trasformato effettivamente in studio cinematografico. Stanno realizzando il casting per un film, un lungometraggio, ambientato in Calabria. Una coppia di professionisti ha comprato e rimesso a posto molte case del borgo. Ne hanno fatto museo e albergo diffuso. E ora come contributo alla rinascita di un immagine positiva della Calabria, hanno messo le strutture a disposizione della troupe. Il giovane del trolley nel frattempo ci ha raggiunto, distrutto dalla salita rovente, e ci guarda strano come se avessimo nascosto a lui il trucco per arrivare prima e sedersi all’ombra con una cedrata fresca e tante olive, ma poi la buttiamo a ridere. Ha occhi bellissimi dietro agli occhiali scuri, e un sorriso avvincente. Speriamo di avere visto nascere uno star.

Di certo qui abbiamo visto contenuti che usano contenitori. La parte bassa di questo splendido borgo è vivace non da oggi. Ma i cucuzzoli sono sempre la parte più difficile. Dove spesso ti si presentano buchi neri al posto delle finestre e tetti pericolanti, segni dell’abbandono. Qui no, grazie anche alla strada facile d’accesso, il rinnovamento è cominciato.

Non solo qui. Il Bed and Breakfast del secondo borgo medioevale del Pollino dove arriviamo è il diciannovesimo che apre. E’ una vecchia casa di famiglia, di nuovo in cima al paese – qui la strada d’uscita dal cucuzzolo è impervia, verso la montagna – e il balcone guarda sui tetti, i comignoli, le scale strette, il canyon profondo e misterioso nel sottofondo. La coppia che l’ha ristrutturata ha vissuto in giro per il mondo. La figlia parla tre lingue.

Ecco un esempio dell’effetto virtuoso di combinare radicamento e apertura, locale e globale. La vita “nel mondo” porta una dimestichezza con gusti, le culture e le lingue di altri popoli che ti consente di orientare la tua offerta turistica alla loro domanda. Il legame con il territorio ti rende parte di una comunità che sta costruendo degli standard, e conosce i prodotti che è possibile offrire. Superando la logica del mors tua vita mea, l’intero comune si muove assieme, imparando a combinare cooperazione e concorrenza.

In piazza c’è una sagra del cinghiale e un concorso di bellezza locale. Ragazze giovani sui tacchi a 12 camminano a larghe falcate sulla pedana sotto lo sguardo distratto dei compaesani, i quali sembrano concentrarsi piuttosto sulle grandi quantità di carne nei loro piatti.

Da - http://www.fabriziobarca.it/provini-e-prove-di-sviluppo-fabrizio-barca-calabria/?utm_source=feedburner&utm_medium=email&utm_campaign=Feed%3A+FabrizioBarca+%28Fabrizio+Barca+%C2%BB+Report%29


Titolo: Fabrizio BARCA. Un altro viaggio per l’Italia -15-
Inserito da: Admin - Agosto 23, 2014, 06:13:22 pm
Un altro viaggio per l’Italia -15-
Pubblicato in: Il blog   il 21 agosto 2014 da Fabrizio Barca
Controcanto cilentano. E tensioni

Il giorno dopo le acciughe molli raggiungiamo in barca – 6 euro, pochi – una baia del Parco del Cilento dove restiamo in campeggio due notti da un pastore che cucina alla grande. Formaggio suo, fiori di zucca freschi dall’orto, brace di un legno che brucia lento. Suona musica cilentana appresa dal nonno – che gli ha lasciato anche la casa e il gregge. Ma la zampogna non lo convince

Non la suona da Natale. È secca e stona.
La aggiusta piano piano, insistendo tutta la sera finché non è perfetta. L’organetto invece sprigiona tutto il suo spirito di ospitalità. Il vino e il cibo non sembrano neppure misurati, ne arriva quanto ne hai bisogno. Tutta la famiglia lavora.

I cavatelli li ha fatti la suocera e ci fanno dimenticare brodaglie e acciughe molli. S’è nuotato parecchio per raggiungere la grande grotta della scogliera e per arrivarci di pieghe se ne sono seguite parecchie. Altro che Moebius, qui è roba per Mandelbrot, quello che ha scoperto che ghirigori delle coste e delle nuvole – e pure la distribuzione delle imprese per dimensione, da non crederci – seguono la stessa legge. Magia, religione o grandi numeri?

Intanto che discetti, loro corrono dalla griglia alla cucina, ai tavoli, e continuano a offrire leccornie una più buona dell’altra. Mettiamo pure in conto che abbiamo una forte bias per il cibo buono, naturale, e locale. Resta tutto vero. Comunque, il mio punto è un altro. Anche per il pastore c’è crisi. Ce l’ha detto la seconda serata con un po’ di amarezza. Ma la sua ricetta per controbattere è dare di più, non dare di meno. Essere più generosi, non più tirati. Alla fine puoi farcela, perché ormai conta più di tutto il passaparola, i network, il racconto che cammina.

Eppure, a dirla proprio tutta, anche nel suo dare di più, nel suo innovare, nel suo passare da piatti e bicchieri rigorosamente di coccio a “roba di plastica”. – come lui stesso la chiama – c’è una tensione. La tensione fra il restare per pochi, facendo e offrendo in questi angoli d’Italia una vita bella e pura ma dura, e raggiungere i molti, rendendoti più “commestibile”, col rischio di sbracare. E di perdere la tua clientela originaria. E forse persino te stesso. Per ora il luogo è ancora magico. E tiene, ma … Comunque sono sicuro che su questa tensione torneremo.

Da - http://www.fabriziobarca.it/controcanto-cilentano-e-tensioni/?utm_source=feedburner&utm_medium=email&utm_campaign=Feed%3A+FabrizioBarca+%28Fabrizio+Barca+%C2%BB+Report%29


Titolo: Fabrizio BARCA. Un altro viaggio per l’Italia -19-
Inserito da: Admin - Agosto 26, 2014, 06:00:39 pm
Un altro viaggio per l’Italia -19-

Pubblicato in: Il blog il 25 agosto 2014 da Fabrizio Barca
 

Bellezza, bruttezza e Nimby
Clarissa: Una guida e grande escursionista ha detto che se ci tiene alla persona che porta in giro gli fa prima vedere il brutto della Calabria per poi stupirlo con la sua bellezza. Il problema è che spesso le due cose – bruttezza clamorosa e bellezza strepitosa – sono veramente mischiate assieme in una mélange dannata. Mi sembra una specie di NIMBY all’incontrario. Cioè, nella propria “Back Yard” meravigliosa, anche nelle zone di mare o di montagna colonizzate dalla buona borghesia, sono state buttate tonnellate di mondezza e tirate su tonnellate di cemento. La famosa ‘Calabria non finita’ di cui tutti parlano – il terzo e quarto piano lasciato in cemento o mattone nudo per i figli e nipoti che non verranno mai a vivere lì – si trasforma in una ‘Calabria finita’ sotto il peso delle costruzioni improvvisate.
Fabrizio: Poi giri l’angolo – “girare l’angolo” è il motto costruito con i figli, che ci ha regalato le sorprese più belle della vita – e trovi la bellezza di una pozza levigata dal fiume, di un pino gigante, di un pinnacolo di creta, di un bosco infinito più bello di quelli Trentini, di un campo biondo, di un borgo arcigno che traguarda il mare, di un paio di occhi azzurri sovrastati da ciglia spesse e nere, del suono secco di un parlare antico. E ti domandi: ma perché avete perso il senso del valore di ciò che avete? Perché vi siete lasciati confondere dal verbo piemontese? E poi dal denaro di Roma? E dall’anti-Stato che avete lasciato crescere (quando non cresciuto) dentro le porte di ogni comunità? Eppure le pieghe della vostra terra sono così profonde, contorte e frequenti che per ogni bruttezza ci sono ancora dieci bellezze. È chiaro come il sole che potete farcela.
Si, certo. Ma intanto abbiamo conosciuto una coppia inglese che aveva comprato una casa in un nuovo agglomerato di cemento sorto vicino al mare. Ora dormivano nello stesso Bed and Breakfast dove abbiamo tirato su la tenda …
È stata una “prima volta” per i gestori. Ma li abbiamo convinti con un sorriso. E si è mangiato alla grande, con una fila di verdure di antipasto più lunga ancora del solito e il primo di tanti cavatelli, ma di lusso …
… si, benissimo il nostro cibo, ma intanto la famigliola inglese stava lì perché hanno tagliato la luce e l’acqua a tutto il comprensorio. Pare che il costruttore fosse in odore di mafia: “Who knows where the money came from!” Posso immaginare la pubblicità che faranno al loro ritorno. Comprate casa in Calabria! È un’affare!
Ehi, ehi, è pur vero che è l’unica storia un po’ tragica di stranieri che abbiamo incontrato in Calabria. Ne abbiamo visti pochi – pare, così ad esempio ci hanno detto a Catanzaro Lido, che qualche anno fa ce ne fossero assai di più – ma quelli incrociati avevano il viso felice. Forse avevano imparato a guardare solo la Bellezza.
Licenza foto: Creative Commons 2.0 di Hindrik

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Titolo: Fabrizio BARCA. Un altro viaggio per l’Italia -18-
Inserito da: Admin - Agosto 26, 2014, 06:04:15 pm
Un altro viaggio per l’Italia -18-
Pubblicato in: Il blog   il 24 agosto 2014 da Fabrizio Barca
Un altro viaggio per l’Italia -18-   
Arbëreshë e inglese

Clarissa: È incredibile come l’identità che deriva dall’essere e dall’essere riconosciuta come minoranza linguistica unisca le popolazioni di questi piccoli paesi. Sono passati 600 anni ma la lingua, i costumi e le tradizioni Arbëreshë vivono. E come! Essendo stata in Albania, e dopo avere tradotto in inglese il libro della scrittrice albanese Elvira Dones (che scrive in italiano) sono affascinata. La cugina della nostra ospite canta in un coro e ci invita alla festa del vicino paese dove si esibisce quella sera. A scuola i ragazzi fanno due ore a settimana di lingua Arbëreshë; troppo poco, si lamenta una mamma. Un’altra obietta che sarebbe più utile concentrarsi sull’inglese e arrendersi ai tempi che cambiano. Il fatto è che la scuola è una monoclasse, con tutti i gradi dell’elementare insieme. Si capisce le preoccupazioni sono altre.

Fabrizio: Eppure si potrebbe avere entrambe le cose. Conservare la lingua, che poi vuol dire musica, identità (di fronte a se stessi e agli altri), relazioni internazionali; e studiare il nuovo in classi di dimensione normale, mescolandosi con i bimbi di altri paesi. Per farlo ci vuole la capacità e il coraggio di immaginare, di chiedere e di realizzare scuole nuove, collocate in posizione baricentrica, che accorpino i micro-plessi dei singoli paesi e che, con le risorse finanziarie risparmiate, assicurino agli alunni trasporti sicuri, strutture adatte a una nuova didattica, spazi collettivi. Insomma, scuole che “facciano invidia” agli studenti e ai genitori dei centri maggiori. E dunque che incoraggino le giovani coppie dei piccoli paesi a restare e altre magari a trasferirsi, a vedere alla tentazione di lasciare la città.

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Titolo: Fabrizio BARCA. Un altro viaggio per l’Italia -22-
Inserito da: Admin - Agosto 30, 2014, 09:03:17 am
Un altro viaggio per l’Italia -22-
Pubblicato in: Il blog il 28 agosto 2014 da Fabrizio Barca
 
Stato sì, Stato no
Clarissa: Potere dei pregiudizi. Quando una ‘cosa pubblica’ in Calabria è perfetta viene istintivo chiedersi ‘che succede?’. Dopo le ferriere, a Mongiana. ci imbattiamo in un parco del Corpo Forestale dello Stato: Villa Vittoria. Una volta dentro, il verde e l’ordine, insieme all’aspetto stesso della struttura – fioriere con gerani, infissi di legno dipinti di rosso – fanno pensare subito a uno chalet austriaco di gran stile. Il giardino offre un percorso accompagnato da segnali in Braille per non-vedenti di tutte le piante medicinali possibili, alberi e piante menzionati nella Bibbia, con relativo passo e chiosa, un frutteto degli alberi dimenticati, con specie che non si usano più perché producono frutta troppo irregolare nonostante che siano più resistenti ai parasiti e alla siccità, e un’area faunistica dentro al bosco con esemplari di animali endemici. Tutto curato all’estremo, neanche un pezzo di carta igienica per terra. Tutto questo quando ciò che è dello Stato – o comunque collettivo – è in genere trattato malissimo. Impressionante.
Fabrizio: Ci parlano dei meriti di chi ha la responsabilità della Villa. Appaiono indubbi. E ci resta la voglia di capire cosa ha prodotto questo risultato. E il fatto stesso che la responsabilità sia stata affidata a chi sa esercitarla in questo modo. Insomma, la domanda di sempre: perché qui si è altrove no ? Lo so che ogni “qui” che funziona è diverso dall’”altrove”. Che ogni luogo ha una sua storia. Irripetibile. E tuttavia le lezioni ci sono sempre. Non per copiare. Ma per sperimentare strade, soprattutto con la convinzione provata da fatti che “è possibile farcela”. In Calabria come ovunque.
Anche perché qualche miglio più in giù …
… a Bivongi, intendi ? Dove si aprono le gole del fiume, la scoperta di questa estate.
Si. Da Bivongi, ci confermano con convinzione le persone del posto, si può risalire con un lungo percorso fino alle altissime cascate di Marmarico. Altrimenti, ci dicono, ti ci portano con la jeep, che si fa prima. Proprio al bivio della strada sterrata delle jeep vediamo un bel segnale marrone, di quelli che indicano un’attrazione turistica, ‘percorso di trekking’ con due signori che camminano con gran determinazione disegnati in nero. Ci sentiamo confortati nella nostra scelta di non prendere il 4×4. Ma da quel momento in poi non c’è più alcuna indicazione. Non solo, dopo avere imboccato una strada sbagliata …
… l’imbocco del piccolo sentiero che scorre lungo e dentro il fiume è nascosto e solo grazie ai consigli di un contadino che ci ha riempito di dolcissime prugne verdi riusciamo alla fine a trovarlo. …
… vediamo scene di distruzione. Il ‘percorso’ annunciato dai locali come ‘rovinato a tratti’ non esiste più. Ponti di legno e scalette giacciono sul letto del fiume, e eventuali sentieri di una volta sono coperti di fitti rovi. Dopo due ore arriviamo ai bagni di Guida, un’antica stazione termale di acque sulfuree. E potrebbe bastare.
Effettivamente il posto è bello. Il torrente forma pozze di acqua e addirittura chi ha riaperto i Bagni propone una brace accesa sotto il pergolato di un casolare. Ma le cascate sono ancora lontane …
Solita scena tra i due: il bello è nel viaggio; bisogna arrivare in cima perché altrimenti è una sconfitta, e comunque vedrai il premio per lo sforzo (lascio indovinare chi interpreta quale parte). Morale della favola, ovviamente, è che si prosegue, piedi in acqua, per risalire il fiume, ancora.
E qui le cose si fanno toste, perché dopo una prima traccia non c’è più nulla. Intendiamoci: non può esserci un itinerario permanente perché qui l’acqua in piena della primavera se la porterebbe via. Ma visto che che è un trekking consigliato potrebbe starci un segnale, due pennellate su un albero, ogni tanto. Come quando il fiume si biforca. O quando, all’antica centrale elettrica, un sentiero, questo vero, si distacca sulla sinistra per risalire verso la carrareccia delle jeep, ma all’inizio si vede appena e bisogna crederci.
Alle cascate non c’è più il sole. Per la stanchezza non alzo lo sguardo, per paura di inciampare sulle rocce, e vedo solo l’ultimo tratto di caduta dell’acqua. Mi sembra una grande delusione – finché non mi accorgo del resto. Sì che c’è il premio … ma il premio più grande sarà togliersi le scarpe bagnate e bere una birra fredda a Stilo. La punizione per chi mi ha fatto fare sei ore di canyon arriva la sera: canzoni napoletane urlate in stile lirico e amplificate da casse imponenti dal palcoscenico al centro della piazza.
Ci vorrebbe poco, scelte musicali soggettive a parte, per portare in quelle gole escursionisti di ogni tipo e stazza. Quasi chiunque per i primi trecento metri, dove il sentiero si può rendere permanente, molti fino ai Bagni e non pochi fino alle cascate, semplicemente pubblicando una mappa dell’itinerario, da vendere a chi ci si avventura, con qualche limitato segnale. Che renderebbe anche a chi porta le jeep, che per quella lunga sterrata impossibile oggi chiede solo sette euro. Piccole cose ben pensate. Qualche migliaio di euro. Niente mega progetti. Come se si dovessero spendere sempre centinaia, che dico, milioni di euro pubblici per fare cose utili – l’errore stupido di chi pensa che la concentrazione dei fondi (comunitari ad esempio) debba essere finanziaria, quando invece deve essere strategica. Molti piccoli interventi pensati, frutto di analisi dei bisogni, con i risultati chiari in testa e comunicati a tutti sul web, possono valere assai più di un progettone, appetitoso per appaltatori e appaltanti. Quando dico queste cose a Stilo incontro un gran sorriso d’intesa. Da chi di progettoni inutili ne ha visti passare parecchi per queste terre. Ma intanto qui il voto per lo Stato è negativo.

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Titolo: Fabrizio BARCA. Un altro viaggio per l’Italia -21-
Inserito da: Admin - Agosto 30, 2014, 09:58:36 am
Un altro viaggio per l’Italia -21-
Pubblicato in: Il blog il 27 agosto 2014 da Fabrizio Barca
 
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Infiniti tronchi e classe operaia
Clarissa: Dopo una salita di mille tornanti, antichi uliveti con terrazze sempre più esposte, una roccia sempre più nuda, una vegetazione sempre più arsa, scavalliamo il passo e lasciamo alle spalle il mare. Siamo nelle Serre. Un parco eolico, un vecchio invaso naturale ma soprattutto boschi di pini … mi viene alla mente De Gregori e i suoi ‘infiniti tronchi’. Due mondi assolutamente diversi.
Fabrizio: È il fascino della Calabria. Non solo, non tanto quegli 800 chilometri di costa, a non contare i ghirigori degli scogli. Ma soprattutto la diversità esaltata, al girare dell’angolo, al salire di qualche centinaio di metri .Se l’Italia capisce che la diversità interna è la sua cifra, il suo senso stesso di nazione, per la Calabria è fatta. Diventa la quintessenza del paese.
Dopo molto girovagare si arriva in una città piena di attività apparentemente in mezzo al nulla. È Serra San Bruno. Facciate di chiese barocche, di una ricchezza sorprendente, negozi e caffetterie di qualità, le insegne ancora in stile antico. La banda del paese sta scaldando i motori per la festa del paese. Il suono è patriottico – andrebbe benissimo per Verdi. Se Muti non li ha già arruolati vuol dire che non li ha ancora sentiti. Ci fermiamo per prendere un po’ di frutta e per fortuna ci fermano altri clienti, per dirci che dobbiamo assolutamente entrare nelle chiese. Una, in particolare, è un autentico gioiello di tardo barocco calabrese, con un tabernacolo mozzafiato. Molte opere sono state portate lì dalla vicina Certosa dopo il terremoto del 1783.
Sulla porta un messaggio di addio irrevocabile – “non fate nulla per richiamarmi, ve lo chiedo davvero” – del prete di quella chiesa. Non ci sarà modo di capirne il perché.
Qui i Borboni estraevano ferro e tagliavano i boschi per legname. E si lavorava il ferro. A Mongiano si costruivano i fucili per l’esercito. La città era ricca, e la sua mano d’opera fondamentale.
La cultura del luogo è anche operaia. Lo si legge nell’austerità delle case, a due piani, con tetti ben conservati, mai incise da ampliamenti devastanti. E lo si vede in una presenza “di sinistra”, la più visibile dell’intero viaggio: un’associazione combattiva – Il Brigante – annidata in un angolo straordinario che ricorda Trastevere a Roma, che si batte sul tema dell’acqua e del suo inquinamento e che quella sera organizza salsicce e birra in strada. Lo scopriamo dopo l’ottima cucina di un ristorante giovane, torniamo li e ci sentiamo a casa.
Prima siamo andati al parco della Certosa per leggere e riposare al fresco. Saliamo a piedi per un bosco di faggi e soprattutto pini secolari. Mi addormento al suono del vento a cui si aggiunge più tardi – ma io penso di sognare – un canto gregoriano sostenuto e maschile. Mi sveglio come incantata, tu stai ancora all’Ipad.
Bisogna pur trovarlo un momento per scrivere le mie chiose ai pezzi che a te vengon facili.
Andiamo? Il tragitto di ritorno passa dalla chiesa dove si celebrano i matrimoni moderni. Sotto alla scalinata ci sono carrozze con cavalli, un trenino rumoroso, alcuni mini pony puzzolenti, e mondezza, tanta mondezza. Brutto e bello ancora. Mano nella mano. Dopo scopro che nel monastero ricostruito vivono ancora i frati. Una volta la settimana escono per una gita nei boschi. Saranno loro che ho sentito? O era una registrazione a uso turistico? Non lo saprò mai.

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Titolo: Fabrizio BARCA. Un altro viaggio per l’Italia -20-
Inserito da: Admin - Agosto 30, 2014, 09:59:25 am
Un altro viaggio per l’Italia -20-
Pubblicato in: Il blog   il 26 agosto 2014 da Fabrizio Barca
Due ore micidiali e un treno Rivarossi

Clarissa: Quel mare così blu, così scintillante, è tenuto a debita distanza da una ferrovia a binario unico.

Fabrizio: Il treno che ci passa sopra sembra quello della Rivarossi – chi si ricorda? – con cui giocavamo a casa del compagno di classe che lo aveva. Talvolta il vagone è uno solo. Talvolta sono due. E il treno fischia, fischia, per ricordare a tutti che esiste ancora. O forse per scoraggiare chi quei binari volesse attraversarli come se fossero finti.

Beh, certo, il tracciato potrebbe essere utilizzato in ben altro modo. Come percorso turistico per gli appassionati, invidiato in tutto il mondo. O come sentiero o pista ciclabile che potrebbe correre accanto alla linea ferroviaria. Con fermate attrezzate per un tuffo in mare o una navetta che salga su per le colline per mangiare specialità della zona.

Potrebbe. Ma non è. Perché per farlo bisogna prima far quadrare i conti, costruire un progetto che parta da una verifica della domanda – sì ancora una volta la domanda. Senza studiarla non si combina nulla. Ma intanto si potrebbero almeno migliorare i sottopassi rendendo il mare più accessibile.

Beh certo, si eviterebbero scene come quella di quei due disperati che, vedendo cotanta bellezza, e non avendo trovato un passaggio al mare, parcheggiano la macchina alla bene e meglio e attraversano il binario a piedi, asciugamani al collo, il pranzo al sacco in spalla.

Ora è chiaro perché il treno fischia! E per chi non vuole rischiare la pelle …
… chi non vuole rischiare la pelle può fare come quelli che trovano finalmente un tunnel improbabile sotto alla ferrovia, imboccano il letto di un fiume e alla fine … finiscono insabbiati. Sì, siamo noi ahimè. Te l’avevo detto che forse non era il caso. Le due carrozze vecchie e scassate della litoranea passano sopra, fischiando. Dopo due ore di lavoro duro riusciamo ad uscire.

Sono state due ore micidiali, con l’ansia di dover chiamare un carro attrezzi e perdere la faccia, ma alla fine col metodo insegnatoci tanti anni fa da quei giovani marocchini a est dell’Atlante – una strada di piccoli tronchi costruita sotto l’auto – siamo fuori. E il bagno in quell’acqua straordinaria sulla punta dell’intero continente d’Europa è ancora più bello

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Titolo: Fabrizio BARCA. Un altro viaggio per l’Italia -23-
Inserito da: Admin - Agosto 31, 2014, 09:02:15 am
Un altro viaggio per l’Italia -23-
Pubblicato in: Il blog   il 29 agosto 2014 da Fabrizio Barca

Senza via d’uscita?

Clarissa: Ci sono tanti modi di segnalare che la strada non è in perfette condizioni. Uno che mi diverte in modo particolare è ‘sagoma deformata’. Vedo un’ombra, è Peter Loren nel film ‘M – il Mostro di Düsseldorf’. Una sagoma deformata, per l’appunto. Un’altro modo è ‘strada dissestata’; mi ricorda i telegiornali apocalittici sul dissesto idrogeologico o sui dissesti finanziari. In strade più grandi ho visto anche ‘giunti dissestati’ – e la mente corre alle mie ginocchia, definitivamente dissestate ormai. La scritta ‘Presenza di buche sulla carreggiata’ mi pare più diretta, e tutto sommato più onesta. Almeno sai da che cosa ti devi guardare, come quella che ti avverte che ci sono ‘frane per i prossimi 7,3 chilometri’. Ma la segnaletica che vince la gara è quella che lascia tutto all’immaginazione: ‘STRADA CHIUSA’ !

Fabrizio: Tutta questa storia per arrivare alle tre mitiche strade di Longobucco. Paese straordinario sul costone orientale della Sila, dove i boschi densi dell’interno lasciano il passo a gole profonde, come quella verso cui siamo diretti. Ci si arriva con una strada dalle mille curve, in condizioni buone, ma con un destino incerto: ci spiegano, arrivati in paese, che è una “strada di nessuno”, nel senso che nessuna istituzione la riconosce come propria e dunque nessuno ha l’impegno a manutenerla. Ma il problema non è arrivare a Longobucco dalla montagna, è arrivarci dalla costa, tornare a casa la sera, se lavori “giù”. Per carità, di strade ce ne sono due. Ma qui la fantasia è andata oltre ogni immaginazione. All’ingresso di quella antica, mille curve, che collega anche molte case sparse, scopri dal solito straordinario cartello che dalle 7 di sera al mattino la strada è “non percorribile”. All’ingresso della fascia di cemento appena terminata (per metà) che percorre il vasto letto della fiumara – reggerà alle piene rabbiose di questi giganti d’acqua assopiti? – il cartello ti dice invece che stai entrando in un “cantiere”. Scopriremo che è il cartello ipocrita frutto di compromessi con la popolazione, perché quella lì “strada” non lo è ancora. Ma tutto questo ha un senso? Ma dove sta la politica – lo scrivo senza le solite virgolette perché questa dovrebbe essere la politica – ossia la capacità di combattere insieme con altri, da dentro e da fuori di un luogo, per pretendere che i propri diritti minimi – tipo, uscire ed entrare senza coprifuoco dal mio paese – siano rispettati? Senza il ritorno della politica senza virgolette non c’è via d’uscita.


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Titolo: Fabrizio BARCA. Un altro viaggio per l’Italia -25-
Inserito da: Admin - Settembre 07, 2014, 05:42:04 pm
Un altro viaggio per l’Italia -25-
Pubblicato in: Il blog   il 31 agosto 2014 da Fabrizio Barca

Fuochi e mortificazioni


Clarissa: Scendere ancora, ancora più a Sud, in questo nostro zigzagare Coast to Coast nella Calabria stretta, ci ha portato negli incendi.

