Peter GOMEZ.
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M5S e Pd, dal pragmatismo al gioco del cerino
di Peter Gomez | 28 febbraio 2013
A guardarla con ottimismo la situazione è semplice. Il Partito Democratico può sperare di far salpare un governo di minoranza se il suo eventuale presidente del consiglio incaricato si impegnerà ad abolire immediatamente il finanziamento pubblico dei partiti e a istituire subito un reddito di cittadinanza come avviene, sotto varie forme, in Germania, Gran Bretagna, Francia, Austria, Norvegia e Paesi Bassi.
Certo, il Movimento 5 Stelle non voterà la fiducia al nuovo esecutivo. Ma per incassare subito (magari con un decreto legge) un risultato storico che i cittadini attendono da vent’anni (la cancellazione dei truffaldini rimborsi elettorali) potrebbe decidere, dichiarandolo apertamente, di uscire dall’aula del Senato prima del voto. Sopratutto se l’aspirante premier garantirà solennemente davanti alla nazione, in parlamento prima della fiducia, che verranno dimezzati gli stipendi dei parlamentari, che sarà approvata una vera legge anti-corruzione, una sul conflitto di interessi e che i molti miliardi di euro previsti per il Tav saranno invece destinati alla costruzione di una molto più utile rete Internet ultra veloce. Abbassato il quorum al Pd basterebbero così i voti dei montiani per partire con un esecutivo di minoranza pure a Palazzo Madama, anche in caso di voto contrario del centrodestra.
A guardarla con realismo tutto invece è molto più complicato. E non solo perché, dopo anni e anni di promesse disattese, è difficile pensare che gli eletti e i militanti del M5S si possano fidare di un discorso programmatico. In questo gioco del cerino inaugurato da Pierluigi Bersani (chi si prende la responsabilità o di riportare il paese ad elezioni o di inaugurare il governo dell’inciucio?) le variabili sono tante. Probabilmente troppe per credere davvero che una maggioranza Pd-Pdl sarà evitata.
La prima riguarda proprio il finanziamento pubblico: difficile pensare che il Pd e gli altri accettino l’eliminazione dei rimborsi con effetto retroattivo, come ha chiesto Beppe Grillo sul suo blog e il candidato portavoce M5S del Lazio Davide Barillari. Del resto, lo scorso aprile, era stato proprio il tesoriere dei democratici, Antonio Misiani, a dire tassativo: “Rinunciare all’ultima tranche? Impossibile, i partiti chiuderebbero“.
Ma pure ammettendo che il Pd, con un sussulto di buon senso, venga incontro alla volontà dei cittadini già certificata da un referendum del 1993, che cosa farebbe il Pdl? Non è difficile immaginarlo: di fronte a un programma che comprende legge anti-corruzione più severa e norme stringenti sul conflitto di interessi, ci metterebbe un secondo a uscire anch’esso dall’aula del Senato prima del voto di fiducia. Perché se restano fuori sia M5S che Pdl, a Palazzo Madama manca il numero legale e il governo di minoranza resta al palo.
Ovvio, spiegare a chi ha votato centrodestra che Berlusconi e i suoi fanno saltare pure la garantita l’abrogazione del finanziamento pubblico (era uno dei punti del programma del Cavaliere), non sarà semplice per i vertici del Popolo della Libertà. Ma l’esperienza insegna che in fatto di balle il venditore di Arcore non è secondo nemmeno ad Oscar Giannino. E poi il problema per Berlusconi non è un eventuale voto anticipato (è convinto, non a torto, che nemmeno questo Pd lo voglia per timore di un M5S al 40%), ma quello di creare le condizioni per un nuovo governo dell’inciucio. Insomma a Berlusconi di restare col cerino in mano non importa un bel nulla.
E allora la riedizione dell’esecutivo tecnico, magari presieduto dal banchiere Corrado Passera, o la prosecuzione del governo Monti, è segnata? No, in via teorica un sentiero, strettissimo, rimane. Se il M5S, dopo gli incontri tra i neo parlamentari, decide di portarsi a casa il risultato storico dell’abrogazione del finanziamento e il Pd vuole davvero evitare di governare con Berlusconi, i regolamenti del Senato offrono una soluzione. Sedici cittadini eletti a Palazzo Madama nelle fila del Movimento restano in aula al momento della fiducia e votano contro il governo, gli altri escono e non votano. In questo modo anche in caso di assenza in massa del Pdl il numero legale c’è (la metà dell’assemblea più uno) e se invece i senatori berlusconiani restano e votano contro, non bastano per bloccare la nascita dell’esecutivo.
