Il Cardinale Carlo Maria MARTINI
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L'ARCIVESCovo emerito di Milano
È morto il cardinale Carlo Maria Martini
Camera ardente in Duomo, lunedì i funerali
Aveva 85 anni. Era da tempo affetto dal morbo di Parkinson. Le sue condizioni si erano aggravate giovedì sera
Martini, oltre 20 anni alla guida della Diocesi di Milano
MILANO - È morto il cardinale Carlo Maria Martini. L'annuncio è stato dato nel pomeriggio dall'arcivescovo di Milano, Angelo Scola, dopo che già da giovedì sera era cresciuta l'apprensione per le condizioni dell'arcivescovo emerito di Milano, da tempo affetto dal morbo di Parkinson. Anche il papa, Benedetto XVI, era stato subito informato e aveva chiesto di essere tenuto costantemente informato per seguire da vicino l'evolversi della situazione. Nelle ultime 24 ore amici e parenti del cardinale hanno fatto visita al suo capezzale al Collegio Aloisianum di Gallarate (Varese), dove l'ex arcivescovo di Milano era ricoverato.
I FUNERALI - L'arcivescovo di Milano il cardinale Angelo Scola e il Consiglio episcopale milanese hanno nel frattempo stabilito le modalità delle esequie. La salma di Martini sarà accolta in Duomo a Milano sabato alle 12. Da quel momento, come spiega una nota della Diocesi, sarà possibile renderle omaggio sino ai funerali che verranno celebrati lunedì 3 settembre alle 16. Per le celebrazioni eucaristiche di domenica 2 settembre l'Ufficio liturgico della Curia predisporrà intenzioni di preghiera particolari.
IL MEDICO PERSONALE - Dopo un'ultima crisi, cominciata a metà agosto, il cardinale era entrato in fase terminale. «Non era più in grado di deglutire né cibi solidi né liquidi. Ma è rimasto lucido fino all'ultimo e ha rifiutato ogni forma di accanimento terapeutico» aveva detto Gianni Pezzoli, direttore dell'unità di Neurologia del Centro Parkinson degli Istituti clinici di perfezionamento di Milano, che da anni ha avuto in cura il Martini. «Su questi pazienti - ha spiegato il medico - si possono usare vari dispositivi come la peg (gastrostomia endoscopica percutanea, ovvero una forma di nutrizione forzata, ndr). Ma in questa fase sarebbe un accanimento terapeutico e l'accanimento terapeutico non va mai applicato in nessuna terapia medica, quindi anche in questo caso. La malattia è evolta in modo più naturale possibile». Il cardinal Martini «non ha mai cercato di nascondere la sua malattia, anzi l'ha sempre dichiarata con grande coraggio», ribadisce Pezzoli «ha partecipato a svariati convegni sul Parkinson, durante i quali ha sempre risposto alle domande dei pazienti. Per noi è stato ed è un onore poterlo seguire» ha concluso il medico.
«FINE VITA» - «Il cardinal Martini è stata una delle voci più belle, limpide e profonde, un pastore raro e un teologo raffinato, uno capace di profezia nei momenti difficili» ha detto il leader di Sel Nichi Vendola. «Anche nel momento più difficile si sale da soli sulla croce - ha aggiunto -, anche nel momento in cui si avvicina il fine vita lui sceglie il primato della dignità rifiutando l'accanimento terapeutico». Roberto Formigoni ha detto, invece, su Twitter: «Mi stringo in preghiera per lui col cardinale Scola e la Chiesa ambrosiana».
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Ore d'ansia per l'arcivescovo emerito di Milano
L'ultima lezione di un principe della Chiesa
L'insigne biblista guidò la diocesi dal 1979 al 2002.
A lui si arresero le Brigate Rosse, consegnando un arsenale
di ARMANDO TORNO
Un'agenzia delle 20.32 di ieri sera segnalava che le condizioni di salute del cardinale Carlo Maria Martini, arcivescovo emerito di Milano, si sono aggravate. Il morbo di Parkinson non gli ha dato tregua in questi ultimi anni, anche se lui, lucidissimo nella mente ma tormentato da molteplici difficoltà motorie, ha continuato a lavorare.