Fabrizio: Ne avevamo intravisto uno solo in Sila, richiamati dal suono e dal profilo inconfondibile di un Canadair. Ma le macchie inconfondibili tappezzano tutte le montagne attraversate. Sin dal Cilento.

Non so perché ma mi cambiano l’umore, nel fondo. Forse è il senso di impotenza che genera vedere un’intera collina di macchia mediterranea bruciare, forse è una sorta di paura primitiva davanti alla potenza del fuoco, forse una rabbia civica. Che ancora una volta, come ogni anno, si ripetano le stesse scene. E la macchia ci mette almeno tre anni a ricrescere. Non parliamo del bosco. E la collina nuda e nera è brutta e desolante. Comunque, la cosa più bella di viaggiare in un paese dove sai la lingua è che parli con le persone, fai due chiacchiere al bar, chiedi spiegazioni, cerchi di andare a fondo. Ma per gli incendi non ci riesci. Se ti parlano lo fanno guardandosi intorno e alle spalle, anche all’insù, come se ci fossero orecchie dappertutto.

Non esageri. Poche volte come parlando dei fuochi, in ogni punto della penisola, ho visto e sentito nella pelle l’”intimidazione” mafiosa. Proprio nel momento in cui il nostro interlocutore cedeva alla voglia di condividere un’informazione non ovvia, gli vedevi sorgere l’ansia che stesse facendo una cosa sbagliata. E ti veniva, a te, per imbarazzo, la voglia di cambiare argomento. Per il senso di mortificazione che l’intimidirsi promana. Per il dubbio che ti sorge su te stesso: ma se vivessi qui, saprei essere diverso? Chissà !

Abbiamo raccolto tante diverse spiegazioni. Dal piromane alla ricerca di attenzione, alla vendetta personale. Dagli allevatori di bovini che fanno scappare i pastori …

… fanno letteralmente “terra bruciata”, per deprezzarne il valore e comprarla poi a due soldi, magari investendo poi con fondi comunitari (che pessima fama hanno questi benedetti Fondi … quanto è vero quello che sapevo e sapevamo già e cioè che non un euro più va speso senza che i risultati attesi siano resi noti a tutti e che a tutti sia data la possibilità facile, verrebbe voglia di dire l’obbligo, di dire che ne pensano, prima che siano allocati … e dici fondi europei per dire ogni soldino pubblico) …

… alle aziende boschive che hanno ricevuto in sub-appalto dal pubblico la cura e l’uso dei boschi che bruciano l’evidenza del lavoro non-fatto …

… questa non l’avevo mai sentita. Pare che anziché pulire il sottobosco taglino fusti che non andrebbero tagliati … come se poi quel moncherino di tronco e radice venissero mangiati dal fuoco … mah …

… fino alla storia che trovi sempre sui giornali, dei Forestali che arrotondano lo stipendio per le ore di intervento (ma questa ci convince poco perché la cifra aggiuntiva è davvero modesta e il rischio in questa terra dove il fuoco facilmente ti accerchia è grosso assai).

Comunque ci dicono che nella Sila quando era stato introdotto un incentivo per chi cura ed è responsabile dei boschi legato ai non-fuochi (meno ce ne sono più hai) le cose erano andate meglio. Qualunque fossero le cause.

Fatto sta che ora siamo alla Fiumara di Amendolea nell’Aspromonte, dal nostro amato produttore di bergamotto, e brucia la collina. Uno spettacolo che fa da amari contrappunto a ciò che succederà a Bove quella sera.

Che rabbia non esserci andati, dopo quei deliziosi cavatelli con sugo di capra (in bianco, resa tenera da ore e ore di cottura e dall’aggiunta di una scorza di mandorla, se abbiamo capito giusto), ma la stanchezza per una volta ci aveva scoraggiato dal girare l’angolo.

Insomma, a Bove c’era il “Cammello”, un danzatore di Taranta ingabbiato dentro una struttura di canne a forma, appunto, di cammello dalla quale partono pirotecnici fuochi d’artificio. A prevenire i fuochi in questo caso, ci hanno raccontato, un drappello di vigili del fuoco.

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Titolo: Re: Fabrizio BARCA. Un altro viaggio per l’Italia -24-
Inserito da: Admin - Settembre 07, 2014, 05:42:52 pm
Un altro viaggio per l’Italia -24-
Pubblicato in: Il blog   il 30 agosto 2014 da Fabrizio Barca

Disservizi e servizi

Clarissa: Dimmi che non è vero … Un messaggio stampato attaccato fuori di uno sportello bancomat. Già sono difficili da trovare nei piccoli paesi. Al massimo un Posta Pay, spesso nemmeno quello. Ora l’abbiamo trovato ma nel messaggio si legge: “In questa banca il denaro non è liberamente disponibile. Il ritardo nel tempo di erogazione cresce con l’ammontare richiesto. Il personale non può farvi nulla”. E pensa che qui serve il contante sempre. Non c’è la linea, il POS non funziona, l’ho chiesto ma non mi è arrivato, Ecc. Ecc. Ecc. Il personale non può farvi nulla.

Fabrizio: Per esser chiari questa storia del “messaggio preventivo” dove si annuncia DISSERVIZIO non è calabra. Ma ci torna alla mente oggi quando un ragazzo a cui chiediamo del bancomat si mette a ridere. E già perché in questi paesi non vengono solo a mancare i servizi pubblici, ma anche quelli privati, con un colpo pesante a cittadini e turisti. Per non parlare del prezzo della benzina, inesorabilmente più alto. Quando la pompa non è stata proprio chiusa.

Comunque, coi soldi contati risaliamo in Sila. Pare di essere in Svizzera. Si pratica l’alpeggio ad alta quota, le mucche hanno campanelle attaccate al collo con un grosso collare rosso, i prati sono verdi, i pini crescono giganti, si mangia formaggio fresco. Di nuovo, un contrasto assurdo a meno di un’ora e mezza di distanza in macchina dalla costa chiassosa.

Per non parlare della segnaletica dei sentieri. La prima che incontriamo chiara e di qualità in tutto il viaggio. Certo, la straordinaria generosità, tutta calabra, di cui beneficiamo attraverso una catena di eventi nata in una bella libreria di Lamezia ci ha messo sulla strada e ci ha fornito una mappa niente male che mai altrimenti avremmo trovato – il turista che cala da “Marte” cosa avrebbe fatto? Ma resta che i sentieri sono ben marcati e i segnali a prova di fesso. E poi mi colpisce, sul bordo di un’area recintata, la chiarezza di un cartellone che, spiegando il progetto comunitario di ripopolamento del contesto faunistico, indica in lingua italiana – non in burocratese – addirittura i risultati attesi. Lo vedi che si può fare !

Dopo il cammino abbiamo dormito in un silos ristrutturato, con semplicità e gusto, di un’azienda agricola sulle rive di un micro-lago. Una camera rotonda Feng Shui, con il gallo che ti sveglia di buon’ora e cene cucinate con prodotti appena colti dall’orto – frittelle di fiori di zucca da svenire.

Speriamo che reggano a gestire il posto. C’è ne sono pochi come loro.

Da - http://www.fabriziobarca.it/disservizi-e-servizi-fabrizio-barca-sulla-sila/?utm_source=feedburner&utm_medium=email&utm_campaign=Feed%3A+FabrizioBarca+%28Fabrizio+Barca+%C2%BB+Report%29


Titolo: Fabrizio BARCA. Musica e poesia: la quadratura del cerchio
Inserito da: Admin - Settembre 07, 2014, 05:53:03 pm
Musica e poesia: la quadratura del cerchio

Clarissa: Se scavalli l’Aspromonte, con le sue foreste fitte di faggi e pini, e arrivi sopra Scilla al tramonto – quando la luce è tenue e i contorni delle case si fanno meno chiari – il paesaggio è così antico che scompare nel tempo. Potrebbe essere 3000 anni fa come oggi. Ulisse che passa tra Scilla e Cariddi nella sua barca, e in contemporanea noi su una piacevolissima terrazza con una famiglia di gran simpatia che ci ospita in attesa dei fuochi sul mare. Quest’anno il Comune è in dissesto (di nuovo quella parola) e la festa del paese si svolge in forma ridotta. Ma chi ha bisogno di fuochi con una vista così?

Fabrizio: La Sicilia resta a un tiro di schioppo. Le acque di Ganzirri, la forma appena accennata di Stromboli, quella più nitida di Vulcano. Ieri dalle pendici della montagna avevamo visto l’Etna, fumante. È un continente. Un mondo da visitare. Ma per conto suo. Presto.

Una sosta nel risalire la Calabria ce la concediamo da antichi amici – di pura vacanza, mare e chiacchiere, altro mare, altre chiacchiere.

Si accavallano i racconti di queste settimane. Col tentativo di trovare la quadra. A partire da quella discesa ardita giù per il fiume Aventino – intrapresa geniale di un altro amico antico – è stato tutto un risalire e ridiscendere, per borghi salvati o abbandonati, per sentieri curati o dimenticati, per scogliere protette o aggredite, per speranze di cambiamento in fiore o nella spazzatura. Perché qui sì e lì no? Quali persone, quali alleanze, quali conflitti hanno sbloccato le cose dove sbloccate sono? Come allargare la macchia della bellezza? La quadra non esce. Ma i pensieri si puliscono.

Quando dobbiamo partire, ahimè, è sabato, giorno di cambio dei vacanzieri in affitto. Il traffico è fermo sulla litoranea. Ormai, presa l’abitudine delle ‘area interne’, imbocchiamo la prima strada che ci permette di scappare dal caldo e saliamo per le colline. Su, su ancora, come verso il fiume Lao, e poi giù di nuovo, in costa. A un certo punto superiamo la linea di confine con la Basilicata, il fiume Noce. Da una piana costruita allo spasimo, fino alla costa, a una piana coltivata e una costa conservata. Impressionante la differenza!

È un caso di scuola. Da mostrare a Putnam e a tutti quelli che attribuiscono la trappola del sottosviluppo del Sud allo spirito dei popoli di quelle terre, ovviamente immodificabile nei secoli. (Il grande alibi di una classe dirigente nazionale che ha cessato di impegnarsi sul Sud). Mentre è evidente che a cambiare a cavallo del fiume Noce sono le istituzioni: il modo in cui i “popoli di quelle terre” si sono organizzati, e quindi i comportamenti e le regole che si sono dati, e la cultura che ne è discesa e si è stratificata. La cultura non è un dato ultimo, immodificabile, è un dato endogeno, frutto dei comportamenti, di decisioni, della politica. Ed è in un piccolo focolaio di cultura che si chiude (si quadra?) il nostro viaggio.



È il festival ‘La Luna e i Calanchi’ ad Aliano, la città del confino di Carlo Levi. Cristo non si è fermato qui, ma si capisce come il paesaggio abbia ispirato la desolazione espressa nel titolo. È lunare, desertificato, arido. I calanchi si stagliano massicci davanti agli occhi. Una intera carcassa di vacca giace al bordo del sentiero che imbocchiamo, seccata da dentro, le ossa completamente ripulite dal sole, la pelle vuota come una zampogna gigante senz’aria. Il Festival, al contrario, è una botta di vita. Chiamati dal nostro amico poeta e ‘paesologo’, attori, musicisti, poeti, pastori, tecnici, scienziati e politici …

… e giovani, molti giovani, finalmente, da tutta Italia …

… si radunano in anfiteatri costruiti e naturali – tra i calanchi, sui terrazzi, nei vicoli, nelle piazzette – e si dedicano per due giorni a un esercizio di contemplazione delle stelle e del paesaggio, della bellezza delle parole e della musica, della felicità e della morte. Un tale eccesso di offerta che ti porta a fare le 2, le 3, le 4 del mattino. Oppure, per molti, tutta la notte. Sfiniti e felici. Se la vita fosse sempre come questo viaggio…

Da - http://www.fabriziobarca.it/musica-e-poesia-la-quadratura-del-cerchio/?utm_source=feedburner&utm_medium=email&utm_campaign=Feed%3A+FabrizioBarca+%28Fabrizio+Barca+%C2%BB+Report%29


Titolo: Fabrizio BARCA. "A Renzi serve una squadra forte caparbiamente di sinistra"
Inserito da: Admin - Ottobre 23, 2014, 11:33:53 am
"A Renzi serve una squadra forte caparbiamente di sinistra"
Pubblicato: 20/10/2014 13:13 CEST Aggiornato: 20/10/2014 14:04 CEST

Gran parlare di partito. Anzi di Pd. Poco importa che il confronto sia iniziato da un dato poco significativo. Sta ai cittadini svegli non sprecare l'occasione facendosi 'incartare' in vacue diatribe tipo 'liquido-solido' o 'pesante-leggero'. Per noi mille (1.000) volontari del progetto Luoghi Idea(li) è l'occasione per condividere, a metà del guado, i risultati della sperimentazione di un partito moderno che stiamo conducendo proprio nel Pd. E per capire che ne pensano 'quindici teste' che generosamente si sono misurate col nostro lavoro dando corpo a quell'idea di un "Monitoraggio indipendente e pubblico" che è la chiave di un salto in avanti delle nostre democrazie.

Abbiamo in testa un Pd palestra di idee e di gruppi dirigenti, che si batta e lavori in ogni angolo del paese perché l'inversione di tendenza divenga realtà, non tanto nelle regole quanto nei comportamenti. Un partito dove il centro sia piccolo, ma robusto e presente luogo per luogo. Dove la base sia radicata nel territorio, ma adotti metodi di mobilitazione e di decisione moderni. Forte nei legami emotivi fra i suoi membri, ma proiettato al di fuori, per intercettare una cittadinanza attiva sempre più autonoma. Diretto da un leader trascinatore - quando mai nella storia un partito ha 'sfondato' senza questo requisito? - ma che si confronti con un gruppo dirigente eccellente, selezionato dai risultati ottenuti nelle pieghe del paese. Che creda e pratichi il pluralismo delle idee, ma sia caparbiamente 'di sinistra', perché sa di essere la voce dei vulnerabili, della moltitudine di cittadini che non possono difendere con successo i propri diritti e interessi attraverso il mercato.

Poiché non abbiamo la verità in tasca. Poiché abbiamo imparato da Isaiah Berlin che 'essere di sinistra' significa riconoscere che i valori in cui crediamo possono confliggere gli uni con gli altri. Poiché il metodo di confronto acceso e informato in cui pure crediamo assume forma e può essere appreso solo usandolo. Poiché la sfiducia dei cittadini nei partiti e nello Stato è altissima e ognuno è pronto a fare la sua parte solo quando vedrà i fatti. Allora, questo partito nuovo abbiamo pensato di metterlo alla prova sul campo, in alcuni luoghi del paese, con l'obiettivo di 'convincerci per convincere'. Abbiamo individuato obiettivi concreti che toccano un pezzo della vita delle persone - un milione di cittadini, abbiamo contato - la cura degli anziani, le bonifiche, il lavoro, i rifiuti, la valorizzazione del paesaggio, l'immigrazione, la relazione eletti-elettori. E li stiamo perseguendo con la mobilitazione 'di testa e di pancia' di militanti del partito e di chiunque abbia deciso di crederci. In questo modo, con l'emozione di cambiare davvero le cose, noi mille abbiamo trovato la voglia di andare contro-corrente. Sia rispetto a chi - forte di incrollabili certezze - proclama i partiti istituzioni del passato o enuncia il proprio verbo su cosa dobbiamo fare, sia chi il partito lo concepisce o usa come un comitato elettorale o di potere.

Finiremo la sperimentazione a marzo 2015 e la tradurremo in una proposta per il vertice del partito. Ma la reazione dei quindici supervisori (da Piero Bevilacqua a Salvatore Settis) alla nostra Relazione intermedia ci dà già oggi un aiuto straordinario per capire e far capire meglio cosa stiamo facendo (e cosa non vogliamo fare) e come farlo con più efficacia nei mesi che ci restano.


Ce ne siamo resi conto discutendone per due giorni, in 45 fra quei mille, in un'Olimpiade - dal circolo Donna Olimpia in Roma che ci ha ospitato - segnata da un clima di grande passione e lucidità, che ci ha dato forza e allegria. Riassumerò allora ciò che i supervisori pensano usando le loro parole più vivide e scusandomi perché certo non farò loro giustizia, come non farò giustizia alle due giornate appena richiamate, che pure mi guidano. Considero qui solo le quattro critiche che possiamo definire 'esterne' (per una loro esposizione più dettagliata e per i 7 precetti su come proseguire la sperimentazione vai a www.luoghideali.it/quindici-teste):

    L'obiettivo dei Luoghi Idea(li) di Fabrizio Barca è sbagliato. L'obiettivo di 'rinforzare il fortino Pd' accrescendo la partecipazione dal basso e di 'sperimentare un processo di formazione pragmatica degli individui' è a un tempo 'insufficiente', di fronte al 'drammatico allontanarsi dei cittadini dalla politica' e sbagliato, di fronte a un 'vertice [del Pd] sfuggito a ogni controllo' e un 'Pd diventato... ventriloquo della destra'. La tattica interna al partito a cui questa scelta costringe il progetto produce un linguaggio 'prudentissimo', 'infarcito di astuzie verbali', 'democristiano d'antan' (Salvatore Settis)

Affido ai lettori giudicare il linguaggio della nostra Relazione. Mi interessa invece il dissenso sull'obiettivo. Questo dissenso - lo scrivo aderendo all'auspicio di Settis di avviare 'un'animata conversazione' (ma in pubblico, mi raccomando) - nasce a mio parere dal convincimento, suo e di altri, di sapere con certezza cosa sia giusto fare. Se così fosse, la strada faticosa di 'formare individui', lavorare dentro un'associazione, testare i valori su decisioni concrete, sarebbe effettivamente tempo perso. E invece noi, noi tutti, siamo maledettamente ignoranti. Abbiamo in testa alcune stelle polari e qualche strumento per seguirle. Ma per tornare a dare un partito adeguato alla sinistra è necessario un grande, consapevole, monitorato esercizio collettivo di autoapprendimento.

Anche fosse così, perché mai farlo dentro questo Pd? Perché, rispondo, è un'associazione in cui decine di migliaia di persone, pronte a intraprendere questa strada, regalano il proprio lavoro volontario, usando un patrimonio materiale (le sedi) e di idee che è anche loro. Perché il Pd è il solo contenitore democratico in circolazione che consenta di risolvere quello che Charles Sabel, nello scriverci, definisce il 'problema dell'uovo e della gallina': "Per cambiare un partito è necessario andare al di fuori di esso... ma per andare al di fuori è necessario avere almeno qualche forma di supporto dal partito stesso". Non opportunismo, ma principio di realtà, dunque. E, infine, perché l'egemonia liberista si è abbattuta sul Pd da ben prima della sua nascita, mescolandosi in modo perverso con il conservatorismo, e semmai ci sono oggi molte più possibilità di liberarsene che non quindici anni fa. Battendosi da dentro e da fuori.

"L'obiettivo è ok ma bisogna prendere il Palazzo d'Inverno". Il titolo è mio ma credo rende vivido lo sprito del messaggio di Roberto Cartocci, Piero Ignazi e alcuni altri, che invita a compiere il passo di una proposta nazionale alternativa, del lancio di un vero e proprio 'antagonismo politico'. Certo, rispondo io, il cambiamento richiede a un certo punto la proposta di un modello organizzativo e di un nuovo Statuto e un dialogo anche serrato con chi pratica strade diverse. Ma non è pensabile replicare l'errore iper-illuminista che condusse allo Statuto attuale del Pd, scrivendolo a tavolino.


Bisogna sperimentare, apprendere dalla pratica come modificare le regole del gioco e i sei mesi di esperienza ci dicono che gli obiettivi 'generali', che vadano oltre i singoli luoghi, pur con fatica e solo per il tempo di un esperimento, li può costruire una comunità di volontari dentro il Pd. E infine e soprattutto: cosa mai cambierebbe con la 'presa del palazzo' se essa non avvenisse sulle gambe di centinaia e migliaia di quadri formatisi dentro un modo diverso di essere partito? Nulla, è la mia risposta. Il che ci porta ai due messaggi che partono dal forte riconoscimento che sperimentare è indispensabile.

La sperimentazione è indispensabile ed è condizione necessaria della costruzione di un partito nuovo di sinistra, ma non è sufficiente perché il partito va da un'altra parte (Piero Bevilacqua, Juan Carlos De Martín, Isaia Sales)

"Come prendere il tè in una casa in caduta libera?" è stato il modo in cui, ricordando Alice nel paese delle meraviglie, abbiamo riassunto il problema durante le nostre 'Olimpiadi'. L'immagine di primo acchito non ci ha confortato. Se noi, il tè e la tazzina prendiamo il moto della casa ci ritroviamo dritti dritti nella degenerazione autoritaria o nell'evanescenza - scegliete voi - a cui è destinato il processo in atto: appagati di bere il tè (l'occhio aperto sul livello locale), saremo ciechi su dove è finita la casa (l'occhio sul mondo). Ma se noi, il tè e la tazzina abbiamo una nostra forza autonoma allora possiamo invertire quel moto. E se è vero che in questi ultimi mesi si è chiuso lo spazio nel Pd fra il 'partito ditta" e il 'partito presidenzialista', questo è in realtà un bene, perché toglie l'idea che il 'partito palestra' sia un compromesso fra i due. Niente affatto. Il partito palestra scardina vecchie e nuove burocrazie, vetero-feudali o neo-imperiali che siano. E apre davvero a un mondo dove il volontariato politico sia di chi ha la conoscenza e la passione civile per cambiare le cose. Ma per arrivare in porto abbiamo bisogno di tempo. Noi ci siamo presi fino a marzo 2015, per un primo stadio. Che ci consentirà di formulare una proposta all'intero partito, sulla base dei risultati che avremo ottenuto. Per provare a 'convincere'. Poi valuteremo come proseguire la strada.

Usciamo dai primi sei mesi con un convincimento più forte di prima. Che non ci sono alternative alla sperimentazione. Ispirati dal richiamo di Bevilacqua ai "Senatori e tecnici di Venezia in pieno Cinquecento" alla prova degli equilibri della laguna, andremo avanti con doppia energia 'a titolo d'esperimento'. Senza cedere a nessuna Sirena. Ma sentendo e guardando, approfondendo il metodo. E allargando il raggio, nel partito e fuori, dove arrivare con il nostro lavoro. Luogo per luogo. Arriverà poi, diciamo a Ignazi e a tutti, il 'passaggio ulteriore'. Dopo il 30 marzo. Valuteremo la situazione, la posizione della casa (il Pd) e le nostre argomentazioni, per decidere come mettere sul tavolo del vertice nazionale del partito i risultati e le proposte finali del progetto.

Da - http://www.huffingtonpost.it/fabrizio-barca/matteo-renzi-fabrizio-barca-pd_b_6013190.html?utm_hp_ref=italy


Titolo: Fabrizio BARCA. Convincersi per convincere: quindici teste e un’olimpiade
Inserito da: Admin - Ottobre 23, 2014, 11:41:39 am
Convincersi per convincere: quindici teste e un’olimpiade
Pubblicato in: Il blog   il 20 ottobre 2014 da Staff Fabriziobarca.it
Convincersi per convincere: quindici teste e un’olimpiade   

Gran parlare di partito. Anzi di PD. Poco importa che il confronto sia iniziato da un dato poco significativo. Sta ai cittadini svegli non sprecare l’occasione facendosi “incartare” in vacue diatribe tipo “liquido-solido” o “pesante-leggero”. Per noi mille volontari (1000) del progetto Luoghi Idea(li) è l’occasione per condividere, a metà del guado, i risultati della sperimentazione di un partito moderno che stiamo conducendo proprio nel PD. E per capire che ne pensano “quindici teste” che generosamente si sono misurate col nostro lavoro dando corpo – lo capirete dalla vivacità dei commenti – a quell’idea di un “monitoraggio indipendente e pubblico” che è la chiave di un salto in avanti delle nostre democrazie.

Abbiamo in testa un PD palestra di idee e di gruppi dirigenti, che si batta e lavori in ogni angolo del paese perché l’inversione di tendenza divenga realtà, non tanto nelle regole quanto nei comportamenti. Un partito dove il centro sia piccolo, ma robusto e presente luogo per luogo. Dove la base sia radicata nel territorio, ma adotti metodi di mobilitazione e di decisione moderni. Forte nei legami emotivi fra i suoi membri, ma proiettato al di fuori, per intercettare una cittadinanza attiva sempre più autonoma. Diretto da un leader trascinatore – quando mai nella storia un partito ha “sfondato” senza questo requisito ? – ma che si confronti con un gruppo dirigente eccellente, selezionato dai risultati ottenuti nelle pieghe del paese. Che creda e pratichi il pluralismo delle idee, ma sia caparbiamente “di sinistra”, perché sa di essere la voce dei vulnerabili, della moltitudine di cittadini che non possono difendere con successo i propri diritti e interessi attraverso il mercato.

Poiché non abbiamo la verità in tasca. Poiché abbiamo imparato da Isaiah Berlin che “essere di sinistra” significa riconoscere che i valori in cui crediamo possono confliggere gli uni con gli altri. Poiché il metodo di confronto acceso e informato in cui pure crediamo assume forma e può essere appreso solo usandolo. Poiché la sfiducia dei cittadini nei partiti e nello Stato è altissima e ognuno è pronto (forse) a fare la sua parte solo quando vede i fatti. Allora, questo partito nuovo abbiamo pensato di metterlo alla prova sul campo, in alcuni luoghi del paese, con l’obiettivo di “convincerci per convincere”. Abbiamo individuato obiettivi concreti che toccano un pezzo della vita delle persone – un milione di cittadini, abbiamo contato – la cura degli anziani, le bonifiche, il lavoro, i rifiuti, la valorizzazione del paesaggio, l’immigrazione, la relazione eletti-elettori. E li stiamo perseguendo con la mobilitazione “di testa e di pancia” di militanti del partito e di chiunque abbia deciso di crederci. In questo modo, con l’emozione di cambiare davvero le cose, noi mille abbiamo trovato la voglia di andare contro-corrente. Sia rispetto a chi – forte di incrollabili certezze – proclama i partiti istituzioni del passato o enuncia il proprio verbo su cosa dobbiamo fare, sia chi il partito lo concepisce o usa come un comitato elettorale o di potere.

Finiremo la sperimentazione a marzo 2015 e la tradurremo in una proposta per il vertice del partito. Ma la reazione dei quindici supervisori alla nostra Relazione intermedia ci dà già oggi un aiuto straordinario per capire e far capire meglio cosa stiamo facendo (e cosa non vogliamo fare) e come farlo con più efficacia nei mesi che ci restano.

Ce ne siamo resi conto discutendone per due giorni , in 45 fra quei mille, in un’Olimpiade – ci divertiamo a chiamare così il seminario, dal circolo Donna Olimpia in Roma che ci ha ospitato – segnata da un clima di grande passione e lucidità, che ci ha dato forza e allegria. Riassumerò allora ciò che i supervisori pensano usando le loro parole più vivide e scusandomi perché certo non farò loro giustizia (e allora leggete gli originali sulla piattaforma: http://www.luoghideali.it/ ), come non farò giustizia alle due giornate appena richiamate, che pure mi guidano.
Una sperimentazione giusta? Necessaria? Sufficiente?

