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Autore Discussione: ZYGMUNT BAUMAN E LA MORALITA' TRASFORMATA IN MERCE  (Letto 2345 volte)
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« inserito:: Settembre 18, 2011, 04:39:48 pm »

COMUNICATO nr.1527
   
del 05/06/2011
   

Gran finale del Festival dell'Economia con il noto sociologo della "società liquida"

ZYGMUNT BAUMAN E LA MORALITA' TRASFORMATA IN MERCE


Tutto esaurito per l'ultimo incontro del festival dell'Economia, che ha avuto per protagonista il grande sociologo di origini polacche Zygmunt Bauman, teorico della "società liquida". Introdotto dall'editore Giuseppe Laterza, Bauman ha parlato - con toni a volte profetici - del mercato e del consumismo e di come essi si alimentino oggi della mercificazione della moralità. Siamo indotti a tacitare i nostri sensi di colpa nei confronti degli altri, nei confronti di coloro che amiamo e che trascuriamo per soddisfare gli imperativi della produzione, attraverso il consumo, lo shopping. "Abbiamo sulle nostre spalle - ha detto Bauman - un fardello incredibile, che include i nostri obblighi morali, i nostri naturali impulsi ad occuparci degli altri, e cerchiamo di sgravarcene con i tranquillanti morali offerti dai negozi, dai supermercati". La risposta per Bauman è innanzitutto avere la consapevolezza del fatto che le risorse non sono infinite, che non potremo lenire il dolore di vivere semplicemente continuando ad accrescere la produzione e il consumo. "Ma il momento della verità forse è più vicino di ciò che ci dicono le merci esposte sugli scaffali, gli amici su Facebook, gli esperti di marketing. A meno che non intraprendiamo un cammino umano basato sulla reciproca comprensione."