La sofferenza è stata l'occasione per un'ulteriore lezione del cardinale Carlo Maria Martini. Lui, ultimo professore al Pontificio Istituto Biblico a tenere i corsi in latino, ora aveva la possibilità soltanto di bisbigliare. La parola gli costa fatica e quando cerca di esprimersi chiede un aiuto a don Damiano Modena che lo assiste e sa ricostruire le sue brevi frasi.
Egli resta per tutti coloro che lo hanno conosciuto, anche non credenti, un vero principe della Chiesa. Può non portare la berretta cardinalizia, non indossare la porpora, ma gli si riconosce un'autorità rara in un momento in cui questo termine ha sempre meno persone e istituzioni in grado di interpretarlo o di trasmetterlo. Martini lo ha in sé, naturalmente. Non è il semplice (o complesso) frutto del dialogo che ha saputo avviare con la società civile, né la conseguenza di uno stile, nemmeno va cercato nel prestigio dei suoi studi. Si potrebbe dire che è nato così, anche se è sempre stato timido e riservato, soprattutto discreto; tuttavia sapeva essere deciso quando si trovava dinanzi alle difficoltà.
Arcivescovo di Milano dal 1979 al 2002, di lui si possono raccontare migliaia di iniziative, dalla cattedra dei non credenti alle visite che faceva abitualmente ai carcerati, via via sino al rivoluzionario modo di intendere la sua missione. Ma l'episodio che non sarà dimenticato (e farà riflettere più di tanti altri gli studenti di storia del futuro) resta la consegna delle armi che fecero a lui le Brigate Rosse. Si arresero al cardinale, come in un romanzo dell'età romantica, portando un arsenale in curia. Anche chi aveva scelto la lotta armata riconosceva in Martini un'autorità indiscutibile. Del resto, quando essa è tale, la storia insegna che favorisce le rese più di ogni altro espediente.
Decine di pubblicazioni recano il suo nome. Dopo il rientro da Gerusalemme, nel 2008, questo insigne biblista ha messo in un canto le ricerche specialistiche per «comunicare a tutti - sovente ama aggiungere umilmente - la parola di Dio». Si è poi ritirato a Gallarate, all'Aloisianum, una casa dei gesuiti, in due locali; sul campanello, per un estremo atto di semplicità, ha chiesto che non fosse scritto «card» ma «padre Carlo Maria Martini». Il suo motto Pro veritate adversa diligere , ovvero «Per la verità scegliere anche situazioni sfavorevoli», non gli è stato utile soltanto per ornare lo stemma, ma lo può lasciare ai posteri come senso della sua vita. Lui, riservato, che mai ha voluto disfarsi dell'antica timidezza.
Chi lo ha incontrato recentemente - ricordiamo tra gli altri Aldo Maria Valli - ha notato nei suoi occhi «una luce nuova», un che «di fanciullesco». È vero: Martini sa stupire con un gesto, uno sguardo, un sorriso; anzi talvolta si impara da lui proprio attraverso le sue reazioni minime. È riuscito, come dire?, a togliere tutto il superfluo dai contatti umani e comunica con un'intensità che reca sempre riflessione ai suoi interlocutori. Eppure Martini è stato il solo cattolico ammesso nel comitato scientifico del Greek New Testament , testo poi utilizzato nella XXVI e XXVII edizione del Nestle-Aland, che è il riferimento per le traduzioni condotte in tutto il mondo. Inoltre, e anche questo aspetto lo ricorda con piacere e sempre un sorriso, ha indagato il papiro Bodmer 14, indispensabile per intendere una parte del Nuovo Testamento.
