Bruno UGOLINI. -
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Le pantere grigie non sono black bloc
Bruno Ugolini
Sono mesi e mesi che si parla di pensioni. Sono mesi e mesi che il governo è tra due fuochi. Quello d'illustri commentatori che, in nome di un presunto rinnovamento, chiedono, in sostanza, di tagliare le spese per le voci previdenziali. E quello del mondo del lavoro che reclama interventi di carattere opposto. E, infine, sono mesi e mesi che numerosi esponenti del governo di centrosinistra dichiarano di voler utilizzare il surplus d'entrate (ovverosia il «tesoretto») proprio per rispondere alle richieste sindacali.
Ecco, la giornata di ieri, con le piazze di tutta Italia occupate da quelle che negli Stati Uniti chiamano «pantere grigie», ha voluto in qualche modo reclamare una scelta definitiva. Una trattativa, insomma, che metta il punto a tale infinita odissea.
Quelle centinaia di migliaia di donne e d'uomini scesi in piazza rappresentano, come ha sottolineato il presidente della Repubblica, un prezioso punto di riferimento per l'intera società, una «grande risorsa del paese». Non sono una massa di ferrivecchi da lasciar macerare.
L'Istat è stata l'ultima a documentare le loro condizioni: uno su quattro percepisce un trattamento inferiore ai 500 euro al mese, il 31 per cento ha una pensione compresa tra 500 e 1.000 euro, il 23 per cento un importo compreso tra 1.000 e 1.500 euro, il restante 22 per cento supera i 1.500 euro mensili.
Quello che s'intende ottenere è un meccanismo non estemporaneo, capace di impedire che quei spesso miseri assegni che gli anziani vanno ogni mese a ritirare alle poste risulti via via con un potere d'acquisto ridotto.
Un capitolo a parte riguarda poi il fondo per i non autosufficienti. Erano stati stanziati100 milioni di euro, ora divenuti 70 perché 30 sono stati utilizzati per ripianare i debiti della sanità. Resta una cifra misera, a disposizione di masse d'anziani che hanno bisogno di sostegni.
Ma il capitolo pensioni e la prossima trattativa investono poi altri nodi, come quello del futuro previdenziale di molti giovani precari che registrano periodi di mancanza di lavoro e quindi di contributi.
Appare però inaccettabile il tentativo di chi contrappone la condizione umiliante di queste ragazze e questi ragazzi a quella delle «pantere grigie». Come se l'unica strada possibile e «moderna» fosse quella di lasciar depauperare i regimi previdenziali dei primi per poter venire incontro alle esigenze dei secondi. La cui presenza è magari magnificata come esigenza insopprimibile della società flessibile.
Tutti temi sottolineati da quella che è stata una giornata di sdegno civile, senza incidenti. Anche se per qualche istante le cronache hanno registrato un assurdo, estemporaneo intervento delle forze dell'ordine, nel centro di Roma.
Un episodio che è bastato per scatenare gli esponenti del centrodestra fino ad ieri nemici giurati dei pensionati, come hanno dimostrato nei loro anni di governo, e improvvisamente trasformati in paladini del sindacato.
Certo quei gruppi di settantenni rigorosamente fermati, con i loro innocenti vessilli sindacali, sono stati scambiati forse per pericolosi Black Bloc. Un malinteso? Un qui pro quo? Un rigore eccessivo? Certo molti dei manifestanti, per brevi attimi, si saranno sentiti ringiovanire: un ritorno a tempi lontani, quando la polizia di Scelba assaliva i cortei operai. Ma è stato un incubo subito dissolto.
Pubblicato il: 13.06.07
Modificato il: 13.06.07 alle ore 9.34
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La strada obbligata
Bruno Ugolini
Sono tanti in attesa, per la trattativa sui temi del lavoro che riprende domani, preceduta oggi da un Consiglio dei ministri e da una riunione dei capigruppo della maggioranza. I più sensibili sono naturalmente i lavoratori, spesso scombussolati da indicazioni contraddittorie lanciate da chi illumina di sole cariche negative l’operato del governo. Molti così nei giorni scorsi hanno fatto sentire il loro scontento, arrivando a scioperi e manifestazioni.
