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Autore Discussione: ROSARIA AMATO.  (Letto 6910 volte)
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« inserito:: Maggio 26, 2011, 05:47:22 pm »

ASSEMBLEA CONFINDUSTRIA

"L'Italia ha perso 10 anni, ma ora basta: la politica torni autorevole e punti alla crescita"

La presidente degli industriali Emma Marcegaglia chiede al governo un forte impegno per il futuro del Paese, rimproverando la maggioranza di aver "pensato ad altro", finora, e l'opposizione di essere stata "incapace di esprimere un disegno riformista" .

Le priorità: stop alla spesa facile, conti pubblici in ordine, liberalizzazioni, semplificazione amministrativa, infrastrutture, riduzione delle imposte per i cittadini e le imprese.  

"I contratti? Andiamo avanti". "Sui referendum falsi messaggi allarmistici"

di ROSARIA AMATO
 

ROMA - L'Italia deve guarire dalla "malattia della bassa crescita", altrimenti non ci sarà futuro per il Paese. E la politica, maggioranza e opposizione, deve concentrarsi su questo, varando le riforme necessarie: riduzione delle imposte su imprese e lavoratori, liberalizzazioni, semplificazione amministrativa, infrastrutture. Il presidente di Confindustria Emma Marcegaglia, che stamane tiene a Roma per l'ultima volta (il suo mandato scade tra un anno) la relazione all'Assemblea Annuale, ha toni molto duri nei confronti del governo: "La verità è che l'agenda nazionale non riesce a fare della crescita il suo primo argomento all'ordine del giorno perché la politica senza altro".

Ma ora basta, ribadisce Marcegaglia: "In termini di benessere, l'Italia ha già vissuto il suo decennio perduto. Dobbiamo muoverci in fretta". Perché "temporeggiare o muoversi a piccoli passi è un lusso che non possiamo più permetterci". Si chiuda finalmente la "stagione della spesa facile". Servono "istituzioni forti ed autorevoli", "istituzioni che sappiano recuperare la fiducia dei cittadini e delle imprese, che oggi è gravemente erosa". "Ciò richiede uno scatto d'orgoglio di tutta la classe dirigente del Paese". Da qui l'appello ad abbassare "i toni della polemica politica" e a far cessare "gli attacchi e le delegittimazioni reciproche". "Questa - sottolinea Marcegaglia - è la prima, vera, grande riforma di cui
ha bisogno l'Italia".

La presidente di Confindustria ha ribadito che "sui contratti non si torna indietro" e, lanciando un messaggio soprattutto alla Fiom, ha detto che chi continuerà a "dire solo no si assume una grave responsabilità di fronte al Paese" e renderà sempre più difficile "difendere l'occupazione". Duro messaggio anche sui refendum: a giudizio di Confindustria, sull'imminente referendum sull'acqua arrivano "messaggi fuorvianti o addirittura falsi".

L'Assemblea di Confindustria celebra anche i 150 anni dell'Unità d'Italia, e infatti in prima fila c'è, per la prima volta, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Mentre il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e il ministro dell'Economia Giulio Tremonti quest'anno non ci sono, per gli impegni legati al G8 in Francia. Ai 150 anni dell'Unità d'Italia è dedicata infatti la prima parte dell'intervento di Emma Marcegaglia, che è stato preceduto dall'inno nazionale, "Fratelli d'Italia", intonato da tutti i presenti, e si chiude con una tripla acclamazione: "Viva l'industria! Viva il lavoro italiano! Viva l'Italia!".

In prima fila anche il governatore della Banca d'Italia Mario Draghi, al quale è andato l'omaggio dell'Assemblea di Confindustria: "L'Unione farà ancor meglio la sua parte grazie a un presidente della Bce come Mario Draghi. A lui per il suo nuovo incarico esprimiamo il più sincero e caloroso augurio di buon lavoro". A quel punto sono scattati lunghi applausi, e Draghi si è alzato in piedi per ringraziare.

Il decennio perduto. In questi anni l'Italia è arretrata, ricorda Confindustria. "Il Pil per abitante del 2010 è ancora sotto i livelli del 1999. Rispetto alla media dell'area euro è passato dal 106,8% nel 1995 al 93,8% del 2011. E' un arretramento che rischia di continuare.
In termini di benessere, l'Italia ha già vissuto il suo decennio perduto".