Il cardinale Angelo Scola, alla notizia dell'aggravarsi delle condizioni di salute del suo predecessore, ha invitato «tutti i fedeli della diocesi e a quanti l'hanno caro» a pregare per lui. Martini ha sovente pregato in maniera singolare, sorprendente. Non staremo a descrivere l'arcivescovo o l'eminente uomo di Chiesa nelle sue funzioni, ma quello che colpiva è quanto poteva capitare incontrandolo: chiedeva di attendere un momento prima di rispondere o di fare una scelta. Si ritirava per un breve lasso di tempo nell'altra stanza e pregava, si raccoglieva in sé. La preghiera, insomma, per Martini è sempre stata parte della vita e la vita ha sempre avuto bisogno della preghiera per sentirsi tale. Per questo siamo certi che all'appello del cardinale Scola risponderanno anche persone insospettabili, di quel genere che non ama la recita delle orazioni. Ma a Martini penseranno in queste ore. Con la memoria andranno a evocare le sue parole lette o pronunciate in questa o in quella occasione, si fermeranno per rimeditarle, aggiungeranno qualcosa che è rimasto loro in qualche angolo del cuore. Pregheranno, appunto, senza accorgersene. Lo faranno per Carlo Maria Martini. Un gesuita, un principe.
31 agosto 2012 | 16:03
da - http://milano.corriere.it/milano/notizie/cronaca/12_agosto_31/martini-principe-chiesa-torno-2111632876387.shtml
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IL CARTEGGIO CON I LETTORI
I miei tre anni da giornalista del Corriere
Abbraccio ai lettori, dialogherò con il cuore
Il 24 giugno 2012 il Cardinale Martini ha abbandonato la rubrica che curava sulle pagine del Corriere
Desidero iniziare quest'ultima pagina della rubrica, affidatami ormai qualche anno fa, ringraziando tutti coloro che mi hanno scritto in questi anni. Ho ricevuto migliaia di lettere di affetto, di gratitudine, di stimolo, di critica. Chiedo perdono a quelli a cui non sono riuscito a rispondere e a quelli che pur avendo ricevuto un cenno di riscontro lo hanno ritenuto poco o per nulla esaustivo. Ringrazio il direttore del Corriere che mi ha concesso un lungo tempo di dialogo nonostante l'affievolirsi della voce. Ringrazio pure tutti i suoi collaboratori. Un grazie di cuore anche ai miei successori sulla Cattedra di Ambrogio per la pazienza dimostrata, nonostante il mio intervento mensile.
Ora viene il tempo in cui l'età e la malattia mi danno un chiaro segnale che è il momento di ritirarsi maggiormente dalle cose della terra per prepararsi al prossimo avvento del Regno. Assicuro della mia preghiera per tutte le domande rimaste inevase. Possa essere Gesù a rispondere ai quesiti più profondi del cuore di ciascuno.
Eminenza, sono rimasto affascinato dalla bellezza delle incisioni presenti sui fianchi esterni della cattedra o trono di Massimiano custodito nel museo arcivescovile di Ravenna. È così gentile da darmi qualche notizia in più sulla cosiddetta «beffa del grano» perpetrata da Giuseppe ai danni dei suoi fratelli e narrata nella Genesi (42,25; 44,1-17): Giuseppe ha nascosto la propria tazza nel sacco di Beniamino per tenerlo come ostaggio in Egitto? Aveva prima tentato lo stesso tranello con l'altro fratello minore, Simeone? Perché privare il vecchio padre Giacobbe della compagnia dei due figli minori?
Giorgio Zavagli, Santa Maria Maddalena, Rovigo
Nella lunga storia di Giuseppe entrano tanti elementi in cui è possibile leggere quanto possa essere cattivo e fragile l'uomo. Tali elementi sono stati messi in buon ordine dal redattore finale, ma non gli si può chiedere di prescindere del tutto dalle proprie fonti. Ora queste fonti sono concordi nel sottolineare la gravità del gesto di Giuseppe, che toglie al padre la possibilità di vivere quietamente con i propri figli. Giuseppe fa queste cose perché vuol provare la verità di quanto i fratelli dicono.