Considero prima le quattro critiche che possiamo definire “esterne”, ossia che si domandano: Ma l’obiettivo del progetto Luoghi Idea(li) è giusto? E’ raggiungibile? E sollevano dubbi, anche drastici. Che riassumo (ricorrendo a virgolettati) in quattro messaggi, andando dal più lontano al più vicino rispetto a ciò che noi mille “sentiamo”.

Critica n.1 – L’obiettivo è sbagliato. L’obiettivo di “rinforzare il fortino PD” accrescendo la partecipazione dal basso e di “sperimentare un processo di formazione pragmatica degli individui” è a un tempo “insufficiente”, di fronte al “drammatico allontanarsi dei cittadini dalla politica” e sbagliato, di fronte a un “vertice [del PD] sfuggito a ogni controllo” e un “PD diventato … ventriloquo della destra”. La tattica interna al partito a cui questa scelta costringe il progetto produce un linguaggio “prudentissimo”, “infarcito di astuzie verbali”, “democristiano d’antan” (Settis).

Affido ai lettori giudicare il linguaggio della nostra Relazione (“utilità del conflitto, se informato e aperto”, “rimozione [nel PD] della cultura del lavoro”, e cento altre frasi non mi paiono paludate). Mi interessa invece il dissenso sull’obiettivo. Questo dissenso – lo scrivo aderendo all’auspicio di Settis di avviare un’ “animata conversazione” (ma in pubblico, mi raccomando) – nasce a mio parere dal convincimento, suo e di altri, di sapere con certezza cosa sia giusto fare. Se così fosse, la strada faticosa di “formare individui”, lavorare dentro un’associazione, testare i valori su decisioni concrete, sarebbe effettivamente tempo perso. E invece noi, noi tutti, siamo maledettamente ignoranti. Abbiamo in testa alcune stelle polari e qualche strumento per seguirle. Ma per tornare a dare un partito adeguato alla sinistra è necessario un grande, consapevole, monitorato esercizio collettivo di autoapprendimento.

Anche fosse così, si chiede Settis, perché mai farlo dentro questo PD ? Perché, rispondo, è un’associazione in cui decine di migliaia di persone, pronte a intraprendere questa strada, regalano il proprio lavoro volontario, usando un patrimonio materiale (le sedi) e di idee che è anche loro. Perché il PD è il solo contenitore democratico in circolazione che consenta di risolvere quello che Sabel definisce il “problema dell’uovo e della gallina”: “per cambiare un partito è necessario andare al di fuori di esso… ma per andare al di fuori è necessario avere almeno qualche forma di supporto dal partito stesso”. Non opportunismo, ma principio di realtà, dunque. E, infine, perché l’egemonia liberista – qui uso proprio un argomento di Settis – si è abbattuta sul PD da ben prima della sua nascita, mescolandosi in modo perverso con il conservatorismo, e semmai ci sono oggi molte più possibilità di liberarsene che non quindici anni fa. Battendosi da dentro e da fuori.

Critica n.2 – L’obiettivo è OK ma bisogna prendere il Palazzo d’Inverno. “Partire dai territori si può e si deve” (Cartocci)… ma i progetti “non hanno massa critica e ricaduta politica … Fossero stati almeno cento”. Sono tollerati perché non “disturbano il guidatore” (Ignazi).”… non potranno mai per aggregazione sostituire un’iniziativa del centro … Non si può risalire dalle differenti periferie al centro” (Cartocci) “E’ possibile una mobilitazione cognitiva dal basso senza obiettivi cognitivi comuni, coerenti e condivisi “generali”, che vadano oltre i singoli, molteplici luoghi?” (Diamanti). “Va proposto un modello organizzativo” (Ignazi).

Il titolo è mio e coglie lo spirito del messaggio, che invita a compiere il passo di una proposta nazionale alternativa, del lancio di un “antagonismo politico” a chi oggi guida il partito. Certo, rispondo io, il cambiamento richiede a un certo punto la proposta di un modello organizzativo e di un nuovo Statuto e un dialogo anche serrato con chi pratica strade diverse. Ma non è pensabile replicare l’errore iper-illuminista che condusse allo Statuto attuale del PD, scrivendolo a tavolino. Bisogna sperimentare, apprendere dalla pratica come modificare le regole del gioco. I sei mesi di esperienza ci dicono che è ben possibile mobilitare conoscenze ed emozioni anche solo “simulando” l’esistenza di un centro nazionale. E infine: cosa mai cambierebbe con la “presa del palazzo” se essa non avvenisse sulle gambe di centinaia e migliaia di quadri formatisi dentro un modo diverso di essere partito ? Nulla, è la mia risposta.
Il che ci porta ai due messaggi che partono dal forte riconoscimento che sperimentare è indispensabile. Ma …

Critica n.3 – La sperimentazione è indispensabile, ma motore del cambiamento non è il partito, bensì la cittadinanza attiva … che si fa governo. La mobilitazione dei cittadini per influenzare le scelte pubbliche che li riguardano “non funziona” se i processi sono diretti dal partito, verso cui essi mostrano “sacrosanta diffidenza”. “Gli iscritti al partito faranno parte di tali processi a titolo individuale”. “Il partito in quanto tale” non può essere “motore del cambiamento”, agire da intermediario, ma ha il compito di assicurare che esistano gli spazi di pubblico confronto fra i cittadini organizzati e lo Stato. “La nuova leadership che nasce dal partecipare … può scegliere poi se candidarsi come parte del partito o in modo autonomo con liste ad hoc …”. Questo è il modo di uscire dalla crisi della democrazia. (Sclavi)

E’ il racconto chiaro di una strada diversa, che con la nostra condivide il metodo. Ma qui sono le organizzazioni di cittadinanza attiva (che si fanno governo) a usarlo. E’ una strada che ha prodotto “sindaci arancioni” e nuove esperienze, in piccole e grandi città del paese. Interessanti. Ma gli esiti sono ancora incerti. Assai incerti. Non per caso.

Perché, mancando il “motore” di un partito democratico, dotato di regole interne per decidere e rappresentare, la guida dei processi tende a scivolare – contro le migliori intenzioni – nelle mani di “saggi” che finiscono per accudire non solo il metodo ma le decisioni. Ovvero, nelle mani di leader auto-cooptati, come nelle peggiori versioni del partito-comitato-elettorale. E perché le organizzazioni di cittadinanza attiva per loro formazione e natura, decisive e indispensabili come sono diventate, rappresentano comunque interessi circoscritti, “locali”, mancando dell’aspirazione universale di un partito nazionale, che “è costretto” a guardare le cose da molteplici punti di vista, affrontando il tema del conflitto e del punto di equilibrio fra interessi diversi. Quando poi la “nuova leadership” della cittadinanza attiva si fa effettivamente partito, “siamo da capo a quindici”: un partito identificato con lo Stato, senza l’apertura esterna che solo un partito può avere.
Come prendere il tè in una casa in caduta libera

La sperimentazione è indispensabile ed è condizione necessaria della costruzione di un partito nuovo di sinistra, ma non è sufficiente perché il partito va da un’altra parte. “L’obiettivo di <<mi pare di ardua praticabilità”. Il tuo esperimento rischia di apparire come un tentativo solitario e personale mentre il partito va da un’altra parte” (Bevilacqua). “Come incrocia il dibattito di oggi sul partito <> e i suoi dirigenti reali che vanno in tutt’altra direzione?” (Sales). “la transizione da partito di iscritti a partito di elettori sta procedendo rapidissima … un esito in larga parte già prefigurato dallo Statuto del PD” (De Martin). “Lo so che a livello locale si possono sperimentare nuove modalità di rappresentanza democratica … senza scomodare i massimi sistemi. Ma … la passione [che pensi e pensiamo debba muovere la politica] è un sentimento universale che coinvolge le persone per intero, la quale non può avere un occhio aperto sul locale l’altro chiuso sul resto del mondo” (Bevilacqua).

Torna il tema del contesto in cui la sperimentazione ha luogo. Pur riconoscendo qui che sperimentare è indispensabile si sottolinea che il PD accelera in direzione opposta all’esperimento. “Come prendere il tè in una casa in caduta libera?” è stato il modo in cui, ricordando Alice nel paese delle meraviglie, abbiamo riassunto il problema durante le nostre “Olimpiadi”.

L’immagine di primo acchito non ci ha confortato. Se noi, il tè e la tazzina prendiamo il moto della casa ci ritroviamo dritti dritti nella degenerazione autoritaria o nell’evanescenza –scegliete voi – a cui è destinato il processo in atto: appagati di bere il tè (l’occhio aperto sul livello locale), saremo ciechi su dove è finita la casa (l’occhio sul mondo). Ma se noi, il tè e la tazzina abbiamo una nostra forza autonoma allora possiamo invertire quel moto. E se è vero che in questi ultimi mesi si è chiuso lo spazio nel PD fra il “partito ditta” e il “partito presidenzialista”, questo è in realtà un bene, perché toglie l’idea che il “partito palestra” sia un compromesso fra i due. Niente affatto. Il partito palestra scardina vecchie e nuove burocrazie, vetero-feudali o neo-imperiali che siano. E apre davvero a un mondo dove il volontariato politico sia di chi ha la conoscenza e la passione civile per cambiare le cose. Ma per arrivare in porto abbiamo bisogno di tempo. Noi ci siamo presi fino a marzo 2015, per un primo stadio. Che ci consentirà di formulare una proposta all’intero partito, sulla base dei risultati che avremo ottenuto. Per provare a “convincere”. Poi valuteremo come proseguire la strada.
6 precetti: come convincerci e convincere meglio

Tutte le altre osservazioni sono, come si dice, “interne” al nostro lavoro, ossia alla logica della sperimentazione come la sola strada possibile. Colgono la novità assoluta per l’Italia di un modo di procedere graduale e monitorato. La “spietata onestà” nel raccontare difficoltà e fallimenti, nel descrivere lo “strenuo e faticoso remare contro corrente” e le “resistenze ideologiche e esistenziali e di risultati sui quali aleggia il timore che appena ti volti tutto torna come prima” (Sclavi); o gli ostacoli derivanti da un contesto segnato da “litigi interni al partito e [da] una generale disaffezione per la politica” (Saraceno). “La dedizione e l’ingegnosità dei partecipanti” (Sabel). “La vasta aggregazione di forze che viene tentata” (Biasco). Dopodiché, avendo letto in profondità non solo il Rapporto generale ma le Relazioni dei singoli luoghi – grazie ! – i nostri supervisori ci danno suggerimenti importanti su come procedere. Che così riassumo:

Né subire, né imporre valori e preferenze. Nell’affrontare il tema dei valori, evitate di schiacciarvi in uno dei due seguenti errori: “una tabula rasa valoriale” in cui da sondaggi, interviste, questionari si ricavano preferenze con un atteggiamento passivo, quasi senza entrare nelle motivazioni e nella ragionevolezza – scriverebbe Sen – di tali preferenze; o al contrario ”l’imposizione di valori ai cittadini che devono essere informati o sensibilizzati, senza mettere a repentaglio la tenuta di tali valori”(Granaglia). E allora: “più interviste sulla base di storie di vita”, da cui emerga come quelle preferenze si sono formate.(Sclavi). D’accordo. Ci proveremo con impegno.

Demolire con più durezza i rituali partecipativi del vecchio partito di massa. Enfatizzare che “una normale assemblea non è il luogo adatto per l’ascolto reciproco e per inventare soluzioni creative di mutuo gradimento”; dare più spazio nelle plenarie ai lavori dei piccoli gruppi” (Sclavi) Sono esempi del vasto armamentario di un nuovo modo di partecipare, decidere e interagire con le istituzioni che non può restare relegato a momenti episodici pur simbolicamente importanti – si pensi al messaggio innovativo della Leopolda – ma diventare prassi quotidiana ordinaria. E che Luoghi Idea(li), come altre esperienze contigue, possono narrare al resto del PD. Lo faremo.

Fare più francamente i conti con l’emotività. “La mobilitazione cognitiva si mostra essere anche emotiva; e dunque deve imparare a fare i conti con/gestire con sapienza dinamiche di gruppo, abbandoni, dovuti a resistenze e rimozioni” (Rossi Doria). D’accordo, lo stiamo imparando.

Tradurre l’obiettivo del progetto in un simbolo. “Va individuato entro un determinato periodo di tempo un (1) << artefatto simbolico-operativo>> che sia capace di catalizzare attenzione e operatività” . Durante le “Olimpiadi” abbiamo giudicato che il tempo fosse maturo per scegliere per ogni luogo il simbolo appropriato e farne il riferimento verificabile di cosa il progetto potrà lasciare, e dunque del racconto di come ci saremo riusciti (o no !). Vedrete presto …

Estrarre più informazioni da ogni processo, per usarlo davvero come prototipo. Visto che il progetto di ogni luogo ha l’ambizione di essere “idealtipico”  (Diamanti), allora dobbiamo “chiedere maggiori informazioni”: “i progetti non tentano “di spiegar, successi e fallimenti e soprattutto le scoperte che lasciano interdetti o di stucco” (Sabel). Sin dall’inizio abbiamo aperto e compilato “Diari di Bordo”, proprio con questo intento. Ma dobbiamo lavorarci meglio, con queste domande in testa, con ancora più franchezza, con metodo. E lo stesso vale per la valutazione nazionale … Per capire se l’esperienza sta davvero selezionando classe dirigente bisogna chiedersi dal livello nazionale se “i gruppi si sono arricchiti di nuovi membri e/o ne hanno perso per strada”. E bisogna indagare l’efficacia dei progetti in modo diversificato a seconda che essi siano prevalentemente “strumento di innovazione sociale ovvero promotori di innovazioni nella soluzione di problemi collettivi”, e a seconda che il successo sia legato alla replicabilità della soluzione in altri luoghi ovvero del metodo impiegato nello stesso luogo (Dente)+

Incontrarsi in fraternità per discutere i 15 “valori di sinistra” identificati da Luoghi Idea(li). Occorre dare più rilievo, anche nella piattaforma, alle 15 proposizioni sui valori di sinistra identificate nel progetto, poiché articolano “un’idea convincente e profonda di sinistra”, “non possono in alcun modo essere date per scontate nel PD del 2014” e dovrebbero essere il punto di partenza di incontri promossi nei Luoghi Idea(li) per “leggere e commentare assieme testi rilevanti”, aperti a studiosi e a chi è interessato (DE Martin). Un’ipotesi che vorremmo davvero realizzare SE ci verranno in soccorso le forze intellettuali aggiuntive per farlo.
In conclusione: “a titolo d’esperimento” verso “un passaggio ulteriore”

Usciamo dai primi sei mesi e dalla prima tornata di reazioni sui nostri Rapporti con un convincimento più forte di prima. Che non ci sono alternative alla sperimentazione.
Ispirati dal richiamo di Bevilacqua ai “senatori e tecnici di Venezia in pieno Cinquecento” alla prova degli equilibri della laguna, andremo avanti con doppia energia “a titolo d’esperimento”. Senza cedere a nessuna Sirena. Ma sentendo e guardando, con le mani libere, i suggerimenti di grande aiuto che ci avete dato e ci darete. Approfondendo il metodo. E allargando il raggio, nel partito e fuori, dove arrivare con il nostro lavoro. Luogo per luogo.
Arriverà poi, diciamo a Ignazi e a tutti, il “passaggio ulteriore”. Dopo il 30 marzo. Valuteremo la situazione, la posizione della casa (il PD) e le nostre argomentazioni, per decidere come mettere sul tavolo del vertice nazionale del partito i risultati e le proposte finali del progetto.

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Titolo: Fabrizio BARCA. Tutto va ben madama la marchesa?
Inserito da: Admin - Novembre 25, 2014, 04:31:51 pm
Crollo dei votanti alle Regionali, un brutto segnale per la democrazia.
Tutto va ben madama la marchesa?

Pubblicato in: Il blog   il 24 novembre 2014 da Staff Fabriziobarca.it

“Tutto va ben madama la marchesa” … o quasi: questa è la reazione dominante delle classi dirigenti del paese di fronte al crollo del numero di votanti in Calabria e soprattutto in Emilia-Romagna. “In Emilia-Romagna? Beh, ma cosa ti aspettavi dopo gli scandali! In Calabria? Ma, «loro» votano pure in troppi (un po’ di razzismo non fa mai male)! E poi senza opposizione credibile … perché andare a votare? E, per dircela fra di noi, è un bene che a votare siano in meno … come in tutti i «paesi civili»”.

Intendiamoci. Prima di tutto un augurio ai neo-Presidenti eletti, e la speranza che in Calabria sia l’inizio del cambiamento: quella terra può farcela. Ma a livello nazionale il tema è un altro. Nessuno deve nascondere la testa sotto la sabbia. Alla marchesa della canzone dobbiamo spiegare perché il marito si è suicidato e perché la casa è andata a fuoco.

Il crollo dei votanti non è, caro Pierluigi (Battista) – che hai il merito di essere allarmato –, la “reazione ritorsiva dei corpi intermedi”, ma la “reazione ritorsiva dei cittadini disintermediati”. E delusi anche dall’ultimo tentativo, quello (per versi generoso, per versi autoritario) di Cinque Stelle, di offrire loro una “relazione diretta con il Palazzo”. I fatti sono chiari. Fra Stato e cittadini, singoli o organizzati, si è aperta da tempo una faglia che ora si allarga. Perché, ovunque, trenta anni di liberismo hanno minato la capacità dello Stato di rispondere in modo discrezionale e partecipato ai bisogni dei cittadini. Perché in Europa ciò è aggravato dall’insostenibilità di un’Unione Monetaria che non si completa in Unione Politica. Perché in Italia pesa uno Stato normo-centrico che non presidia l’attuazione degli interventi, succube di azzeccagarbugli e progettifici, incapace al suo interno di premiare il merito; uno Stato a cui i cittadini si rivolgono per “aiuto”, non per fare valere diritti, e che dunque essi disprezzano. E perché, unici nel mondo occidentale, abbiamo preso sul serio l’idea che “i partiti sono un residuo del novecento”; abbiamo vissuto la loro identificazione con lo Stato (e la corruzione e decadimento che ne sono discesi) come l’annuncio della loro fine, non come il campanello di allarme per la loro ricostruzione.

Barca 2
La rinunzia al diritto di voto avviene in misura assai più grave che in contesti simili di Germania o Spagna, simile solo a quella statunitense o britannica (guardatevi i numeri, ne vale la pena). Ma soprattutto da noi è ben più pericolosa. Per tre ragioni. Perché, soprattutto nei paesi anglosassoni, ai cittadini viene offerta la possibilità di giudicare i propri eletti sulla base dei risultati del loro operato, e di punirli, disertando i loro servizi: un metodo che produce ineguaglianza, ma che risponde a criteri almeno astratti di giustizia. Perché in altri paesi – si pensi alla Germania – ai cittadini e ai lavoratori sono offerte e riconosciute piattaforme di partecipazione che “li tirano dentro” nei processi decisionali; e che essi hanno imparato a usare. Perché solo da noi incombe l’Anti-Stato, ossia la criminalità organizzata: quando annusa il distacco fra Stato e cittadini, si fa avanti con i propri “servizi”; come avviene in questi giorni.

E allora, si eviti, per carità, di minimizzare questo brutto giorno della democrazia italiana. E se ne eviti anche un uso strumentale, addossando la responsabilità solo alle nuove classi dirigenti che guidano il paese, come se l’ideologia della semplificazione, del partito leggero, del leader che dialoga con i cittadini, della demolizione dei corpi intermedi non costituiscano la farina dell’ultimo ventennio. E si prenda di petto il tema di ricostruirli, questi benedetti partiti. Il PD ha l’occasione di farlo. Porteremo nella Commissione di studio che il Partito ha avviato il contributo dei mille volontari che, consapevoli dei propri limiti, ma anche della propria forza, stanno sperimentando una nuova forma di partito, proprio nel PD (http://www.luoghideali.it/quindici-teste/). Leggete e fate leggere!

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Titolo: Fabrizio BARCA. Partiamo a gennaio con un'inchiesta sui circoli Pd
Inserito da: Admin - Gennaio 01, 2015, 11:07:09 am
Dopo Mafia Capitale basta al partito feudale.
Partiamo a gennaio con un'inchiesta sui circoli Pd

Pubblicato: 26/12/2014 11:51 CET Aggiornato: 5 ore fa

I gravi fatti di collusione fra amministrazione, partiti e criminalità venuti alla luce a Roma e che coinvolgono il Partito Democratico hanno natura fisiologica, prima che patologica. Essi derivano infatti da due fenomeni concomitanti di lungo periodo: l'accumularsi di errori nell'azione pubblica di governo della città; la progressiva trasformazione del partito in una "macchina per il bilanciamento del potere" priva di riferimento a una visione della città e a un progetto politico.

L'interazione fra indebolimento dell'azione pubblica e perdita di visione e autonomia dei soggetti politici ha prodotto un rapporto perverso tra amministrazione e partito. Il partito non serviva più a raccogliere e traghettare fabbisogni, idee e possibili soluzioni dalla comunità di iscritti e cittadini agli amministratori, a tenere questi ultimi sotto controllo; il partito serviva ora a stabilire rapporti privilegiati e chiusi con gli amministratori. E' in questo schema che si sono formate e diffuse posizioni di rendita e si è poi incuneato il crimine. Nel partito sono venute meno la volontà e la capacità di comprendere e di connettersi con i fermenti innovativi della società romana, di costruire con loro una visione del futuro, di attrarli per rinnovarsi.

L'insieme di questi comportamenti ha tolto credibilità e ha spesso reso invisibile il lavoro di centinaia e centinaia di iscritti e volontari che nel PD continuavano e continuano a credere come comunione di valori e di impegno per cambiare in meglio le cose. E' proprio questo lavoro, svolto nella fiducia che il "cambiamento" non possa tardare, che nell'ultimo voto cittadino ha introdotto importanti elementi di rinnovamento nella guida dei Municipi e del Comune, erigendo una difesa contro la deriva clientelare e affaristica. Ma la dominanza del partito feudale, il tempo che le sue pratiche sottraggono all'impegno nella società, le distorsioni che esso produce, impediscono che i progetti di cambiamento facciano rete, maturino nel metodo, divengano prototipi del nuovo.

Da questa lettura discende una conseguenza per tutti noi che il partito vogliamo cambiarlo. Rimuovere dal Partito Democratico le "mele marce" senza costruire un metodo di lavoro del partito e una sua visione sul futuro e sul governo della città e dei municipi si rivelerebbe atto di corto respiro, destinato a essere presto seguito - nella consueta sorpresa generale - da una recrudescenza dei fenomeni degenerativi.

All'indispensabile azzeramento delle iscrizioni a cui non corrispondano motivazioni congrue con gli obiettivi del partito stesso e quella "partecipazione attiva" prevista dallo Statuto del PD (art 2, comma 7) - intervento che spetta alla struttura straordinaria designata dagli organi nazionali - è indispensabile che si affianchi allora una riflessione sulla missione del partito, sulla sua organizzazione, sui suoi raccordi con la società e con il governo della città. E' necessaria una "mappatura" dei punti forza e di debolezza, del buono e del cattivo, dei singoli circoli della città. E' questo il compito che il Commissario del PD romano Matteo Orfini ha affidato a Luoghi Idea(li)

L'indagine sui circoli del Pd che stiamo preparando, che condurremo fra la terza decade di gennaio e la fine di aprile 2015 e i cui esiti verranno resi pubblici in formato open a fine maggio, deve rispondere alla domanda che molti, dentro e fuori il PD, oggi si pongono: è ricostruibile un partito utile ai cittadini? Ci sono davvero punti di forza da cui ripartire? E come? Il partito degenerato è battibile? E come? Ma è davvero utile investire ancora in un partito? Nel PD?

Per tentare una risposta faremo riferimento a due modelli di partito, che il progetto Luoghi Idea(li) ci ha aiutato a identificare e che possono convivere sotto lo stesso tetto: per semplicità, il "partito buono" e il "partito cattivo". Li distinguono almeno cinque caratteri che le seguenti domande consentono di cogliere: Il partito è ospitale o autoreferenziale? Lotta o "traffica" per gli interessi dei cittadini? Controlla e stimola gli eletti e gli amministratori o li "copre? Mette i propri candidati in una casa di vetro o li "vende senza garanzia"? Interpreta nel territorio battaglie di cambiamento nazionali ed europee o "pesta l'acqua nel mortaio"?

E' ben evidente che in una grande associazione-partito tutto si tiene. E che è difficile essere "partito buono" in ogni singolo circolo se questo non è il modello prevalente. Ma non ci sono più alibi. Nessuno di noi ha più alibi. E' infatti anche vero che il "partito buono" non si affermerà mai se non si crea una massa critica di circoli che inizi a praticarlo. Il rinnovamento nasce attraverso un processo complesso che muove a un tempo dal basso e dall'alto. Questo vale per tutto il paese. E dunque ha ben senso ricercare nei circoli di una grande città, addirittura della capitale del paese, l'esistenza di quei caratteri. Per non mortificare ancora una volta chi nonostante tutto ha ben lavorato. Per ripartire senza ricominciare da capo.

Da - http://www.huffingtonpost.it/fabrizio-barca/senza-alibi-il-cambiamento_b_6381556.html?1419591121&utm_hp_ref=italy


Titolo: Fabrizio BARCA. Il Pd romano. Conoscerlo per ripartire
Inserito da: Admin - Marzo 19, 2015, 05:51:14 pm
Il Pd romano. Conoscerlo per ripartire

A circa tre mesi dall’inizio del lavoro, il gruppo di MappailPd è a metà della ricognizione. Gli incontri con i circoli del Pd romano hanno finora restituito un panorama solo in parte prevedibile, che fa intravedere  le opportunità e le sfide di un rinnovamento: i dati raccolti tramite questionario e intervista renderanno conto della varietà che va emergendo. Insieme alla relazione, troverete nel blog una mappa  dei circoli visitati e soprattutto delle aree-circolo: un’approssimazione della sfera di responsabilità diretta di ogni circolo territoriale del Pd romano. Un’ipotesi di lavoro che è aperta al contributo dei circoli e alle loro segnalazioni.

Nella prima settimana di dicembre 2014 il gruppo Luoghi Idea(li) ha accettato l’incarico del Commissario del PD di Roma Matteo Orfini di realizzare una ricognizione profonda, una “mappatura” dei punti di forza e di debolezza dei singoli circoli PD della città di Roma. Della loro capacità di rappresentare i bisogni e le idee dei cittadini, specie della parte più vulnerabile della città; di attrarre giovani e competenze e di sollecitare l’impegno anche dei non iscritti; di adottare metodi nuovi di partecipazione e confronto; di costruire soluzioni da proporre a chi esercita funzioni di governo; di monitorare e sollecitare in modo autonomo l’azione pubblica; di essere organizzati. Ma anche della distanza dai cittadini e dai loro bisogni; della cattura da parte di interessi esterni; di come si costruisce un feudo; in virtù della volontà di controllo di quale area di politica pubblica (e come questo limita, indebolisce e inquina la vita dei circoli); o anche solo della rinunzia a un ruolo autonomo da chi governa; o di ripetizione di riti stanchi, non ospitali, noiosi, o dell’incapacità di organizzarsi.