Ma non è colpa del Sud. L'arretramento dell'Italia è generale, e non è affatto limitato al Sud, a differenza di quanto ha sostenuto più volte nelle settimane precedenti il ministro dell'Economia Giulio tremonti. "Il mito da sfatare è che l'Italia vada in fondo bene e che dunque gli imprenditori devono piantarla di lamentarsi. - obietta Marcegaglia - E' un mito con molte varianti. Una è per esempio quella per la quale il Nord è cresciuto e cresce come e più della Germania, mentre la zavorra sarebbe solo il Sud. I numeri dicono il contrario, visto che tra il1995 e il 2007 il Pil procapite al Sud è cresciuto in media dell'1,3%, contro lo 0,9% al Nord". E quindi, conclude la presidente di Confindustria, "la questione della bassa crescita è nazionale e generale".

Meno Stato ma politica efficiente. La principale responsabilità della bassa crescita  è il cattivo funzionamento della politica: Marcegaglia non esita a puntare il dito nei confronti di chi governa e non ha saputo "fare della crescita il suo primo argomento all'ordine del giorno" perché "pensa ad altro".

Serve più mercato: via alle liberalizzazioni. Al contrario, lo Stato, a giudizio di Confindustria, se da un lato non ha saputo varare le riforme necessarie, è stato fin troppo presente e invadente là dove non avrebbe dovuto. "In Italia c'è bisogno di più mercato, ancora poco presente o del tutto assente in troppi settori della vita economica. Le liberalizzazioni mancate continuano a penalizzare il Paese". Marcegaglia cita la Banca d'Italia, secondo la quale "una decisa politica di liberalizzazione nei settori meno esposti alla concorrenza potrebbe generare un aumento del Pil dell'11% e dei salari reali di quasi il 12% nel medio-lungo termine".

Basta con i privilegi della politica. "La stagione della spesa facile deve
essere considerata chiusa per sempre", afferma Marcegaglia. "La politica a tutti i livelli - denuncia la presidente di Confindustria - dà ancora troppa occupazione a troppa gente e in un momento così grave in cui tutto il Paese è chiamato a fare grandi sacrifici è del tutto impensabile che non sia la politica per prima a ridurre drasticamente i suoi privilegi". "La precedente finanziaria - ammette Marcegaglia - aveva cominciato timidamente un percorso di ridimensionamento. Quel che è stato realizzato fino ad oggi è insufficiente. Le resistenze sono estese, radicate, fortissime".

Le colpe dell'opposizione. Se la gestione politica dell'Italia è pessima, la colpa non è solo della maggioranza, ma anche dell'opposizione. "Ora che le difficoltà della maggioranza sono evidenti nel giudizio popolare, non per questo possiamo tacere che l'opposizione, tra spinte antagoniste e frammentazioni, è ancora incapace di esprimere un disegno riformista".

"Sui contratti andremo avanti". Sulla riforma del modello contrattuale Confindustria non torna indietro. Anzi, "andremo avanti", ha detto la leader di Confindustria, chiamando in causa soprattutto la Fiom, "che è contraria per principio". Ma chi continuerà a "dire solo no - ammonisce - si assume una grave responsabilità di fronte al Paese" e renderà sempre più difficile "difendere l'occupazione".

Referendum, "messaggi fuorvianti". Dall'imminente referendum sull'acqua arrivano "messaggi fuorvianti o addirittura falsi", afferma Marcegaglia. Se i quesiti fossero approvati, aggiunge, "metterebbero uno stop al già bassissimo grado di affidamento ai privati della gestione dei servizi pubblici e impedirebbero gli investimenti".
 

(26 maggio 2011) © Riproduzione riservata
da - repubblica.it/economia/2011/05/26/news/marcegaglia-16765702/?ref=HREA-1
« Ultima modifica: Febbraio 18, 2012, 09:48:50 am da Admin » Registrato
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« Risposta #1 inserito:: Ottobre 12, 2011, 11:05:15 am »

IL CASO

Wall Street Journal attacca l'Italia "Conti truccati per entrare nell'euro"

Un editoriale del quotidiano americano fa un parallelo con la Grecia e ipotizza che lo stato delle finanze italiane possa portare a rischi di solvibilità

di ROSARIA AMATO


ROMA - L'Italia come la Grecia. Ma non solo perché potrebbe essere il prossimo Paese sull'orlo del naufragio. L'Italia - accusa apertamente un editoriale del Wall Street Journal - potrebbe aver truccato i conti per entrare nell'euro. "Ci sono tutte le ragioni per ritenere - scrive Alen Mattich - che il governo italiano sia stato aggressivo almeno quanto gli altri Paesi europei nel mascherare lo stato delle proprie finanze in modo da ottenere l'ingresso nell'area della moneta unica".

