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Autore Discussione: MARCO ZATTERIN. Bruxelles, è l'ora della verità  (Letto 2870 volte)
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« inserito:: Settembre 27, 2011, 03:24:49 pm »

27/9/2011

Bruxelles, è l'ora della verità

MARCO ZATTERIN

Prendete il calendario e segnatelo con una matita. Minimo una settimana, massimo tre, l’Europa sarà più forte o rischierà di non essere.
È il momento di giocarsi tutto.

Dopo quattro anni di crisi finanziaria, tre di congiuntura asfittica se non recessiva, e quasi due di tragedia greca, all’Ue servono i fatti e non le parole. «E’ l’ora della verità - fa sapere il commissario per l’Economia, Olli Rehn -. L’ultima chance per evitare il tracollo».

Le scadenze si accavallano. Solo la sera del 18 ottobre, alla fine di due giorni di vertice dei capi di Stato e di governo dell’Unione, si potranno tirare tutte le somme. Salvo colpi di scena sempre possibili, sarà allora possibile capire se finalmente l’Eurozona ha deciso di diventare grande abbastanza per mettere a tacere i mercati che la minacciano. Si annunciano lunghe giornate sulle montagne russe.
E la corsa comincia questa mattina.

Oggi la Slovenia è il sesto Paese (su 17) chiamato a votare sulle intese del 21 luglio, ovvero sulle decisioni con cui i leader di Eurolandia hanno deciso un piano di salvataggio-bis da 110 miliardi per la Grecia e il rafforzamento dello strumento salvastati (Efsf).
Con fatica si è scelto di ampliare la sua capacità di garanzia a tutti i 440 miliardi previsti, stabilendo che possa sanare i Paesi in difficoltà, le loro banche, e pure comprare bond «usati» sul mercato, come sta facendo la Bce da agosto. E’ una delle prove che l’Ue «farà tutto per garantire la stabilità dell’euro», frase solenne che alimenta anche il dibattito su un innalzamento della dote dell’Efsf che alcuni, soprattutto fuori Europa, vorrebbero vedere più alta possibile.

Detto che a Lubiana dovrebbe andare liscia, domani tocca a Helsinki, dove il governo è agitato da una componente nazionalista di «veri finlandesi» che non vorrebbe ricevute di debiti non suoi. E’ una partita tesa, non impossibile. L’esito si avrà nelle stesse ore in cui il presidente della Commissione, José Manuel Barroso, pronuncerà il «Discorso sullo stato dell’Unione». Ci si attende che butti il cuore oltre l’ostacolo, si schieri con forza per una governance ancora più ambiziosa e stretta, per una tassa sulle transazioni finanziarie, per un Efsf più dotato. Lo farà a Strasburgo, subito prima che l’Europarlamento si pronunci sul «Six Pack», le sei misure che rafforzano il coordinamento e la vigilanza sulle politiche di bilancio con sanzioni semiautomatiche per chi sfora con deficit e debito (l’Italia, ad esempio). La vigilia è di suspense. Ma se passa, configurerà il rilancio dell’Unione monetaria, finalmente forte di governo congiunto oltre che di una valuta comune.

Giovedì sarà il Bundestag a esprimersi sull’accordo del 21 luglio. A Berlino la politica è divisa trasversalmente: c’è l’anima weimariana di chi odia accumulare debito, soprattutto per pagare i conti degli altri, e quella europeista di quanti sanno bene che siamo tutti sulla stessa barca. Frau Merkel, a lungo incerta, pare aver capito che se la Germania dice «no» crolla tutto il castello. E che se opta per il «sì», gli altri seguiranno e il nuovo Efsf potrebbe essere operativo in un mese, come auspicano gli uomini di buona volontà.

Si attende poi che a fine settimana la troika Ue-Fmi-Bce vada ad Atene e misuri la temperatura reale del debito greco. Serve il suo via libera tecnico per erogare gli 8 miliardi di cui il premier Papandreu ha bisogno entro il 19 ottobre per evitare l’insolvenza. Il che conduce al vertice del 17-18, convocato anche in formazione Eurogruppo, per vedere cosa c’è nella bisaccia e, se sarà il caso, cercare di andare oltre, con una governance ancora più forte e un fondo anticrac sempre più ricco e solido.