Il programma di lavoro è stato pubblicato il 26 dicembre 2014. Dopo alcune audizioni preliminari, è stato costituito un gruppo di ricerca composto da 31 persone: oltre al gruppo Luoghi Idea(li), si tratta di ricercatori (e studenti) volontari dell’Università e di altre istituzioni, che hanno lavorato alla costruzione del questionario da sottoporre a 110 circoli territoriali. E’ stata identificata una “perimetrazione di responsabilità” dei circoli territoriali stessi, che abbiamo chiamato area-circolo, e costruito una base dati per descrivere il contesto economico-sociale-demografico-elettorale di ognuna di queste aree. Poi è partita la rilevazione.

Fino a oggi sono stati effettuati oltre 40 incontri in altrettanti circoli (oltre alle 6 “interviste prova” in cui è stato testato il questionario): incontri che hanno come interlocutore il coordinatore e l’intero coordinamento (in media, 15 persone presenti). La verifica e la revisione di coerenza dei dati raccolti è iniziata. L’elaborazione dei risultati e la loro analisi avranno luogo nel mese di maggio, una volta concluso il ciclo di interviste. Gli esiti del lavoro saranno resi pubblici in formato di open data. Potranno dunque essere consultati e usati dal Commissario per le sue valutazioni e determinazioni, da tutti gli iscritti (vecchi e nuovi) come materiale per il Congresso che seguirà, dai cittadini tutti per formarsi un convincimento. Servirà in generale come strumento per quel “confronto aperto, acceso e informato”, che è la condizione per compiere scelte giuste.
Il monitoraggio quotidiano di quello che stiamo facendo si potrà seguire d’ora in poi sulla mappa del sito dove Roma è suddivisa nelle 110 aree-circolo.
I primi segnali: alla ricerca della strada giusta

L’adesione al progetto ha finora segnalato due fatti rilevanti.
La forte risposta di studenti e ricercatori delle diverse Università e istituzioni della città conferma, in primo luogo, l’interesse che il mondo giovanile ha per la “politica” quando questa è ospitale, professionale, aperta. Un partito che – come ha fatto il PD nel caso di Roma – sa affrontare una vicenda grave, investendo le proprie strutture non solo con provvedimenti rigorosi ma anche aprendosi all’analisi e interrogandosi su come riformarsi, attrae l’interesse anche di chi non ne condivide le scelte. E’ un atto di “straordinaria normalità”. È un’occasione per apprendere.

Interessante è poi la reazione all’interno dei circoli. L’iniziale forte sospetto – “si svia sulla base un’indagine che dovrebbe riguardare i vertici” – tipico di un partito che (scottato da pessimi esempi) vede trame ovunque, e la chiusura – “ma cosa vogliono questi professorini?” – figlia dell’autoreferenzialità di comunità chiuse, appaiono scalfiti dalla franchezza dell’indagine. Guadagna consensi l’idea che l’intervista non sia mirata a cercare capri espiatori ma sia davvero volta a identificare, circolo per circolo, l’“idea (o idee) di partito” che quel circolo interpreta. La presenza di un “soggetto esterno” – gli intervistatori – appare come l’occasione per ingaggiare un confronto aperto attorno alla domanda: “ma nel quartiere il circolo a cosa serve davvero?”. Molti mantengono dubbi sull’utilizzo che si riuscirà davvero a fare dei risultati dell’indagine per ricostruire il PD romano. Ma l’impegno secondo cui la mappatura sarà restituita in modo pubblico e aperto, viene percepito come garanzia dell’equilibrio del lavoro e del fatto che tutti potranno interpretarla secondo i propri schemi.
Una cosa appare chiara. Nell’incertezza non solo italiana su come adattare la forma partito a una società in profondo cambiamento, e nella consapevolezza che guadagna adepti ogni giorno che il Pd ha bisogno di ridefinire il ruolo degli iscritti e la sua organizzazione territoriale, ogni collettivo dà e interpreta una risposta diversa. Per ricostruire il partito di Roma – e non solo – è necessario che queste risposte vengano alla luce e si confrontino in un rapporto a rete che è mancato in questi anni, mentre dominava l’uso pletorico degli organi assembleari. In questo confronto i peggiori saranno messi a repentaglio perché avranno difficoltà a reggere il confronto sul merito.
Il “partito buono” e il “partito cattivo”

Ma quanto “partito buono” e “partito cattivo” abbiamo sinora scoperto? È una domanda a cui non è possibile rispondere fino a che non avremo intervistato l’ultimo circolo e riletto l’insieme dei risultati: “nulla è chiaro finché non è tutto chiaro”.

Il motivo è semplice. Nel documento di avvio del lavoro abbiamo definito “buono” e “cattivo” in base a cinque caratteri: ospitale o autoreferenziale; che lotta o che traffica per gli interessi dei cittadini; che controlla/stimola o copre gli amministratori pubblici; che mette in una casa di vetro i candidati o li “vende senza garanzia”; che interpreta nei territori le scelte nazionali o ne “chiacchiera”. Bene. Come era prevedibile, nella realtà dei fatti questi caratteri si mescolano con gradi e forme diverse, dando vita a molte tipologie: ogni intervista aggiunge informazioni indispensabili per capire questi tipi, per evitare l’errore di facili catalogazioni. E’ poi emersa la necessità di arricchire i caratteri con due tratti: esiste o non esiste un’organizzazione? (Sì, perché in alcuni casi non esiste). E, se esiste, si tratta di un’organizzazione adeguata ai tempi?

Certo, si vanno delineando, a un estremo, i tratti di un partito non solo cattivo ma pericoloso e dannoso: dove non c’è trasparenza e neppure attività, che “lavora per gli eletti” anziche’ per i cittadini e dove traspaiono deformazioni clientelari e una presenza massiccia di “carne da cannone da tesseramento”. Ma bisogna essere attenti a distinguerlo dal partito che subisce inane lo scontro correntizio, le scorribande dei capibastone, e che svolge un’attività territoriale, ma senza alcuna capacità di raggruppare e rappresentare la società del proprio quartiere.

Certo, si trovano, all’altro estremo, i segni di un partito davvero buono, che esprime progettualità, capacità di raggruppamento e rappresentanza, che ha percezione della propria responsabilità territoriale, sa agire con e sulle istituzioni, è aperto e interessante per le realtà associative del territorio e sa essere esso stesso associazione (inventando forme originali di intervento), informando cittadini, iscritti e simpatizzanti. Al contempo bisogna essere attenti a distinguerlo dal partito che lavora sodo e ha quegli obiettivi, ma a cui manca il metodo moderno per farcela, una tipologia difficile da valutare e che, per il peso delle correnti e di una logica generale di assoggettamento del partito agli eletti, ad alcuni potrebbe addirittura apparire come un “partito cattivo”.

E poi emerge una sorta di partito dormiente, dove si intravedono le potenzialità e le risorse per ben lavorare, e dove il peso di eletti e correnti è sfumato, ma che si è chiuso nell’autorefenzialità di una comunità a sé stante, poco aperta all’innovazione organizzativa, al ricambio, al resto del territorio. E qui l’analisi dei risultati che stiamo trovando dovrà essere ancor più attenta. Se infatti il partito romano che questa indagine può aiutare a costruire nascerà dalla messa in rete e, quando opportuno, dall’accorpamento delle realtà che “hanno qualcosa di utile da mettere in campo”, si dovrà essere attenti a dare forza e voce e strumenti di rete a ogni risorsa che possa contribuire al cambiamento. Ma senza imbarcare tutto.

Qualche esempio, ancora
I sintomi del “buono” e del “cattivo” spesso si nascondono nelle pieghe del confronto. Può accadere, ad esempio, che un circolo stia impiegando metodi innovativi ma che non ne abbia piena consapevolezza, vittima di un racconto distorto di quel che è “fare politica”. Viceversa, un partito consapevolmente in malafede può simulare, immaginando di sapere come sia opportuno apparire. Ed è lì che ci si può imbattere in direttivi improvvisati, bacheche appese all’ultimo minuto o locandine seriali create per l’occasione.

Situazioni a dir poco particolari si possono fotografare già in occasione della prima telefonata di contatto: lì c’è infatti chi “provace a venì qui che poi vedemo”, chi “ho da fare fine a primavera”, ma anche chi … “finalmente ci avete chiamato!”.

Le vere sorprese arrivano però con gli incontri: dalle realtà da “200 tessere in due ore” a quei circoli talmente schiacciati sull’amministrazione (Municipio o Comune che sia), da esser orfani di un pensiero proprio, ben lungi dal ruolo di “pressione” che dovrebbe caratterizzare il lavoro del partito. E’ lì che la filiera degli eletti viene allora alla luce nei comportamenti remissivi di alcuni, in perfetto stile “burocrazia romana”. Magari convivendo nello stesso luogo con l’impegno convinto di altri iscritti, dove l’intenzione di ben lavorare è inequivocabile … perché “nonostante tutto, io non mi rassegno mica”.

E se in alcuni casi (pochi) si presentano gruppi a tal punto coesi (“un sol uomo”) da rendere più ardua la conoscenza dei fatti, in molti altri il confronto interno appare vivace. Si tratta allora di distinguere fra la discussione di merito, accesa e informata (su come “cambiare le cose”), e la disfida fra filiere correntizie. L’indagine in corso sta cercando di gettare luce anche su questo controverso confine.
Siamo partiti da alcune audizioni

Prima di partire abbiamo ascoltato gli ultimi tre segretari del Partito Democratico di Roma: Riccardo Milana, Marco Miccoli e Lionello Cosentino. Gli incontri hanno aiutato a ricostruire modalità, tempi e ragioni del collasso del Partito Democratico romano. Sono state discusse le fasi di questo lungo processo: la gestione della fusione fredda di Margherita e Democratici di Sinistra di Roma (dei gruppi dirigenti e delle realtà territoriali), la riorganizzazione del partito romano e l’impatto su di esso di vicende locali e nazionali, l’arresto progressivo delle funzioni di coordinamento centrale e il tentativo recente di riorganizzazione. Ci è servito per entrare nel ruolo.
Il gruppo di lavoro: volontariato e professionalità

Il gruppo di lavoro di Mappailpd (vedi Allegato 1) è stato formato in due fasi: dall’11 dicembre al 23 dicembre 2014 e nella seconda metà di gennaio. Con esclusione del gruppo di coordinamento, le risorse coinvolte nel progetto di mappatura sono tutte forze volontarie. Si tratta di esperti di risorse umane, organizzazione aziendale, urbanistica, comunicazione, coordinamento organizzativo, economia, ricerca sociale, statistica, geografia.

Il questionario da vicino
Il questionario è il principale strumento di rilevazione a disposizione di Mappailpd. E’ composto da 49 domande principali (e ulteriori domande secondarie e di “specifica”), suddivise in sei aree.

    vita del circolo: dimensione economica, di partecipazione, di apertura al pubblico e agli iscritti; andamento del tesseramento; composizione del coordinamento;
    attività politica generale: analisi quantitativa e qualitativa delle iniziative svolte nel biennio 2013/2014 su temi territoriali, nazionali e internazionale; collaborazione con altri circoli territoriali e associazioni locali;
    elezioni e congresso: analisi del voto delle comunali del 2013 e delle iniziative elettorali; analisi del Congresso cittadino;
    lavoro nel territorio e progetti: le attività progettuali rivolte in modo specifico a migliorare la qualità di vita del territorio;
    rapporto con l’amministrazione pubblica: analisi delle modalità attraverso le quali il partito territoriale raccoglie, elabora e “restituisce” alle amministrazione le domande dei cittadini;
    domande aperte: spazio “semi-aperto” di discussione sul partito.

Nella conduzione delle interviste i gruppi di intervista si avvalgono di una Scheda-circolo prepreparata che contiene informazioni quantitative e qualitative (cfr Allegato 2).
Ma cosa sono le aree-circolo?
La stessa ragione d’essere del “partito del territorio” sta nella missione di raggruppare e rappresentare i cittadini del territorio attorno ai propri valori e alla propria visione di cambiamento possibile, non solo del paese ma del “luogo” in cui il partito del territorio opera. E’ un compito da realizzare ogni giorno, nella vita quotidiana, per far pesare i cittadini sulle decisioni pubbliche. E poi, su questa base, da attuare al momento del voto per convincere i gruppi rappresentati a dare al partito il consenso elettorale.

Non a caso, dunque, ogni circolo territoriale del PD ha fra i suoi compiti la “responsabilità elettorale” di un certo numero di “sezioni elettorali”, alle quali corrispondono liste di cittadini che vivono in determinate strade (o porzioni di strada) della città. Quindi ogni circolo territoriale del PD ha la responsabilità anche formale di una porzione di territorio, secondo le attribuzioni individuate anni fa dalla Federazione romana. Per comprendere quello che un circolo fa davvero e come, è dunque necessario capire se e come si cala in questo territorio. Se questa responsabilità non è avvertita, se i confini del “territorio di responsabilità” sono confusi o limitati rispetto all’incarico, è già questo un segno del venir meno della funzione del partito territoriale. Così come una responsabilità che appaia debordare dai confini segnati dall’incarico ricevuto indica problemi nel disegno cittadino del partito.

Ogni ricostruzione del PD e ogni ridisegno della sua mappa deve dunque passare per questa lettura territoriale, per un’eventuale ridefinizione dei confini territoriali di responsabilità. Per queste ragioni, grande impegno è stato posto nell’approssimare al meglio delle informazioni disponibili le aree-circolo, ossia le aree di responsabilità elettorale e territoriale del circolo, così da rappresentarle in modo geo-referenziato sulla mappa di Roma e di potere ricostruire per ognuna di esse la base-dati del contesto demografico-sociale-economico-elettorale. Anche questa base-dati verrà rilasciata in formato aperto in primavera.

Nel Rapporto finale si darà conto in modo dettagliato di questo lavoro di ricostruzione, che ha dovuto accettare molte approssimazioni dovute al fatto che le perimetrazioni relative ai diversi dati disponibili (2600 sezioni elettorali; 12.000 sezioni censuarie, 155 zone urbanistiche, indirizzi stradali delle scuole) non hanno potuto sempre essere associate le une alle altre:

    Da un lato si è partiti dall’attribuzione a ogni circolo territoriale di un elenco di sezioni elettorali (correggendo alcune incongruenze trovate).
    Dall’altro si è fatto riferimento alle zone urbanistiche, che sono una ripartizione dei municipi di Roma Capitale, a fini statistici e di pianificazione e gestione del territorio, secondo criteri di omogeneità dal punto di vista urbanistico, i cui confini sono individuati lungo le soluzioni di continuità più o meno marcate nel tessuto urbano. (si veda la Deliberazione del Consiglio Comunale n. 2982 del 29-30 luglio 1977, “Suddivisione del territorio comunale in zone urbanistiche di riferimento”).
    A ognuna di queste zone è possibile attribuire sia un elenco di sezioni censuarie, sia un elenco di scuole.
    Per ogni circolo, si è quindi determinata un’associazione di massima delle zone urbanistiche (dotate di confini georeferenziati) all’insieme delle sezioni elettorali “rappresentate” da quel circolo, determinando in tal modo l’area-circolo. In taluni casi un’area circolo è composta da più zone-urbanistiche. In altri casi una zona urbanistica è ripartita fra più aree-circolo: in questo secondo caso la mappa delle aree-circolo è comunque fedele (nei limiti dell’approssimazione possibile) alla rappresentanza elettorale.

DA - http://www.luoghideali.it/mappailpdroma/tre-mesi-di-mappailpd/


Titolo: Fabrizio BARCA. Tre mesi di #mappailPD
Inserito da: Admin - Marzo 19, 2015, 05:54:00 pm
Tre mesi di #mappailPD

Pubblicato in: Il blog   il 18 marzo 2015 da Fabrizio Barca
Tre mesi di #mappailPD   

In seguito al commissariamento del Pd romano, Matteo Orfini ha scelto di affidare a al team dei Luoghi Idea(li) una ricognizione sul territorio, partendo dal presupposto che, per trovare la strada giusta, per apprendere e ripartire dalle esperienze migliori nascoste nel partito, è necessaria una “mappatura” dei punti di forza e di debolezza, del buono e del cattivo, dei singoli circoli della città.

Di rilevare la loro capacità di rappresentare i bisogni e le idee dei cittadini, specie della parte più vulnerabile della città; di attrarre giovani e competenze e di sollecitare l’impegno anche dei non iscritti; di adottare metodi nuovi di partecipazione e confronto; di costruire soluzioni da proporre a chi esercita funzioni di governo; di monitorare e sollecitare in modo autonomo l’azione pubblica; di essere organizzati. Ma anche della distanza dai cittadini e dai loro bisogni; della cattura da parte di interessi esterni; di come si costruisce un feudo; in virtù della volontà di controllo di quale area di politica pubblica (e come questo limita, indebolisce e inquina la vita dei circoli); o anche solo della rinunzia a un ruolo autonomo da chi governa; o di ripetizione di riti stanchi, non ospitali, noiosi, o dell’incapacità di organizzarsi.

Il nostro lavoro è iniziato a dicembre e terminerà a fine maggio. Oggi, a circa tre mesi dall’inizio del lavoro, il gruppo di MappailPd è a metà della ricognizione. Gli incontri con i circoli del Pd romano hanno finora restituito un panorama solo in parte prevedibile, che fa intravedere le opportunità e le sfide di un rinnovamento: i dati raccolti tramite questionario e intervista renderanno conto della varietà che va emergendo.

Insieme alla relazione, troverete nel blog una mappa dei circoli visitati e soprattutto delle aree-circolo: un’approssimazione della sfera di responsabilità diretta di ogni circolo territoriale del Pd romano. Un’ipotesi di lavoro che è aperta al contributo dei circoli e alle loro segnalazioni.

Vai alla home di Mappa il PD Roma

Vai alla relazione intermedia
MappailPD, Mappatura, Matteo Orfini, Partito Democratico Roma   

DA - http://www.fabriziobarca.it/mappa-il-pd-roma/?utm_source=feedburner&utm_medium=email&utm_campaign=Feed%3A+FabrizioBarca+%28Fabrizio+Barca+%C2%BB+Report%29


Titolo: Fabrizio BARCA. Pd Roma, Barca a Orfini: "Partito pericoloso-clientelare"
Inserito da: Admin - Marzo 19, 2015, 06:10:17 pm

Pd Roma, Barca a Orfini: "Partito pericoloso-clientelare"
Nella 'relazione intermedia' di mappatura dei circoli romani si legge: "Non c'è trasparenza e neppure attività, lavora per gli eletti anziché per i cittadini"
18 marzo 2015

"Un partito non solo cattivo ma pericoloso e dannoso" che "lavora per gli eletti" anziché per i cittadini e "senza alcuna capacità di raggruppare e rappresentare la società del proprio quartiere". Si legge nella 'relazione intermedia' di mappatura dei circoli romani, affidata a Fabrizio Barca da Matteo Orfini in seguito al Commissariamento del partito della Capitale, esce la relazione intermedia che mostra, seppur parzialmente, il panorama incontrato fino ad oggi dal team di #mappailPd.

La relazione intermedia di MappailPd è consultabile anche online. "Si vanno delineando, a un estremo, i tratti di un partito non solo cattivo ma pericoloso e dannoso: dove non c'è trasparenza e neppure attività - si legge nella relazione - che "lavora per gli eletti" anziché per i cittadini e dove traspaiono deformazioni clientelari e una presenza massiccia di "carne da cannone da tesseramento". Ma "bisogna essere attenti a distinguerlo dal partito che subisce inane lo scontro correntizio, le scorribande dei capibastone, e che svolge un'attività territoriale, ma senza alcuna capacità di raggruppare e rappresentare la società del proprio quartiere".

"Certo, si trovano, all'altro estremo, i segni di un partito davvero buono, che esprime progettualità, capacità di raggruppamento e rappresentanza, che ha percezione della propria responsabilità territoriale, sa agire con e sulle istituzioni, è aperto e interessante per le realtà associative del territorio e sa essere esso stesso associazione - inventando forme originali di intervento -, informando cittadini, iscritti e simpatizzanti - si legge ancora nella relazione di Fabrizio Barca sul Pd di Roma - Al contempo bisogna essere attenti a distinguerlo dal partito che lavora sodo e ha quegli obiettivi, ma a cui manca il metodo moderno per farcela, una tipologia difficile da valutare e che, per il peso delle correnti e di una logica generale di assoggettamento del partito agli eletti, ad alcuni potrebbe addirittura apparire come un 'partito cattivo'. E poi emerge una sorta di partito dormiente, dove si intravedono le potenzialità e le risorse per ben lavorare, e dove il peso di eletti e correnti è sfumato, ma che si è chiuso nell'autorefenzialità di una comunità a sé stante, poco aperta all'innovazione organizzativa, al ricambio, al resto del territorio". "Ma quanto 'partito buono' e 'partito cattivo' abbiamo sinora scoperto? È una domanda a cui non è possibile rispondere fino a che non avremo intervistato l'ultimo circolo e riletto l'insieme dei risultati", si chiarisce.

© Riproduzione riservata 18 marzo 2015

Da - http://roma.repubblica.it/cronaca/2015/03/18/news/pd_roma_barca_a_orfini_partito_pericoloso-clientelare_-109856933/?ref=HREC1-21


Titolo: Fabrizio BARCA. Quale partito? Il partito nuovo (o il vecchio PCI?).
Inserito da: Admin - Giugno 17, 2015, 05:16:15 pm
5 – Quale partito? Il partito nuovo

    Un partito nuovo per un buon governo 5 – Quale partito? Il partito nuovo

I tratti della nuova forma partito necessaria a “concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale” sono suggeriti dalla lezione appresa sul campo e dalle considerazioni fin qui svolte.

Nel tratteggiare questa nuova forma partito cesso da questo momento di riferirmi a un “partito in genere” e prendo a riferirmi a un “partito di sinistra”, d’ora in poi “partito”. Per due ragioni. Poiché è il partito al quale i miei convincimenti mi conducono a lavorare. E perché alcuni profili della forma partito che mi accingo a tratteggiare sono costitutivi degli stessi convincimenti che contraddistinguono un partito di sinistra. Scrivo “di sinistra”, come fino a fine anni ’80 si definivano sia alcuni partiti, sia alcune correnti del partito della Democrazia Cristiana, anziché usare altre circonlocuzioni, per sottrarmi all’ipocrisia di questi anni recenti, attenermi concretamente a come ci si divide nell’emiciclo delle assemblee elettive, ritrovare un più trasparente terreno di confronto con i partiti “di sinistra” – devo scrivere left? – del resto d’Europa e del mondo. E ancora perché è nel contenuto dei convincimenti dichiarati, non nella rinunzia alla parola “sinistra”, che si misura l’adesione del partito al pluralismo e ai diritti dell’individuo, che in una fase storica una parte della sinistra ha erroneamente considerato negoziabili.

Per il buon governo dell’Italia serve, dunque, un partito di sinistra saldamente radicato nel territorio che, essendo animato dalla partecipazione e dal volontariato di chi ha altrove il proprio lavoro e traendo da ciò la propria legittimazione e dagli iscritti parte rilevante del proprio finanziamento, torni, come nei partiti di massa del passato, a essere non solo strumento di selezione dei componenti degli organi costituzionali dello Stato1, ma anche “sfidante dello Stato stesso”2 attraverso l’elaborazione e la rivendicazione di soluzioni per l’azione pubblica. Un partito che realizzi questo obiettivo sviluppando un tratto che nei partiti di massa tendeva a rimanere circoscritto alle “avanguardie”: realizzando una “mobilitazione cognitiva”3.

Un simile partito risponde alle caratteristiche e alla domanda della società contemporanea. Una società dove, al permanere di gravi divari sociali e di uno squilibrio di potere fra lavoro (e lavori) e capitale, si accompagnano livelli di istruzione medi assai più elevati del passato, una forte diversificazione degli interessi e delle identità, un’enfasi robusta degli individui sul proprio “io” – figlia degli anni ’60, prima delle distorsioni del “trentennio liberista” – il moltiplicarsi di soluzioni contestualizzate nella produzione di servizi pubblici un tempo uniformi, tecnologie che facilitano tale diversificazione e la diffusione tempestiva di conoscenze su di esse e sui loro esiti. Sono, le stesse trasformazioni che concorrono a spiegare la crisi del partito di massa, e che rendono invece praticabile il partito mobilitatore di conoscenze.

Ma procediamo con ordine, riassumendo subito tutti i tratti del partito nuovo. È un partito che poggia su alcuni convincimenti generali che ne contraddistinguono la natura “di sinistra” e su una visione dello stato delle cose e dell’“Italia ed Europa che vorremmo”, che continuamente aggiorna. Su queste basi il partito persegue, accanto all’obiettivo tradizionale, ancorché innovato, di selezionare classe dirigente per la partecipazione alle assemblee elettive e per l’attività esecutiva ai diversi livelli di governo, l’obiettivo nuovo di mobilitazione cognitiva. Strumenti di questo obiettivo sono: la costruzione di un confronto pubblico informato, acceso e ragionevole fra iscritti e simpatizzanti; l’apertura ad “altri” di questo confronto; la perentoria separazione dallo Stato. Consideriamo in sequenza questi profili.

Convincimenti generali e visione di lungo periodo per l’Italia e l’Europa
Una base di convincimenti generali condivisi è indispensabile. “Credere a qualcosa assieme ad altri” è la leva culturale simbolica che spinge a interagire con questi altri, crea uno spirito di coesione fra gli iscritti e con i simpatizzanti che motiva l’impegno per finalità collettive, di una parte del proprio tempo di vita e ispira rispetto all’esterno. Convincimenti generali condivisi sono necessari per disporre di un linguaggio con cui dialogare all’interno del partito e con gli altri partiti. Solo la loro condivisione consente infine di convenire sul peso da attribuire agli effetti attesi da soluzioni alternative a ogni dato problema e pervenire quindi a una decisione.

Siamo in una fase storica in cui fa fatica ad affermarsi una cultura forte e anzi spesso domina una cultura debole4. Ma, sempre nel rifiuto simultaneo del relativismo etico e dell’imposizione dogmatica di presunte verità valoriali monistiche, le condizioni per condividere alcuni convincimenti generali esistono. L’esercizio, pure incompleto, che (con azzardo persino superiore a quello di questo intero scritto) ho compiuto nell’Addendum dà un’idea di cosa intendo per convincimenti generali. Suggerisce, al di là dell’adesione o meno ai singoli contenuti, che si può trovare una maglia di proposizioni a un tempo esclusive (di altri sistemi di valori), anche attraverso l’enfasi su alcune parti del testo costituzionale, e sufficientemente larghe da includere un pluralismo di punti di vista e un metodo aperto al mondo e alla trasformabilità delle posizioni. Di queste proposizioni fa parte integrale la stessa logica dello sperimentalismo democratico che motiva la forma di partito della mobilitazione cognitiva: è questo un presidio che salvaguarda il nuovo partito dalla trappola di un’appartenenza identitaria fondata sulla fissità di convincimenti e linguaggi, oltre che su un leader a cui dovere fedeltà.