E quindi, prosegue inesorabile, "se il debito pubblico di fondo dell'Italia fosse più alto e/o se lo stato del suo deficit fosse peggiore rispetto alle cifre ufficiali, allora la questione diventerebbe di solvibilità piuttosto che di liquidità. Si ricordi lo shock avvertito dagli investitori quando la Grecia ammise di aver falsato i propri numeri".
 
Il Wsj riconosce i punti di forza dell'Italia, a cominciare dal deficit di bilancio strutturale e dall'avanzo primario atteso (4 punti in termini di Pil, al netto delle spese per interessi), oltre al consistente risparmio privato, che in larga parte finanzia il debito pubblico. Inoltre, il sistema finanziario italiano "sembra più sicuro rispetto a quello di altri Paesi". A minacciare il Paese sono però intanto la bassa crescita: "E' probabile che l'Italia continuerà a flirtare con la recessione, rendendo più difficile per il governo il raggiungimento dei target strutturali".

Ma la difficoltà maggiore
è costituita dalla mancanza di credibilità, che non dipende solo dalle pessime battute di Berlusconi ("dell'infamous burlesque humor" del premier si parla in apertura dell'articolo), ma è giustificata dallo stato delle finanze italiane: "Il mercato sta probabilmente sottostimando il livello di difficoltà con il quale l'economia italiana dovrà confrontarsi e il fatto che l'attuale stato delle sue finanze sia peggiore di quanto riferito". E se i conti italiani sono truccati, osserva il Wsj, gli acquisti di bond da parte della Banca Centrale Europea non risolveranno certo il problema.

(11 ottobre 2011) © Riproduzione riservata
da - http://www.repubblica.it/economia/2011/10/11/news/wsj_contro_i_conti_italiani-23024443/?ref=HRER2-1
« Ultima modifica: Aprile 26, 2016, 09:25:09 am da Arlecchino » Registrato
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« Risposta #2 inserito:: Gennaio 26, 2012, 10:44:10 pm »

Rapporto Eurispes

Italia sfiduciata e stremata dalla crisi economica "Serve un progetto lungimirante e partecipato"

Scarsa la fiducia nel governo (21,1%) anche se superiore a quella riposta nell'ultimo esecutivo Berlusconi (14,6%).

Per il 67% degli italiani la situazione del Paese è peggiorata, per il 75% è la propria a essere arretrata negli ultimi 12 mesi.

Il 70% non riesce più a risparmiare, si taglia su tutto, ma non su cellulari, hi-fi e tv 

di ROSARIA AMATO


Italia sfiduciata e stremata dalla crisi economica "Serve un progetto lungimirante e partecipato" La protesta dei pescatori ieri a Roma, una delle tante espressioni del malessere del Paese (reuters)
ROMA - Una "democrazia bloccata", un Paese dove tutti si aspettano il peggio e nessuno ha più fiducia in niente e in nessuno. Un sistema che sarebbe troppo facile definire "bacato" per colpa della sua classe dirigente, dal momento che moltissimi, nel loro piccolo, contribuiscono a un sommerso che ha ormai raggiunto quota 540 miliardi, pari al 35% del  Pil ufficiale, e a un'evasione fiscale di almeno 230/250 miliardi l'anno. Cifre alle quali si unisce una florida economia criminale dal valore di oltre 200 miliardi l'anno. Non c'è da stupirsi che in un Paese così, come emerge dal 24° Rapporto Italia dell'Eurispes, presentato stamane a Roma, solo il 9,5% riponga "molta" o "abbastanza" fiducia nel Parlamento (nel 2004 era al 36,5%), e appena il 21,1% la riponga nel governo.

Una manovra poco apprezzata. Il nuovo esecutivo guidato da Mario Monti ha in effetti fatto recuperare "autorevolezza e credibilità al Paese", eppure gli italiani ancora non si fidano. Anche se è vero che l'anno scorso la fiducia era al lumicino (14,6%), e quest'anno ha recuperato ben 7 punti, c'è un corposo 76,4% che dichiara di avere "poca o nessuna fiducia" nell'attuale governo. Molto probabilmente per via della indigesta manovra "salva-Italia", che solo una minima percentuale di cittadini (il 7,2%) valuta come equa. Per il 45,9% degli intervistati la manovra è stata dura solo con i ceti più deboli, mentre per il 38,6% ha penalizzato i ceti medi. Persino il consolidato gradimento degli italiani nei confronti del presidente della Repubblica vacilla un po': arriva infatti al 62,1%, ma è comunque in calo rispetto al 68,2% dello scorso anno. Tengono le forze dell'ordine, come sempre.

