Cultura
19/03/2012 - intervista
Mona Eltahawy: il mio corpo era diventato piazza Tahrir
Mona Eltahawy "Da noi devi preoccuaprti se sei donna o cristiano, e se non sei un maschio musulmano conservatore"Parla la scrittrice e giornalista egiziano-americana che ha vissuto sulla sua pelle e raccontato sui social network i giorni caldi della rivoluzione
MARCO BARDAZZI
Torino
Addio, piazza Tahrir. La rivoluzione egiziana diventa adulta, si evolve, dilaga e saluta il luogo-simbolo. «Resterà l’immagine di quello che è accaduto lo scorso anno al Cairo, ma adesso non è più in quella piazza che si gioca il futuro del Paese», spiega Mona Eltahawy, giornalista, scrittrice e blogger egiziana con residenza a New York, dove è stata costretta a emigrare un decennio fa per essere diventata una voce troppo scomoda nell’Egitto di Mubarak. La piazza la conosce bene, per averla vissuta e raccontata su giornali e social network nei mesi caldi della rivoluzione. E per essere rimasta vittima lo scorso novembre del «lato oscuro» di Tahrir. Una delle spedizioni punitive delle forze di sicurezza del regime fece finire la Eltahawy in cella, con le braccia fratturate e addosso i segni di ripetuti abusi sessuali. «Il mio corpo era diventato piazza Tahrir - ha scritto la giornalista egiziano-americana -, un luogo di vendetta per la polizia contro la rivoluzione che aveva battuto e umiliato Mubarak».
La piazza resterà l’equivalente egiziano di San Venceslao, Plaza de Mayo o Tienanmen, e non è escluso che torni ad affollarsi di tanto in tanto per manifestazioni anti-regime. Ma la rivoluzione è in una fase che va oltre quello spazio fisico. «L’8 marzo abbiamo marciato al Cairo per la festa della donna - racconta la Eltahawy, in Italia per una serie di conferenze che prende il via oggi a Torino - e non ci siamo neppure fermate in piazza Tahrir».
Significa forse che la rivoluzione segna il passo, che la protesta si affievolisce?
«Al contrario, ci sono tutti i motivi per essere preoccupati di quello che avviene in Egitto, soprattutto dal punto di vista dei diritti umani. L’idea che i militari hanno cercato di far passare fin dall’inizio per giustificare la loro presa del potere, quella cioè di essere impegnati a “proteggere” la rivoluzione, è una bugia. I diritti delle minoranze, come i cristiani copti, e i diritti delle donne restano fortemente a rischio. Nessuno è finito sotto processo per gli attacchi alle chiese copte, che questo governo dice di voler proteggere. Quanto alle donne, basta pensare alla vicenda dei vergognosi “test di verginità” con cui i militari cercano di intimidire chi protesta».
Un medico militare accusato dei «test» è appena stato assolto in tribunale. Come va letto questo segnale?
«I test sono veri e propri stupri e dimostrano che la giunta non è certo al potere per “proteggere il popolo” come dicono. Non sorprende che un tribunale militare assolva un medico militare in un Paese governato dai militari. Ora porteremo la vicenda di fronte alle corti internazionali, ma è la prova che in Egitto, se sei donna, se sei un cristiano, o comunque non sei un maschio musulmano eterosessuale conservatore, devi preoccuparti».
I militari però si apprestano a lasciare il potere in meno di quattro mesi. Si apre una fase nuova, con molte incognite. In Egitto come in Tunisia dalle urne sono uscite vincitrici formazioni con una forte impronta islamica, come i Fratelli Musulmani o i salafiti. Teme che la Primavera Araba si trasformi in un Inverno Islamico?
«Occorre in primo luogo abbandonare questa immagine della Primavera Araba, che distrae dalla vera natura della rivoluzione. Non è stato un fenomeno solo arabo e non è una primavera, che poi passa. La voglia di cambiamento ha ormai raggiunto luoghi lontanissimi da piazza Tahrir, ad Alessandria come nel Sud del Paese. È normale che la gente abbia scelto in maggioranza realtà come i Fratelli Musulmani, che sono radicati sul territorio e hanno creato reti di rapporti intorno alle moschee. È giusto che ora si assumano le loro responsabilità. I grandi problemi dell’Egitto sono il lavoro, l’economia, il ritorno del turismo internazionale. Se i partiti che hanno la maggioranza non sapranno risolverli, saranno sostituiti. È la democrazia».
E il movimento nato in piazza Tahrir, che è una minoranza, che ruolo assume in questa fase?
«Le rivoluzioni le fanno sempre le minoranze. Questa è stata portata avanti da una realtà che rappresenta circa il 4% del Paese, ed è una minoranza che continuerà a far sentire la propria voce su libertà, diritti umani, sviluppo economico. L’Egitto oggi è come un triangolo che ha la giunta militare a un vertice, i partiti islamici a un altro e il movimento della rivoluzione al terzo: la dinamica tra questi tre punti determinerà il futuro. Ma sia i militari sia i Fratelli Musulmani devono ricordare che sono al potere grazie alla rivoluzione».
Si è parlato molto del ruolo del social media nelle rivoluzioni arabe. Come blogger e «Twitter-entusiasta», quanto pensa abbiano davvero contato?
«Non è stata la rivoluzione di Twitter e Facebook, come qualcuno ha sostenuto: la gente è andata fuori, in piazza, e ha preso botte in faccia tutt’altro che virtuali. E le realtà dei vari Paesi sono diverse, l’uso dei social network in Egitto o Bahrein non è paragonabile a quello dello Yemen o a ciò che vediamo in questi giorni in Siria, dove la censura è totale. Una cosa però è certa. In Egitto queste piattaforme hanno permesso a gente fino a quel momento marginalizzata di dire “io esisto” e “io conto”, e di trovare altri che dicevano lo stesso. È stata l’occasione per creare una comunità che poi si è ritrovata in piazza. E che ora non intende tornare a chiudersi nel silenzio e nella paura».
OGGI A TORINO
Mona Eltahawy è l’ospite principale in un dibattito in programma oggi al Circolo dei Lettori di Torino (ore 17,30), sul tema «I nuovi italiani: il ruolo dei media nella definizione delle nuove cittadinanze». L’evento, organizzato da Consolato degli Stati Uniti a Milano in collaborazione con La Stampa , vede la partecipazione del console americano Kyle R. Scott, dell’assessore alle politiche per l’integrazione del Comune di Torino, Ilda Curti, e di Sherif El Sebaie (InTurin), Viorica Nechifor (Associazione Nazionale Stampa Interculturale) e Marco Bardazzi (La Stampa).
da -
http://www3.lastampa.it/cultura/sezioni/articolo/lstp/446921/