Allo stesso modo, il partito nuovo deve sviluppare e condividere una visione di medio-lungo periodo sullo stato della società, a livello globale, nazionale ed europeo, e sul ruolo dello Stato che tenga conto delle tendenze in atto nella tecnologia e nei comportamenti umani. E deve sviluppare e continuamente aggiornare, proprio sulla base degli esiti e delle idee che maturano nell’esercizio della mobilitazione cognitiva, una visione dell’Italia e dell’Europa che sarebbe auspicabile per i nostri pronipoti. L’aspirazione del partito di massa a un modello “superiore” di società (e forse anche di comportamento umano) viene sostituito dall’aspirazione a una società migliore di quella attuale che, sulla base dei convincimenti “di sinistra” che contraddistinguono il partito, il partito stesso elabora continuamente come propria stella polare. Nel realizzare questa elaborazione, il partito ricercherà un confronto con i partiti di sinistra del mondo ma, in particolare degli altri Stati membri dell’Unione Europea che miri a ricostruire una valutazione congiunta sul futuro della stessa Unione e sulle azioni da intraprendere a riguardo. Questa visione aiuterà anche a guidare il processo di mobilitazione cognitiva.

La mobilitazione cognitiva come superamento della tensione fra tecnocrazia e democrazia
La mobilitazione cognitiva, realizzata sulla base dei convincimenti generali che caratterizzano la “cultura” del partito, si articola in due fasi. Consiste prima di tutto nel raccogliere, confrontare, selezionare, aggregare e talora produrre conoscenza sul “che fare” dell’azione di governo attraverso un confronto pubblico, informato, acceso, aperto e ragionevole, nei luoghi del territorio, fra iscritti, simpatizzanti e “altri” singoli o membri di associazioni, genuinamente indipendenti. Si tratta di quella ritualità rivolta al cosa e come fare prima richiamata. A questa azione si accompagna quella di trasferire questa conoscenza attraverso tutti i possibili strumenti della “voce”, a due distinti destinatari: gli amministratori locali, per sostenere e sollecitare il processo decisionale degli organi di governo del proprio territorio; la classe dirigente che i partiti stessi hanno concorso a far eleggere o nominare negli organi dei livelli superiori di governo (regionale e nazionale). Questo secondo, più complesso trasferimento avrà luogo confrontandosi a ogni stadio con la conoscenza che viene da altri territori, oltre che dall’Europa e dal mondo. Entrambe le operazioni saranno guidate dai quadri del partito che, secondo il requisito della separazione fra partito e Stato, saranno assolutamente distinti dagli eletti e da governanti o amministratori.

Così, la mobilitazione cognitiva rappresenta il metodo nuovo per promuovere, stare al passo, riempire di contenuti gli strumenti dello sperimentalismo democratico e, al tempo stesso, di scegliere i quadri del partito non solo sulla base dell’adesione ma della capacità di andare per strada, incontrare, esprimere dubbi, proporre e vagliare soluzioni, prove di attività, iniziative costruttive nel vivo della società.

Non si tratta di trasformare il partito in un “pensatoio”, ma piuttosto in una “palestra”: un luogo attraente per tutti i cittadini, giovani e anziani, lavoratori e non, uomini e donne, convinti di avere idee da confrontare con altri, disposti anche a svolgere in modo volontario azioni di interesse pubblico, capaci di filtrare o produrre idee operative e portarle con forza sul tavolo di chi governa. Una palestra politica di mobilitazione cognitiva che assicuri la valutazione pubblica informata, accesa, aperta e ragionevole può pretendere, animare, accelerare lo sperimentalismo. Lo completa sul piano del telaio sociale, ne trae i suoi stessi quadri.

A ben guardare il partito della mobilitazione cognitiva rappresenta il superamento dello scarto fra democrazia e tecnocrazia5. Si tratta di una questione centrale, nata con il sorgere stesso della democrazia politica in Europa, rilevante fin dagli anni ’20-’30 dello scorso secolo: quella della tensione fra principio di maggioranza – il governo dei democraticamente eletti – e principio di competenza – il governo di chi sa. Tema ripreso di recente in Italia, sia in relazione al condizionamento dell’azione del governo nazionale da parte di organismi tecnocratici sovra-nazionali, sia in relazione alla formazione di un “governo tecnico”6.

La tensione sarebbe inevitabile se fosse vero che il “saper governare” è privilegio di pochi; che questi pochi “sanno” davvero quali soluzioni dare ai problemi dell’azione pubblica. Il buon governo dipenderebbe allora dalla possibilità di adottare le soluzioni disegnate da questi pochi competenti; soluzioni valide in tutti i luoghi e protette dalla nefasta influenza del confronto con masse di cittadini incompetenti e preoccupati solo del proprio interesse particolare. Così questo principio di competenza, necessario al buon governo, entrerebbe in tensione con il principio di rappresentanza. Si dovrebbe ricercare un punto di compromesso. Le cose non stanno assolutamente così, lo abbiamo già visto! Le trasformazioni richiamate hanno reso ancora più evidente che in passato che, indipendentemente da ogni giudizio di valore, la conoscenza sul che fare, sulle soluzioni disponibili, sulla loro rispondenza alle preferenze dei cittadini, sulla loro appropriatezza al contesto non è detenuta da pochi, ma è piuttosto dispersa fra una moltitudine di individui. E più spesso ancora, questa conoscenza non pre-esiste ma scaturisce ex-novo – innovazione imprevista – dall’interazione, ovvero dal conflitto, all’interno di questa moltitudine, purché gli individui confrontino le loro informazioni disperse e i loro diversi interessi in modo aperto e ragionevole e siano garantite, e da tutte le parti riconosciute, le forme del conflitto e del procedere della democrazia.

Se così stanno le cose, perseguire la concentrazione delle decisioni nelle mani di pochi non è solo in tensione con il principio di rappresentanza. È anche in tensione con il principio di competenza. È un errore e basta. È l’errore compiuto, come si è visto, durante l’ultimo trentennio affidandosi per decisioni di grande importanza a manager e tecnici privati o alle tecnocrazie degli organismi internazionali, nell’assunto che essi conoscessero le regole e le istituzioni che, in modo indipendente dai contesti, consentono di assicurare decisioni buone. La grave crisi economica in atto è anche, in larga misura, il risultato di questo errore. La strada da prendere parte allora dal riconoscere l’errore. Aderendo al paradigma dello sperimentalismo.

Urge allora riconoscere in un partito volto alla “mobilitazione cognitiva” anche un partito che lavora, con costanza, a ricomporre principio di maggioranza e principio di competenza, che colmi “lo scarto fra istanze partecipative e difetto di conoscenze e di informazioni su questioni di interesse pubblico”7. Serve un partito che lo faccia senza negare la complessità del sistema delle conoscenze necessarie ad assumere decisioni pubbliche, come chi ritiene la Rete un sostituto possibile dei partiti. E che, riconosca che solo la mobilitazione di tutte le conoscenze disponibili può affrontare realtà complesse in modo adeguato. In sintesi, la ricomposizione fra cittadini votanti e cittadini proponenti e partecipanti è l’unico vero ponte possibile fra principio di maggioranza e di competenza.

Nel muoversi in questa direzione, un partito di mobilitazione cognitiva può cogliere la domanda forte di partecipazione e di “fare politica” che viene da tutti i cittadini, soprattutto dai giovani. La domanda che viene da un mondo del lavoro spiazzato dall’evoluzione dei partiti dell’ultimo ventennio. La domanda di rappresentare e confrontare non solo bisogni, ma soprattutto conoscenza sulle azioni collettive necessarie per soddisfarli. La domanda di costruire “assieme” una visione del futuro. La domanda che oggi si manifesta in azioni private o nell’adesione ad associazioni volontarie di scopo, ma che è assai scarsamente attratta dai “partiti”. La domanda di apprendere insieme, anche fuori dai luoghi deputati e entro il confronto tra generazioni, esperienze, mestieri diversi e tra differenti modi e stili di apprendimento intorno alle cose da fare per il bene comune. La domanda sulla cui base un movimento come “5 stelle” ha costruito la propria offerta politica (pur nello schema angusto e di corto respiro del leaderismo e di tentazioni di segregazione comunitaria).

Obiettivo e strumenti del partito della mobilitazione cognitiva

E utile articolare in dettaglio l’obiettivo della mobilitazione cognitiva e i suoi tre requisiti. Da essa deriva la descrizione di un partito segnato da quattro tratti:
Partito che mobilita, produce e pratica conoscenze sulle azioni pubbliche necessarie per soddisfare i bisogni e le aspirazioni dei cittadini. In una società contemporanea – che alla forte articolazione sociale e diversificazione dei bisogni e agli altri tratti prima richiamati aggiunge l’accentuata diversità dei contesti territoriali di un paese fortemente policentrico – il partito non è più il veicolo dei bisogni, della “domanda popolare”, di un gruppo di “simili”; è piuttosto il coagulo delle soluzioni immaginate o praticate nei territori per soddisfare i bisogni di un gruppo di “diversi”. Assume forte rilievo in questo partito, come motivo per iscriversi o frequentare o interloquire a livello territoriale con esso, la possibilità di confrontare le proprie conoscenze e valutazioni sulle politiche e azioni pubbliche locali, nazionali o internazionali, con quelle di cittadini “diversi” per identità e interessi che condividano alcuni convincimenti generali (iscritti e simpatizzanti) o anche solo il metodo del confronto (gli “altri”). La prima aspirazione sarà quella di influenzare gli altri e trarne conoscenza: azione produttiva di effetti per i propri interessi, ma anche un “valore in sé” che permette di testare le proprie conoscenze e idee su come disegnare l’azione pubblica, di apprendere o di concorrere con altri a costruire soluzioni. Connessa a questa sarà l’aspirazione a mettere in pratica soluzioni immaginate, dedicandovi il proprio lavoro volontario. Sarà così possibile anche aspirare a costruire nella pratica quotidiana, assieme ad altri, la visione di una possibile società migliore. Nel processo di mobilitazione cognitiva, il trasferimento delle conoscenze non opera solo dal basso verso l’alto viaggia anche dall’alto verso il basso, con origine vuoi nella dirigenza nazionale, vuoi nella classe dirigente che, lavorando con l’Amministrazione negli organi costituzionali, elabora soluzioni. In questo secondo flusso, si avranno rispetto alla situazione attuale due radicali differenze. In primo luogo, il flusso dall’alto finirà spesso per misurarsi espressamente col flusso sistematico in senso opposto, cioè con le conoscenze che “vengono dal basso”: questo confronto può consentire alle scelte di cambiamento (normative e attuative) che sono compiute dagli organi di governo di essere “comprese” e di dare vita a quella visione condivisa che è mancata nell’ultimo ventennio. In secondo luogo, in questo scenario è espressamente compito della dirigenza nazionale del partito intervenire sistematicamente con le proprie conoscenze e idee nei nodi territoriali del partito dove il confronto langue o si manifestano deviazioni verso interessi particolari: è questo un requisito per convincere le élite territoriali dove più forte è la resistenza a “cambiare testa”.

    Partito del confronto pubblico informato, acceso e ragionevole. Il confronto pubblico acceso è il mezzo con cui il partito, sfruttando le potenzialità della rete e poi portando in luoghi fisici territoriali, in circoli, l’approfondita disamina dei problemi e la discussione lenta, problematica e riflessiva, può creare nei cittadini (iscritti, simpatizzanti e altri) la fiducia e l’incentivo a investire una pur piccola parte del proprio tempo di vita nel dare, ricevere e creare conoscenza sul “che fare” e quando possibile metterla in pratica. È il solo strumento che, al di là delle motivazioni particolari che muovono i singoli partecipanti, può permettere di smontare giorno dopo giorno, col tempo, il “partito sommatoria o compromesso di interessi particolari” e fare progressivamente affermare – anche al di là delle finalità dei singoli – il “partito sintesi di beni pubblici”. Il partito agisce come luogo di apprendimento umano, dove si possono smontare e rimontare convinzioni, arricchire conoscenze, capire meglio il proprio tempo e partecipare a trasformazioni. Tali prospettive, col tempo, possono produrre una selezione favorevole, anziché avversa, nella frequentazione e nell’iscrizione al partito. E sono potenziali poderosi strumenti per produrre innovazione. Per avere questi effetti virtuosi, il confronto deve essere8 informato, aperto alla diversità, alla contestazione e alla considerazione convinta dei punti di vista (anche assai) diversi dal proprio, volto alla ricerca di un “accordo” anche parziale. Proprio la procedura del confronto e il principio di ragionevolezza (la “capacità di difendere un’idea in una discussione pubblica strutturata in modo libero e aperto”) che deve animarlo rendono tale accordo possibile. Per queste ragioni, il confronto può trarre impulso dall’uso della Rete, può trovare nella Rete la base informativa, la possibilità di contribuire in modo non costoso e verificabile negli effetti, ma ha bisogno di focalizzarsi e di trovare poi i suoi ritmi lenti in luoghi fisici del territorio. Il confronto andrà governato da leader (locali, intermedi e nazionali) di qualità che condividano e sappiano praticare con competenza il metodo: si tratterà di volontari (nelle micro–unità territoriali) o di funzionari professionisti che il partito dovrà selezionare e formare. Come scrive Sen, il perseguimento di decisioni “giuste” – obiettivo dell’azione di governo – si esprime in una straordinaria “fame di informazione”. Un partito orientato al confronto pubblico acceso e così strutturato può costruire la base per soddisfare tale fame. Il metodo utilizzato all’interno del partito rappresenta una sfida agli altri partiti, costruiti sulla base di altri convincimenti, per adottare lo stesso metodo e la base per (ri)costruire il confronto fra partiti dentro le assemblee elettive e nel paese.

    Partito aperto. L’esistenza di una base numerosa di iscritti (e di simpatizzanti) è indispensabile. Perché il confronto pubblico acceso, per avere luogo e convergere su un accordo, ha bisogno di poggiare su un nucleo di persone rese relativamente coese dalla condivisione di un nocciolo robusto di convincimenti, capaci di assicurare un linguaggio comune. Perché le risorse umane e il contributo finanziario sono necessari a un partito che si voglia emendare dalla dipendenza dallo Stato (come illustrato al punto successivo). Perché quella base serve per selezionare i quadri dirigenti dei livelli superiori del partito, che saranno responsabili per la fluidificazione delle conoscenze. Affinché questi requisiti siano soddisfatti, è necessario che l’iscrizione sia legata a una genuina partecipazione e che sia effettivamente aperta sia a individui sia ad associazioni, evitando il prevalere di gruppi chiusi “controllori di tessere”, e adattando la modalità, gli orari, i formati del confronto alle esigenze dei diversi segmenti sociali, delle donne, degli operai, degli anziani. Nel partito nuovo è altrettanto indispensabile che al confronto pubblico con iscritti e simpatizzanti partecipino, di volta in volta, su singoli temi, anche i cittadini lontani dal partito ma interessati ai temi che esso dibatte, e in primo luogo i membri delle associazioni (di azione e di ricerca) genuinamente e testardamente indipendenti attraverso cui anche nel nostro paese “le sensibilità individuali si stanno convogliando in motivazioni collettive”9. Fine della partecipazione degli “altri” non è, a differenza del partito di massa, quella di allargare l’influenza del partito, costruendo un nuovo impossibile e deleterio “collateralismo”. Piuttosto, la partecipazione degli “altri” è la condizione per tenere vivo, allerta, il processo di apprendimento e di produzione di conoscenza, non solo come effetto del dialogo fra gruppi dirigenti di diversi partiti. L’effettiva interazione con “altri” facilita l’esercizio su cui insiste Sen di guardare le cose come “spettatori imparziali” o – come scriveva Adam Smith – da “un luogo che non c’è”. Consente di evitare la sindrome dei gruppi eccessivamente affini che, isolandosi da opinioni esterne, stimolano il conformismo e perdono motivazione per investigare e apprendere. Sfrutta invece gli incentivi della diversità10. Riduce ulteriormente il rischio della deriva del partito verso la tutela di interessi particolari, grazie alla trasparenza – non “segretezza” o “recinzione guidata” – del confronto. Permette ai singoli, in contesti territoriali dove vivono affiancate comunità assai diverse, anche a seguito di crescenti fenomeni migratori, di sfuggire alla trappola della “segregazione comunitaria”, allo schiacciamento della propria identità su una sola dimensione (religiosa, etnica, di età, etc.), e di fornire un apporto informativo al processo valutativo. La Rete è strumento decisivo per avviare, rendere fattibile, alimentare di nuovi apporti questa apertura, che troverà nell’incontro fisico la sua realizzazione.
    Partito separato dallo Stato. Le precedenti caratteristiche del nuovo partito rendono indispensabile superare l’attuale dipendenza del partito dallo Stato, sia in termini finanziari, sia in termini di relazione fra i funzionari del partito, locali, regionali e nazionali, da un lato, e le persone che il partito stesso concorre a fare eleggere o nominare negli organi di governo, – locali, regionali e nazionali – o che vengono selezionate con criteri di merito (e non su proposta o pressione dei partiti) nell’amministrazione, nelle agenzie e autorità, negli enti di pubblica proprietà, dall’altro. Queste due separazioni costituiscono la condizione indispensabile affinché il partito sia credibilmente dedicato alla raccolta, aggregazione, produzione e rivendicazione di soluzioni per governare, restando questo processo distinto dalle decisioni che verranno prese dalle suddette istituzioni. Per quanto riguarda le risorse finanziarie per l’attività del partito, queste dovranno venire in misura prevalente dal contributo volontario di iscritti e simpatizzanti, attivi nell’azione del partito, integrate in modo regolato e controllato da contribuzioni di altri soggetti. Il finanziamento pubblico, ulteriormente ridotto nel volume, dovrà essere rivisto nelle modalità di raccolta e impiego e accompagnato da forme adeguate di controllo interno e esterno, nonché da una normativa per il conflitto di interesse che riduca lo squilibrio competitivo fra le formazioni politiche. Per quanto riguarda i “funzionari di partito” – utilizzo senza ipocrisie questo termine alternandolo con “quadri” e “dirigenti” – essi sono indispensabili. Nel nuovo partito si tratta di persone che a un certo punto della vita e per un periodo di tempo tendenzialmente determinato, scelgono di portare dentro questo progetto di partito, l’esperienza che hanno sin lì maturato e le competenze sin lì accumulate; e che sono già formati, ovvero vengono formati nell’utilizzo dell’impegnativo metodo di confronto pubblico descritto ai punti 2 e 3. Diverse e competitive sono, nel disegno tratteggiato, le loro funzioni – disegnare una visione, maturare e promuovere soluzioni – rispetto a quelle di chi è impegnato a governare – raccogliere e vagliare esperienze e proposte, decidere e attuare soluzioni. Le soluzioni adottate dai secondi sono continuamente sottoposte al vaglio e alla critica del partito – anche quando eletti e governanti ne sono espressione. Diverse sono le responsabilità dei funzionari del partito – verso gli iscritti al partito – e di chi governa o siede nelle assemblee elettive – verso tutti i cittadini, di qualunque “parte”. Mai coincidenti, per statutaria incompatibilità, assoluta, sono i soggetti che svolgono l’una o l’altra funzione. Come avviene ora, il partito evidentemente alimenterà dalle proprie file una parte anche significativa degli eletti o dei governanti, ma la separazione e tensione creativa fra partito e Stato, la dipendenza finanziaria del partito dai contributi degli iscritti e appropriati vincoli formali assicureranno una piena distinzione di ruoli. Si combina con questo tratto del nuovo partito il ripristino di un ruolo significativo della dirigenza locale nella selezione della dirigenza nazionale, ogni livello dovendo giudicare la capacità del livello superiore come promotore e veicolo di conoscenza e di soluzioni.

Da questa descrizione della funzione originale del partito nuovo risulta evidente che anche la funzione tradizionale di selezione dei candidati per le assemblee elettive e di candidatura per le funzioni dei diversi livelli di governo risulta profondamente modificata. Per la separazione assoluta fra questi ruoli e quelli di funzionario di partito. Per l’ambizione di prevenire l’attuale perverso meccanismo che vede molti avvicinare i partiti con l’aspirazione di imboccare una “scala mobile” che dalla posizione di volontario porti a quella di funzionario e quindi di candidato a posizioni in qualche modo controllate dal partito. Per il venire meno dell’attuale condizionamento degli eletti sulla dirigenza del partito, sostituito da un rapporto dialettico.

La forma partito proposta prevede una dialettica effettiva, continua, dal momento successivo al voto, fra partito, da una parte, e propri gruppi parlamentari (o consiliari) ed eventuale proprio esecutivo, dall’altra. Il partito manterrà e rafforzerà la mobilitazione cognitiva concentrandola sui temi ritenuti prioritari e su quelli contenuti nelle decisioni assunte dagli organi di governo; solleciterà l’esecutivo, anche se di propria espressione, sul terreno delle soluzioni concrete che esso continuamente elabora; presidierà l’attuazione dei provvedimenti sui territori, animando questa fase decisiva del processo deliberativo; raccoglierà e aggregherà le conoscenze necessarie a aggiustare gli interventi; favorirà la maturazione di un’interpretazione condivisa sulle scelte compiute. Nello svolgere questa funzione, il partito scongiurerà quel divario profondo di fiducia e comunicazione che da oltre venti anni si è andato aprendo fra governo e società e che, come si è argomentato, ha impedito anche a tentativi generosi di tradursi in buon governo.


Continua la lettura: 6 – Motivazioni per impegnarsi nel partito nuovo
    Si intendono qui, come in tutto il testo, in senso lato, gli eletti delle assemblee e i membri degli “esecutivi” di tutti i livelli di governo. ↩

    Cfr. Mastropaolo, A. (2012). Questa intuizione ha certo concorso al successo del movimento “5 stelle”, ma è stata da esso declinata sulla base dell’assunto che la rete possa sostituire i partiti. ↩

    Per questo termine, cfr. Revelli, M. (2012). ↩

    Cfr. Hunter, J.D. (2010) To Change the World, citato in Douthat, R. (2012), Bad Religion, Free Press. Hunter contrappone alla cultura forte una “cultura debole”, oggi prevalente, “sempre segnata dal risentimento per i propri nemici e insicura degli amici e volta indietro a guardare il passato migliore anziché in avanti al futuro”, una descrizione straordinariamente calzante per l’Italia dell’ultimo venticinquennio. ↩

    Pinelli, C. (2012) – “Parole Chiave” n.47 – scrive che “al di là di una certa retorica, [gli strumenti della democrazia deliberativa] presentano modalità di apprendimento e trasmissione del sapere che richiedono un profondo ripensamento dei paradigmi di organizzazione delle conoscenze nella sfera pubblica, e che nello stesso tempo potrebbero scardinare la stessa tradizionale dicotomia democrazia/tecnocrazia”, p. 148. ↩

    Cfr. ancora Pinelli, C. (2012). ↩

    Pinelli, C. (2012), pp. 147-148. ↩

    I principi sono ricavati da Sen, A. (2009). Cfr. anche la sintesi in http://www.eticaeconomia.it/lidea-di-giustizia-di-amartya-sen-sintesi-e-osservazioni-per-luso-quotidiano.html. ↩

    Cfr. Settis, S. (2012), Azione popolare. Cittadini per il bene comune, Einaudi, Torino. ↩

    Cfr. March, G. (1991) “Exploration and Exploitation in Organizational Learning”, in Organizatione Science, ripreso da Surowiecki, J. (2004), The Wisdom of Crowds; Surowiecki, J. (2007), La saggezza della folla, Internazionale Edizioni. ↩


Da - http://www.fabriziobarca.it/viaggioinitalia/un-partito-nuovo-per-un-buon-governo-fabrizio-barca/5-quale-partito-il-partito-nuovo/


Titolo: Fabrizio BARCA: “Il prossimo sindaco di Roma deve arrivare dalla pol
Inserito da: Arlecchino - Ottobre 27, 2015, 04:28:50 pm
Barca: “Il prossimo sindaco di Roma deve arrivare dalla politica”
Roma   
Il ministro per la coesione sociale, Fabrizio Barca, in visita all' Istituto per la ceramica Giovanni Caselli di Capodimonte (Napoli), 21 Maggio 2012.

ANSA/CESARE ABBATE   

L’ex ministro intervistato da Unità.tv: “Marino non aggiunga altra confusione amministrativa. Non è colpa del Pd se ha deciso di lasciare”

Fabrizio Barca non ha dubbi su quale sbocco dovrebbe avere l’attuale crisi in Campidoglio: “Non si può aggiungere alla confusione amministrativa che ha condotto alle dimissioni altra confusione amministrativa”. Insomma, Ignazio Marino farebbe bene a confermare le proprie dimissioni senza andarsi a infilare in una situazione complicatissima, senza la fiducia del proprio partito e senza una maggioranza all’interno dell’Assemblea capitolina.

I sostenitori del sindaco scesi in piazza ieri attribuiscono a Marino il merito di aver combattuto Mafia capitale e al Pd la responsabilità di volerlo cacciare proprio per questo motivo. C’è un fondo di verità in questo?
Assolutamente no. La ragione per cui il sindaco stesso ha ritenuto di annunciare le proprie dimissioni è stata la consapevolezza di aver commesso un errore, che rischiava di mettere a repentaglio i risultati conseguiti dalla sua stessa giunta.

Quanto influisce questa situazione sulla riorganizzazione del Pd romano?
Con la decisione di Matteo Orfini, assunta anche sulla base del rapporto che ho curato insieme a giovani volontari, di ristrutturare il partito romano, chiudendo una quarantina di circoli, il Pd stava cambiando. Ora c’è il rischio che il processo si fermi.

Basta chiudere i circoli per rinnovare il partito?
Quello era un bell’inizio. Ci sono pochissime istituzioni pubbliche, sociali o private che possono vantare il coraggio che ha trovato il Pd a Roma. Ma certamente il lavoro era appena agli inizi.

Cosa bisogna fare adesso?
Oltre a occuparsi dell’organizzazione, bisogna ripartire dai valori e dal programma, perché un partito non si riconosce dall’organizzazione, ma dalle battaglie che compie nella città.

Quindi condivide la decisione di prorogare il mandato di Orfini come commissario?
Sì, è stata una scelta giusta.

Pensa che se si andrà a votare in primavera, il Pd riuscirà a completare in tempo il proprio rinnovamento, per presentarsi con un’immagine più credibile agli elettori?
Quello è l’obiettivo che dovrebbe spingere a parlare non di nomi e di candidati, ma di contenuti. Centri anziani, strade, trasporto pubblico: bisogna andare a parlare con le persone di queste cose. Il Pd può tornare a essere competitivo se per sei mesi si mette a parlare solo di merito.

Anche se non vuole parlare di nomi, ha un’idea del profilo che deve avere il prossimo candidato sindaco? Più tecnico o più politico?
Come per il Paese, anche per le città servono figure politiche, nel senso che devono emergere da battaglie politiche. Non può essere una persona designata dall’alto, ma deve essere scelta sulla base della sua partecipazione alla vita della città. Cosa hai fatto per Roma? Quanto la conosci? Quanta capacità hai di convincere le persone? Ecco, un candidato deve saper rispondere efficacemente a queste domande.

Lei sarebbe pronto a dare una mano?
Darò certamente una mano attraverso il circolo in cui sono iscritto e come cittadino interessato dai fatti, impegnandomi nelle battaglie che servono per il bene della città.