Prospettive buie. A rendere particolarmente severo il giudizio degli italiani nei confronti delle istituzioni, quest'anno più che mai, è la crisi. Con i redditi falcidiati dalle ultime due manovre del governo Berlusconi e da quella del governo Monti, ormai gli italiani sono allo stremo. La situazione economica del Paese è nettamente peggiorata negli ultimi 12 mesi per il 67% degli italiani, il dato più alto mai registrato dall'Eurispes, in aumento del 15,2% rispetto alla rilevazione dell'anno scorso. Solo l'1,4% sostiene che ci sia stato un miglioramento nell'economia. Inoltre il 56,6% ritiene che le cose non potranno che peggiorare, mentre solo il 26,9% si attende stabilità.

Il 70% non risparmia più. Il deterioramento dell'economia si vede a cominciare dalle proprie tasche. I tre quarti del campione intervistato dall'Eurispes (74,8%) affermano di aver constatato un peggioramento della propria condizione economica durante gli ultimi 12 mesi. Per gli anziani è andata ancora peggio (81,5%). Per arrivare a fine mese la metà delle famiglie (48,5%) ha usato i propri risparmi, ma anche così ci sono molte difficoltà a superare la quarta settimana (45,7%). I risparmi si diradano sempre più in questo modo, così come la capacità di risparmiare: non riesce a mettere più nulla da parte il 70% degli italiani. Il 24,9% ha difficoltà a pagare la rata del mutuo e quasi un quinto (18,6%) ha lo stesso problema con l'affitto.

Consumi, si taglia su tutto. Di conseguenza i tre quarti degli italiani (73,6%) hanno avvertito una perdita del proprio potere di acquisto nel corso del 2011. E hanno cercato di tagliare il tagliabile: l'82,7% ha ridotto le spese per i regali (l'anno precedente la percentuale si fermava al 77,8%), il 75,4% predilige i prodotti in saldo e il 73,4% compra solo nei punti vendita più economici. Il 73,1% degli intervistati limita le uscite fuori casa, il 56,7% sostituisce la pizzeria con le cene casalinghe in compagnia degli amici.

Ma non su tv, cellulari e hi-fi. Ma c'è anche un altra faccia della medaglia. Ci sono una serie di beni considerati irrinunciabili anche in questo momento di ristrettezza, delle caratteristiche ormai considerate acquisite di un tenore di vita che si fa di tutto per mantenere pur nella tempesta della crisi. Solo il 3,1% degli italiani non ha una tv, il 43,9% ne possiede due e il 22,8% tre. Il 54,9% degli italiani è dotato di un impianto Hi-Fi, il 58,8% di un lettore Dvd. L'81,4% ha un cellulare, la metà degli italiani uno smart-phone. Il 75% è abbonato a Internet. Di contro, ci sono "lussi" ai quali gli italiani sembrano aver rinunciato con più facilità: il 59% dichiara di non aver mai speso un euro per l'acquisto di biglietti di concerti o di teatro, il 66,5% non ha mai fatto acquisti in gioielleria, il 77% non ha mai frequentato un centro benessere.

Sfiducia e desiderio di fuga. In definitiva, il 63,2% degli italiani si dichiara "sfiduciato". Il 59,5% si sente "limitato" dalla situazione del Paese. Una percentuale analoga si sente "poco" o "per niente" stimolata a impegnarsi per la ripresa dell'Italia (contro un 38,3% che invece è pronto a farlo). Però poi, a sorpresa, alla domanda se valga la pena di fare sacrifici per superare l'attuale momento di difficoltà, il 53,1% risponde di sì. E ancora più sorprendentemente, il 72,4% afferma che vivere in Italia è una fortuna, anche se passa dal 37,8% del 2006 al 40,6% la percentuale di coloro che si dichiarano disponibili a trasferirsi all'estero. Tra i giovani il numero di chi è pronto a fare le valige è molto più alto: il 59,8% della fascia 18-34 (la motivazione principale addotta per lasciare l'Italia è quella lavorativa).

Un progetto per ricominciare. Un Paese alla deriva, attaccato più a quel che resta del proprio benessere che al desiderio di rimboccarsi le mani per far risollevare le sorti dell'economia e della società civile. "Appaiono sempre più evidenti la necessità di superare la tecnica della navigazione a vista - sottolinea il presidente dell'Eurispes, Gian Maria Fara - e l'obbligo di dispiegare una nuova e più lungimirante capacità progettuale alla quale affidare il futuro del Paese". Basta con la "compatibilità obbligata", cioè l'arte di riuscire a far convivere tutto con il suo contrario. Piuttosto, "è arrivato il tempo il tempo di richiamare ciascuno alle proprie responsabilità e ai propri doveri": la politica, certo, "una buona politica che sappia prendere su di sé il compito e la responsabilità di restituire all'Italia il futuro che merita". Una politica guidata da persone che il cittadino possa scegliere consapevolmente: il 78,2% degli italiani chiede la reintroduzione del sistema delle preferenze: è una percentuale inferiore a quella degli anni precedenti, ma sempre altissima. Non basta però essere guidati al meglio: l'Eurispes propone un "progetto" di rilancio "ampiamente partecipato", che coinvolga tutte le forze del Paese.

