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Autore Discussione: ANNALISA CUZZOCREA. In piazza per ricucire l'Italia aderisce anche Saviano  (Letto 6361 volte)
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« inserito:: Ottobre 08, 2011, 06:04:31 pm »

L'INIZIATIVA

In piazza per ricucire l'Italia aderisce anche Saviano

Oggi a Milano la manifestazione di Libertà&Giustizia: "Questo governo è finito".

Videomessaggio dello scrittore di Gomorra. Bonsanti: "La società civile vuole pesare"


di ANNALISA CUZZOCREA

ROMA - C'è un filo rosso che collega la manifestazione del Palasharp del 5 febbraio scorso e l'iniziativa di questo pomeriggio all'Arco della Pace, sempre a Milano. Allora, Libertà e Giustizia e intellettuali come Umberto Eco, Maurizio Pollini, Salvatore Veca, avevano chiesto le dimissioni di Silvio Berlusconi. Ora escono dal palazzetto per essere in piazza con la società civile, e lanciano proposte che servono a ricostruire, a rimettere insieme i lembi stracciati di dignità e diritti, certezze e valori. C'era e c'è il presidente emerito della Consulta Gustavo Zagrebelsky, che lì aveva lanciato una parola d'ordine ancora valida: "Non chiediamo niente per noi, ma tutto per tutti". C'era - e ci sarà con un messaggio video - lo scrittore Roberto Saviano, che a Repubblica anticipa il senso del suo intervento: "Oggi la difficoltà sta in questo: nel non cedere alla certezza che niente possa cambiare, che vivere onestamente sia inutile.
Nel non cedere allo sconforto che nessun merito riuscirà mai a farsi largo, ma vincerà l'alleanza sul talento, la segnalazione sulla bravura, la furbizia sull'impegno". Entra nel merito, Saviano. Parla dell'oggi, e di quel che bisogna fare: "Questo governo da lungo tempo è politicamente finito, ma questa lunga agonia si regge sull'incapacità di coinvolgere un nuovo grande e trasversale consenso popolare in nuovi progetti, in riforme credibili. Non ci resta altro che osare di più dinanzi a questa ossidata quotidianità che sembra immutabile, per scorgere ancora una possibilità di bene e dargli spazio. Sul brandello di stoffa vorrei scriverci come diritto da difendere: "il diritto alla felicità", ora manca ovunque e spesso coincide, per meridionali e più in genere italiani, con l'emigrazione".

L'appuntamento di Libertà e Giustizia per chi vuole "Ricucire l'Italia" è alle 14 e 30. La manifestazione andrà avanti tre ore, e vedrà avvicendarsi sul palco - moderati da Luisella Costamagna - gli storici Paul Ginsborg e Salvatore Veca, gli ex magistrati Bruno Tinti e Giuliano Turone, il sociologo Marco Revelli, il presidente dell'Anpi Carlo Smuraglia, Claudio Fava per Libera, il giornalista e autore televisivo Michele Serra, il segretario della Federazione nazionale della stampa Franco Siddi; i costituzionalisti Lorenza Carlassare e Valerio Onida. Chiuderanno Gustavo Zagrebelsky con i giornalisti Lirio Abbate e Marco Travaglio. Ad aprire, invece, ci sarà il sindaco di Milano Giuliano Pisapia. E ci sarà ovviamente la presidente dell'associazione Sandra Bonsanti. "Ho fiducia che verranno in molti, perché ho l'impressione che più forte della delusione e della disaffezione sia la certezza che la mobilitazione e la partecipazione servano", ci dice.

"Le manifestazioni dei giovani, quelle per la libertà di stampa, il Palasharp, il milione di donne in piazza del 13 febbraio, sono state il vento che ha portato alle vittorie referendarie di giugno. Un'onda lunga che è proseguita con la raccolta delle firme per il referendum anti-porcellum, oltre un milione e duecentomila, un traguardo incredibile. È un peccato che il Pd non ci abbia creduto fino in fondo".
A chi dice che no, nulla è servito, Sandra Bonsanti risponde: "Come si fa a dirlo? Ora il centrodestra è consapevole di non avere la maggioranza nel Paese. E l'opposizione sa che quando si andrà a votare sarà obbligata a portare un volto rinnovato. Noi non faremo i portatori d'acqua, la società civile vuole pesare, troveremo il modo".