Da - http://www.unita.tv/interviste/barca-il-prossimo-sindaco-di-roma-deve-arrivare-dalla-politica/


Titolo: Fabrizio BARCA. Una piattaforma per cambiare il PD
Inserito da: Arlecchino - Aprile 23, 2016, 10:49:48 pm
Una piattaforma per cambiare il PD

Pubblicato in: Senza categoria   
il 12 maggio 2014 da Staff Fabriziobarca.it

Possiamo rigirare le cose di diritto o di rovescio, ma cosa serve per fare “buona politica” in questo nuovo secolo – ancora nuovo perché non si è capito affatto verso cosa si va – è chiaro a chiunque abbia occhi per vedere: obiettivi da perseguire con tempi certi; valori per avere una rotta e per tenerla e scaldare i nostri animi nelle inevitabili battaglie; uno spazio di confronto e di conflitto, informato e aperto, in luoghi fisici e virtuali, fra interessi e soluzioni diverse; una tensione creativa fra radicamento territoriale e sradicamento globale, fra contesto e sistema.

Con Luoghi Idea(li) mettiamo alla prova tutti questi ingredienti. Noi che venivamo dall’esperienza nazionale del Viaggio in Italia, attorno a una certa idea di partito, ci siamo incontrati e “annusati” con 11 Progetti locali, con 11 pezzi del Partito Democratico che volevano lavorare in modo nuovo attorno ai temi centrali per il proprio territorio. Qualità della vita e coesione sociale, fra generazioni e fra culture; ambiente come responsabilità comune alla prova dei fatti; emancipazione dei lavoratori e competitività, assieme; cultura, creatività e sviluppo; politica credibile e governo attraverso partecipazione, apertura, conoscenza e sperimentazione nel territorio (I Temi): questi sono i temi di interesse nazionale che gli 11 progetti toccano. E lo fanno usando metodi moderni, di partecipazione, di raccolta fondi e comunicazione, di valutazione. E senza nascondere i valori di sinistra che li animano. Tutt’altro.

Nello stile che è di questo “progetto di progetti”, gli obiettivi ora sono allo scoperto, descritti senza veli nella piattaforma che ci siamo regalati, www.luoghideali.it Se ce la faremo o no entro il 30 marzo 2015 – la nostra improrogabile scadenza – a raggiungere gli obiettivi, lo scoprirete guardando questa nuova casa di vetro, entrandoci dentro da porte e finestre. E dandoci consigli, giudizi, critiche, suggerimenti. O magari narrando altre esperienze che vi paiono cogliere il quadrilatero: valori-obiettivi-spazio-tensione.

L’obiettivo nazionale è esplicito. Certo, in primo luogo, “fare accadere le cose”, ossia favorire il successo degli 11 progetti e la formazione in quei luoghi di gruppi dirigenti campioni nell’uso di metodi innovativi. E fare emergere in questo modo concreto l’esistenza e l’utilità di valori di sinistra attorno a obiettivi verificabili di pubblico interesse. Ma se ogni progetto è una storia a sé, è anche vero che ognuno di essi è anche un prototipo-paese. E allora obiettivo nazionale è anche ricavare da quei prototipi idee e strumenti utili per tutti, tramite il confronto e la contaminazione reciproca di una comunità in rete.

E alla fine, come è evidente, come era nella testa dei 583 donatori e dei moltissimi volontari che rendono possibile questa rete c’è l’obiettivo ultimo: convincerci e convincere con i fatti che è possibile e utile ridisegnare l’organizzazione del PD come un “partito palestra”. Un’associazione separata dallo Stato che attragga chi vuole “cambiare il mondo” – in piccolo o in grande che sia –, che produca innovazione e soluzioni, che ricostruisca rappresentanza. Noi si lavora anche a questo. Veniteci a trovare in “piattaforma”.

Fabrizio Barca

(Da Left del 10 maggio 2014)

Da - http://www.fabriziobarca.it/una-piattaforma-per-cambiare-il-pd/


Titolo: Fabrizio BARCA. Caro Matteo, ecco cosa manca alla tua idea di sinistra
Inserito da: Arlecchino - Maggio 28, 2016, 11:42:54 am
Caro Matteo, ecco cosa manca alla tua idea di sinistra

Pubblicato: 26/05/2016 18:00 CEST Aggiornato: 26/05/2016 18:00 CEST

"Coraggio" (anziché paura), "piazza" (anziché muro), "frontiera come avventura" (anziché come confine), "comunità e dialogo" (anziché individualismo). Sono parole del Segretario del Pd, il mio partito, alla Direzione della scorsa settimana. Fra tanto rumore, le ho lette con gioia. Sono parole di sinistra. Appartengono a tutte le culture che nel Pd sono confluite, ne rappresentano il fattore comune più forte, che lo tiene unito e che muove le sue azioni migliori.

Eppure, penso, quelle parole lasciano freddi milioni di italiani. Così come parole simili dei nostri "partiti fratelli" - mi si passi l'espressione - lasciano freddi milioni di europei. Che hanno "paura" di fronte ai cambiamenti globali (dal clima, alla concorrenza cinese, alle migrazioni) e non capiscono perché lo Stato a cui pagano le tasse anche per garantire ordine e legalità debba chiedere loro coraggio. Che vedono nel ripristino di "frontiere alte e insormontabili" la tutela da quelle minacce e la garanzia per i propri posti di lavoro. Che si domandano perché noi dobbiamo sempre dialogare quando loro non lo fanno mai. Che si sentono tutelati solo dentro "comunità chiuse" dove i miei convincimenti non siano sfidati e i miei individuali diritti non siano messi in discussione.

Dove sta il problema? Perché cresce il consenso a partiti e movimenti che riflettono, interpretano, amplificano quelle paure e chiusure? Se non lo capiamo e continuiamo a definire come "populista" o "razzista" o "egoista" chi non condivide il nostro messaggio sulla società aperta, siamo destinati alla sconfitta. Questo è l'avvertimento fortissimo della vicenda austriaca.

La risposta è, credo, semplice. Il messaggio di invito all'apertura è un pezzo fondamentale del senso di giustizia proprio della sinistra, ma manca l'altro pezzo: l'impegno per l'avanzamento sociale. L'obiettivo di battersi per l'avanzamento sociale di chi è più debole, nella società e nel rapporto capitalistico di lavoro. L'obiettivo di dare a ciascuno la libertà sostanziale di vivere una vita piena, la vita che si sente di poter vivere, nel modo più indipendente possibile dalle condizioni di nascita (il luogo, la famiglia, il contesto).

Non si tratta dell'eguaglianza dei redditi, anche se le attuali fortissime ineguaglianze nella distribuzione dei redditi e della ricchezza sono una misura dell'insuccesso nel perseguire quell'obiettivo. Si tratta piuttosto dell'impegno della sinistra a battersi affinché ognuno sia messo davvero in condizione di giocare le proprie carte. Di avere le stesse opportunità di istruzione, di cura della salute, di comunicazione, di chi è nato in contesti migliori. E di partecipare alle pubbliche decisioni come cittadino e alle scelte aziendali come lavoratore. Si tratta del mandato che l'articolo 3 della nostra Costituzione assegna alla Repubblica: "Rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese".

Solo se questo obiettivo è raggiunto o perlomeno caparbiamente perseguito, può ognuno permettersi il coraggio e l'apertura che la stessa sinistra chiede ai cittadini. Perché è tranquillo che la qualità della scuola dei propri figli non sarà messa a repentaglio dalla sfida delle migrazioni, o che non scoprirà un mattino, senza possibilità di replica, che anonime "regole del commercio internazionale" e la decisione indiscussa e irrevocabile di un imprenditore hanno decretato la fine del proprio lavoro. E allora si concederà il "lusso" e la gioia dell'apertura agli altri, del rischio di innovare. Se invece così non sarà, allora l'invocazione del coraggio e della comunità aperta diventa elitaria. Adatta a pur cospicue leve di giovani urbani iper-istruiti, ma respingente e irritante per gli esclusi, per chi sente che sta "cascando all'indietro" nel nuovo gioco globale.

Spazi di libertà, comunità aperta, e avventura, da una parte, e strumenti e capacità per goderne e per avanzare nella società. Sono le due dimensioni della sinistra. Una necessaria all'altra. E allora? E allora nei programmi e nella pratica di governo e di amministrazione perseguiamo e narriamo con la stessa convinzione e passione entrambe gli obiettivi. Facciamone la stella polare di ogni azione di partito. Di ogni progetto territoriale di un Pd da rilanciare. Anche per queste ragioni, ora, qui, a Roma, ho scelto di appoggiare con forza Roberto Giachetti. Perché nel suo agire, nella sua pratica di militante e di uomo pubblico, nel suo programma le due grandi carte della sinistra si fondono. E in modo convincente.

Poi, dopo il voto a Roma e in tutta Italia, da cui dipende tanta parte della nostra qualità di vita, penseremo al resto.

P.S. Fra il resto c'è anche il Referendum autunnale, che era l'occasione delle parole di Matteo Renzi. Non faccio finta di ignorarlo Ma c'è tempo affinché noi cittadini si comprenda bene il contenuto delle decisioni prese dal Parlamento e si valuti il loro possibile effetto, ascoltando pareri favorevoli e contrari, e si maturi un convincimento non emotivo. Come merita un cambiamento costituzionale).

Da - http://www.huffingtonpost.it/fabrizio-barca/renzi-sinistra_b_10143482.html?ncid=fcbklnkithpmg00000001


Titolo: Fabrizio BARCA. Sentimento e Ragione.
Inserito da: Arlecchino - Novembre 03, 2016, 06:02:52 pm
Due parole animano questo pro-memoria sul Referendum costituzionale. Sentimento e Ragione.

Il Sentimento. La decisione di noi italiani sul Referendum costituzionale sarà dettata, come sempre avviene – si pensi al recente Referendum britannico – dal Sentimento, ossia da un processo cognitivo istintivo, non da una ricerca approfondita delle “ragioni”: a guidarci sarà il convincimento emotivo circa le conseguenze per la nostra vita dell’uno o dell’altro esito. Qui a contare saranno due considerazioni assai diverse. Una riguarda le “conseguenze per gli anni a venire” di modificare (come proposto) o di non modificare la Costituzione. L’altra riguarda le “conseguenze del mattino dopo” sulla guida del paese, proprio mentre in Europa e nel mondo monta tempesta.

La Ragione. Comunque finisca, a Referendum celebrato la macchina della Repubblica deve marciare a spron battuto attuando la Costituzione imperfetta che si ritroverà fra le mani. Se avrà vinto il SI, si dovrà subito tentare di limitare con una legge la degenerazione della qualità dei senatori, si dovrà gestire un ambiguo riparto di competenze fra Regioni e Stato, si dovranno chiarire subito i tanti e oscuri percorsi legislativi Camera-Senato, e altro ancora. Se avrà vinto il NO, si dovrà evitare che la doppia fiducia di Camera e Senato continui a produrre governi senza anima, che il governo abusi dei decreti legge, che un quorum troppo elevato uccida il Referendum abrogativo, e altro ancora. Comunque finisca, insomma, noi tutti dovremo lottare per una “buona attuazione”, altrimenti, in entrambi i casi, non cambierà nulla, anzi monterà solo una grande delusione. E per lottare dobbiamo conoscere sin da ora, al meglio delle nostre possibilità, con la Ragione, di cosa stiamo parlando.

Sentimento e Ragione.

Il primo è l’Elefante che con la sua potenza guida le nostre decisioni. La seconda è il Cavaliere che monta l’Elefante: sa guardare lungo e intravede rischi e opportunità e per questo si è guadagnato un ruolo (sussidiario), ma solo se riesce a comunicare con l’Elefante (Utilizzo la metafora dello psicologo morale Jonathan Haidt, permettendomi di declinare i termini Cavaliere ed Elefante in modo difforme dal gergo politico prevalente nell’ultimo venticinquennio). Ecco perché condivido pubblicamente questo pro-memoria personale. Non sono affatto un “esperto” della parte ordinamentale della Costituzione, ma nella vita mi sono trovato ad applicarla in tanti diversi ruoli. E per prendere ora una decisione ho cercato di costruirmi un ponte fra Ragione e Sentimento. Chiedendomi in che modo la riforma costituzionale impatta sui cinque pilastri del “buon governo” a cui tutti aspiriamo: Efficienza, Efficacia, Certezza, Partecipazione, Garanzie. Si tratta delle “conseguenze per gli anni a venire”, insomma dello sguardo lungo, che, affiancandosi alle preoccupazioni per il “mattino dopo”, potrà ispirare il Sentimento nella sua decisione finale.

Il mio ponte è artigianale, ma è fatto con corde intessute grazie a tanti contributi e letture, e ha retto a un primo test nel mio circolo @PDGiubbonari. Sono così arrivato a due conclusioni. Le riassumo brevemente, invitandovi poi alla lettura e augurandomi che il ponte sia usato da altri e che qualcuno magari mi convinca a cambiare idea.

La prima conclusione è un forte invito a non eccitare l’Elefante, né per il SI né per il NO al Referendum. Non ve n’è ragione, perché, sulla base del mio metodo di valutazione, le conseguenze della riforma sulla nostra vita per gli anni a venire non appaiono né positive, né negative. O meglio, come cerco di mostrare, la riforma sembra produrre molte conseguenze lievemente positive e molte lievemente negative, in un bilanciamento incommensurabile che ci spinge alla sostanziale indifferenza sull’esito. Se eccitiamo oggi l’Elefante, lo facciamo senza fondamenta. Quando scoprirà, chiunque vinca, che non ha raggiunto la terra promessa, sarà furibondo e non lo controlleremo più. Per quanto mi riguarda, dunque, mettendo per ora da parte ogni istinto sulle “conseguenze del mattino dopo” – con cui prima del 5 dicembre dovrò pur fare i conti – la soluzione è l’astensione, “astensione attiva”, come mi è stato suggerito, visto che non è segno di disinteresse, ma di un percorso che mira a essere utile per il “dopo voto”: recarsi alle urne e annullare la scheda ne sarebbe il segno più chiaro.
La seconda conclusione riguarda ciò di cui invece dovremmo parlare all’Elefante. Dobbiamo parlargli della “sacralità” del processo democratico che stiamo vivendo, rimediando, noi tutti cittadini italiani, al limite mostrato dal nostro Parlamento nel mancare il quorum dei 2/3. Della saggezza dei nostri Costituenti nel prevedere questo meccanismo rimediale. Della necessità, in questo passaggio drammatico della storia europea, che la nostra Repubblica sia coesa attorno ai Principi, intoccabili e intoccati, della I parte della Costituzione. Della necessità, qualunque sia l’esito referendario, che questi principi siano meglio attuati; e dunque che tutti assieme, dal mattino dopo e comunque finisca, evitando inni alla “vittoria” o alla “tragedia”, si lavori affinché i punti deboli della soluzione che ha vinto siano contrastati e circoscritti e i punti forti esaltati e attuati. Anche perché, grazie al Referendum, li avremo finalmente meglio compresi (se useremo bene le prossime settimane). Dobbiamo tornare a “fare politica”, ad animare di “cultura” il nostro confronto, a monitorare gli esiti, a rivitalizzare i partiti e la cittadinanza attiva perché le cose che sentiamo giuste avvengano davvero. Perché la parte ordinamentale della Costituzione, qualunque sia il risultato, venga applicata al meglio.

Procedo dunque a riassumere in modo sintetico, nello spirito e con linguaggio di un promemoria personale (Manca ad esempio ogni riferimento al testo costituzionale attuale e modificato – che trovate ad esempio molto ben chiosato nelle preziose Appendici del volume di Salvatore Settis “Costituzione!”, Einaudi 2016), i principali effetti che l’insieme dei cambiamenti proposti dalla legge sottoposta a Referendum confermativo sembrano produrre sul funzionamento dell’Ordinamento della Repubblica, giudicato in base a cinque dimensioni:
1.   Efficienza, nel senso di tempestivo adattamento a un contesto volatile (Trascuro qualsiasi riferimento all’efficienza in termini di costi, dal momento che, pur significativi in assoluto, i costi di esercizio degli organi dell’Ordinamento sono statisticamente irrilevanti a fronte dei costi/benefici derivanti da un “cattivo/buon governo”).
2.   Efficacia, nel senso di qualità/impatto delle decisioni sulla nostra qualità di vita.
3.   Certezza, nel senso di stabilità del governo, delle leggi, della stessa Costituzione.
4.   Partecipazione, nel senso di capacità di acquisire direttamente e utilizzare conoscenza e preferenze dei cittadini e dei lavoratori.
5.   Garanzie, delle minoranze e in generale nel senso di auto-correzione sistemica di fronte a eventi/azioni imprevisti o estremi.
È difficile e soggettivo pesare queste dimensioni – quanto siamo pronti a cedere dell’una per avere un tot in più dell’altra? – ma certo se per alcune si osservasse un miglioramento senza che per le altre vi fosse un peggioramento, diremmo che è cresciuta la capacità dell’Ordinamento della Repubblica di realizzare i principi della prima parte della Costituzione, al servizio dei quali l’Ordinamento stesso è posto.
Prima di passare la riforma costituzionale a questo vaglio, servono due caveat su quello che non faccio qui e perché.
Primo, non giudico il processo legislativo con cui la riforma è stata elaborata. Non vi sono dubbi che si tratta di un cattivo processo, visto che non ha raggiunto quel largo consenso parlamentare che i Costituenti hanno cifrato in 2/3 del Parlamento (e che la riforma stessa riconosce valido, non avendo modificato questa previsione). E sul piano politico ha peso l’argomento che questo Parlamento, eletto con legge elettorale poi giudicata incostituzionale dalla Corte Costituzionale, avrebbe dovuto avvertire doveri e limiti ancor più forti. E tuttavia, grazie alla saggezza dei Costituenti, noi siamo chiamati a porre rimedio a queste deficienze, trasformandoci in “costituenti”. Lo stesso atto referendario, comunque si voti, ri-democraticizza dunque il processo. Votare senza guardare il merito e giudicando il metodo mi appare dunque contraddittorio.
Secondo, non giudico la riforma “in connessione” con la legge elettorale, perché l’Ordinamento della Repubblica su cui siamo chiamati a esprimerci è scelto, come il precedente, per convivere con ogni legge elettorale, “per sé”. Dobbiamo giudicare se sia migliore/peggiore/uguale al precedente indipendentemente dalle leggi elettorali con cui potrà essere combinato. Si dice: “ma la legge elettorale approvata per la Camera è pessima e combinata con la riforma costituzionale …”. Attenzione: la legge elettorale è assai più che pessima, è terribile, perché impedisce una buona selezione di classe dirigente e stravolge la rappresentanza rispetto alle preferenze dei votanti; ma lo è in connessione con qualunque Ordinamento della Repubblica.
E veniamo al vaglio della riforma utilizzando le cinque dimensioni. Accanto a ogni dimensione o sub-dimensione indico con “=” una sostanziale invarianza, con “-“ un peggioramento, con “+” un miglioramento. I segni “=-“ e “=+” indicano effetti lievi.
Ovviamente, pur argomentando sinteticamente i giudizi e i segni che propongo, si tratta – è ben chiaro – di mere “ipotesi di effetto”, assolutamente non dimostrate e opinabili. Per questo uso espressioni come “promette di”, “dovrebbe”, “potrebbe”, “appare”. Queste ipotesi hanno il solo pregio di essere proposizioni trasparenti: chi volesse argomentare il contrario potrebbe e potrà portare quegli elementi di giudizio che io non ho colto o che ignoro. E che magari potrebbero modificare il giudizio finale di “sostanziale indifferenza”. E che con certezza possono accrescere la nostra conoscenza collettiva, utile il mattino dopo, comunque vada a finire.
1. Efficienza (=+)
Due modiche introdotte dalla riforma impattano sull’efficienza, in termini di tempestività: l’abolizione del bicameralismo perfetto, per cui solo una parte delle leggi dovrà ricevere il voto vincolante del Senato (“funzione legislativa esercitata collettivamente”), e l’inserimento di alcuni vincoli temporali nel processo legislativo. Queste modifiche promettono di ridurre i tempi di discussione e approvazione di molte leggi e dunque la capacità di reazione legislativa a fronte di un contesto economico e sociale volatile, che chiede decisioni urgenti. Questo miglioramento appare tuttavia di presumibile lieve portata alla luce delle seguenti considerazioni:
a) la lunghezza delle procedure legislative dipende in larga misura dalla volontà politica, b) nell’esperienza concreta il cosiddetto ping-pong Camera-Senato ha riguardato una parte minoritaria della legislazione, c) la difficoltà di decidere, legge per legge, se debba o non debba scattare il bicameralismo e il fatto che, in ogni caso, il Senato può decidere (“su richiesta di un terzo dei suoi componenti”) di esaminare ogni provvedimento e può “formulare osservazioni su atti o documenti all’esame della Camera”, possono introdurre ostacoli politici nuovi, e infine d) la reattività di un sistema ordinamentale moderno non si misura tanto con la tempestività di modifica delle sue leggi (come avvenuto ad esempio per le leggi del mercato del lavoro, dove ogni singolo articolo – è la stima di un paper della Banca d’Italia – è stato modificato nei successivi due anni una volta e mezzo), ma con la capacità di adattamento dell’azione amministrativa a normativa data.
2. Efficacia (=-)
Per quanto riguarda l’efficacia intesa come capacità di produrre “buone decisioni”, la riforma impatta su due piani distinti:
A. Efficacia del Parlamento (=-)
Qui considero due canali di influenza della riforma:

•   Singolo passaggio alla Camera (=)
Appare impossibile determinare il segno del cambiamento sulla base delle informazioni reperite. Infatti, da un lato, si può sostenere che la venuta meno del doppio passaggio riduce la possibilità di identificare errori o mancanze, peggiorando così la qualità delle leggi. Ma dall’altro, si può argomentare che nel ping-pong cresce il peso di gruppi di interesse e dunque un “mercato dei commi di legge” che distorce i provvedimenti. Temerario tirare una somma dei due effetti opposti

•   Selezione e motivazione dei senatori (-)
Qui l’effetto della riforma appare decisamente negativo. La difficile sostenibilità da parte di Consiglieri Regionali e Sindaci dell’incarico aggiuntivo e non remunerato di “senatore” e l’”immunità parlamentare” di cui si ritrovano a godere (per effetto dell’articolo 68 dell’attuale Costituzione) suggeriscono che si avrà una forte spinta a una “selezione avversa” dei nuovi senatori, che penalizzerà i migliori e più dedicati e retti fra i possibili candidati. Inoltre, essendo prevista una rappresentanza a titolo personale e non una rappresentanza collettiva regionale, i nuovi senatori di ogni Regione non saranno indotti a portare collegialmente in Senato un punto di vista mediato della classe dirigente politica della propria Regione; saranno viceversa indotti a negoziare il proprio voto in Senato (presumibilmente all’interno del proprio partito) per “concessioni” da esibire poi individualmente in sede locale. Non è chiaro se e come la legge che potrebbe intervenire a “regolare le modalità … di elezione dei membri del Senato tra i consiglieri e i sindaci” possa lenire queste criticità.
B. Efficacia del governo multilivello Regioni-Stato (=)
L’efficacia complessiva dell’ordinamento dipende anche dalla capacità di divisione del lavoro e di cooperazione cognitiva fra livelli di Governo. Qui considero tre cambiamenti relativi al livello Regioni (trascuro il tema Province dove la riforma sancisce una situazione già prodottasi):

•   “Il Senato rappresenta le istituzioni territoriali” (=)
La riforma così recita all’articolo 55. In realtà, come visto sopra, a sedere in Parlamento sono singole figure prive di un impegno di rappresentanza delle proprie Istituzioni. In particolare, il voto dei Consiglieri regionali / Senatori in nessun modo impegna il loro Consiglio e tantomeno il Governo regionale. Non si attiva quindi un canale nuovo di cooperazione fra i due livelli di Governo, e infatti rimarrà operativa la Conferenza Stato-Regioni. Nessun peggioramento, nessun miglioramento

•   Riallocazione di funzioni dalle Regioni allo Stato (=)
Come noto, la riforma abolisce formalmente la “concorrenza” di funzioni fra Stato e Regioni, prevedendo per i due livelli solo competenze “esclusive” (assegnando alle Regioni anche ciò che non è “espressamente riservato allo Stato”). Tuttavia, per materie fondamentali il nuovo testo, consapevole delle competenze ormai maturate presso le Regioni, suddivide la materia fra due esclusività, delle Regioni e dello Stato: ad esempio per la salute, lo Stato ha le “disposizioni generali e comuni per la tutela della salute”, le Regioni hanno ”la programmazione e organizzazione dei servizi sanitari”. Non sembra dunque prevedibile, nei fatti, un significativo cambiamento (ed è probabilmente un bene), sempre che non si aprano – per via del testo – nuovi contenziosi. D’altro canto, se in alcuni casi si dovesse avere un’effettiva ricentralizzazione di funzioni, nasce un dubbio: è lo Stato pronto (in termini di risorse umane e cultura) a riprendersi tali funzioni? (Si noti a riguardo che il mancato “indirizzo nazionale” successivo al decentramento massiccio del 2001 va attribuito più all’incapacità dello Stato di agire che a un impedimento costituzionale, come mostra il caso della sottoutilizzazione dei commi m e r dell’articolo 117 attualmente in vigore). Tirando le somme, un’invarianza è l’ipotesi più probabile.
Complessivamente, quindi, il presumibile forte effetto negativo su selezione e motivazione dei senatori fa pendere la bilancia dal lato del peggioramento, lieve per via degli altri non-peggioramenti.
C. Certezza (=)
Per certezza si intende qui sia la probabilità che dopo un’elezione politica si possa formare un governo che non sia il collage precario di forze lontane, sia la certezza delle norme: quella dei cittadini, che una volta approvata una legge e adattati i propri comportamenti, se la vedono spesso cambiare per via di un ricorso alla Corte Costituzionale, o – peggio ancora – che una volta approvato/respinto un testo costituzionale rischiano vederselo rimettere in discussione con più facilità di un Regolamento condominiale. Rilevano allora quattro aspetti:

•   Stabilità di governo (+)
Con l’affidamento alla sola Camera della fiducia al Governo cresce certamente, rispetto al caso attuale di due distinti atti di fiducia, uno per ramo del Parlamento, la probabilità che sia data fiducia a un governo composto da forze politiche coese, “con un’anima” ho scritto prima. Non era il solo modo di ottenere questo esito, ma è certamente positivo.

•   Iter parlamentare (-)
Le molteplici possibilità previste in merito al coinvolgimento del Senato nel procedimento legislativo e la farraginosità del testo daranno presumibilmente luogo a incertezze nel Parlamento e fuori, foriere di tensioni politiche.

•   Impugnabilità da parte delle Regioni (=)
Per il motivo già richiamato – il fatto che il voto dei Consiglieri Regionali / Senatori non impegna la volontà del legislativo, né dell’esecutivo delle proprie Regioni – nulla dovrebbe cambiare circa l’incertezza legata alle contestazioni di incostituzionalità.

•   Stabilità costituzionale (-)
Il processo con cui la riforma è stata approvata e il mancato conseguimento (come già in precedenti riforme, ma mai per così tanti articoli) del quorum dei 2/3, mentre non inficia in sé il testo che votiamo – come ho argomentato prima – introduce ulteriore incertezza nella stabilità nel tempo della parte ordinamentale della Costituzione. Forte sarà la convinzione, in caso di approvazione della riforma con un margine non eclatante di voti, che essa sarà presto nuovamente modificata.
È quasi impossibile pesare i due effetti opposti sulla stabilità costituzionale e dei governi. Me la cavo ipotizzando che l’insieme degli effetti produca sostanziale invarianza. Pronto a rivedere il giudizio di fronte a robusti argomenti.