(26 gennaio 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/01/26/news/rapporto_eurispes-28772857/
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« Risposta #3 inserito:: Febbraio 18, 2012, 09:39:25 am »

IL RAPPORTO

Innovazione, la ricetta della Ue per la crescita

"Un milione di posti di lavoro nella ricerca"

Solo così, si legge in uno studio appena pubblicato dalla Commissione Europea, si riuscirà a raggiungere per il 2020 l'obiettivo di un investimento in R&S che raggiunga in media per ogni Paese il 3% del Pil.

L'Italia sotto la media dell'Unione

di ROSARIA AMATO


Innovazione, la ricetta della Ue per la crescita "Un milione di posti di lavoro nella ricerca" Da sinistra, il presidente della Commissione Europea Josè Manuel Barroso e il presidente del Consiglio Europeo Herman van Rompuy (ap)
ROMA - Una "Unione dell'innovazione in cui imprese innovative in rapida crescita prospereranno e creeranno nuovi posti di lavoro ad elevato valore aggiunto e dove l'innovazione proporrà prodotti e soluzioni in risposta ai bisogni e alle attese della società". In tempi di crisi, mentre Eurostat ci aggiorna sullo stato della recessione 1, piombata su diversi Paesi Ue, la Commissione Europea lancia ancora una volta la sfida dell'innovazione, proponendo gli investimenti in ricerca e sviluppo come "un importante motore di crescita e uno stimolo alle idee innovative per il futuro dell'Europa". In effetti il quadro che emerge dall'ultima edizione della "Relazione sulla competitività dell'Unione dell'innovazione", l'analisi dello stato della ricerca e sviluppo nella Ue-27 appena pubblicata dalla Commissione, non è proprio dei migliori. L'obiettivo prioritario della strategia "Europa 2020" di un investimento del 3% del Pil in ricerca e sviluppo appare ancora lontano, anche se non utopistico: siamo passati da una media Ue dell'1,85% del Pil nel 2007 a una percentuale del 2,01% nel 2009.

La Cina ci supererà nel 2014. Nel frattempo, però, ricordano gli analisti europei, le altre aree del mondo sono andate avanti, molto più spedite rispetto ai ritmi del Vecchio Continente. Fra il 1995 e il 2008 il totale
di investimenti nella ricerca in termini reali nella Ue è aumentato del 50%. Nello stesso periodo gli investimenti negli Stati Uniti sono cresciuti però del 60%, nei quattro Paesi a maggiore intensità di conoscenze dell'Asia (Giappone, Corea del Sud, Singapore e Taiwan) hanno registrato un aumento del 75%, nei Paesi Brics (Brasile, Russia, India e Sudafrica) del 145%, con la Cina che però vanta una crescita dell'855%. "Ne deriva che una quota sempre maggiore di attività di R&S nel mondo avviene fuori dall'Europa", si legge nel rapporto. Il Vecchio Continente ha perso quote importanti infatti negli ultimi anni: nel 2008 meno di un quarto (24%) del totale della spesa di R&S mondiale ha interessato la Ue, contro il 29% nel 1995. La Cina supererà l'intera Ue entro il 2014 per volumi di spesa in ricerca e sviluppo.

I punti di forza della Ue. Però non tutto è perduto, assicura la Commissione. Intanto l'Europa ha un punto di forza non trascurabile nelle risorse umane: nel 2008 nell'Unione Europea vi erano 1,5 milioni di ricercatori a tempo pieno, contro 1,4 milioni negli Stati Uniti e 0,71 in Giappone. Certo, la Cina ci ha già superati: nel 2008 era già a quota 1,6 milioni. L'Europa potrà farcela, secondo gli esperti di Bruxelles, se riuscirà a "creare almeno un milione di nuovi posti di lavoro nella ricerca". Una prospettiva entusiasmante per i giovani europei, afflitti dalle scarse prospettive congiunturali e dalla crescente disoccupazione. In particolare, dovranno però aumentare le disponibilità del settore privato, precisa il rapporto. Infatti più della metà dei ricercatori della Ue appartengono al settore pubblico e solo il 46% a quello privato, contro il 69% in Cina, il 73% in Giappone e l'80% negli Stati Uniti.