Sono in attesa anche le forze politiche. Quelle di centrodestra che sperano in un governo incapace di prendere decisioni, di raggiungere un accordo positivo per il Paese. Il loro slogan è quello del tanto peggio-tanto meglio. Ma le polemiche nascono anche tra le file della maggioranza, soprattutto per la scesa in campo degli esponenti della sinistra-sinistra. Con sortite che alle volte sembrano dipingere quel che sta proponendo l’uomo chiave della trattativa, il ministro del lavoro Cesare Damiano, un menù di misure antisociali. C’è stato chi (Rizzo del Pcdi) ha addirittura ingiunto al centrosinistra di scegliere se stare con i banchieri o con i lavoratori. È quella che lo stesso Damiano, in uno scambio di battute col nostro giornale, descrive come un’operazione di puro masochismo.
Una situazione paradossale? «Siamo di fronte ad un governo di centrosinistra», osserva Damiano – «che sta operando una redistribuzione dei redditi come non si vedeva da molti anni. Essa favorisce innanzitutto i redditi più bassi e i giovani dei lavori discontinui. Ebbene: si fa apparire quest’operazione, due miliardi e mezzo per lo stato sociale e per la competitività, comprendente un miliardo e trecento milioni per le pensioni più basse e 600 milioni per i giovani, come il suo contrario. Un capolavoro di masochismo». Il ministro è amareggiato e non ha tutti i torti. Perché un conto è sostenere, magari entrando nel merito, soluzioni finali all’insegna dell’equità (vedi la disputa tra scalone e scalini), un conto è considerare come punitive una serie di misure che hanno già trovato l’apprezzamento di Cgil Cisl e Uil (vedi le risorse stanziate per pensionati e giovani).
Certo, in questo fiammeggiare di polemiche, sta anche una parte, sempre nell’ambito della maggioranza, disponibile al rigore solo se si tratta di conti pubblici e non di drammatici problemi sociali. E sta qui la difficile operazione, operare una mediazione tra problemi sociali spesso drammatici e costosi e la situazione, appunto, del conto pubblico. Ma partendo da scelte già condivise.
Non a caso il ministro anche ieri, nel pomeriggio domenicale, era nel suo ufficio, al ministero del Lavoro, a discutere, limare, correggere, arricchire i testi di un possibile accordo. Un primo confronto con i sindacati avrà come tema questa stessa mattina, i problemi delle pensioni più basse. Con la presenza, non casuale, anche dei dirigenti dei sindacati dei pensionati, una forte componente del sindacalismo confederale. Tra le loro richieste c’è quella di cominciare, certo, dalle pensioni più basse ma per costruire un meccanismo in grado d’agire nel tempo a difesa d’altre pensioni che sono state falcidiate, anche del 50 per cento, negli ultimi anni, a causa del carovita. E c’è poi la richiesta di un sostegno non emblematico per i cosiddetti non auto-sufficienti, milioni d’anziani che non ce la fanno a vivere con le proprie forze.
Ma l’argomento principe della trattativa più estesa è il cosiddetto”scalone”, quell’appuntamento atteso per il 31 dicembre di quest’anno, quando, per brillante iniziativa dell’ex ministro del lavoro Roberto Maroni per molti lavoratori le porte della pensione si chiuderebbero di colpo, imponendo loro di lavorare per altri tre anni. Una scelta che, certo, porterebbe ad un risparmio di un bel pacco di miliardi. L’idea di Cesare Damiano è quella di ridurre lo scalone a scalini (ipotesi non sgradita alla Cisl). Cioè si vorrebbe innalzare l’età pensionabile gradualmente, però tenendo conto di quei non pochi lavoratori che non sono in grado d’attendere altri anni, stressati da catene di montaggio che ancora esistono o da impalcature di cantieri edili, spesso portatrici di morte. Sarà possibile censire gli esentati? E se questi scalini ripuliti non porteranno comunque ai risparmi che si dicono inevitabili come si potrà procedere per le risorse necessarie? Era stato ipotizzato un intervento capace di unificare alcuni enti previdenziali come via d’uscita per trovare altri soldi necessari. Ma la proposta aveva sollevato le ire, soprattutto della Cisl. Ora si parla d’altre misure d’armonizzazione tra questi stessi enti e di conseguenti nuovi introiti. Il problema è che tutto si tenga in equilibrio e che le misure previdenziali necessarie non finiscano con l’andare a scapito d’altre misure già annunciate e concordate e che interessare le nuove generazioni.