Ovvio un governo in queste condizioni di strada non ne farebbe molta. Rischierebbe di durare qualche mese o poco più. Ma tanto basterebbe per approvare 4 o 5 punti chiave, dare un po’ di reddito ai cittadini più colpiti dalla crisi, e permettere di riscrivere in parlamento la legge elettorale. Pochissimo in tempi normali. Tantissimo per l’Italia degli ultimi vent’anni.
Ma questa, dicevamo, è solo teoria. Perché si realizzi ci vorrebbe gente di parola (nel Pd) e molta fantasia. Al potere.
da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/02/28/m5s-e-pd-dal-pragmatismo-al-gioco-del-cerino/516544/
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Presidenti delle Camere, qualcosa sta cambiando
di Peter Gomez | 16 marzo 2013
E alla fine un segnale è arrivato. Quando ormai tutti si erano rassegnati a vedere sedere sulle poltrone della seconda e della terza carica dello Stato due vecchie cariatidi del centrosinistra come Anna Finocchiaro e Dario Franceschini, Pierluigi Bersani e i suoi hanno sparigliato i giochi e hanno eletto due persone stimate da una larga fetta di cittadini: Pietro Grasso e Laura Boldrini.
Certo, si potrà a lungo discutere, e anche criticare, la scelta del Pd di proseguire con il brutto andazzo inaugurato da Silvio Berlusconi nel 1994 di non concedere la presidenza di una delle due Camere alle opposizioni. Ma il dato (positivo) per ora è questo: i due dinosauri si sono dovuti accomodare in panchina e Renato Schifani, l’indagato per fatti di mafia in attesa di archiviazione che sperava di convincere i montiani a rieleggerlo, non ce l’ha fatta.
Il risultato, impensabile fino a 48 ore prima della votazioni, non nasce per caso. Le elezioni hanno dimostrato con chiarezza come i cittadini si attendano dalla politica segnali di cambiamento. Il responso delle urne ha dato forza a chi nei vecchi partiti, per convinzione o realismo, vuole provare a mutare il corso delle cose.
A poco a poco, e tra molti errori, qualcosa nella politica italiana si muove. Molte certezze non hanno più valore, molte convinzioni vanno riviste. Tra queste anche quella, esemplarmente riassunta da Silvio Berlusconi, secondo la quale il Movimento 5 Stelle (percepito da un terzo degli elettori come il maggior rappresentante della spinta verso il rinnovamento) è “una setta come Scientology”. No, quel Movimento (che legittimamente può piacere o non piacere) non è una setta e nemmeno un partito teleguidato da Beppe Grillo. Lo dimostra proprio la spaccatura nell’assemblea degli eletti al Senato tra chi voleva votare scheda bianca e chi voleva opporsi al rischio Schifani. Idee e teste diverse si sono confrontate e alla fine una dozzina di senatori M5S hanno votato per Grasso.
Tra qualche dramma e molti musi lunghi, certo. Ma questa, in fondo, si chiama democrazia.
Ps: Nella tarda serata di sabato Grillo, dopo aver ricordato una norma del non statuto, ha invitato chi ha votato in maniera diversa da quanto stabilito dalla maggioranza della loro assemblea a uscire dall’anonimato e a trarre le dovute conclusioni (cioè ad andarsene). Ha il regolamento dalla sua parte. E chiedere ai senatori di rendere palese il loro voto ha un senso. Tutto il resto – a partire dalla richiesta di dimissioni - non appare una gran trovata. Le regole non vanno solo rispettate. Vanno, alla luce dell’esperienza, pure migliorate. Anche perché tra votare un governo, una legge o una carica istituzionale, le differenze ci sono. Basta, con intelligenza, volerle vedere.
da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/03/16/presidenti-delle-camere-qualcosa-sta-cambiando/533019/
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Berlusconi condannato? “Riformate la giustizia!”
di Peter Gomez | 2 agosto 2013
Per capire chi fosse Silvio Berlusconi non serviva la condanna. Per misurare l’uomo e la sua personalissima visione del codice penale come catalogo di opzioni, bastava la sua storia: off shore, fondi neri, frodi fiscali e anche tangenti, erano già nei documenti e nelle cose. La sentenza della Cassazione però è importante. Perché ristabilisce un principio: la legge è uguale per tutti, anche per chi è ricco e potente. E perché, a partire dai prossimi giorni, permetterà agli elettori di soppesare non l’ormai pregiudicato Cavaliere, ma i suoi colleghi. Gli altri rappresentanti del popolo italiano.