Il confronto con gli Stati Uniti. Un passo in avanti del settore privato permetterebbe di utilizzare l'ampio numero di laureati in discipline scientifiche e ingegneria: la Ue ne produce ogni anno più di 940.000, con un tasso annuale di aumento del 4,9% registrato a partire dal 2000. Inoltre l'Unione europea sforna "quasi il doppio dei dottorati rilasciati negli Stati Uniti". Per laureati e dottorandi però il Vecchio Continente spende pochissimo, molto meno degli Stati Uniti, "con il risultato di privilegiare la quantità sulla qualità e rischiare così di deludere le attese delle imprese". E quindi gli studiosi statunitensi mettono a segno risultati più brillanti: il 15,3% di pubblicazioni statunitensi appartiene al 10% di pubblicazioni più citate nel mondo, per l'Europa la percentuale è recentemente arrivata all'11,6%, al di sopra della media mondiale del 10%, ma ancora lontana dal primato Usa.

Un'Europa divisa in due. L'Europa è indietro anche nel numero dei brevetti: Giappone e Corea del Sud praticamente la doppiano. E infine le piccole e medie imrpese europee sono sicuramente innovative, ma spendono ancora poco in ricerca e sviluppo. Anche se bisogna fare dei distinguo: nel 2007 la spesa in R&S delle PMI ha rappresentato lo 0,25% del Pil nella Ue, contro lo 0,25% del Pil negli Stati Uniti, ma in Danimarca, Finlandia, Belgio, Austria e Svezia si supera lo 0,5% del Pil. In effetti, "i fatti mostrano che il contesto per la ricerca e l'innovazione delle imprese è molto differente da uno Stato membro all'altro. I Paesi del Nord Europa occupano sistematicamente i primi posti per svariati indicatori, mentre i nuovi Stati membri tendono a concentrarsi nelle posizioni più basse di tali classifiche".

L'Italia sotto la media Ue. In un'Europa che stenta a tenere il passo con Paesi di consolidata tradizione nell'innovazione come gli Stati Uniti e che emergono sempre più rapidamente come la Cina e la Corea del Sud, l'Italia si colloca in una posizione ancora più di retroguardia. A fronte infatti di una media europea di investimenti in ricerca e sviluppo che supera di pochissimo il 2% del Pil nel 2009, il tasso italiano si ferma ad appena l'1,27% del Pil. E quindi l'obiettivo per il 2020 è dell'1,53%, un tasso "raggiungibile", commentano gli analisti europei, ma certamente "non ambizioso". L'Italia si posiziona dunque in ambito europeo come un "innovatore moderato", sia per le debolezze del settore pubblico, che stenta a modernizzarsi, che di quello industriale, in particolare il comparto ad alto contenuto tecnologico.

I troppi punti deboli. In Italia ci sono anche pochi laureati: il livello della popolazione con "educazione terziaria" raggiunge appena l'11,6% contro la media europea del 22,8%; la partecipazione a programmi di "life-long learning" (istruzione e aggiornamento che accompagnano l'intera vita lavorativa) riguarda appena il 6,8% della popolazione, contro una media europea del 9,8%. Inutile inoltre ricordare che "il numero di ricercatori stranieri che scelgono l'Italia per sviluppare le loro ricerche è inferiore al numero di ricercatori italiani che scelgono di lavorare all'estero" (una considerazione che sembra quasi ingenua, se si guarda allo sconsolante panorama della ricerca italiana).

E i pochi elementi di vantaggio. Tuttavia, l'Italia vanta una presenza non trascurabile nell'ambito del 10% delle "pubblicazioni scientifiche più citate al mondo", superiore alla media Ue. Inoltre "il contributo positivo dei prodotti high-tech alla bilancia commerciale" mostrano il potenziale del Paese, che potrebbe ottenere notevoli benefici economici a fronte di sforzi adeguati. Non aiutano certo le dimensioni eccessivamente ridotte delle PMI italiane, e il loro scarso tasso di sopravvivenza negli anni.

(16 febbraio 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/tecnologia/2012/02/16/news/unione_nell_innovazione-29960498/?rss
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« Risposta #4 inserito:: Maggio 31, 2013, 11:21:38 pm »

"Paese indietro di 25 anni, urgono le riforme non si costruisce niente sulla difesa delle rendite"

La relazione annuale del governatore Visco:  "Compiere i passi necessari per uscire dalla crisi ma soprattutto da ritardi atavici, che ci hanno fatto sprofondare nella recessione più di altri Paesi". "I provvedimenti non vanno solo promossi, vanno anche attuati.