Sono i conti di queste ore. Come andrà finire? Le dichiarazioni della vigilia fatte dai leader principali di Cgil Cisl e Uil non sono pessimiste. Guglielmo Epifani ha trovato una bella definizione: occorre “un compromesso intelligente”. Il ché vuol dire che il sindacato, come ha sempre fatto, non richiede tutto e subito, e, come ha sempre fatto, sa tenere conto della compatibilità purché, siano seriamente documentate. Il leader della Cisl, Raffaele Bonanni appare un po’seccato dalle interferenze politiche di tutti i partiti e auspica che stiano lontani dal tavolo della trattativa. Mentre appare più scettico sull’esito prossimo e positivo del negoziato Luigi Angeletti, segretario della Uil. Per non parlare dei cosiddetti autodefinitisi "rappresentanti di base" che, come da anni e anni vanno facendo, sotto tutti i tempi e tutti i colori, si preparano a bocciare l’accordo. A prescindere, per dirla con Totò.
Pubblicato il: 25.06.07
Modificato il: 25.06.07 alle ore 8.54
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Fannulloni e controllori
Bruno Ugolini
Fa impressione il tintinnar di manette, l’intervento dei carabinieri. E questo a Perugia, in uno dei più grandi complessi ospedalieri dell’Umbria, regione di ricche tradizioni di civiltà e operosità. È la prima volta che succede - se non andiamo errati - che si dia la caccia e si trascinino in carcere, medici, infermieri, impiegati (ma forse anche qualche primario) colpevoli di essere dei fannulloni, per usare una terminologia di moda, atta a colpire l’intero mondo degli operatori pubblici. Ma in realtà non si tratta di semplice “assenteismo”. Non si tratta solo di lassismo, di gente che aveva poca voglia di lavorare e cercava tutte le scuse per denunciare false malattie e starsene in casa. Sul capo dei dodici arrestati e dei 60 indagati pende ben altra imputazione, quella di falso in atto pubblico e truffa aggravata. Il loro gioco imbroglione consisteva, se non si è capito male, nello scambio dei tesserini che avrebbero dovuto certificare le diverse presenze. Una truffa organizzata scientificamente, scoperta dopo mesi d’indagini, e che in primo luogo colpiva i degenti, le migliaia d’utenti costretti ogni giorno a frequentare quel luogo di dolore.
C’è da fare subito un’osservazione. Non si può prendere questa vicenda come l’esempio di un fenomeno che ha attecchito nell’intero lavoro pubblico e in questo caso nella sanità. L’Umbria è conosciuta anche per l’efficienza dei propri servizi ospedalieri, magari invidiati da altre regioni. Non siamo di fronte ad un caso esemplare che dimostrerebbe come tutti quelli che un tempo chiamavamo “servitori dello Stato” siano divenuti “nullafacenti”. E in questo caso c’è da dar ragione a Pietro Ichino, il giuslavorista impegnato su questi temi, quando da «Repubblica on line» denuncia la sua meraviglia per il fatto che ad arginare episodi come questi abbiano dovuto essere i carabinieri. Dove erano che cosa facevano coloro che sono preposti al controllo, i dirigenti insomma?
Tutti sanno che esistono sacche, realtà, esperienze nel pubblico impiego, votate all’inefficienza. E lo stesso sindacato ne è così consapevole che ha sottoscritto col governo un memorandum nel quale si propongono interventi importanti. Tra i quali un rapporto costante con i cittadini-utenti proprio per avere una mappa precisa e via via verificata delle necessità, delle mancanze. Non solo: proprio nell’ultimo contratto degli statali sono stati immessi criteri per premiare anche economicamente quelle lavoratrici e quei lavoratori che denunciano un livello di produttività accertato.
Sono misure che potrebbero contrastare, ben più delle campagne di stampa, fenomeni inaccettabili.