(08 ottobre 2011) © Riproduzione riservata
da - http://www.repubblica.it/politica/2011/10/08/news/manifestazione_libert_giustizia-22888659/?ref=HREA-1
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« Risposta #1 inserito:: Ottobre 22, 2012, 05:43:28 pm »

IL CASO

Nuova legge bavaglio, altolà Pd e Udc "Non faremo passare quel testo"

Ma il Pdl insiste per approvare la cosidetta legge salva-Sallusti: "È la direzione giusta". L'allarme della Fnsi.

Il democratico Chiti che aveva sottoscritto il ddl con Gasparri vuole ritirare la firma

di ANNALISA CUZZOCREA


ROMA - La legge che doveva salvare dal carcere Alessandro Sallusti, e rischia di inguaiare in suo nome tutta la libera stampa, comincia a diventare un affare imbarazzante. I primi firmatari sono i senatori Vannino Chiti e Maurizio Gasparri: doveva essere un impegno bipartisan, quello di eliminare la possibilità del carcere come pena per la diffamazione. Oggi, però, quella legge Chiti non la riconosce più. E Pd e Udc si dicono pronti a frenare qualsiasi strisciante tentativo di censura.

"Se verrà fuori un pasticcio sono pronto a togliere la mia firma", dice Chiti. Il senatore pd spiega che il suo primo obiettivo era eliminare il carcere. E che aveva poi previsto, per ragioni motivate, un obbligo di rettifica da parte del giornale con lo stesso spazio e lo stesso rilievo della notizia. Questo però doveva servire a bloccare il procedimento penale. Sulle pene, si era pensato a un massimo di 50mila euro. E per il web, il tutto avrebbe dovuto riguardare solo i giornali online, non i singoli blog.

Nelle mani della commissione giustizia, "a forte maggioranza di centrodestra", le cose sono cambiate. "Si rischia di fare una legge puramente sanzionatoria. Se è così meglio fermarsi, limitarsi a eliminare il carcere, e lasciare che sia un Parlamento più sereno a occuparsi del resto". Chiti non fa parte della commissione Giustizia, dove invece la vicenda è seguita da vicino dall'ex pm Felice Casson. Suo uno degli emendamenti che prevede che il giornalista "recidivo"
nella diffamazione sia interdetto per un periodo da uno a tre anni.

"Ma il punto di partenza era l'interdizione perpetua - spiega Casson - di questo bisogna tener conto. Poi certo, c'è una tendenza di alcuni senatori, soprattutto del centrodestra ma non solo, a inasprire le sanzioni pecuniarie e quelle accessorie". Rivendica, Casson, di aver proposto di eliminare la possibilità di riparazione pecuniaria in caso ci sia già una multa.

Mentre Luigi Zanda spiega: "Il sentimento comune del Pd è contro l'arresto, contro le maximulte, contro le esagerazioni che abbiamo letto nel pezzo di Repubblica. Non le faremo passare". E la stessa capogruppo Anna Finocchiaro ricorda che il partito si è battuto perché il testo arrivasse in aula, e non venisse votato direttamente in commissione come aveva previsto il presidente del Senato Schifani: "Ci siamo opposti alla deliberante che abbiamo fatto saltare. Oltre all'abolizione della pena detentiva, ci vuole un sistema che bilanci la risarcibilità dell'onore e della dignità del diffamato. È una battaglia che il Pd fa da 15 anni".

Il relatore della legge per il Pdl, Filippo Berselli, è invece convinto che si stia andando nella direzione giusta: "La storia dell'emendamento anti-Gabanelli non ha senso, nessuno ha mai preso davvero in considerazione l'idea di togliere al giornalista la copertura economica dell'azienda. Il senatore Caliendo lo ritirerà. Quanto alle pene pecuniarie, è ovvio che togliendo il carcere dovevamo aumentarle. Se poi c'è una giusta rettifica, vengono diminuite. E se il direttore responsabile non vuole farla, il giornalista può chiedere ai giudici di imporgliela".

Roberto Rao, Udc, avverte: "Dobbiamo scongiurare che le norme sulla diffamazione a mezzo stampa riguardino tutti i blog. Quanto all'aumento delle pene, la diffamazione dev'essere duramente sanzionata, ma questa legge non può essere un cavallo di Troia per fare norme intimidatorie contro i giornalisti".

Molto preoccupato il presidente della Federazione nazionale della stampa Roberto Natale, che ricorda come sanzioni da 100mila euro rappresentino un problema per le grandi redazioni, e un rischio di sopravvivenza per le altre. E avvisa: "Siamo pronti alla stessa battaglia fatta contro la legge sulle intercettazioni. Se nelle prossime 36 ore non ci sarà un ravvedimento operoso, sarà meglio lasciare in piedi la legge che c'è".
 