Pensare che il verdetto Mediaset segni un punto di svolta destinato, sia pure lentamente, a risolvere il problema della devianza delle nostre classi dirigenti è, infatti, da ingenui. In politica, in economia e finanza, nell’industria, nella cosiddetta società civile, i Berlusconi abbondano. E paradossalmente, proprio adesso che hanno visto il loro campione finire nella polvere, puntano al bersaglio grosso. Vogliono giocare l’ultima partita per conquistarsi tutto il piatto: contro-riformare la giustizia (che pure di riforme vere ne avrebbe bisogno come il pane) e una volta riscritti i codici far approvare l’amnistia.
Per questo, come in uno di quei b-movie che tanto piacevano al suo “socio occulto Frank Agrama” – regista tra l’altro del cult horror demenziale Dawn of the mummy in cui un gruppo di procaci modelle risveglia la mummia dal suo sonno eterno – il leader del Pdl prova a rilanciare. Torna al passato, al 1994. Annuncia la rinascita di Forza Italia, medita un colpo di teatro (magari le proprie dimissioni dal Senato per evitare di essere dichiarato decaduto) e chiede a pieni polmoni la grande riforma.
Non fossimo in Italia ci sarebbe da ridere. In altri Paesi un neo-pregiudicato che pretende di stabilire le nuove regole con cui amministrare la giustizia, non finisce agli arresti domiciliari o ai lavori socialmente utili. Viene portato direttamente in manicomio.
Qui invece Berlusconi ha un solo cruccio: essere arrivato per secondo. Perché prima di lui, e subito dopo la sentenza, ha parlato l’Eterno Presidente, Giorgio Napolitano, che dopo aver elogiato le toghe e il comportamento tenuto nelle ultime settimane, ha precipitosamente auspicato la grande riscrittura. Per il Quirinale adesso che Berlusconi è quasi fuori ci sono condizioni favorevoli “per l’esame, in Parlamento, di quei problemi relativi all’amministrazione della giustizia, già efficacemente prospettati nella relazione del gruppo di lavoro da me istituito il 30 marzo scorso”.
Ovviamente basta dare un’occhiata ai partecipanti alle riunioni del Pdl coordinate dal noto imputato Denis Verdini, osservare il gruppo in Senato presieduto dall’indagato per fatti di mafia, Renato Schifani, o guardare alle aule di giustizia dove si processa il Pd Filippo Penati e, tra molti tentennamenti, si porta avanti il caso Mps, per rendersi conto dell’esatto contrario.
Ma pur volendo sorvolare sui dettagli, a lasciare a bocca aperta è il progetto. Il programma della riforma, infatti, c’è già. Ed è quello scritto, subito prima della rielezione di Napolitano, dai 10 supposti saggi (“il gruppo di lavoro”) da lui scelti per stilare con largo anticipo l’accordo sulle altrettanto larghe future intese.
Si tratta di una sorta di nuovo codice pro-Casta in cui i tecnici di fiducia del Presidente della seconda nazione più corrotta d’Europa indicano, con dovizia di particolari, i provvedimenti con cui depotenziare le intercettazioni telefoniche, abbreviare i tempi d’indagine, mettere una mordacchia alla stampa, intimorire i magistrati (c’è la creazione di una sorta di Csm di secondo grado i cui membri sono nominati un terzo dal parlamento e un terzo dal Presidente della Repubblica), abolire in caso di assoluzione l’appello, rendere più difficili le manette.
Ecco allora che diventa chiaro perché il Pdl voli basso e garantisca ancora il suo appoggio al governo Letta. Una riforma del genere, e la conseguente amnistia con maggioranza di due terzi, può passare solo se viene votata pure dal Pd (Luciano Violante che sedeva tra i supposti saggi l’ha già approvata).
Andare ad elezioni, salvo che la situazione precipiti, a Berlusconi non conviene. Meglio per il pregiudicato proprietario della destra, dipingersi come vittima, sparare balle a raffica raccontando, con le lacrime in tasca, che i procedimenti contro il suo gruppo sono partiti solo dopo la sua discesa in campo, dire di aver subito “50 processi” e sostenere che Mani Pulite non fu un’indagine anti corruzione, ma un’operazione politica ideata per cancellare i partiti dell’allora maggioranza. Meglio piangere, dire bugie e possibilmente fottere (gli italiani).