Riassumiamo. Se tutto va bene, Atene privatizzerà, avrà di che pagare i suoi debiti, potrà contare su 150 miliardi per i prossimi tre anni. I principali Paesi dell’Eurozona avranno battezzato il super Efsf, la governance dell’euro sarà compiuta, e ci saranno cantieri per non fermarsi qui. Si potrà insomma dire che la lezione della crisi è stata imparata, che davvero «è stato fatto il possibile» per Eurolandia, così magari i mercati dovranno ragionare sulle reali possibilità di spuntarla. Se però anche una sola di queste tessere non andrà a posto, l’Europa scivolerà verso un possibile tracollo. Conviene trattenere il respiro, almeno metaforicamente. In tre settimane si giocano anni di futuro.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9245
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« Risposta #1 inserito:: Settembre 29, 2011, 05:06:48 pm »

Economia

28/09/2011 - RETROSCENA

Bruxelles accelera È in arrivo la Tobin Tax

L'Europa procede sulla via della tassa sulle transazioni finanziarie senza cercare un accordo con gli Stati Uniti

La tassa sulla finanza: 0,01% sui bond e solo 0,005 sui derivati

MARCO ZATTERIN
CORRISPONDENTE DA BRUXELLES

È facile affermare che non si farà mai, ma in fondo Michel Barnier, che alla Commissione europea veglia sui mercati, ama ripetere che lui «non rinuncia a fare una cosa in cui crede solo perché qualcuno sostiene che è difficile». Il suo presidente, Josè Manuel Barroso, aggiunge che «se non si parte non si arriva», e questo spiega perché stamane il braccio esecutivo dell’Ue lancerà un dibattito che rappresenta una prima assoluta, proponendo ai ventisette paesi dell’Ue la Tobin Tax, la tassa sulle transazioni finanziarie. A Bruxelles ci hanno pensato a lungo: «E’ eticamente giusta, tecnicamente fattibile, economicamente sostenibile».

Un recente sondaggio assicura che il 65% degli europei è in favore dell’imposta alla Robin Hood, quella che screma i grandi flussi del denaro e distribuisce il gettito fra i cittadini. Algirdas Semeta, il lituano che ha in mano il pallino in quanto commissario alla Fiscalità, spiega l’offensiva ricordando che dal 2007, annus horribilis dell’inizio della grande crisi, gli stati dell’Unione hanno speso 4.600 miliardi per salvare il sistema finanziario dalla bancarotta. Allo stesso tempo, il comparto in cui germoglia la speculazione, ha risparmiato 18 miliardi l’anno sfruttando agevolazioni fiscali. «Una nuova tassa - concede la Commissione - spingerebbe le istituzioni finanziarie a contribuire al costo della ripresa e scoraggerebbe le attività più pericolose e improduttive».

Il problema è farla approvare. La proposta che Barroso presenterà stamane al Parlamento europeo, come chiesto dai leader dell’Ue, nel suo discorso sullo Stato dell’Unione ha due incognite principali: deve trovare l’unanimità in Consiglio ed essere più globale possibile per non rischiare di alimentare una fuga dai mercati su cui graverà. E’ qui che cominciano i guai. Fra i Ventisette, ci sono inglesi, svedesi, olandesi e polacchi che hanno per usare un eufemismo - espresso perplessità sulla manovra. L’Italia si barcamena, Tremonti è favorevole alla tassa ma solo a patto che sia globale. La Germania, attraverso il suo ministro delle Finanze Schaeuble, è determinata ad ottenere un risultato ad ogni costo. Anche a quello di decidere a 17, nel quadro più limitato dell’Eurozona. Barroso metterà il suo testo anche nella borsa che porterà al G20 di novembre. Il rischio di una distorsione di concorrenza, ovvero di assistere ad una migrazione delle istituzioni finanziarie dai paesi con tassa a quelli senza, è reale, anche Bruxelles minimizza. L’optimum, come diceva l’economista americano James Tobin che la propose nel 1972, sarebbe un’imposta planetaria. Ma già Washington non ci vuol stare e il segretario di stato Timothy Geithner assicura di «odiare le tasse più di quanto odia le banche». Le tigri asiatiche non hanno un parere distante da quello a stelle e strisce.

L’idea di Bruxelles è che l’imposta sia applicata su tutte le transazioni finanziarie, ma non quelle generate nei rapporti delle banche con la clientela privata, a meno che non si tratti di un acquisto di bond o azioni. Per evitare di danneggiare le famiglie e imprese, la gabella non colpirà i contratti d'assicurazione (compresi i fondi pensione), i mutui, il credito al consumo e il pagamento dei servizi. Le aliquote saranno annunciate oggi: si parla dello 0,01 per cento per titoli e bond, e dello 0,005 per i derivati. Con un simile regime, si potrebbero tirare su 50 miliardi l’anno, almeno. Per farne cosa? La principale ipotesi è quella di spedirli diritti nelle casse pubbliche. Una seconda, mira a finanziare il bilancio comunitario. Non si esclude la possibilità di creare un fondo di sicurezza per banche e simili. Tutto dovrà essere discusso e deciso dai governi dell’Ue in un confronto che si annuncia accesso. La Commissione la vorrebbe in funzione dal primo gennaio 2014, persuasa che chi dirà di "no" dovrà spiegare perché preferisce i banchieri ai cittadini.

da - http://www3.lastampa.it/economia/sezioni/articolo/lstp/422370/
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