Quello di Perugia resta però un caso davvero inquietante. «Sconcerto e preoccupazione», sono le parole che mi confida il segretario della Cgil umbra Manlio Mariotti. Che invoca non solo che si faccia piena luce, ma che i colpevoli, una volta che la magistratura abbia accertato la fondatezza dei reati addebitati, siano “duramente puniti”. Proprio perchè i loro misfatti disonorano in primo luogo il mondo del lavoro.
C’è da aggiungere che alle spalle di tutto ciò c’è forse anche una vicenda più ampia. Il sistema ospedaliero perugino sta vivendo un’intensa fase di ristrutturazione. Anche qui, come in altre città, è stato deciso di abbandonare il vecchio ospedale Monteluce, che occupava un quartiere nel centro della città, per trasferire il tutto in una zona periferica, nel nuovo ospedale Santa Maria della Misericordia, dove, però, non tutti i padiglioni sono ancora completati. Una situazione straordinaria che ha interessato circa tremila dipendenti e ha dato luogo ad una fase di disagi. Magari per lavoratori e dirigenti costretti a modificare i propri stili di vita. Una situazione fatta anche di conflitti, con qualcuno che magari ha avuto la sensazione di perdere posizioni di potere, di non avere più le libertà di un tempo. Effetti della “modernizzazione” che potrebbe aver innescato il ricorso ad atti criminali. E hanno dovuto arrivare i carabinieri per scoprirli.
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Pubblicato il: 18.07.07
Modificato il: 18.07.07 alle ore 7.50
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Arlecchino:
La Cgil, il governo «amico» e i colpi sotto la cintura
Bruno Ugolini
Una Cgil che vede luci e ombre e decide di firmare il protocollo stilato dal governo, senza per questo considerare chiusa la partita. Ed un’altra Cgil che vedendo le luci sovrastate dalle ombre chiede, ma resta in minoranza, di non apporre quella firma.
Un atto del genere avrebbe però voluto dire rinunciare ai tanti risultati ottenuti e, in parte, riconosciuti da tutti. Questa sembra essere un po’ la sintesi di quanto è avvenuto nel principale sindacato italiano.
Non è stato un voltafaccia. L’organizzazione di Epifani ha vissuto le ultime battute del negoziato come un colpo sotto la cintura, per usare termini pugilistici, al momento del gong finale.
La scelta di non rendere rigidamente vincolante la fine del contratto a termine dopo 36 mesi e quella di rendere meno pesante per gli imprenditori il ricorso alle ore straordinarie, non erano state negoziate col sindacato. Certo ha pesato la necessità di trovare il consenso all’intesa finale anche delle forze confindustriali ed ha pesato il fatto che sui contratti a termine era già stata siglata, dal precedente governo, un'intesa separata con Cisl e Uil. Ma dubitiamo, ad ogni modo, che le stesse Cisl e Uil siano contrarie all'introduzione di un tetto obbligatorio per il ricorso ai contratti a termine. È una saracinesca sacrosanta, onde non ridurre la vita di tanti giovani ad un rincorrere senza fine fasi di lavoro, contratto dopo contratto, con attese angoscianti. Verrebbe voglia di scrivere che tali peggioramenti hanno in qualche modo davvero sacrificato i giovani, come tanti avevano predicato (con evidente strumentalità) in questi giorni. E che forse è stato un errore mettere al centro di tutto l'interesse il cosiddetto scalone. Quella trappola ereditata dall'ex ministro Maroni, che provoca drammi come quelli raccontati in un'Email al nostro giornale da Giuliano Ciampolini, un operaio tessile messo in mobilità da una piccola azienda. Costui, in nome di tanti altri, dichiara che non entrerà nella lista degli "usurati" e quindi non potrà andare in pensione nel 2008. Resterà così per un anno, finita l'indennità di mobilità e finite le prospettive di trovare altri lavori, senza reddito. È il dramma di tanti cinquantasettenni che dimostra come spesso non si sia di fronte, certo, a fannulloni in cerca di lavoro nero e come siano diversificate le posizioni. Fatto sta che ora il rischio è che anche i tanti risultati conquistati dal sindacato e che avevano fatto parlare di svolta epocale siano annebbiati, dispersi, non capiti. Un appuntamento decisivo è, in questo senso, la consultazione del mondo del lavoro. La Cgil, decisa ad appoggiare un "si" all'intesa, ha sempre sostenuto per ogni accordo, grande o piccolo che fosse, la necessità di interpellare non solo i propri iscritti ma tutti i lavoratori. Un