Rimango sempre più allibito da ciò che succede nella (nostra?) Chiesa! Va bene pensare che anche gli uomini che ne sono alla guida sono peccatori, ma vien da chiedersi se chi è alla guida della Chiesa abbia un minimo di Fede. Come si può sostenere di avere Fede tanto da giungere alla guida di tutti i fedeli e commettere misfatti di tale portata? Che rapporto c' è tra Fede e peccato?
Paolo Fornari, Roma
Lei sa che la mia risposta procede dalla risposta data da Gesù a Pietro: «E le porte degli inferi non prevarranno contro di essa» (Mt 16,18) riferendosi alla Chiesa. Questa parola darà a Pietro la certezza che se da un lato le «porte degli inferi» le sono addosso da sempre,
dall' altro, non saranno mai in grado di chiudersi dietro di essa.
Carlo Maria Martini
31 agosto 2012
16:47© RIPRODUZIONE RISERVATA
da - http://www.corriere.it/cultura/12_agosto_31/cardinale-martini-ultima-lettera_4fa6872e-f369-11e1-a75f-a4fc24328613.shtml
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LA TESTIMONIANZA DELL'EX ESPONENTE DELLE BRIGATE ROSSE
L'ex terrorista Balducchi: «Così le Brigate Rosse consegnarono le armi al cardinal Martini»
Il primo contatto quando celebrò la messa di Natale a San Vittore. La consegna delle armi avvenne il 13 giugno dell'84
MILANO - «Avevamo deciso di abbandonare la lotta armata, e Martini ci ascoltò». L'ex terrorista Ernesto Balducchi ricorda alla Radio Vaticana quell'evento memorabile: la consegna delle armi da parte dei terroristi delle Brigate Rosse all'arcivescovado di Milano il 13 giugno dell'84. Qualche giorno prima, il 27 maggio, lo stesso Balducchi, accusato di banda armata, dal carcere di San Vittore aveva scritto al cardinale Martini per chiedere l'intervento della Chiesa in una sorta di mediazione per la ripresa del dialogo con lo Stato.
«Noi avevamo già maturato un giudizio negativo sull'esperienza della lotta armata - racconta Balducchi - però ci trovavamo di fronte un muro abbastanza compatto di opinione che non era disponibile a qualsiasi forma di dialogo e quindi ad accettare anche questo giudizio critico e questa uscita ideologica dal campo della lotta armata».
NATALE IN CARCERE - «Parlare con qualcuno - e di fatto, lui venne anche a Natale dell'83 a San Vittore - ci ha confortato in questo. Devo dire che poi ogni volta che lui toccava quegli argomenti - e che la cosa veniva riportata dalla stampa - notavamo che le nostre istanze erano ascoltate, erano recepite», prosegue. Sul perchè della scelta proprio di Martini come interlocutore per la consegna delle armi, Balducchi spiega che «avevamo seguito un suo intervento ad un convegno - mi pare del 1983 - sulla dimensione sociale del peccato. Cioè, illuminava un po' l'aspetto sociale, la dimensione sociale del peccato e quindi il suo legame con l'ingiustizia, fondamentalmente. Allora scrissi una lettera a Martini. Mi rispose, non me l'aspettavo. E a quel punto ho incominciato a mettere a fuoco quello che avrebbe potuto essere un dialogo anche concreto». Inoltre la Chiesa, in particolare la Chiesa milanese «per noi era l'unica sponda che avevamo e a cui potevamo accedere - sottolinea l'ex terrorista rosso - «Il resto erano le Procure della Repubblica che però esigevano nomi, cognomi, dati e fatti, per poi accedere alla cosiddetta legge dei pentiti, ma non era questo che a noi interessava». Ora, con la morte del card. Martini, aggiunge Balducchi, «abbiamo perso un grande riferimento culturale. L'attenzione al problema della giustizia nel mondo: questa era la cosa che anche per la mia esperienza è stata importante».«
Redazione Milano online 1 settembre 2012 | 15:57© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://milano.corriere.it/milano/notizie/cronaca/12_settembre_1/ex-terrorista-Balducchi-consegna-armi-cardinal-Martini-2111651617882.shtml
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L'ADDIO
Martini, il comunicatore
Quei colloqui mensili sul giornale. «No alla trappola delle omissioni»
La voce si spense un giorno di maggio del 2010. Divenne un soffio leggero, un sibilo amplificato da un microfono. L'onda di un'altissima spiritualità costretta a ritirarsi, a ripiegare, ma non a stringersi di fronte al male cattivo, il morbo di Parkinson, con cui si era abituato a convivere e che lo consumava dai giorni felici di Milano. Era una sottrazione fisica, non una sottrazione del pensiero o dell'anima.