Anche le imprese devono fare la loro parte, promuovendo investimenti e innovazione, ma va ridotto il cuneo fiscale che pesa sul lavoro"

di ROSARIA AMATO


ROMA - Possiamo farcela, ma solo se chi governa riuscirà a promuovere e soprattutto ad attuare un sistema di riforme efficaci e lungimiranti. E' il messaggio finale del governatore della Banca d'Italia Ignazio Visco, all'Assemblea Annuale. "Non si costruisce niente sulla difesa delle rendite e del proprio particolare, si arretra tutti. - ammonisce Visco - Occorre consapevolezza, solidarietà, lungimiranza. Interventi e stimoli ben disegnati, anche se puntano a trasformare il Paese in un arco di tempo non breve, produrranno la fiducia che serve per decidere che già oggi vale la pena di impegnarsi, lavorare, investire".

E invece "l'azione di riforma ha perso vigore nel corso dell'anno passato, anche per il progressivo deterioramento del clima politico", rileva il governatore. Non solo, i provvedimenti già approvati rischiano di rimanere lettera morta, l'Italia rimane il Paese delle grida manzoniane: "In molti casi, varate le riforme, hanno tardato, talvolta ancora mancano, i provvedimenti attuativi; non sono cambiati i comportamenti dell'amministrazione. E' un tratto ricorrente dell'esperienza storica del nostro Paese: le principali difficoltà non risiedono tanto nel contenuto delle norme, quanto nella loro concreta applicazione".

Una crisi che viene da lontano. E non si tratta solo di incapacità, la nostra classe dirigente, ricorda Visco senza fare sconti, si porta dietro un problema atavico: "I rappresentanti politici stentano a mediare tra interesse generale e interessi particolari: i cittadini ne ricevono segnali contrastanti e incerti". Quindi non facciamoci illusione, la crisi nella quale l'Italia è sprofondata non viene da fuori, non del tutto, almeno: "Le origini finanziarie e internazionali della crisi, cui si è soprattutto rivolta l'attenzione delle autorità di politica economica, non devono far dimenticare che in Italia, più che in altri Paesi, gli andamenti ciclici si sovrappongono a gravi debolezze strutturali. Lo mostra, già nei dieci anni antecedenti la crisi, l'evoluzione complessiva della nostra economia, peggiore di quella di quasi tutti i principali Paesi sviluppati".

Coesione sociale a rischio. Gli effetti della crisi in questo momento non potrebbero essere peggiori: "La recessione sta segnando profondamente il potenziale produttivo, rischia di ripercuotersi sulla coesione sociale. Il prodotto interno lordo del 2012 è stato inferiore del 7 per cento rispetto a quello del 2007, il reddito disponibile delle famiglie di oltre il 9, la produzione di un quarto. Le ore lavorate sono state il 5,5 per cento in meno, la riduzione del numero di persone occupate superiore al mezzo milione. Il tasso di disoccupazione, pressoché raddoppiato rispetto al 2007 e pari all'11,5 per cento lo scorso marzo, si è avvicinato al 40 tra i più giovani, ha superato questa percentuale per quelli residenti nel Mezzogiorno".

Ripresa possibile. Eppure l'uscita dal tunnel potrebbe essere vicina: se "anche quest'anno si chiuderà con un forte calo dell'attività produttiva e dell'occupazione", tuttavia "l'inversione del ciclo economico verso la fine dell'anno è possibile; dipenderà dall'accelerazione del commercio mondiale, dall'attuazione di politiche economiche adeguate, dall'evoluzione positiva delle aspettative e delle condizioni per investire, dalla disponibilità di credito".

Attenzione ai conti pubblici. Per quest'anno i margini di manovra delle risorse economiche da parte del governo è piuttosto limitato. "La correzione dei conti pubblici - riconosce il governatore - ha contribuito a ridimensionare le tensioni sul mercato dei titoli di Stato, evitando scenari peggiori". E dunque "i progressi conseguiti vanno preservati. Disperderli avrebbe conseguenze gravi". Nonostante il respiro di sollievo seguito alla chiusura della procedura Ue per deficit eccessivo, avvenuta qualche giorno fa, "per quest'anno non ci sono margini di aumento del disavanzo; sono stati assorbiti dalla decisione di pagare i debiti commerciali in conto capitale delle amministrazioni pubbliche". Decisione che via Nazionale mostra di approvare, precisando anzi che "non devono formarsi nuovi debiti della specie".