Intanto molti altri piccoli Berlusconi crescono e seduti un po’ ovunque in Parlamento non vedono l’ora di mettersi al lavoro. Quello che non ha fatto il maestro forse riusciranno a farlo loro.
da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/08/02/berlusconi-condannato-riformate-giustizia/675260/
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Decadenza, Berlusconi verso la vittoria. Per assenza degli avversari
di Peter Gomez | 27 agosto 2013
“Chi è veramente esperto nell’arte della guerra sa vincere l’esercito nemico senza dare battaglia, prendere le sue città senza assediarle e rovesciarne lo Stato senza operazioni prolungate”. Bisogna leggere la plurimillenaria opera del grande generale e filosofo cinese Sun Tzu, autore de L’Arte della Guerra, per avere la fotografia esatta della piega presa dal dibattito sulla decadenza da senatore del pregiudicato Silvio Berlusconi. Senza aver sparato un solo colpo il Cavaliere è a un passo dalla vittoria. Intimoriti dal volteggiare dei falchi, blanditi dal tubare delle colombe, ammaliati dal sibili ricattatorii della Pitonessa, i sempre più teorici avversari dell’ex premier paiono prepararsi alla ritirata.
L’annuncio è stato significativamente dato da due dei supposti dieci saggi di Giorgio Napolitano. Secondo Valerio Onida (saggio in quota Sel) e Luciano Violante (saggio in quota Pd) la legge Severino sulla decadenza dei condannati va sottoposta all’esame della Corte Costituzionale. Entrambi sono certi che la norma, approvata pochi mesi fa dal parlamento quasi al completo, sia perfettamente legittima. Tutti e due spiegano che non è una legge penale e che quindi ha valore retroattivo. Ma con salto carpiato aggiungono che sollevare un’eccezione davanti alla Consulta non sarebbe una “dilazione”, ma l’applicazione della Costituzione. Anzi, spiega Violante, Berlusconi tanto che c’è potrebbe pure rivolgersi pure alla Corte Europea dei diritti dell’uomo.
Lasciamo ad altri il dibattito sulla questione giuridica. I pareri in proposito si sprecano e sono nel 99 per cento dei casi concordi nell’affermare che la giunta per le immunità del Senato non può sollevare la questione davanti alla Corte. Anche perché un parlamento che impugna una legge chiarissima appena fatta entrare in vigore è materia da esperti in malattie mentali, non da tecnici del diritto.
Più interessante è invece capire la strategia seguita dal Cavaliere frodatore del fisco per tentare di uscire dai guai. Un piano che, se realizzato, potrebbe permettergli di restare a Palazzo Madama, non per mesi, ma per anni.
La manovra ideata prevede più tappe. Il ricorso alla Consulta, che tanto piace agli uomini più vicini al Colle, se otterrà il via libera parlamentare partirà infatti solo a metà autunno. Tenuto conto dei tempi della Corte difficilmente verrà esaminato prima della tarda primavera o dell’estate del 2014. E anche se verrà respinto ci vorranno poi altri mesi per votare la decadenza.
Ipotizzare che il Cavaliere arrivi al 2015 ancora indossando il laticlavio non è insomma troppo sbagliato.
Contemporaneamente, come fatto balenare dallo stesso Berlusconi durante il vertice di Arcore di sabato 24 agosto, l’ex premier chiederà l’affidamento in prova ai servizi sociali. In questo modo la Corte di Appello di Milano e poi la Cassazione che dovranno stabilire la durata della sua interdizione dai pubblici uffici saranno costrette a venirgli incontro. Visto il suo buon comportamento l’interdizione non sarà più di tre anni (il massimo consentito), ma molto inferiore. Forse un anno o un anno e mezzo.
Anche qui poi ci vorrà un voto dell’assemblea per arrivare alla decadenza. Ma già in passato - è accaduto nel caso del forzista Gianstefano Frigerio condannato per corruzione, concussione, finanziamento illecito e ricettazione – i parlamentari hanno finito per ritenere estinta l’interdizione dai pubblici uffici dei propri colleghi pregiudicati “in conseguenza dell’esito positivo dell’affidamento in prova ai servizi sociali”. Non c’è quindi ragione per ritenere che Berlusconi subisca un trattamento diverso da quello di Frigerio.
A quel punto si entra in nuovi affascinanti scenari: è divertente (o agghiacciante, a seconda dei punti di vista) immaginare cosa accadrà se il Senato dovesse calendarizzare il voto sul Berlusconi interdetto dai pubblici uffici prima di quello sul Berlusconi decaduto a causa della legge Severino.