(22 ottobre 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/10/22/news/nuova_legge_bavaglio_altol_pd_e_udc_non_faremo_passare_quel_testo-45039306/?ref=HREA-1
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« Risposta #2 inserito:: Marzo 27, 2013, 06:50:15 pm »

M5S, deputati in rivolta contro la Lombardi: "Vuoi decidere tutto da sola senza ascoltarci"

La capogruppo a Montecitorio contestata per gli interventi su Cipro e sui crediti delle imprese. E in assemblea arriva anche la richiesta di dimissioni

di ANNALISA CUZZOCREA


ROMA - Quando Roberta Lombardi ha preso la parola in aula, lunedì pomeriggio alla Camera, i suoi compagni di partito hanno cominciato ad agitarsi sui banchi. "Non può essere", "Sta leggendo il suo discorso", "Non ha preso in considerazione quello che abbiamo preparato in Rete". Di banco in banco, di voce in voce, il malumore contro la capogruppo è diventato un principio di rivolta. Erano talmente furibondi, i deputati 5 stelle, per il fatto che la loro portavoce non avesse letto l'intervento che avevano concordato insieme, ma quello che aveva preparato il suo "ministaff", che hanno indetto una riunione urgente dopo l'assemblea. Sono rimasti a Montecitorio fino alle dieci e mezza di sera, a chiedere conto di quel che era accaduto. "Vi rendete conto? - chiede un deputato - Dovevamo parlare di Cipro, della crisi economica peggiore di tutti i tempi, e lei si è presentata con l'equivalente di una brutta tesi di laurea triennale. E poi chi l'ha scritta? I suoi aiutanti? E noi dovremmo farci dettare la linea politica da qualcuno che neanche conosciamo?".

Il gruppo della Camera aveva potuto leggere l'intervento alle quattro del pomeriggio, e aveva deciso di emendarlo: "Abbiamo chiesto alle persone che ci aiutano attraverso la Rete, avevamo preparato un discorso decisamente migliore, ma lei è andata dritta per la sua strada. Non se l'è sentita di cambiare". A sera, davanti a quello che è un vero e proprio processo, Roberta Lombardi cerca di spiegare: "Non avevo capito che volevate cambiassi tutto. È tardi, con tutte le cose che ci sono da fare, vi sembra una priorità?". Si è sentita rispondere che sì, è una priorità concordare gli interventi. Anche ieri è andata così: Alessandro Di Battista era incaricato di prendere la parola in aula sui marò. Ha preparato il discorso insieme agli altri deputati del Movimento candidati a far parte della commissione Esteri. Lo ha aperto ai miglioramenti della Rete e dei suoi colleghi. Poi lo ha letto (video), ed è stato premiato dagli applausi, oltre che dai successivi complimenti della presidente della Camera Laura Boldrini.

Roberta Lombardi ha agito diversamente, e per questo - racconta chi c'era - durante la riunione Adriano Zaccagnini si è alzato in piedi e ha chiesto le sue dimissioni. Qualcuno era d'accordo, ma si è deciso di soprassedere, anche se i malumori interni restano, e sono profondi. "Non è capace di lavorare in gruppo. Non sa gestire le persone". Dal Senato, qualcuno la accusa anche di non essere abbastanza preparata: "Basta vedere il discorso sui debiti della pubblica amministrazione, i commenti al video che ha fatto la stanno massacrando". Nelle immagini postate sul blog di Grillo, Lombardi spiega come la commissione speciale per i debiti con la PA sia una "porcata di fine legislatura", perché parte dei soldi verranno restituiti alle banche e non direttamente alle imprese. Chi la critica spiega come sia un meccanismo obbligato, visto che si tratta di debiti che le imprese hanno già contratto con le banche, e si chiede perché il Movimento voglia bloccare l'unica cosa positiva che la legislatura può fare da subito. Ma i 5 stelle chiedono che partano le commissioni permanenti, criticano l'istituzione di quella speciale. Non aiuta un tweet di Pietro Ichino: "M5S non è monolitico: sull'articolo 18 dello Statuto la capogruppo alla Camera la pensa sostanzialmente come me".