criterio che dovrebbe valere anche per varare le piattaforme rivendicative e da alcune categorie, come i metalmeccanici, è stato spesso adottato. Non è solo una questione di rispetto della democrazia, è anche un modo per rafforzare il ruolo di rappresentanza dei sindacati, di coloro che negoziano non solo per conto di lavoratori e lavoratrici che hanno acquistato una tessera con la sigla Cgil, Cisl e Uil ma anche per tutti gli altri (e sono la maggioranza del mondo del lavoro) che non aderiscono ad alcuna organizzazione sindacale. Un modo per tener conto anche dei loro pareri. È una questione che divide da sempre Cgil da Cisl e Uil. E che sta all'origine anche del mancato varo di un sistema di norme e magari di un'apposita legge su tali questioni. L'unico settore per il quale è stato raggiunto un accordo è il pubblico impiego. Le remore di Cisl e Uil hanno le radici, in sostanza, in una concezione che si rifà al cosiddetto sindacato dei "soci", e non dei lavoratori. C'è anche il timore (ma le esperienze come quelle nel pubblico impiego dovrebbero aver rassicurato) che la democrazia venga usata come una clava per far prevalere tesi di una singola organizzazione, senza tener conto del pluralismo sindacale.
L'esito della consultazione resta, in siffatte condizioni, incerto. La bocciatura della maxi-intesa sarebbe un colpo non solo per i dirigenti di tutto il sindacato ma anche per il governo di centrosinistra. Quello che doveva essere un patto sociale, da annoverare tra i successi più importanti della coalizione, riceverebbe un duro colpo, anche dal punto di vista dei consensi futuri. Sarebbe un'altra esperienza da annoverare tra quelle dette in modo autocritico di "riformismo senza popolo". Bisognerebbe fare in modo di evitare un tale rischio, magari, se possibile, con modifiche in sede parlamentare, evitando, però, di passare dal male al peggio, cioè di aprire la corsa ai peggioramenti. Visto che l'attuale Parlamento non sta correndo a sinistra.
Pubblicato il: 26.07.07
Modificato il: 26.07.07 alle ore 9.57
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I tecnobadanti di Cacace
Bruno Ugolini
E se provaste a studiare per diventare esperti di pioggia artificiale? Non è una battuta. È un interrogativo tra gli altri che può nascere dalla lettura di un bel libro di Nicola Cacace, dedicato ad un’analisi del lavoro oggi in Italia, ma anche alle nuove possibili professioni del futuro. Un volume che interessa soprattutto quell’esercito di ragazze e ragazzi che ogni giorno si affaccia alle finestre del mercato del lavoro, alla ricerca di occasioni, se possibile adeguate alle proprie competenze professionali. E magari, affascinati dai miti della new economy, vorrebbero lavorare in Internet, nell’informatica. E invece trovano un affollamento di richieste per badanti oppure esperienze di lavoro-lampo, di precarietà in precarietà.
Il volume in questione reca, appunto, il titolo un po’ provocatorio L’informatico e la badante (edizioni Franco Angeli). Spiega il sottotitolo «Professioni che partecipano ai banchetti della globalizzazione e professioni che servono a tavola. Quello che i giovani devono sapere per affrontare il futuro». L’autore, Nicola Cacace, è un ingegnere ed un economista che ha vissuto diverse esperienze e ha indagato a lungo su questi temi, pubblicando saggi e libri.
Ed eccolo offrirci un viaggio nell’Italia di oggi. Un po’ per descrivere le difficoltà di una flessibilità senza sicurezza, un po’ per polemizzare con coloro che sostengono una superiorità del modello americano (con i suoi costi sociali) rispetto a quello europeo (carico di socialità). Tra questi cita due noti studiosi: Alberto Alesina e Francesco Gavazzi, oggi sulla cresta dell’onda, accusati di predicare una specie di ritorno al Medio evo prossimo venturo. Cacace, in sostanza, prende le distanze dal capitalismo selvaggio o turbo-capitalismo caro a Luttwak e ai suoi seguaci. Crede, invece, nel capitalismo regolato, nell’economia sociale di mercato, nel mercato motore di sviluppo ma non nel mercato padrone dello sviluppo. E smonta quell’equazione tanto di moda per cui saremmo di fronte, attraverso la frammentazione del lavoro, ad una poderosa crescita dell’occupazione. Nella realtà, spiega, la disoccupazione scompare ma riappare in nuove forme di sotto-occupazione. Può capitare, insomma, che un lavoratore a tempo pieno sia sostituito da due lavori a part time.