Il cardinal Martini uscì, in quella primavera, da una settimana di ricovero al San Raffaele. Era magro e provato. Sillabava, sibilava, chiedeva scusa. Restavano, dell'arcivescovo che Milano aveva imparato ad amare all'improvviso, dell'uomo che sapeva parlare agli atei e ai terroristi, del cardinale che la Chiesa avrebbe voluto Papa; di quell'uomo restavano la figura imponente e gli occhi azzurri e profondi, la luce buona dello sguardo. «Avete visto i momenti migliori e i momenti peggiori», disse un giorno con umiltà. Dei tre anni di visite periodiche per preparare e redigere insieme ad Armando Torno la rubrica Lettere al Cardinal Martini furono, quelli, i giorni più duri.
L'ultima dimora del cardinal Martini è stato l'Istituto Aloisianum di Gallarate, la casa dei Gesuiti a 40 chilometri da Milano, rifugio finale dopo gli anni della meditazione e degli studi a Gerusalemme. Due stanzette e un piccolo bagno al terzo piano. Intorno, le tracce di una vita irripetibile. Le pillole quotidiane che faticava a mandar giù come fossero sassi, gli amati dischi di Mozart, le macchine per la fisioterapia, sempre più faticosa. Il Corriere sul tavolo, le pagine voltate sui temi più cari, dalla bioetica al dolore nel mondo. Rare fotografie, i segni degli incontri più importanti: un ragazzo down, un sacerdote, un volontario. Era curioso, le nuove tecnologie lo colpivano. Usava il computer, scriveva libri, mandava mail, si appassionò all'iPad. Prima di quel ricovero c'erano state le gite del giovedì, le passeggiate nel giardino dell'Aloisianum. Ora non più. Desiderava il contatto con i lettori. Il fenomeno-città, punto d'incontro di tensioni e speranze, rappresentava un interesse ricorrente, il suo serbatoio. Era, la sua, una conoscenza accompagnata a una formidabile elaborazione di pensiero, quasi un sesto senso, un'immaginazione profetica che aveva sviluppato nel triangolo Roma, Milano, Gerusalemme. Le città della sua vita. La risposta a quegli appelli era tracciata da tempo: «Sarò con voi ovunque andrò». Credeva nella preghiera di intercessione. Il suo motto episcopale, dalla regola pastorale di San Gregorio Magno, era Pro veritate adversa diligere , cioè «per il servizio alla verità essere pronto ad amare le avversità». La peggiore delle condanne era per lui non essere capito, o peggio frainteso.
Nella piccola libreria, volumi scelti: l'ultima scrematura di una vita di letture in molte lingue, antiche e moderne. In un angolo, con pudore, una bellissima foto, scattata in seminario: spiccava, tra i volti felici degli studenti, un giovane alto e nobile, con i capelli a spazzola, lo sguardo dolce e fiero.