(27 marzo 2013) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2013/03/27/news/m5s_lombardi_contestata-55434495/?ref=HREC1-6
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« Risposta #3 inserito:: Ottobre 08, 2015, 11:52:31 am »

Rai, Giannini: "Il premier ha aperto la caccia contro di noi, non siamo suoi cantori"
Intervista al conduttore di Ballarò: "La sensazione è che sia sgradito ciò che non corrisponde alla narrazione che Renzi vuole proporre al Paese"

Di ANNALISA CUZZOCREA
01 ottobre 2015

ROMA - "Il compito del presidente del Consiglio è governare il Paese, non decidere se i palinsesti dei programmi Rai siano giusti o sbagliati. Ieri Renzi lo ha riconosciuto, ed è un bene, ma una settimana fa non è stato così e questo ha creato un clima da editto bulgaro". Per Massimo Giannini, conduttore di Ballarò, il premier magari suo malgrado - ha fatto "come il cacciatore che scioglie la muta dei cani".

Si riferisce alle parole in direzione pd?
"Dal momento in cui ha messo sotto accusa i talk del martedì è partito un fuoco di fila e chiunque si è sentito legittimato a sparare a zero contro l’informazione televisiva. Dagli esponenti della Vigilanza fino al governatore della Campania De Luca".

A Ballarò vi siete sentiti sotto attacco?
"Che ci sia stato un attacco è sotto la luce del sole, ma voglio chiarire una cosa: io non cerco improbabili martirii e dal punto di vista televisivo non ho né la storia né la stoffa di Michele Santoro. Vorrei solo far bene il mio lavoro. Per questo, per me il caso è chiuso".

L’intervista al Tg3 di Bianca Berlinguer è una marcia indietro?
"Apprezzo il fatto che il premier abbia smorzato i toni, che abbia detto ad esempio che non ci sono liste di proscrizione. Aggiungerei: ci mancherebbe altro. Ma il timore è che, toni a parte, la sostanza resti quella".

Quale?
"La sensazione è che sia sgradito tutto quello che non corrisponde alla narrazione che Renzi vuole proporre al Paese. Quando dice che il primo risultato che la Rai deve conseguire è rendere i cittadini orgogliosi delle cose che vanno bene, provo un sottile filo di inquietudine".

Come risponde a chi la accusa di aver costruito trasmissioni squilibrate e scorrette nel racconto della realtà?
"Ho il massimo rispetto per i parlamentari della Vigilanza, ma ho trovato inaudite le parole di Michele Anzaldi, che pure conosco da anni. Dire “non hanno capito chi ha vinto” mi ha ricordato i momenti più bui della prima Repubblica, quando a Bruno Vespa toccava dire: il mio azionista di riferimento è la Dc. Alcuni dei “nuovi” del Pd, entrati nella stanza dei bottoni, sembrano bambini in un negozio di giocattoli che dicono: 'È tutta roba mia?'. E cominciano a giocare. Ha detto bene Andrea Guerra, l’altro ieri a Ballarò: 'Renzi si ricordi che è un quarantenne innovatore e si dimentichi Verdini'".

Siamo davvero fuori dai tempi della lottizzazione?
"Per me sì, per la politica forse no. A me non interessa chi ha vinto le elezioni, io mi sento libero di trattare allo stesso modo maggioranza e opposizioni perché questo è il dovere del buon giornalismo. Sono di sinistra, ma non per questo se la sinistra vince devo riservarle una qualsiasi forma di riguardo. Sarebbe la rovina della libera informazione".

Ha violato il pluralismo?
"Ma si figuri se non lo rispetto. In questo momento non siamo in par condicio e il problema va affrontato nella traiettoria dell’intera stagione. Trovo però svilente che la Vigilanza stia lì a misurare i minutaggi dei singoli partiti. Da un organismo di quel tipo mi aspetterei un dibattito più alto e più ambizioso. Quanto ai 5 stelle, mentre li intervistavo e il Pd si indignava, su Twitter mi accusavano di essere 'servo di Renzi' per le mie domande. Se mi criticano da entrambe le parti, forse sto facendo bene il mio mestiere. Poi, sulle condizioni poste dai partiti nei talk, quando quest’avventura finirà magari scriverò un libretto: ce n’è per tutti".

Il calo di ascolti è incontestabile. La formula del talk è usurata?
"La crisi dei talk riflette banalmente la crisi del discorso pubblico e di tutte le forme di rappresentanza, dalla politica al sindacato. Una crisi provata dalla crescita dell’astensionismo elettorale. In Emilia vota meno del 50% degli elettori: il campanello d’allarme suona per tutti. È il problema della nostra democrazia. Parliamo di questo, non della crisi dei talk o degli ascolti di Rambo".
 