D. Partecipazione (=+)
La riforma costituzionale propostaci non apre purtroppo (salvo un assai vago riferimento a “formazioni sociali” nel prevedere possibili “altre forme di consultazione”) alle nuove forme di partecipazione attiva e diretta alle pubbliche decisioni che, in forme variegate di cittadinanza attiva, rappresentano la novità più sfidante delle nostre democrazie. E neppure apre al tema delle nuove forme di collaborazione (attiva e autonoma, o viceversa passiva e subordinata) dei lavoratori nelle imprese, che segna una delle linee evolutive del capitalismo. Sono due fenomeni che assumono particolare rilievo anche in Italia e che, più di altri, domandavano un adeguamento dell’Ordinamento della Repubblica. Ma la riforma ritocca in modo significativo le forme tradizionali di partecipazione diretta dei cittadini alle pubbliche decisioni:

•   Forme tradizionali di partecipazione diretta dei cittadini (=+)
Viene ridato spazio al referendum abrogativo, prevedendo che, ove sia proposto da almeno 800mila cittadini (anziché le 500mila, cifra minima), il quorum del “50%+1” sia calcolato sul numero di votanti alle ultime elezioni politiche, anziché sul numero dei cittadini aventi diritto. Innalzando il numero di richiedenti da 50mila a 150mila, viene previsto che le leggi di iniziativa popolare debbano essere esaminate dalla Camera. Infine, affida a una legge la possibilità di introdurre “referendum popolari propositivi e d’indirizzo nonché … altre forme di consultazione”. A questi effetti positivi si contrappone la perdita da parte dei cittadini della possibilità di selezionare in modo diretto i membri del Senato.
Nessuna attenzione, invece, al lavoro. Alla opportuna abolizione del CNEL, che non ha conseguito la propria missione, non corrisponde alcuna soluzione per presidiare l’impegno di cui l’articolo 3 della Costituzione fa carico alla Repubblica: “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono … l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Un’occasione persa dall’intero Parlamento. Il giudizio complessivo resta lievemente positivo.

E. Garanzie (=)
La prima e più importante cosa da notare in termini di garanzie, tema che era delicato nel 1948 e resta delicato, specie di fronte ai rischi involutivi di questa fase, è che la riforma costituzionale non accoglie in alcun modo il tentativo in corso da oltre venti anni (che pure ha avuto aperture in passato anche nel centro-sinistra) di stravolgere la nostra democrazia parlamentare in una democrazia presidenziale. In particolare, restano immutati i poteri del Presidente della Repubblica:

•   Presidente della Repubblica (=)
Il Presidente conserva il potere di nomina del Presidente del Consiglio e, su proposta di questo, dei Ministri: passaggio decisivo per assicurare che il Presidente del Consiglio sia un primus inter pares, e che i Ministri, se ne hanno competenza e forza, diano vita in Consiglio a quel confronto acceso e informato che è decisivo per ben governare. Il Presidente conserva anche gli altri poteri e fra questi quello di indire le elezioni, sciogliere la Camera, chiedere alla Camera una nuova deliberazione prima di promulgare una legge. Per quanto riguarda la sua elezione (da parte congiunta di Camera e Senato), la nuova previsione per cui, “dal settimo scrutinio è sufficiente la maggioranza di tre quinti dei votanti” (anziché la “maggioranza assoluta” ma “dell’assemblea”, come prima) potrebbe creare situazioni paradossali in presenza di elevata astensione.

•   Corte Costituzionale (=)
Conserva poteri e modalità di nomina ed è aggiuntivamente investita del potere di “giudizio preventivo di legittimità costituzionale [delle leggi elettorali di Camera e Senato] … su ricorso motivato presentato da almeno un quarto dei componenti della Camera o da almeno un terzo dei componenti del Senato …”. Questa previsione serve a evitare il paradosso di “scoprire” che una legge elettorale è incostituzionale dopo averla già utilizzata, come avvenuto.

A fronte di questi presidi, si riduce, ovviamente, la funzione di garanzia implicita nel bicameralismo perfetto, ossia nel ruolo vincolante del Senato nell’approvazione di tutte le leggi. Tuttavia, il fatto che il Senato possa, come ricordato, “su richiesta di un terzo dei suoi componenti”, esaminare ogni disegno di legge e deliberare “proposte di modificazione del testo, sulle quali la Camera si pronuncia in via definitiva” e inoltre possa “svolgere attività conoscitive, nonché formulare osservazioni su atti o documenti all’esame della Camera”, mentre riduce i miglioramenti di efficienza, crea un meccanismo di garanzia. Complessivamente appare emergere anche qui un giudizio di invarianza.

E siamo alla conclusione. È ora chiaro, mi auguro, perché mi sono convinto che l’insieme della riforma né peggiora, né migliora la capacità dell’Ordinamento della Repubblica di attuare i principi della Costituzione stessa, ossia di “farci vivere al meglio”. Certezza e Garanzie sembrano restare invariate. Per Efficienza e Partecipazione sembra esservi un lieve miglioramento. Ma l’Efficacia sembra peggiorare. Ecco che la Ragione (il Cavaliere), provando a guardare lontano, non ha alcuna ragione di eccitare il Sentimento (l’Elefante) né verso il SI, né verso il NO. Ma deve piuttosto spronare la sua potenza a emozionarsi per la “sacralità” dell’esercizio democratico che stiamo compiendo, e per l’impegno che, comunque finisca, ci attende dopo il voto per attuare la nostra Costituzione.
Il post L’Elefante e il Cavaliere: Promemoria sul Referendum Costituzionale è online su Fabrizio Barca.

Da - https://mail.google.com/mail/u/0/?pc=it-ha-emea-it-bk&shva=1#inbox/1577a165c30cb4e4


Titolo: Fabrizio BARCA: "Senza vera partecipazione cittadini, anche Renzi rischia di ...
Inserito da: Admin - Novembre 14, 2016, 05:28:23 pm
11 novembre 2016

Barca: "Senza vera partecipazione cittadini, anche Renzi rischia di subire effetto Trump"

"Le elezioni americane dicono alla sinistra italiana e non solo che deve tornare a fare la sinistra.
Dicono anche che i partiti servono: a differenza della candidatura di Obama, quelle di Clinton e Trump sono nate fuori dai partiti, dalla logica di rappresentanza e la gente ha cercato autorità".

Così l'ex ministro e dirigente del Pd Fabrizio Barca analizza la vittoria di Donald Trump e della sconfitta della democratica Hillary Clinton nella corsa per la presidenza Usa.

Secondo Barca: "Renzi in Italia ha anticipato il sentimento anti-establishment, ma il rischio in questo modo è di aprire la strada a chi usa quello stesso linguaggio in maniera più convincente".

Da - http://video.huffingtonpost.it/politica/barca-senza-vera-partecipazione-cittadini-anche-renzi-rischia-di-subire-effetto-trump/10761/10739


Titolo: Fabrizio BARCA. L’Elefante e il Cavaliere Promemoria sul Referendum Costituzione
Inserito da: Arlecchino - Dicembre 17, 2016, 01:49:40 pm
L’Elefante e il Cavaliere: Promemoria sul Referendum Costituzionale
Pubblicato in: Il blog   il 29 settembre 2016 da Fabrizio Barca 35 commenti   
L’Elefante e il Cavaliere: Promemoria sul Referendum Costituzionale   
Due parole animano questo pro-memoria sul Referendum costituzionale. Sentimento e Ragione.

Il Sentimento. La decisione di noi italiani sul Referendum costituzionale sarà dettata, come sempre avviene – si pensi al recente Referendum britannico – dal Sentimento, ossia da un processo cognitivo istintivo, non da una ricerca approfondita delle “ragioni”: a guidarci sarà il convincimento emotivo circa le conseguenze per la nostra vita dell’uno o dell’altro esito. Qui a contare saranno due considerazioni assai diverse. Una riguarda le “conseguenze per gli anni a venire” di modificare (come proposto) o di non modificare la Costituzione. L’altra riguarda le “conseguenze del mattino dopo” sulla guida del paese, proprio mentre in Europa e nel mondo monta tempesta.

La Ragione. Comunque finisca, a Referendum celebrato la macchina della Repubblica deve marciare a spron battuto attuando la Costituzione imperfetta che si ritroverà fra le mani. Se avrà vinto il SI, si dovrà subito tentare di limitare con una legge la degenerazione della qualità dei senatori, si dovrà gestire un ambiguo riparto di competenze fra Regioni e Stato, si dovranno chiarire subito i tanti e oscuri percorsi legislativi Camera-Senato, e altro ancora. Se avrà vinto il NO, si dovrà evitare che la doppia fiducia di Camera e Senato continui a produrre governi senza anima, che il governo abusi dei decreti legge, che un quorum troppo elevato uccida il Referendum abrogativo, e altro ancora. Comunque finisca, insomma, noi tutti dovremo lottare per una “buona attuazione”, altrimenti, in entrambi i casi, non cambierà nulla, anzi monterà solo una grande delusione. E per lottare dobbiamo conoscere sin da ora, al meglio delle nostre possibilità, con la Ragione, di cosa stiamo parlando.

Sentimento e Ragione. Il primo è l’Elefante che con la sua potenza guida le nostre decisioni. La seconda è il Cavaliere che monta l’Elefante: sa guardare lungo e intravede rischi e opportunità e per questo si è guadagnato un ruolo (sussidiario), ma solo se riesce a comunicare con l’Elefante (Utilizzo la metafora dello psicologo morale Jonathan Haidt, permettendomi di declinare i termini Cavaliere ed Elefante in modo difforme dal gergo politico prevalente nell’ultimo venticinquennio). Ecco perché condivido pubblicamente questo pro-memoria personale. Non sono affatto un “esperto” della parte ordinamentale della Costituzione, ma nella vita mi sono trovato ad applicarla in tanti diversi ruoli. E per prendere ora una decisione ho cercato di costruirmi un ponte fra Ragione e Sentimento. Chiedendomi in che modo la riforma costituzionale impatta sui cinque pilastri del “buon governo” a cui tutti aspiriamo: Efficienza, Efficacia, Certezza, Partecipazione, Garanzie. Si tratta delle “conseguenze per gli anni a venire”, insomma dello sguardo lungo, che, affiancandosi alle preoccupazioni per il “mattino dopo”, potrà ispirare il Sentimento nella sua decisione finale.

Il mio ponte è artigianale, ma è fatto con corde intessute grazie a tanti contributi e letture, e ha retto a un primo test nel mio circolo @PDGiubbonari. Sono così arrivato a due conclusioni. Le riassumo brevemente, invitandovi poi alla lettura e augurandomi che il ponte sia usato da altri e che qualcuno magari mi convinca a cambiare idea.

La prima conclusione è un forte invito a non eccitare l’Elefante, né per il SI né per il NO al Referendum. Non ve n’è ragione, perché, sulla base del mio metodo di valutazione, le conseguenze della riforma sulla nostra vita per gli anni a venire non appaiono né positive, né negative. O meglio, come cerco di mostrare, la riforma sembra produrre molte conseguenze lievemente positive e molte lievemente negative, in un bilanciamento incommensurabile che ci spinge alla sostanziale indifferenza sull’esito. Se eccitiamo oggi l’Elefante, lo facciamo senza fondamenta. Quando scoprirà, chiunque vinca, che non ha raggiunto la terra promessa, sarà furibondo e non lo controlleremo più. Per quanto mi riguarda, dunque, mettendo per ora da parte ogni istinto sulle “conseguenze del mattino dopo” – con cui prima del 5 dicembre dovrò pur fare i conti – la soluzione è l’astensione, “astensione attiva”, come mi è stato suggerito, visto che non è segno di disinteresse, ma di un percorso che mira a essere utile per il “dopo voto”: recarsi alle urne e annullare la scheda ne sarebbe il segno più chiaro.

La seconda conclusione riguarda ciò di cui invece dovremmo parlare all’Elefante. Dobbiamo parlargli della “sacralità” del processo democratico che stiamo vivendo, rimediando, noi tutti cittadini italiani, al limite mostrato dal nostro Parlamento nel mancare il quorum dei 2/3. Della saggezza dei nostri Costituenti nel prevedere questo meccanismo rimediale. Della necessità, in questo passaggio drammatico della storia europea, che la nostra Repubblica sia coesa attorno ai Principi, intoccabili e intoccati, della I parte della Costituzione. Della necessità, qualunque sia l’esito referendario, che questi principi siano meglio attuati; e dunque che tutti assieme, dal mattino dopo e comunque finisca, evitando inni alla “vittoria” o alla “tragedia”, si lavori affinché i punti deboli della soluzione che ha vinto siano contrastati e circoscritti e i punti forti esaltati e attuati. Anche perché, grazie al Referendum, li avremo finalmente meglio compresi (se useremo bene le prossime settimane). Dobbiamo tornare a “fare politica”, ad animare di “cultura” il nostro confronto, a monitorare gli esiti, a rivitalizzare i partiti e la cittadinanza attiva perché le cose che sentiamo giuste avvengano davvero. Perché la parte ordinamentale della Costituzione, qualunque sia il risultato, venga applicata al meglio.

Procedo dunque a riassumere in modo sintetico, nello spirito e con linguaggio di un promemoria personale (Manca ad esempio ogni riferimento al testo costituzionale attuale e modificato – che trovate ad esempio molto ben chiosato nelle preziose Appendici del volume di Salvatore Settis “Costituzione!”, Einaudi 2016), i principali effetti che l’insieme dei cambiamenti proposti dalla legge sottoposta a Referendum confermativo sembrano produrre sul funzionamento dell’Ordinamento della Repubblica, giudicato in base a cinque dimensioni:

    Efficienza, nel senso di tempestivo adattamento a un contesto volatile (Trascuro qualsiasi riferimento all’efficienza in termini di costi, dal momento che, pur significativi in assoluto, i costi di esercizio degli organi dell’Ordinamento sono statisticamente irrilevanti a fronte dei costi/benefici derivanti da un “cattivo/buon governo”).
    Efficacia, nel senso di qualità/impatto delle decisioni sulla nostra qualità di vita.
    Certezza, nel senso di stabilità del governo, delle leggi, della stessa Costituzione.
    Partecipazione, nel senso di capacità di acquisire direttamente e utilizzare conoscenza e preferenze dei cittadini e dei lavoratori.
    Garanzie, delle minoranze e in generale nel senso di auto-correzione sistemica di fronte a eventi/azioni imprevisti o estremi.

È difficile e soggettivo pesare queste dimensioni – quanto siamo pronti a cedere dell’una per avere un tot in più dell’altra? – ma certo se per alcune si osservasse un miglioramento senza che per le altre vi fosse un peggioramento, diremmo che è cresciuta la capacità dell’Ordinamento della Repubblica di realizzare i principi della prima parte della Costituzione, al servizio dei quali l’Ordinamento stesso è posto.

Prima di passare la riforma costituzionale a questo vaglio, servono due caveat su quello che non faccio qui e perché.

Primo, non giudico il processo legislativo con cui la riforma è stata elaborata. Non vi sono dubbi che si tratta di un cattivo processo, visto che non ha raggiunto quel largo consenso parlamentare che i Costituenti hanno cifrato in 2/3 del Parlamento (e che la riforma stessa riconosce valido, non avendo modificato questa previsione). E sul piano politico ha peso l’argomento che questo Parlamento, eletto con legge elettorale poi giudicata incostituzionale dalla Corte Costituzionale, avrebbe dovuto avvertire doveri e limiti ancor più forti. E tuttavia, grazie alla saggezza dei Costituenti, noi siamo chiamati a porre rimedio a queste deficienze, trasformandoci in “costituenti”. Lo stesso atto referendario, comunque si voti, ri-democraticizza dunque il processo. Votare senza guardare il merito e giudicando il metodo mi appare dunque contraddittorio.

Secondo, non giudico la riforma “in connessione” con la legge elettorale, perché l’Ordinamento della Repubblica su cui siamo chiamati a esprimerci è scelto, come il precedente, per convivere con ogni legge elettorale, “per sé”. Dobbiamo giudicare se sia migliore/peggiore/uguale al precedente indipendentemente dalle leggi elettorali con cui potrà essere combinato. Si dice: “ma la legge elettorale approvata per la Camera è pessima e combinata con la riforma costituzionale …”. Attenzione: la legge elettorale è assai più che pessima, è terribile, perché impedisce una buona selezione di classe dirigente e stravolge la rappresentanza rispetto alle preferenze dei votanti; ma lo è in connessione con qualunque Ordinamento della Repubblica.

E veniamo al vaglio della riforma utilizzando le cinque dimensioni. Accanto a ogni dimensione o sub-dimensione indico con “=” una sostanziale invarianza, con “-“ un peggioramento, con “+” un miglioramento. I segni “=-“ e “=+” indicano effetti lievi.

Ovviamente, pur argomentando sinteticamente i giudizi e i segni che propongo, si tratta – è ben chiaro – di mere “ipotesi di effetto”, assolutamente non dimostrate e opinabili. Per questo uso espressioni come “promette di”, “dovrebbe”, “potrebbe”, “appare”. Queste ipotesi hanno il solo pregio di essere proposizioni trasparenti: chi volesse argomentare il contrario potrebbe e potrà portare quegli elementi di giudizio che io non ho colto o che ignoro. E che magari potrebbero modificare il giudizio finale di “sostanziale indifferenza”. E che con certezza possono accrescere la nostra conoscenza collettiva, utile il mattino dopo, comunque vada a finire.
1. Efficienza (=+)

Due modiche introdotte dalla riforma impattano sull’efficienza, in termini di tempestività: l’abolizione del bicameralismo perfetto, per cui solo una parte delle leggi dovrà ricevere il voto vincolante del Senato (“funzione legislativa esercitata collettivamente”), e l’inserimento di alcuni vincoli temporali nel processo legislativo. Queste modifiche promettono di ridurre i tempi di discussione e approvazione di molte leggi e dunque la capacità di reazione legislativa a fronte di un contesto economico e sociale volatile, che chiede decisioni urgenti. Questo miglioramento appare tuttavia di presumibile lieve portata alla luce delle seguenti considerazioni:

a) la lunghezza delle procedure legislative dipende in larga misura dalla volontà politica, b) nell’esperienza concreta il cosiddetto ping-pong Camera-Senato ha riguardato una parte minoritaria della legislazione, c) la difficoltà di decidere, legge per legge, se debba o non debba scattare il bicameralismo e il fatto che, in ogni caso, il Senato può decidere (“su richiesta di un terzo dei suoi componenti”) di esaminare ogni provvedimento e può “formulare osservazioni su atti o documenti all’esame della Camera”, possono introdurre ostacoli politici nuovi, e infine d) la reattività di un sistema ordinamentale moderno non si misura tanto con la tempestività di modifica delle sue leggi (come avvenuto ad esempio per le leggi del mercato del lavoro, dove ogni singolo articolo – è la stima di un paper della Banca d’Italia – è stato modificato nei successivi due anni una volta e mezzo), ma con la capacità di adattamento dell’azione amministrativa a normativa data.
2. Efficacia (=-)

Per quanto riguarda l’efficacia intesa come capacità di produrre “buone decisioni”, la riforma impatta su due piani distinti:

A. Efficacia del Parlamento (=-)

Qui considero due canali di influenza della riforma:

    Singolo passaggio alla Camera (=)
    Appare impossibile determinare il segno del cambiamento sulla base delle informazioni reperite. Infatti, da un lato, si può sostenere che la venuta meno del doppio passaggio riduce la possibilità di identificare errori o mancanze, peggiorando così la qualità delle leggi. Ma dall’altro, si può argomentare che nel ping-pong cresce il peso di gruppi di interesse e dunque un “mercato dei commi di legge” che distorce i provvedimenti. Temerario tirare una somma dei due effetti opposti
    Selezione e motivazione dei senatori (-)
    Qui l’effetto della riforma appare decisamente negativo. La difficile sostenibilità da parte di Consiglieri Regionali e Sindaci dell’incarico aggiuntivo e non remunerato di “senatore” e l’”immunità parlamentare” di cui si ritrovano a godere (per effetto dell’articolo 68 dell’attuale Costituzione) suggeriscono che si avrà una forte spinta a una “selezione avversa” dei nuovi senatori, che penalizzerà i migliori e più dedicati e retti fra i possibili candidati. Inoltre, essendo prevista una rappresentanza a titolo personale e non una rappresentanza collettiva regionale, i nuovi senatori di ogni Regione non saranno indotti a portare collegialmente in Senato un punto di vista mediato della classe dirigente politica della propria Regione; saranno viceversa indotti a negoziare il proprio voto in Senato (presumibilmente all’interno del proprio partito) per “concessioni” da esibire poi individualmente in sede locale. Non è chiaro se e come la legge che potrebbe intervenire a “regolare le modalità … di elezione dei membri del Senato tra i consiglieri e i sindaci” possa lenire queste criticità.

B. Efficacia del governo multilivello Regioni-Stato (=)

L’efficacia complessiva dell’ordinamento dipende anche dalla capacità di divisione del lavoro e di cooperazione cognitiva fra livelli di Governo. Qui considero tre cambiamenti relativi al livello Regioni (trascuro il tema Province dove la riforma sancisce una situazione già prodottasi):

    “Il Senato rappresenta le istituzioni territoriali” (=)
    La riforma così recita all’articolo 55. In realtà, come visto sopra, a sedere in Parlamento sono singole figure prive di un impegno di rappresentanza delle proprie Istituzioni. In particolare, il voto dei Consiglieri regionali / Senatori in nessun modo impegna il loro Consiglio e tantomeno il Governo regionale. Non si attiva quindi un canale nuovo di cooperazione fra i due livelli di Governo, e infatti rimarrà operativa la Conferenza Stato-Regioni. Nessun peggioramento, nessun miglioramento
    Riallocazione di funzioni dalle Regioni allo Stato (=)
    Come noto, la riforma abolisce formalmente la “concorrenza” di funzioni fra Stato e Regioni, prevedendo per i due livelli solo competenze “esclusive” (assegnando alle Regioni anche ciò che non è “espressamente riservato allo Stato”). Tuttavia, per materie fondamentali il nuovo testo, consapevole delle competenze ormai maturate presso le Regioni, suddivide la materia fra due esclusività, delle Regioni e dello Stato: ad esempio per la salute, lo Stato ha le “disposizioni generali e comuni per la tutela della salute”, le Regioni hanno ”la programmazione e organizzazione dei servizi sanitari”. Non sembra dunque prevedibile, nei fatti, un significativo cambiamento (ed è probabilmente un bene), sempre che non si aprano – per via del testo – nuovi contenziosi. D’altro canto, se in alcuni casi si dovesse avere un’effettiva ricentralizzazione di funzioni, nasce un dubbio: è lo Stato pronto (in termini di risorse umane e cultura) a riprendersi tali funzioni? (Si noti a riguardo che il mancato “indirizzo nazionale” successivo al decentramento massiccio del 2001 va attribuito più all’incapacità dello Stato di agire che a un impedimento costituzionale, come mostra il caso della sottoutilizzazione dei commi m e r dell’articolo 117 attualmente in vigore). Tirando le somme, un’invarianza è l’ipotesi più probabile.

Complessivamente, quindi, il presumibile forte effetto negativo su selezione e motivazione dei senatori fa pendere la bilancia dal lato del peggioramento, lieve per via degli altri non-peggioramenti.

C. Certezza (=)

Per certezza si intende qui sia la probabilità che dopo un’elezione politica si possa formare un governo che non sia il collage precario di forze lontane, sia la certezza delle norme: quella dei cittadini, che una volta approvata una legge e adattati i propri comportamenti, se la vedono spesso cambiare per via di un ricorso alla Corte Costituzionale, o – peggio ancora – che una volta approvato/respinto un testo costituzionale rischiano vederselo rimettere in discussione con più facilità di un Regolamento condominiale. Rilevano allora quattro aspetti:

    Stabilità di governo (+)
    Con l’affidamento alla sola Camera della fiducia al Governo cresce certamente, rispetto al caso attuale di due distinti atti di fiducia, uno per ramo del Parlamento, la probabilità che sia data fiducia a un governo composto da forze politiche coese, “con un’anima” ho scritto prima. Non era il solo modo di ottenere questo esito, ma è certamente positivo.
    Iter parlamentare (-)
    Le molteplici possibilità previste in merito al coinvolgimento del Senato nel procedimento legislativo e la farraginosità del testo daranno presumibilmente luogo a incertezze nel Parlamento e fuori, foriere di tensioni politiche.
    Impugnabilità da parte delle Regioni (=)
    Per il motivo già richiamato – il fatto che il voto dei Consiglieri Regionali / Senatori non impegna la volontà del legislativo, né dell’esecutivo delle proprie Regioni – nulla dovrebbe cambiare circa l’incertezza legata alle contestazioni di incostituzionalità.
    Stabilità costituzionale (-)
    Il processo con cui la riforma è stata approvata e il mancato conseguimento (come già in precedenti riforme, ma mai per così tanti articoli) del quorum dei 2/3, mentre non inficia in sé il testo che votiamo – come ho argomentato prima – introduce ulteriore incertezza nella stabilità nel tempo della parte ordinamentale della Costituzione. Forte sarà la convinzione, in caso di approvazione della riforma con un margine non eclatante di voti, che essa sarà presto nuovamente modificata.

È quasi impossibile pesare i due effetti opposti sulla stabilità costituzionale e dei governi. Me la cavo ipotizzando che l’insieme degli effetti produca sostanziale invarianza. Pronto a rivedere il giudizio di fronte a robusti argomenti.

D. Partecipazione (=+)

La riforma costituzionale propostaci non apre purtroppo (salvo un assai vago riferimento a “formazioni sociali” nel prevedere possibili “altre forme di consultazione”) alle nuove forme di partecipazione attiva e diretta alle pubbliche decisioni che, in forme variegate di cittadinanza attiva, rappresentano la novità più sfidante delle nostre democrazie. E neppure apre al tema delle nuove forme di collaborazione (attiva e autonoma, o viceversa passiva e subordinata) dei lavoratori nelle imprese, che segna una delle linee evolutive del capitalismo. Sono due fenomeni che assumono particolare rilievo anche in Italia e che, più di altri, domandavano un adeguamento dell’Ordinamento della Repubblica. Ma la riforma ritocca in modo significativo le forme tradizionali di partecipazione diretta dei cittadini alle pubbliche decisioni:

    Forme tradizionali di partecipazione diretta dei cittadini (=+)
    Viene ridato spazio al referendum abrogativo, prevedendo che, ove sia proposto da almeno 800mila cittadini (anziché le 500mila, cifra minima), il quorum del “50%+1” sia calcolato sul numero di votanti alle ultime elezioni politiche, anziché sul numero dei cittadini aventi diritto. Innalzando il numero di richiedenti da 50mila a 150mila, viene previsto che le leggi di iniziativa popolare debbano essere esaminate dalla Camera. Infine, affida a una legge la possibilità di introdurre “referendum popolari propositivi e d’indirizzo nonché … altre forme di consultazione”. A questi effetti positivi si contrappone la perdita da parte dei cittadini della possibilità di selezionare in modo diretto i membri del Senato.