Da una parte i colleghi gli diranno che può restare con loro perché ormai riabilitato, dall’altra dovranno (o dovrebbero) espellerlo in virtù di norme ideate per tutelare la reputazione delle istituzioni infangate dalla presenza di condannati al loro interno. Lo faranno con facilità? Dubitare è lecito. Più semplice è credere che assisteremo a nuove settimane di snervanti discussioni, magari in attesa della Corte europea dei diritti dell’Uomo, i cui tempi sono ancora più lunghi rispetto a quelli della Consulta.
Certo, Berlusconi ha anche altri processi in corso. Nel 2014 si dovrebbe, per esempio, celebrare l’appello per il caso Ruby. Ma questo, per il momento, non è un problema. Anche in caso di conferma della condanna in secondo grado la Cassazione non si esprimerà prima del 2015 o forse anche più in là, visto che i reati contestati non si prescrivono.
Il tempo che voleva, insomma, l’ex premier sente di averlo ormai quasi in tasca. Per questo adesso ha ordinato ai suoi di tacere. Dal Colle il segnale che chiedeva, tramite Violante e Onida, è arrivato. Ora spera in quello del Pd. Ma non ha fretta. Bisogna lasciar lavorare la Giunta. I generali impazienti, insegna Sun Tzu, perdono le guerre. E lui almeno quelle politiche da vent’anni a questa parte è abituato a vincerle. Di solito per la momentanea assenza del nemico.
da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/08/27/decadenza-berlusconi-verso-vittoria-per-assenza-degli-avversari/693107/
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Decadenza, ora Berlusconi è un gangster che ha paura
di Peter Gomez | 30 agosto 2013
All’improvviso l’operazione impunità duratura volge al peggio. La decadenza del pregiudicato Silvio Berlusconi torna ad avvicinarsi.
Il Cavaliere lo capisce con terrore non appena il Quirinale nomina quattro nuovi senatori a vita. Vedere Giorgio Napolitano che, dopo aver benedetto le aperture nei sui confronti di Luciano Violante (il ricorso alla Consulta per congelare la situazione), decide di applicare alla lettera un articolo della Costituzione ha sul frodatore del fisco lo stesso effetto dell’aglio con i vampiri, o dell’acquasanta con i diavoli.
Scoprire che il laticlavio è andato a tre italiani e un’italiana che, proprio come recita l’articolo 59 della Carta, “hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario”, lo lascia sgomento.
Per il maxi evasore fiscale la scelta ha un solo significato: il Pd non è disposto a salvarlo, il Colle ne ha dovuto prendere atto (o peggio ha tramato contro di lui) e per questo ha fatto entrare a palazzo Madama quattro persone di talento e per bene come Carlo Rubbia, Claudio Abbado, Renzo Piano e Elena Cattaneo. Gente che, secondo il Cavaliere, gli voterebbe sicuramente contro e che potrebbe anche sostenere la nascita di un esecutivo diverso. Magari, come dice Calderoli, di “un Letta bis” con qualche transfuga del centrodestra o, addirittura, del M5S.
Così il pregiudicato lancia per la prima volta un gangsteristico ricatto esplicito: “Non siamo disponibili a mandare avanti il governo se la sinistra dovesse intervenire su di me, sul leader del Pdl, impedendogli di fare politica“. Non si fida dei suoi, non si fida di Letta, da questo momento non si fida più di Napolitano. Fa la voce grossa e mostra i muscoli sperando di far paura. Ma è lui ad averne. E tanta.
Se il Pd resiste è finito. E dopo pioverà, pioverà parecchio. Ma non ci sarà il diluvio.
Ps: Come di consueto Berlusconi, meno di 18 ore dopo aver avanzato la chiara minaccia , ridiventa un agnellino. È la tattica tipica utilizzata da molte organizzazioni criminali: blandizie e minacce, minacce e blandizie. “Non ho pronunciato nessun ultimatum, il governo sta facendo cose egregie” , dice in attesa che alle 15 di domenica primo settembre 10 senatori piemontesi del Pd si riuniscano per discutere del Lodo Violante (il ricorso alla Corte Costituzionale).
Ieri scrivevamo che se il Partito Democratico resiste il pregiudicato Cavaliere è finito. Lo ribadiamo. Ma resisterà?
Per farlo occorre essere uomini (e donne). Non ominicchi o quaquaraquà.
da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/08/30/decadenza-ora-berlusconi-e-gangster-che-ha-paura/697065/
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