© Riproduzione riservata
01 ottobre 2015

DA - http://www.repubblica.it/politica/2015/10/01/news/rai_giannini_il_premier_ha_aperto_la_caccia_contro_di_noi_non_siamo_suoi_cantori_-124038368/?ref=fbpr
« Ultima modifica: Ottobre 17, 2015, 05:34:34 pm da Arlecchino » Registrato
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« Risposta #4 inserito:: Ottobre 17, 2015, 05:33:59 pm »

Pd, rivoluzione primarie, arriva l'albo degli elettori.
Regioni, vota solo l'iscritto

Di ANNALISA CUZZOCREA
16 ottobre 2015

ROMA. Fermi tutti, c'è un partito da ripensare. Una commissione sulla " forma-partito" al lavoro da mesi per cambiare lo statuto. E modificare - prima di ogni altra cosa - lo strumento principe del partito democratico: le primarie. A partire da quelle regionali, che verranno riservate ai soli iscritti. Mentre per quelle nazionali si pensa a un albo degli elettori e per le primarie di coalizione, anche nelle amministrative, a una regola che consenta di candidarsi a un solo esponente del Pd.

Il primo segnale è arrivato ieri con una lettera inviata dal vicesegretario Lorenzo Guerini a presidenti e segretari dell'assemblea del partito di Puglia, Liguria e Veneto. Sono le regioni in cui - per diversi motivi - era previsto un avvicendamento ai vertici. Nelle prossime settimane dovevano tenersi dei congressi che sono ora rimandati alla primavera 2016, in attesa che le cose cambino, e che tutti possano adeguarsi. "Attualmente i segretari regionali e le relative assemblee si eleggono nello stesso modo in cui si eleggono il segretario e l'assemblea nazionale - scrive Guerini - quindi, onde evitare che si possa eleggere un segretario regionale con regole che si dovessero rivelare superate dopo breve tempo, e soprattutto per evitare che segretari e assemblee possano essere eletti con regole difformi da regione a regione, viene stabilito che l'elezione dei segretari regionali e le relative assemblee della Liguria, della Puglia, del Veneto, e di tutte quelle regioni che dovessero eventualmente trovarsi nella medesima condizione avverrà in un arco temporale compreso tra il primo marzo e il 31 maggio 2016".

Oltre cinque mesi di stop, per una ragione molto precisa. A gennaio si riunisce l'assemblea nazionale del partito. E al Nazareno, è allo studio una modifica dello statuto che restringa ai soli iscritti la possibilità di votare alle primarie per l'elezione dei segretari regionali. È il primo passo di una revisione molto più profonda dell'istituto con cui il Pd è nato e su cui ha fondato la sua identità. Non è un caso che, a lettera ricevuta, il governatore della Puglia Michele Emiliano (uno di coloro che devono essere sostituiti alla guida del partito regionale) avverta con un tweet: "Il Pd compie 8 anni. Nacque grazie al rivoluzionario metodo delle primarie. Nessuno osi cambiare lo strumento essenziale della nostra Storia".

A ben guardare, è proprio quello che sta accadendo. L'insofferenza tra i dirigenti del partito è esplosa dopo il fallimento dell'esperienza di Ignazio Marino a Roma, ma era già montata alle scorse amministrative (in Liguria Raffaella Paita vinse le primarie, Sergio Cofferati andò via in polemica denunciando irregolarità, poi lei perse le elezioni; a Venezia, dove il vincitore della consultazione aperta fu il più radicale Felice Casson, l'esito finale è stato comunque la sconfitta alle comunali). Per ora, la sconfessione dello strumento che ha portato lo stesso Matteo Renzi alla guida del partito dovrebbe avvenire con nuovi accorgimenti: a parte quello che riguarda i segretari regionali, alle prossime primarie per il segretario nazionale e a quelle per scegliere i candidati sindaci si vuole introdurre un " albo degli elettori" (che dovrebbe partire già alle prossime comunali a Roma, Milano e Napoli). Non proprio una chiusura ai soli iscritti, ma un restringimento del campo che - in altri tempi - i renziani non avrebbero mai avallato. Un'altra regola riguarderebbe le primarie di coalizione, alle quali si pensa di far correre a un solo candidato del Pd. Basta guerre fratricide, insomma. Anche se, per questo, un nuovo statuto potrebbe non bastare.