Laterza, nell'introdurre l'ospite, ha brevemente ripercorso i temi toccati in questa edizione del festival, tutti legati alla questione della libertà e della liberta economica in particolare: la crisi economica, il ruolo dell'Europa, il rapporto stato-mercato, l'immigrazione e così via. "Bauman - ha ricordato - qualche anno fa aveva parlato in questa sede del ruolo dell'Europa, oggi invece ci parlerà di libertà e delle minacce alla libertà. Minacce che ha conosciuto molto bene, avendo partecipato da giovane al cosiddetto "ottobre polacco", che criticava l'ideologia ufficiale sovietica e la sudditanza di Varsavia da Mosca. Nel '68 venne messo all'indice dal Partito comunista per avere solidarizzato con il movimento studentesco e denunciato l'antisemitismo esistente nel suo paese. Essendogli stato impedito l'insegnamento, è emigrato all'estero dove nel corso degli anni ha analizzato il passaggio dalla modernità alla postmodernità. Si è occupato fra l'altro del consumo, delle 'vite di scarto', ovvero dei lavoratori messi da parte dal sistema economico perché superflui, ma anche della voglia di comunità che emerge nelle società postmoderne. Nell'ultimo periodo di è occupato anche di fenomeni molto contemporanei come Il Grande fratello e Facebook, ma anche di un tema centrale per l'identità dell'Europa quale è quello dell'accoglienza. In questa edizione del festival ci siamo concentrati sul tema dei limiti della libertà economica. La libertà di pensiero è una caratteristica fondamentale dell'opera di Zygmunt Bauman. per questo è particolarmente importante averlo con noi oggi".
Bauman a sua volta si è innanzitutto complimentato con chi ha messo a fuoco il tema di questo festival, i confini della libertà economica, un tema che ha definito "fondamentale, perché oggi cominciamo a capire che anziché ampliare ed estendere le nostre opzioni il range di scelte a nostra disposizione si restringe. Ad esempio, nei giornali sono apparse recentemente delle notizie sul picco della produzione mondiale di petrolio, principale fonte di energia odierna, che sarebbe stato già raggiunto, nel 2006. Da allora c'è solo il declino. Abbiamo dei mercati basati sulla competizione, che presuppongono la disponibilità di energia, pensiamo a realtà come India, Cina, Sud Africa, che in passato consumavano una quota di energia molto minore, per esempio perché in essi non era diffuso il traffico privato. L'altra notizia è che entro il 2020 i prezzi degli alimenti raddoppieranno. Ci sono già delle rivolte basate sulla scarsità di cibo, nel mondo, cose che pensavamo appartenessero al passato. Il terzo elemento è l'aumento della disuguaglianza a livello globale, per certi versi incredibile, perché va nella direzione opposta rispetto a quella pensata dai pionieri della libertà e dell'Illuminismo, come Cartesio, Bacon, Hegel. Il paese più ricco, oggi, il Qatar, ha uno standard 428 volte più alto del paese più povero, lo Zimbabwe. Il 20% più ricco dell'umanità controlla il 75% della ricchezza, il 20% più povero il 2%. Fino a 30-40 anni fa il trend era diverso, il divario fra i paesi sembrava destinato a colmarsi. Come mai è successo questo? Ci sono due fattori fondamentali, e sono più culturali e sociali che economici. Il primo è che vogliamo godere di una vita ricca, abbiente, il che ci ha orientati ad assumere come principale indicatore l'acquisto, lo shopping. Pare che tutte le strade che portano alla felicità portino ai negozi. Ciò sottopone il sistema economico, e più in generale il nostro pianeta, ad una pressione enorme. Ciò è disastroso per le nuove generazioni; è evidente che stiamo vivendo al di sopra dei nostri mezzi, sulle spalle dei nostri figli. Poi c'è la questione della risoluzione dei conflitti. Nel corso della modernità abbiamo sviluppato la capacità di risolvere i conflitti sociali, anche quelli legati alla diseguale distribuzione dei beni, aumentando la produzione, il pil. Quando il pil cala non è che viene messa a rischio la sopravvivenza alimentare, ma nonostante ciò si sviluppa il panico, perché la gestione dei conflitti è tutta basata sull'aumento della produzione e del consumo. Conosciamo la metafora della pagnotta: possiamo discutere come distribuirla, oppure produrne anche un'altra. Ma le risorse per produrre tutte le pagnotte che desidereremmo non sono infinite. Ciò pone un grande interrogativo sulla crescita economica. Possiamo trovare delle alternative alla crescita della produzione e dei consumi per trovare soddisfazione, in definitiva per essere felici? Ciò è necessario se non vogliamo distruggere il nostro habitat e generare fenomeni catastrofici come le guerre. I livelli attuali di consumo sono già insostenibili dal punto di vista ambientale ed anche economico, come scritto da Tim Jackson in un libro molto importante uscito due anni fa. L'idea della prosperità al di fuori delle trappole del consumo infinito viene considerata un'idea per pazzi o per rivoluzionari. Jackson dice che ci sono delle alternative: le relazioni, le famiglie, i quartieri, le comunità, il significato della vita. Ci sono enormi risorse di felicità umana che non vengono sfruttate. Anche l'antropologia ci ha mostrato che in certe zone - remote - del pianeta la formula di Adam Smith non funziona: si tratta della formula ben nota per la quale il fatto che noi troviamo il pane in panificio tutte le mattine è un frutto dell'avidità del panettiere. Invece a volte le persone sono spinte a produrre e a condividere ciò che producono da motivi diversi rispetto all'avidità. Le loro attività non consumano molta energia e non producono rifiuti: la ricompensa dei 'produttori' è il rispetto e l'affetto della comunità. Gli stili di vita che stanno dietro a questi comportamenti producono molta felicità e soddisfazione, ma non sono particolarmente favorevoli alla crescita della produzione. La maggior parte delle politiche realizzate nel mondo dai governi va esattamente nella direzione opposta. Queste politiche raramente vanno al di là della prossima scadenza elettorale, raramente guardano a ciò che succederà fra 20 o 30 anni. Assistiamo ad un processo di mercificazione e commercializzazione della moralità. I mercati sono abituati ad orientare i bisogni umani, bisogni che in passato non erano soddisfatti dal mercato. Questo è ciò che io indico con l'espressione 'commercializzazione della moralità'. Il nostro reale bisogno dovrebbe essere prenderci cura dei nostri cari. Credo che tutti noi qui in sala ci sentiamo in colpa perché non riusciamo a trascorrere abbastanza tempo con i nostri cari. 20 anni fa il 60% delle famiglie americane si ritrovava attorno allo stesso tavolo per cenare. 20 anni dopo solo il 20%. Le persone sono più occupate con il loro cellulare, il loro ipad e così via. La nostra vita quotidiana è profondamente cambiata, a causa anche delle tecnologie, che hanno sicuramente prodotto delle cose positive, ma hanno anche creato dei danni collaterali. Se oggi usciamo senza cellulari ci sentiamo nudi. Il confine fra il tempo dedicato al lavoro e quello dedicato alla famiglia è sfumato. Siamo sempre al lavoro, abbiamo l'ufficio sempre in tasca, non abbiamo scuse. Dobbiamo lavorare a tempo pieno. E più si sale nella scala gerarchica meno tempo per sé si ha. Si è sempre in servizio. Ovviamente i mercati e il consumismo non possono riparare questa situazione; possono però aiutarci a mitigare la nostra cattiva coscienza, e lo fanno spingendoci verso l'acquisto, lo shopping, il mercato. Al tempo stesso disimpariamo altre abilità 'primarie'. Ad esempio a riconoscere il dolore, il dolore morale, che è molto importante, perché esso è un sintomo, ci aiuta a riconoscere la fragilità dei legami umani. Improvvisamente abbiamo persone che hanno migliaia di amici in internet; ma in passato dicevamo che gli amici si vedono nel momento del bisogno, e questo non è esattamente il caso degli amici che abbiamo in internet.
Fino a quando il nostro senso morale verrà mercificato, l'economia crescerà perché messa in moto dai bisogni umani e dai desideri che è chiamata a soddisfare, bisogni e desideri apparentemente 'buoni', come dimostrare l'amore per gli altri. I grandi economisti del passato sostenevano che i bisogni sono stabili, e che una volta soddisfatti tali bisogni possiamo fermarci e godere del lavoro fatto. C'era la convinzione che alla fine del percorso avviato con l'inizio della modernizzazione si avrebbe avuto un'economia stabile, in perfetto equilibrio. Successivamente si è presa una strada diversa. Si è inventato il cliente. Si è capito che i beni non hanno solo un valore d'uso, ma anche un valore simbolico, sono degli status symbol. Non si acquistava più un bene perché se ne ha bisogno, ma perché si 'desidera'. L'obiettivo quindi diventava sviluppare sempre nuovi desideri negli esseri umani. Ma anche i desideri ad un certo punto si scontrano con dei limiti. Così, il limite è stato superato mercificando la moralità: non ci sono limiti all'amore, non ci sono limiti all'affetto che vogliamo dimostrare agli altri. Responsabilità incondizionata, condita da incertezze e ansie: questo è il motore del consumismo odierno, questo l'impulso che ci spinge a fare sempre di più, a produrre sempre di più. Ma ciò non è possibile, le risorse sono sempre limitate. Forse il momento della verità è vicino. Ma possiamo fare qualcosa per rallentarlo: intraprendendo un cammino autenticamente umano, un cammino fatto di reciproca comprensione."


da - http://www.uffstampa.provincia.tn.it/CSW/c_stampa.nsf/0/9CAE866F8FF60530C12578A600542F4D
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