La sua non è una posizione contraria alla flessibilità. Ma vorrebbe che fosse intrapresa la “via scandinava” basata sulla flexsecurity, non sulla precarietà che trasferisce tutto il rischio d’impresa dall’imprenditore al lavoratore. Il lavoratore del 21 secolo, certo, dovrà cambiar lavoro, non solo il posto di lavoro, più volte nella vita e quindi dovrà aggiornarsi per non essere emarginato e privato delle sicurezze possibili.
L’ideale di Cacace è lo «Specialista flessibile», simile all’uomo rinascimentale. Ma quali saranno le professioni del futuro? Tutto parte dalla constatazione che molti lavori qualificati tradizionali sono eliminati da nuove tecnologie. È il caso di progettisti e disegnatori emarginati dal computer. Il rischio italiano è però quello di abolire i lavori monotoni della catena di montaggio, delle miniere, delle centraliniste ma senza dar luogo alla crescita parallela di lavori nuovi, creativi e interessanti. Eppure le due famiglie professionali che tireranno di più nel futuro, come dimostrano anche alcune previsioni redatte in America, saranno proprio i lavori creativi e i servizi alla persona, i badanti e gli informatici, per dirla col titolo del libro.
Eppure capita nel nostro Paese che spesso i giovani laureati debbano accontentarsi di lavori al di sotto delle proprie aspettative. Questo perché manca una produzione di qualità. I laureati, infatti, osserva Cacace, servono per costruire aerei, prodotti elettronici e prodotti hi-tech. Ne servono meno per fare auto, scarpe e mobili. Servono più laureati per fare merchant bank, più che per fare banche commerciali. E così oggi in Italia i “creativi” non sono più del 30 per cento dell’occupazione totale, mentre un altro 30 per cento sta nei servizi alle persone e in altri lavori non qualificati e riservati solitamente agli immigrati (due milioni di badanti straniere). Lo scopo del libro è però quello di dare un’iniezione di fiducia ai giovani. Ed ecco un’analisi delle possibili nuove professioni. Troviamo così accanto all’esperto di pioggia artificiale, di cui dicevamo all’inizio, l’esperto di baratto internazionale, il meccatronico (meccanico che applica tecniche elettroniche), il tecno-badante (assistente d’informatica al servizio di anziani), il risk manager, l’ispettore ambientale, l’eidomatico (creatore d’immagini mediante elaboratore).
Sono solo alcuni esempi, ma il volume approfondisce le caratteristiche di professionalità emergenti, settore per settore: dall’informazione e formazione alla salute e servizi sociali, dall’ambiente all’agricoltura biologica, dal turismo alle telecomunicazioni e l’informatica, fino alla finanza e commercio.
E viene da pensare che questa specie di vademecum possa rappresentare anche una risposta più alta ai tanti interrogativi che emergono anche in questi giorni, nell’affannoso dibattito sulla precarietà e sui modi per combatterla. Nel senso che si capisce meglio come non basti battersi per una «stabilizzazione» a tutti i costi, per raggiungere il fatidico contratto a tempo indeterminato a favore di tutti o quasi tutti. Perchè il problema consiste anche nel fatto che schiere e schiere di ragazze e ragazzi, magari oggi costretti ad aggrapparsi ad un telefono in un Callcenter, non agognano a rimanere in quella posizione per tutta un’esistenza. Magari lo pensano come un posto di passaggio e sognano che i loro studi, le loro competenze, acquisite con studi e sacrifici, possano trovare un diverso sbocco professionale, collegato ad una crescita economica di qualità. Questa sarebbe una vera «stabilizzazione». Il libro di Nicola Cacace può aiutarci a interpretare questo nuovo orizzonte.
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Pubblicato il: 16.11.07
Modificato il: 16.11.07 alle ore 9.52
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