© Riproduzione riservata
16 ottobre 2015

Da - http://www.repubblica.it/politica/2015/10/16/news/pd_rivoluzione_primarie_arriva_l_albo_degli_elettori_regioni_vota_solo_l_iscritto-125184257/?ref=HREC1-2
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« Risposta #5 inserito:: Aprile 21, 2016, 05:09:44 pm »

Comunali Roma, Barca: "Raggi? Non dice cosa vuol fare della città"

L'intervista: "Tra Giachetti e Meloni sarebbe un bel ballottaggio"

Di ANNALISA CUZZOCREA
21 aprile 2016

"LA sfida interessante sarebbe tra Giorgia Meloni e Roberto Giachetti, due persone che hanno una storia". Fabrizio Barca sta per prendere un volo per Londra. L'autore del rapporto che ha scoperto il velo sul Pd di Roma deve prendere parte a una conferenza dell'Unione europea, ma si sofferma a parlare dei sondaggi che vedono in testa la candidata M5S Virginia Raggi e la leader di Fratelli d'Italia Giorgia Meloni.

Barca, è preoccupato per il Pd? Giachetti sarebbe solo terzo.
"Il punto è stato sempre quello, arrivare al ballottaggio. È su quello che dobbiamo concentrarci e io personalmente preferirei arrivare al ballottaggio con Giorgia Meloni".

Perché?
"Ha una storia interessante, è una candidata che ha un rapporto con la città, cresciuta nelle sezioni. Io mi fido di chi ha fatto la gavetta, e non quelle negli studi di qualche avvocato".

Non la convince la Raggi?
"Non parlo di chi non conosco, ma non mi sembra abbia interesse a spiegare cosa farà della città. A lei conviene solo stare immobile. Con un gruppo di ragazzi che coordino abbiamo fatto 80 domande sul futuro di Roma ai candidati: Giachetti ha risposto in modo tanto approfondito da sorprendermi, ha risposto anche Meloni. Raggi dice che ci farà sapere".

Cosa accadrebbe se al ballottaggio andassero
Raggi e Giachetti? Vince il Movimento che attrae voti più trasversali?
"Dipende. Il voto è frammentato. Bisognerà vedere se prevale un pensiero sulla gestione della città o un indistinto malessere contro la politica".

© Riproduzione riservata
21 aprile 2016

Da - http://www.repubblica.it/politica/2016/04/21/news/comunali_roma_barca_al_ballottaggio_meglio_meloni_che_raggi_-138104244/?ref=HREC1-10
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« Risposta #6 inserito:: Aprile 09, 2017, 04:49:10 pm »

M5s, metodo 'quirinarie' per Palazzo Chigi. E gli anti Di Maio ora puntano su Davide Casaleggio
Alla convention di Ivrea il figlio di Gianroberto conquista la platea.
Per Taverna è "ipnotico". Un pezzo del Movimento vuole lui per la premiership.
Freccero frena: "Troppa fede per la tecnica"

Dalla nostra inviata ANNALISA CUZZOCREA

09 aprile 2017

IVREA - Il battesimo di Davide Casaleggio è un evento immaginifico che comincia con le parole del padre e parla di tutto, tranne che di politica. Eppure, dopo ieri, è il figlio del cofondatore il nuovo volto del Movimento 5 stelle. Quasi sempre in piedi, a margine del palco, a seguire gli interventi protetto da due uomini del servizio d'ordine e da un cordone di sicurezza bianco che sembra essere stato messo lì solo per lui. La compagna Paola gira in mezzo agli altri, irriconoscibile con una maglietta bianca da volontaria. I cronisti che si avvicinano sono respinti con un gelido "state disturbando l'evento". Luigi Di Maio, Alessandro Di Battista, le sindache Chiara Appendino e Virginia Raggi, rilasciano dichiarazioni a taccuini e telecamere, ma appaiono improvvisamente fuori fuoco. Il centro, a Ivrea, è Davide. Nell'immenso capannone delle Officine H dell'Olivetti, va in scena il mondo che cerca di attrarre nel nome del futuro. Beppe Grillo osserva tutti serio e silente. I due parlano con gli ospiti solo nel backstage, dietro pesanti tendoni neri e misure di sicurezza al limite della paranoia.
Ivrea, Grillo scappa dai giornalisti: ''Intervistate Casaleggio, ha scalato l'Himalaya''