Nessuna attenzione, invece, al lavoro. Alla opportuna abolizione del CNEL, che non ha conseguito la propria missione, non corrisponde alcuna soluzione per presidiare l’impegno di cui l’articolo 3 della Costituzione fa carico alla Repubblica: “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono … l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Un’occasione persa dall’intero Parlamento. Il giudizio complessivo resta lievemente positivo.

E. Garanzie (=)

La prima e più importante cosa da notare in termini di garanzie, tema che era delicato nel 1948 e resta delicato, specie di fronte ai rischi involutivi di questa fase, è che la riforma costituzionale non accoglie in alcun modo il tentativo in corso da oltre venti anni (che pure ha avuto aperture in passato anche nel centro-sinistra) di stravolgere la nostra democrazia parlamentare in una democrazia presidenziale. In particolare, restano immutati i poteri del Presidente della Repubblica:

    Presidente della Repubblica (=)
    Il Presidente conserva il potere di nomina del Presidente del Consiglio e, su proposta di questo, dei Ministri: passaggio decisivo per assicurare che il Presidente del Consiglio sia un primus inter pares, e che i Ministri, se ne hanno competenza e forza, diano vita in Consiglio a quel confronto acceso e informato che è decisivo per ben governare. Il Presidente conserva anche gli altri poteri e fra questi quello di indire le elezioni, sciogliere la Camera, chiedere alla Camera una nuova deliberazione prima di promulgare una legge. Per quanto riguarda la sua elezione (da parte congiunta di Camera e Senato), la nuova previsione per cui, “dal settimo scrutinio è sufficiente la maggioranza di tre quinti dei votanti” (anziché la “maggioranza assoluta” ma “dell’assemblea”, come prima) potrebbe creare situazioni paradossali in presenza di elevata astensione.
    Corte Costituzionale (=)
    Conserva poteri e modalità di nomina ed è aggiuntivamente investita del potere di “giudizio preventivo di legittimità costituzionale [delle leggi elettorali di Camera e Senato] … su ricorso motivato presentato da almeno un quarto dei componenti della Camera o da almeno un terzo dei componenti del Senato …”. Questa previsione serve a evitare il paradosso di “scoprire” che una legge elettorale è incostituzionale dopo averla già utilizzata, come avvenuto.

A fronte di questi presidi, si riduce, ovviamente, la funzione di garanzia implicita nel bicameralismo perfetto, ossia nel ruolo vincolante del Senato nell’approvazione di tutte le leggi. Tuttavia, il fatto che il Senato possa, come ricordato, “su richiesta di un terzo dei suoi componenti”, esaminare ogni disegno di legge e deliberare “proposte di modificazione del testo, sulle quali la Camera si pronuncia in via definitiva” e inoltre possa “svolgere attività conoscitive, nonché formulare osservazioni su atti o documenti all’esame della Camera”, mentre riduce i miglioramenti di efficienza, crea un meccanismo di garanzia. Complessivamente appare emergere anche qui un giudizio di invarianza.

E siamo alla conclusione. È ora chiaro, mi auguro, perché mi sono convinto che l’insieme della riforma né peggiora, né migliora la capacità dell’Ordinamento della Repubblica di attuare i principi della Costituzione stessa, ossia di “farci vivere al meglio”. Certezza e Garanzie sembrano restare invariate. Per Efficienza e Partecipazione sembra esservi un lieve miglioramento. Ma l’Efficacia sembra peggiorare. Ecco che la Ragione (il Cavaliere), provando a guardare lontano, non ha alcuna ragione di eccitare il Sentimento (l’Elefante) né verso il SI, né verso il NO. Ma deve piuttosto spronare la sua potenza a emozionarsi per la “sacralità” dell’esercizio democratico che stiamo compiendo, e per l’impegno che, comunque finisca, ci attende dopo il voto per attuare la nostra Costituzione.

Da - http://www.fabriziobarca.it/


Titolo: Fabrizio BARCA. Che partito serve al Pd
Inserito da: Arlecchino - Dicembre 19, 2016, 12:20:12 pm
   Opinioni
Fabrizio Barca      @fabriziobarca

· 18 dicembre 2016
Che partito serve al Pd

Per evitare che si insinui autoritarismo e un disegno di destra non basta (anche se è indispensabile) bloccare l’implosione del Partito Democratico

Per evitare che la crisi sociale e culturale del paese e le angosce e pulsioni che ne discendono sfocino in una domanda di autoritarismo e favoriscano presto un disegno di destra non basta (anche se è indispensabile) bloccare l’implosione del Partito Democratico con un immediato intervento sulla sua organizzazione, come ho appena proposto. E’ anche indispensabile un sussulto nella diagnosi e nelle proposte della “sinistra”, ovunque essa sia: nei partiti, nelle associazioni, nei movimenti, nelle nuove forme della militanza, soprattutto giovanile.

Un sussulto che, pur nella frammentazione e nella diversità dei percorsi, ed evitando saggiamente ogni forzata ricucitura, ridia a tutti la fiducia di esser parte di un processo di ricerca-azione, difficile ma concettualmente fondato e operativo. A chi mi riferisco con “sinistra”? A tutti coloro che ritengono l’articolo 3 il punto più alto della nostra Costituzione, laddove stabilisce che è “compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. In queste parole, eterodosse e moderne, punto di incontro delle culture liberal-azionista, social-comunista e cristianosociale che ancora innervano il Paese, c’è un’indicazione secca sulla missione principale non solo dello Stato ma della Repubblica intera – del privato, del sociale, del pubblico. È la missione dell’inclusione o dell’avanzamento sociale. Compiere ogni sforzo possibile per mettere cittadini e lavoratori nella condizione di vivere la vita che è nello loro corde vivere. Proprio ciò che moltissimi sentono mancare.

A questa fondamentale discriminante potrei aggiungere che essere di sinistra vuol dire anche essere convinti che il capitalismo produce innovazione, avanzamento sociale e persino tutela dell’ecosistema, solo se esso viene continuamente incalzato con la necessaria ruvidezza da cittadini e lavoratori organizzati: la risoluzione delle separazioni del capitalismo (fra lavoro e capitale, controllo e proprietà del capitale, persona e consumatore) a favore dell’avanzamento sociale richiede conflitto. Altri preferiranno una diversa declinazione. Qui basta il riferimento all’articolo 3. Basta per riconoscere che di sinistre ne esistono tante, organizzate (all’interno del Pd e di altri corpi intermedi, tradizionali e nuovi), meno organizzate o del tutto informali (all’interno di forme nuove di militanza, di cittadinanza attiva, di antagonismo).

Se a questo punto chi legge sente l’urgenza di negare la natura di “sinistra” ad alcune delle forze richiamate –magari al Pd, per fare un esempio a caso – è proprio a lei o lui che ancor più degli altri mi rivolgo.

Parliamoci chiaro. Nessuna forza, corrente, associazione, gruppo, militante, intellettuale, leader ha oggi una strategia adeguata per rilanciare una battaglia di avanzamento sociale come quella richiesta dall’articolo 3. Non deve sorprendere. In tutto il mondo, di fronte alle sfide della globalizzazione, dell’urbanizzazione, della tenuta ambientale e delle migrazioni e di fronte all’ansia che queste sfide inducono nel lavoro subordinato, nel piccolo ceto medio, negli abitanti delle aree rurali, nei giovani, la sinistra è in grande difficoltà. E non ha ancora trovato la “misura giusta” fra il recupero di un ruolo di garanzia universale da parte dello Stato, la cura e la valorizzazione delle diversità, l’apertura al nuovo mondo della cittadinanza attiva, l’impiego della tecnologia dell’informazione.

Le difficoltà per la sinistra sono rese particolarmente gravi in Italia dall’arcaicità dello Stato, dall’arresto prolungato di ogni confronto culturale e di massa sulla società possibile di domani, dal sentimento di milioni di cittadini del Sud che avvertono l’incredulità del resto del paese nelle loro possibilità di cambiamento e la trasformano in alibi per non cambiare. Detto tutto ciò, anche in Italia frammenti di una strategia possibile sono stati costruiti, recuperati, praticati da ognuna delle diverse sinistre. Non è matura, non è certo matura, una loro composizione. Le differenze di impostazione sono forti. Ma molti pezzi esistono. E sono riconducibili a militanti “o s curi”, a grandi e piccole organizzazioni, a leader riconosciuti. Ecco alcuni esempi. La salvaguardia di una capacità organizzata del lavoro subordinato che abbracci le nuove forme di sfruttamento degli pseudo lavoratori autonomi, perseguita da Susanna Camusso e dalla Cgil. La rottura della separazione di ruoli nel welfare fra pubblico, privato e sociale, praticata e concettualizzata da moltissime associazioni, anche nel Sud, che “mettono in opera diritti, si prendono cura di beni comuni o sostengono soggetti in condizioni di debolezza” (come interpreta Giovanni Moro). La ricerca di forme nuove di accesso e uso della terra da parte di gruppi di “militanti agricoli”. L’intransigente difesa del dovere di asilo e di accoglienza dei migranti e dei loro diritti fondamentali, perseguita da Matteo Renzi e praticata da molti amministratori di sinistra, come Giusi Nicolini a Lampedusa o Enrico Rossi a Prato.

La costruzione di spazi liberi per la creatività giovanile, realizzata con soluzioni di avanguardia da Nichi Vendola e Nicola Fratoianni in Puglia e ora affidata a Michele Emiliano. L’apertura di partiti e Amministrazioni alle nuove forme di cittadinanza e di sperimentalismo, perseguita da Pippo Civati, da Giuliano Pisapia e da molti altri sindaci, da tanti “militanti della pubblica amministrazione” senza un volto noto, oltre che da chi scrive. L’obiettivo di nuove politiche contro la disuguaglianza e l’imperativo di costruire il pilastro politico e sociale dell’Unione Europea, declinati in modo diverso da Gianni Cuperlo e Stefano Fassina. La ricerca all’interno della galassia del Movimento 5 Stelle di una strada sostenibile per assicurare a tutti un “reddito minimo”. L’idea di costruire un ponte fra fabbrica e organizzazioni dell’impegno sociale, di Maurizio Landini. La tutela dei diritti delle unioni civili tra persone dello stesso sesso, disegnata e ottenuta da Monica Cirinnà. Sono esempi delle “sinistre”, di azioni compiute o progetti coltivati avendo ben fermi in testa i principi dell’articolo 3. Ma queste azioni e progetti e altri ancora non si parlano. Anzi si disconoscono reciprocamente, proprio per l’assenza di un impianto condiviso di lettura della società e della fase storica che attraversiamo. E ciò impedisce a quelle sinistre di convincere. Le indebolisce, le rende autoreferenziali, le cristallizza. Favorisce dentro ognuna di esse – ognuna! – l’emergere di meschini interessi particolari. Ed è respingente per centinaia di migliaia di giovani che, lontani dalle diatribe che dividono leader e organizzazioni, vedono gli elementi comuni e trovano assurde e suicide le “fucilate te ad alzo zero” che essi si scambiano. Sia ben chiaro. Questi frammenti non si possono ricomporre con facilità. Per farlo ci vuole una lettura empirica e concettuale condivisa della società e del blocco di interessi e di valori che la sinistra potrebbe ricostruire: ne siamo lontani. Né tantomeno ha senso immaginare che attorno a un reciproco riconoscimento sorga un patto per presentarsi agli elettori, una sorta di rassemblement di sinistra.

Ci si è già provato, senza buoni esiti. Non è maturo. Apparirebbe e sarebbe una mossa tattica, che si scioglierebbe al primo sole. È invece possibile che tutte le sinistre costruiscano uno spazio entro il quale confrontare i propri “cavalli di b a t t a g l i a” (oltre alle proprie incomplete “letture del mondo”) per ricercare un minimo comune multiplo: tre temi per i quali condividere missione, alcuni obiettivi e alcuni strumenti, dei quali fare un punto di convergenza per lotte di giustizia. Che si stia nel governo o all’opposizione, nei palazzi istituzionali o sul campo. Darebbe il senso concreto che in realtà un pensiero di sinistra è possibile e non minoritario. Riavvicinerebbe molti giovani, stufi delle baruffe fra leader e sigle. Creerebbe uno spazio protetto di rispetto reciproco fra leader e fra militanti, liberi, al di fuori di esso, di mantenere la propria autonomia e i propri disegni, ma senza mettere a repentaglio i pochi obiettivi condivisi.

Chi deve creare questo spazio? E in cosa consisterebbe all’inizio? Non sta a nessuno in particolare di prendere l’iniziativa, ma a tutti. Le figure con responsabilità associative che ritengano utile questo passo e che trovino il coraggio per compierlo potrebbero dirsi pronti e mettersi al lavoro. Senza reciproche esclusioni preventive. Il resto è chiaro. Si incontrano in un luogo neutro, scelgono una prima lista di temi possibili, ne affidano l’approfondi – mento a “esploratori “affidabili, che producono materiali. Sulla base di questi materiali decidono i tre-quattro punti sui quali si intravede una possibilità di convergenza. A questo punto convocano (tutti assieme) una “Tre giorni” che produce tante (brevi) note quanti sono i temi sopravvissuti al confronto (che sarà acceso, possiamo starne certi, ma che dovrà anche essere informato, aperto e ragionevole). Su quei testi matura la decisione politica di adesione ad una Agenda Minima, che non è un “Programma”, perché non verrà presentata in alcuna scadenza elettorale, ma è il minimo comune multiplo di percorsi diversi. Ognuno, ogni forza, riprenderà il mattino dopo la propria strada. Il “solo” impegno comune sarà che, da qualunque posizione, istituzionale o di movimento, di governo o di opposizione, e in qualunque foro e spazio del paese, quegli obiettivi minimi condivisi saranno perseguiti. Non è molto. È moltissimo.

Da - http://www.unita.tv/opinioni/che-partito-serve-al-pd/


Titolo: Nello Avellani : intervista a Fabrizio Barca
Inserito da: Arlecchino - Luglio 10, 2017, 01:50:36 pm
Domenica, 09 Luglio 2017 00:03

Le disuguaglianze, la forza politica dei cittadini organizzati e la debolezza dei partiti: intervista a Fabrizio Barca

Di Nello Avellani


'Disuguaglianze: cittadini organizzati, partiti, Stato' è il titolo della lectio magistralis che Fabrizio Barca ha tenuto ieri a L'Aquila, in occasione del Festival della Partecipazione. Su iniziativa della Fondazione Basso, un gruppo di organizzazioni da anni attive in Italia sul terreno dell'inclusione sociale - ActionAid, Caritas Italiana, Cittadinanzattiva, Dedalus cooperativa sociale, Fondazione di comunità Messina, Legambiente, UISP - ricercatori e accademici hanno dato vita ad un Forum sulle Diseguaglianze che, sostanzialmente, vuole essere un luogo in grado di produrre e promuovere proposte che favoriscano la realizzazione dell'articolo 3 della nostra Costituzione, rimuovendo 'gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e la partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese'.

In un intervento di circa un'ora, innanzi ad un Auditorium del Parco gremito, Barca ha spiegato come, negli ultimi trent'anni, la cultura e le politiche egemoni in Occidente "abbiano sistematicamente ignorato la necessità di intendere il progresso umano come aumento della 'libertà sostanziale sostenibile' delle persone, ovvero, in linea con la nostra Costituzione, dell’opportunità di ogni persona di vivere la vita che è nelle proprie e diverse potenzialità vivere, senza ridurre la stessa libertà per la successiva generazione". Questa idea alternativa di progresso umano è sul tavolo, "ha influenzato molti esperimenti e sta dietro al disegno degli Obiettivi mondiali dello Sviluppo Sostenibile per il 2030, ma al momento di disegnare politiche e di costruire bilanci, uguaglianza e inclusione sociale sono in genere trattati come vincoli alla crescita - ha sottolineato l'ex ministro - fattori di cui tenere conto per evitare che le tensioni sociali blocchino un progresso definito solo in termini di dinamica del reddito medio".

Ne sono risultati un diffuso aumento della disuguaglianza di reddito, una forte concentrazione della ricchezza, "la creazione di fasce diffuse di 'perdenti', specie nelle periferie, nelle piccole città e nelle vaste aree rurali di ogni paese, luoghi dove degrado sociale e degrado ambientale si sono alimentati l’un l’altro. Queste disuguaglianze si sono aggiunte a disuguaglianze radicate e di lunga durata, in alcuni casi modificandone le caratteristiche, in altre amplificandone la portata".

Questo è innanzitutto un problema di per sé, che, comprimendo la libertà sostanziale di molte persone, ripropone con forza la questione della giustizia sociale, nei risultati e nei destini individuali. "D’altra parte - ha proseguito Barca - vecchie e nuove disuguaglianze hanno ripercussioni significative, ma fino a poco tempo fa largamente sottovalutate, sul funzionamento dell’economia e sulle dinamiche politiche. Come mostra un numero crescente di studi, esse hanno prodotto effetti negativi sulla stessa crescita e poi sulla 'crisi' iniziata nel 2008. E hanno avuto effetti politici ora appariscenti: un diffuso rifiuto della concorrenza e della libertà di circolazione; una crescente intolleranza per le diversità; una sorta di 'esodo dalla cittadinanza' con sentimenti di diffidenza e risentimento verso tutto ciò che è istituzione; la richiesta di poteri forti; infine, il rigetto della 'globalizzazione' – termine assai elusivo - tout court, come se l’integrazione dei mercati e la riduzione di distanza fra luoghi e individui sia responsabile in sé di tutto ciò, e non lo siano piuttosto le politiche nazionali e internazionali che hanno attuato e accompagnato questi processi".

Le politiche, appunto: Barca ha offerto una lettura sostanzialmente ottimistica, argomentando che, trattandosi non di fenomeni ineluttabili ma delle scelte politiche che sottendono ai processi, le stesse si dovrebbero, semplicemente, cambiare.

"Quella stessa 'globalizzazione' - ha chiarito - ha in realtà significato anche un veloce e positivo ritorno di Cina e India sulla frontiera dello sviluppo. In presenza di condizioni concorrenziali e di un’accresciuta libertà di circolazione, la loro industrializzazione ha dato un decisivo impulso all’uscita dalla povertà di centinaia di milioni di persone e alla formazione di un nuovo ceto medio, vasto oggi come quello dell’Occidente. Grazie a questo sommovimento, e nonostante l’aumento della disuguaglianza all’interno della maggioranza dei paesi, per la prima volta, almeno dall’800, la diseguaglianza complessiva del mondo (fra le persone) si è ridotta".

Ma non finisce qui. Perché "grandi masse di persone sono poco al di sopra della soglia mondiale di povertà (l’equivalente di 1,90$ negli USA). Perché l’1% più ricco della popolazione mondiale ha visto crescere in questi stessi anni la propria quota di reddito e di ricchezza privata, arrivando a controllare quasi la metà di quest’ultima. E soprattutto perché, nello stesso periodo, una terza parte del mondo, specie nel continente africano, ha visto immutata o addirittura peggiorata la propria situazione, con conseguenti disastri umani e creando le condizioni per le massicce migrazioni in atto".

Così il cerchio si chiude. "I 'perdenti' dell’Occidente si sentono insidiati sia dal nuovo ceto medio dei paesi emergenti, sia dai 'poveri che ci invadono'. E sono tentati di volgere contro di loro e contro le frontiere aperte le proprie preoccupazioni, anziché verso politiche sbagliate. La vicenda dell’Italia, a parte le note differenze, ricalca questa traccia", ha sostenuto Barca.

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Che fare, dunque? Innanzi alle tendenze epocali degli ultimi anni, "sono stati commessi due errori gravi" ha spiegato Barca: "Da una parte, l'apertura del mercato, di fatto, l'ha reso più competitivo, con vantaggi solo per le classi sociali abbienti però. Sarebbe stato necessario intervenire rafforzando lo Stato sociale, invece si è andati nella direzione opposta indebolendo il welfare e lasciando soli i lavoratori; dall'altro, i cittadini sono stati trasformati in votanti/consumatori, esclusi dalla res publica. Assistiamo alla chiusura degli spazi di partecipazione e democrazia quando invece la fase chiederebbe di ampliarli".

Spazi che vanno recuperati, dal basso, con la costruzione di nuovi luoghi che possano acquistare egemonia culturale e politica nel Paese. E' il compito della cittadinanza attiva, delle organizzazioni che "debbono tentare di lavorare insieme per non corporativizzarsi e segmentarsi trovando, invece, terreni comuni; lo Stato, invece, dovrebbe "coltivare le sue 'case matte' di sperimentazione, e la strategia aree interne - ha inteso ribadire Barca - è un bellissimo modello, in questo senso".

Sul ruolo dei partiti, l'ex ministro ha lasciato la domanda in sospeso: "li vedo talmente disattenti, o strumentali nell'attenzione, quando si manifesta, che non so davvero rispondere"; sta di fatto che si è detto convinto, prima o poi, torneranno, "altrimenti - mi chiedo - come si può cambiare il Wto internazionale, come si può far passare, in Europa, l'idea di un fondo di disoccupazione di cui abbiamo bisogno tra 7 mesi; insomma, credo ancora nei partiti ma, al momento, fatico davvero a lavorarci. Con le organizzazioni della società civile, con la cittadinanza attiva, mi ritrovo ad avere una lettura della società, di cosa vuol dire politica, che è maggiormente rispondente alla mia".

E' per questo che, dopo aver provato a far cambiar rotta al Pd, riformandolo, Barca è tornato a dedicarsi all'associazionismo diffuso pur restando iscritto ai dem: "Il Partito Democratico ha tante cose che non vanno; è anche vero, però, che fatta salva la 'frescaccia' delle ultime ore, ha sempre parlato di frontiere aperte, ribadendo che gli immigrati siamo noi - che gli immigrati siamo noi, ha ripetuto, non che li aiutiamo a casa loro, concetto ben diverso - e ponendosi come forza europeista: per questo sono ancora iscritto", ha spiegato ai nostri microfoni. "Se assumi una posizione del genere, tuttavia, devi farti anche carico degli 'esclusi', di coloro che sentono di essere tagliati fuori, delle radicate disuguaglianze; altrimenti, arrivano i 'pifferai' dei confini chiusi e dei muri che, scaricando le responsabilità della crisi sociale sulle aperture del mercato e delle frontiere, cavalcano il tema della sovranità nazionale. Per fortuna, la gente non è mica scema: se lo fosse, si sarebbe già abbandonata ai 'pifferai'; al contrario, si sta comportando in maniera interessante, stante la debolezza dei partiti".

In questo quadro, i cittadini organizzati debbono avere la pretesa di contare politicamente: "rispetto al Festival dell'anno passato, noto una maggiore consapevolezza di dover contare a livello di sistema, e non per farsi acchiappare in qualche partito ma per pesare sul tavolo delle decisioni; per dire, Cittadinanzattiva ha parlato della necessità di una riforma costituzionale, ed erano dieci anni che l'argomento restava tabù, e così l'Alleanza per la Povertà ha introdotto una proposta sul reddito sociale che è un passo avanti rispetto alle iniziative assunte, sin qui, da alcuni partiti. Questo significa contare, fare politica".

L'obiettivo è mettere insieme esperienze diverse "per rendere più simile il linguaggio, individuando proposte da mettere sul tavolo del dibattito pubblico sostenendole con grandi campagne di sensibilizzazione"; senza cadere nella 'tentazione' di aggregare le organizzazioni in forma partitica: "Maurizio Landini, persona generosa e che stimo enormemente, ad un certo punto aveva intravisto la possibilità di un'alleanza tra mondo del lavoro e formazioni sociali; sebbene l'abbia sempre negato, si intravedeva dietro l'angolo l'idea di una formazione politica. Credo sarebbe stata una esperienza perdente, è assolutamente frettoloso pensarci: piuttosto, le organizzazioni debbono continuare a 'pesare' politicamente come stanno dimostrando di saper fare".

Insomma, Barca è scettico sulla possibilità di costruire un nuovo soggetto politico, "i giovani sono restii, la disillusione è troppa a sinistra", e non vede margini di recupero per il Partito Democratico: "vedo un Pd imballato, la botta era già arrivata alle regionali dell'Emilia Romagna; ricordo ancora il messaggio personale, durissimo, che mi inviò l'appena eletto Presidente aggredendomi perché avevo detto in televisione che quella elezione era il punto più basso per la democrazia: lo rispetto, figurarsi, e rispetto il gruppo dirigente che l'ha espresso, intendevo mettere in luce, piuttosto, che aveva votato il 40% degli aventi diritto. Era davvero necessario attendere l'esito delle ultime amministrative per rendersi conto che in una delle Regioni più ricche del scendere al 40% d'affluenza rappresenta un vero e proprio fallimento? In Germania, nelle regioni più ricche votano il 70-80% degli aventi diritto. Spero che il ministro Andrea Orlando possa aiutare a raddrizzare la rotta, in questo: l'ho votato alle primarie, mi ha convinto il modo in cui ha lavorato sulle carceri, coinvolgendo prima le realtà attive nei penitenziari e soltanto dopo gli architetti". Parlando di sé, ribadisce di essere "andato altrove". E prova a spiegare cosa non ha funzionato nel tentativo di riformare i dem: "Ho trovato difficoltà con la classe dirigente nazionale: diciamoci la verità, le proposte che ho avanzato non se l'è filate nessuno. Mi ha colpito: evidentemente, non sono riuscito a farmi capire, o non ho trovato la giusta sensibilità. Penso alle questioni principali che avevo posto: la prima, che i circoli tornassero ad essere luoghi non per assorbire la cittadinanza ma per ascoltarla e dialogarci; la seconda, che il partito fosse riorganizzato a livello nazionale con una direzione di 15 persone: una base molto porosa e un centro capace di dirigere, questa era l'idea. Ebbene, sono finite dentro un documento che non ha difeso nessuno".

Detto del rapporto col Pd, e dello scetticismo sulla nascita di formazione politica altra, moderna e progressista, l'ex ministro non si mostra comunque spaventato da coloro che ha definito 'pifferai': "La Lega Nord, Fratelli d'Italia, alcuni dei 5 Stelle, non stanno proponendo delle soluzioni, non stanno aggregando, lisciano l'ortica per non puncicarsi come si sarebbe detto una volta; il popolo è l'ortica e l'accarezzano, ma non affrontano i problemi per risolverli. Questo atteggiamento può dare risultati nel breve periodo, ma non si tratta certo di avanguardie: tra l'altro, pezzi di Lega Nord e Fratelli d'Italia, una grossa parte del Movimento 5 Stelle, nella articolazioni territoriali propongono anche cose interessanti e neppure badano a tali atteggiamenti. Sono convinto che il 'pifferaismo', in Italia, non paghi: è l'intuizione di un uomo straordinariamente intelligente come Silvio Berlusconi che continua a parlare ai moderati, non cedendo alla linea lepenista. Conosce troppo bene il nostro Paese, molto articolato territorialmente e che non andrà dietro a certo derive; pericolose certo, da non sottovalutare, ma l'Italia tiene ancora".


Ultima modifica il Domenica, 09 Luglio 2017 00:49

Da - http://news-town.it/politica/16597-le-diseguaglianze