Teneva la Bibbia aperta sul modesto tavolino di formica, verdognolo come i vecchi banchi di scuola. Il pupazzo di Winnie the Pooh, l'orsacchiotto di A. A. Milne, amato regalo degli anni trascorsi a Gerusalemme, un bicchiere di gazzosa, piccola delizia tra le medicine amare, gli occhiali con la montatura dorata, come un nonno buono, che il tremito del Parkinson gli faceva scendere sul naso.
La sua finestra dava sulla chiesa dell'istituto. Il divano, la poltrona dei pomeriggi di riflessione. Sul muro, la pergamena del Premiolino, il riconoscimento che ricevette nel 2010 per la rubrica sul Corriere . Amava ricordare che la sua prima passione era stata proprio il giornalismo. Una volta gli dissi: se la sua vita non avesse cambiato percorso, Montanelli avrebbe avuto un temibile rivale. Sorrise. Faticava sempre di più a scrivere, ma ne trasse una ragione di vita. Di tutte le lettere fece un piccolo archivio in cui navigava per attingere idee. Era preoccupato non di parlare ai giovani, ma per i giovani. Seguiva il precetto di Paolo: trasformatevi rinnovando la vostra mente.
Le giornate erano scandite dalle cure, dalla preghiera, dalle visite di intellettuali, uomini di pensiero, preti famosi e parroci sconosciuti, gente comune che cercava una strada, un senso. Con tutti sapeva usare parole forti. Così, mese dopo mese, ha insegnato ai suoi lettori che il Paradiso esiste, che gli angeli custodi ci accompagnano e ci proteggono. Le discussioni sui Papi del Novecento, tutti amati, le parole del cardinale Schuster: «Respiro con la Chiesa nella stessa sua luce, di giorno, nelle sue stesse tenebre, di notte». E poi la crisi economica, «da affrontare con coraggio civile». Il senso del dolore, che avvertiva diffuso in quella corrispondenza così sofferta.
Quando gli chiedemmo un commento sullo scandalo della pedofilia, lui si alzò e uscì dalla stanza, in silenzio. Era molto turbato, soffriva per l'umiliazione della Chiesa, aveva gli occhi lucidi. Pregò in solitudine per una decina di minuti, poi tornò davanti a noi. Era commosso ma più sereno, sollevato. Richiamò le severe parole di Gesù: «Guai a colui per cui avvengono gli scandali. È meglio per lui che gli sia messa al collo una macina da mulino e venga gettato nel mare, piuttosto che scandalizzare uno di questi piccoli» ( Vangelo secondo Luca 17,2).
L'incontro, l'ultimo, con Papa Ratzinger fu nel giugno 2012 durante il Meeting per le famiglie a Milano. Il dialogo avvenne attraverso gli sguardi. Un anno prima si erano dati appuntamento in Vaticano: il faticoso viaggio in carrozzina, l'abbraccio tra due amici, il teologo e il biblista, che attraverso percorsi diversi si stimavano. Il colloquio con Benedetto XVI avvenne in tedesco, ma avrebbe potuto svolgersi in molte altre lingue. Diceva spesso: «Vorrei essere parte di una Chiesa che s'indigna e combatte a fianco dei poveri e dei diseredati, che striglia i potenti della Terra quando si riempiono la bocca di Dio e sono così lontani nel loro operato». Di più: allo scandalo vaticano sul «corvo» e i documenti trafugati, rispose sul Corriere che la Chiesa avrebbe dovuto rinunciare ai suoi tesori, e lui «ne sarebbe stato ben contento», ma anche prodigarsi per recuperare il tesoro millenario della fiducia. Quando iniziò la rubrica scrisse: «Oggi la negazione della verità assume spesso la figura dell'omissione voluta e colpevole, condizionata dalla paura o dall'interesse, o anche dalla paciosità: mi guardi il Signore da queste trappole!».
Paolo Baldini
1 settembre 2012 | 7:26© RIPRODUZIONE RISERVATA
da - http://www.corriere.it/cronache/12_settembre_01/baldini-comunicatore-martini_15ccbc3c-f3f3-11e1-8223-8f87a48260f4.shtml
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