"Com'è andato il debutto di Davide in tv? Io l'ho trovato ipnotico", dice ammirata la senatrice Paola Taverna. E la deputata Carla Ruocco: "C'era chi diceva non fosse all'altezza di Gianroberto, e invece qui ha dimostrato il contrario. E' in grado di prendere il suo posto". Roberta Lombardi vede in lui "la stessa solidità e lo stesso rigore. Ha spinto su Rousseau e sulla democrazia diretta accelerando processi che attendevamo da anni. E' sempre stato il motore dell'organizzazione del Movimento. Semplicemente, aveva scelto di stare nell'ombra". Qualcuno lamenta che - disciplina a parte - a Davide Casaleggio del padre manchi totalmente la capacità di visione. Ma un senatore si lancia: "Come candidato premier, sarebbe dieci volte meglio di molti altri...". E la standing ovation che segue al suo intervento sembra interpretare questa convinzione.
M5s a Ivrea, Davide Casaleggio: ''Qui alla ex Olivetti, dove mio padre iniziò a lavorare''


Chi vorrebbe un rivale per Di Maio, in effetti, vede in lui una nuova speranza. Apolitico, schivo fino a diventare ruvido, eppure in grado di mettere al lavoro i parlamentari sul programma e di intessere con loro un rapporto più continuo di quanto non abbia mai fatto l'empatico Grillo. A sentire chi lo conosce bene, i ruoli elettivi non gli interessano. "La politica la sto lasciando ad altri" ha detto a Lilli Gruber, giovedì, usando i tempi verbali di chi potrebbe cambiare idea. Ma in autunno il Movimento voterà per scegliere candidato premier e squadra di governo. E il metodo sarà quello delle "quirinarie", con alcuni paletti che dovrebbero riservarle solo ad esponenti del Movimento. Se così fosse, tra i desiderata degli attivisti - in mezzo a Luigi Di Maio, Alessandro Di Battista, Roberto Fico - è probabile che venga fuori il suo nome. A Ivrea in molti - davanti al bar, sotto un immenso quadro di Guttuso - scommettono che sarà così.

Cosa accadrà dopo, nel ballottaggio finale, è impossibile dirlo. Perché Di Battista non ha mai sciolto la riserva sulla sua corsa (o sul suo endorsement al "fratello" Di Maio), Fico non ha più parlato delle sue ambizioni e gli altri non hanno ancora capito se farsi avanti sarebbe visto come una risorsa, perché il Movimento metta in piedi una gara e non un'incoronazione, o un fastidio per colui che oggi sembra il prescelto.

Di certo, la comunicazione ha lavorato meticolosamente alle uscite mediatiche di Casaleggio e non esclude possano essercene altre. "Ha il piglio del manager, è l'amministratore delegato del M5S", dice di lui Carlo Freccero, che tuttavia si permette di seminare qualche dubbio. "Casaleggio crede che la tecnologia sia innocente, come Rousseau credeva lo fosse la natura. Io sono cartaceo, novecentesco, non sono convinto". Enrico Mentana va oltre: "Ci sono due tipi di politici: chi parla troppo e chi parla poco. Questi ultimi vanno seguiti con più attenzione. A me l'esordio in tv di Casaleggio ricorda il '95, quando la discesa in campo di Prodi fu sancita da un'intervista tv nel salotto di Costanzo".

© Riproduzione riservata 09 aprile 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/04/09/news/m5s_metodo_quirinarie_per_palazzo_chigi_e_gli_anti_di_maio_ora_puntano_su_davide_casaleggio-162538652/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P6-S1.8-T1
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« Risposta #7 inserito:: Aprile 13, 2017, 06:02:19 pm »

Da Floris a Orfeo, storia di Nik il Nero: l’ex camionista "iena" a 5Stelle
Nicola Virzì, ora nello staff del gruppo al Senato, ha pedinato il direttore del Tg1. Già a Bologna aizzava i meet up contro i giornalisti. E animò l’assedio in rete ai primi dissidenti Favia e Salsi

Di ANNALISA CUZZOCREA
13 aprile 2017

ROMA - La maglietta nera Fruit of the loom e il berretto verde militare ha dovuto lasciarli sul camion che guidava prima di sbarcare al Senato, Nik il Nero. L'autore del video contro il direttore del Tg1 Mario Orfeo - assunto dall'ufficio comunicazione di Palazzo Madama per chiamata diretta di Gianroberto Casaleggio ad aprile 2013 - è ormai costretto a indossare giacca e cravatta. Non ha cambiato i suoi modi ruvidi, però, come ha avuto modo di verificare Orfeo, pedinato per due giorni dal videomaker e da un altro dipendente dello staff M5S per le sue "colpevoli" scelte di scaletta.

Quella di Nicola Virzì, questo il vero nome di Nik il Nero, è la voce che si sente urlare in sottofondo quando Matteo Incerti sembra cedere davanti al silenzio del direttore del Tg1. Il videomaker ha inaugurato anni fa - ai tempi in cui era un semplice attivista - le interviste accusatorie ai giornalisti, dopo che la stampa osò parlare di "flop" per una manifestazione di Beppe Grillo contro l'inceneritore a Parma (Su Youtube se ne trovano ancora alcune, come quella del 2013 a Giovanni Floris, allora conduttore di Ballarò, considerato dipendente del "Pdmenoelle" - nella didascalia è scritto così - per aver mostrato un sondaggio non favorevole al Movimento). I cronisti di Bologna lo ricordano come colui che aizzava le assemblee dei meet up contro di loro gridando "vergogna vergogna" e invitando rudemente a stare al posto suo chi cercava di fare da paciere.

Ora che i sondaggi sono positivi e i salotti televisivi sempre aperti a Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista, lo stile non cambia. Eppure, quando Nik il Nero arrivò in Senato per occuparsi dei video degli eletti, le resistenze furono moltissime. Il codice di comportamento firmato dai parlamentari prevedeva che gli uffici di comunicazione - pagati con i soldi pubblici che Camera e Senato destinano ai gruppi - fossero scelti da Beppe Grillo in persona. Se ne occupò la Casaleggio. Impose il camionista-videomaker di Bologna. E le proteste di deputati come Giulia Sarti non portarono a nulla.

Sarti conosceva bene Nicola Virzì, che aveva passato gli ultimi anni a insultare e denigrare i "dissidenti" bolognesi - poi espulsi - Giovanni Favia e Federica Salsi. C'era stato un giro di mail pieno di attacchi che spaccò il meet up locale e di cui erano protagonisti Max Bugani (consigliere comunale e ora anche braccio destro di Davide Casaleggio nell'associazione Rousseau) insieme proprio a Virzì e alla moglie. Eppure, racconta Favia, "fui io a dare a Nik il numero di Beppe Grillo. Così come fui io a insegnargli come si usa una telecamera".

La rottura avvenne quando lui e Defranceschi si rifiutarono di assumerlo in Regione, dicendo che non aveva i requisiti e respingendo le pressioni di Bugani (il consigliere comunale oggi dice: "Nessuna pressione, avevo solo chiesto di dargli una risposta per non lasciarlo in stand-by visto che doveva trovarsi un altro lavoro"). Fu quella la scintilla a provocare la guerra che ha dilaniato il Movimento in Emilia Romagna. Con operazioni di dossieraggio contro i "dissidenti" e documentazione puntualmente inviata a Genova e Milano.

Nik il nero prese a fare video-selfie alla guida del suo camion, conditi da "vaffa" e improperi nei confronti dei "nemici". Poi video più articolati, con Favia rappresentato come Cetto la Qualunque e offeso in mille modi. Per questo, quando arrivò a Palazzo Madama, Giulia Sarti scrisse a Beppe Grillo chiedendogli di intervenire. Lui non le rispose. E il videomaker continuò in Senato quel che faceva prima, con filmati più "istituzionali" come quello della campagna anti-euro con Paola Taverna (rimosso perché aveva usato la musica di Ludovico Einaudi) e altri più d'attacco (per uno contro Repubblica rubò il sonoro allo spot della carta igienica Tenderly, che lo diffidò e lo costrinse a cancellarlo).   

Ma nonostante Virzì goda della fiducia della Casaleggio Associati e di Beppe Grillo, non è di certo lui a decidere - "fuori dall'orario di lavoro", come ha scritto il blog - chi inseguire e perché. La campagna #Orfeorispondi è una delle tante organizzata dai 5 stelle contro i giornalisti che, per un motivo o per l'altro, non vanno loro a genio. La loro struttura comunicativa funziona così, con continue "punizioni" a cronisti, direttori o editorialisti non allineati. Che sia un pedinamento, un post sul blog, un tweet che mette alla gogna. Lo stile di Nik il nero, per ora, è lo stile del Movimento. Nessuno ha preso le distanze dal video contro Orfeo. La fase "governista" comprende le comparsate nei talk show, ma non il rispetto del lavoro giornalistico. Almeno per ora.
 
© Riproduzione riservata 13 aprile 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/04/13/news/da_floris_a_orfeo_storia_di_nik_il_nero_l_ex_camionista_stalker_a_5stelle-162870398/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P1-S2.4-T1
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