Un ritardo di 25 anni. Occhio alla spesa pubblica, dunque, anche perché "le tensioni sui mercati dei titoli di Stato non sono del tutto sopite", ma grande impulso alle riforme, non c'è tempo da perdere. L'Italia sconta un ritardo epocale: "Non siamo stati capaci di rispondere agli straordinari cambiamenti geopolitici, tecnologici e demografici degli ultimi venticinque anni". E' per questo che "l'aggiustamento richiesto e così a lungo rinviato ha una portata storica" e "necessita del contributo decisivo della politica , ma è essenziale la risposta della società e di tutte le forze produttive".

Il ruolo delle imprese. A cominciare da quello delle imprese, "chiamate a uno sforzo eccezionale per garantire il successo della trasformazione, investendo risorse proprie, aprendosi alle opportunità di crescita, adeguando la struttura societaria e i modelli organizzativi, puntando sull'innovazione, sulla capacità di essere presenti sui mercati più dinamici". Alcune lo stanno già facendo, riconosce Visco, ma "troppo poche hanno accettato fino in fondo questa sfida; a volte si preferisce, illusoriamente, invocare come soluzione il sostegno pubblico".

Ridurre il cuneo fiscale. Il che non significa che non debba esserci un sostegno pubblico, ma non sotto forma di sussidi; piuttosto, ancora una volta, in termini di risorse, a cominciare dalla promozione di "condizioni favorevoli all'attività d'impresa, alla riallocazione dei fattori produttivi". Serve la semplificazione amministrativa che intervenga su un "quadro regolamentare ridondante", le imprese soffrono anche per la mancanza di certezza del diritto, la corruzione, "una insufficiente protezione dalla criminalità". Serve, soprattutto, una riduzione "del cuneo fiscale che grava sul lavoro, frena l'occupazione e l'attività d'impresa".
 
Contrastare l'evasione. Va combattuto una volta per tutte anche un altro grave fattore di ritardo e di iniquità: l'evasione fiscale. "L'evasione distorce l'allocazione dei fattori produttivi, causa concorrenza sleale, è di ostacolo alla crescita della dimensione delle imprese, aumenta il carico tributario per i contribuenti in regola. Va contrastata anche nella dimensione sovranazionale".

I giovani. Anche il sistema scolastico e in generale la formazione vanno riformati, per permettere ai giovani di inserirsi, perché "negli anni a venire i giovani non potranno semplicemente contare di rimpiazzare i più anziani nel loro posto di lavoro". Va promossa l'imprenditorialità, ma soprattutto "la formazione professionale andrà sviluppata per coprire una intera vita lavorativa caratterizzata dalla mobilità e dal cambiamento, da tutelare con rafforzati sistemi di protezione e assicurazione, pubblici e privati, nei periodi di inattività. La scuola, l'università dovranno sostenere questo processo garantendo un'istruzione adeguata per qualità e quantità".

Mps: operato con correttezza. Sulla complessa vicenda del Monte dei Paschi di Siena Visco rivendica la correttezza dell'operato della Banca d'Italia. "L'azione di supervisione sul Monte dei Paschi negli ultimi anni è stata continua e di intensità crescente; l'autorità giudiziaria valuterà se essa sia stata ostacolata da passati amministratori e gestori. Abbiamo operato con correttezza, impegno e attenzione". Il governatore definisce anche "ambiziosi" gli obiettivi del piano di ristrutturazione messo a punto dai nuovi vertici di Rocca Salimbeni. "Il suo successo", sottolinea, "dipenderà anche dall'evoluzione del contesto economico e finanziario".

Banche più forti, ma devono rinnovarsi. "Le nostre banche appaiono in grado di fronteggiare shock avversi grazie alla loro patrimonializzazione e alla liquidità fornita dall'Eurosistema", rileva Visco. Tuttavia anche il sistema bancario deve rinnovarsi, così come il resto del Paese. Intanto ci sono ancora margini di riduzione dei costi operativi: Bankitalia suggerisce di ridurre anche "dividendi, remunerazioni di amministratori e dirigenti, in coerenza con la situazione reddituale e patrimoniale". E poi, a giudizio di via Nazionale, le banche non hanno puntato a sufficienza finora sull'innovazione: "Il cambiamento nell'impiego dei fattori produttivi e dei canali distributivi va favorito, sfruttando appieno le opportunità offerte dalle nuove tecnologie. Negli ultimi quindici anni è cresciuta l'importanza del canale telematico nei rapporti con la clientela. Modeste sono state, tuttavia, le implicazioni sulla rete tradizionale". Eppure "la differenziazione nell'utilizzo di questi canali" "potrebbe contribuire a invertire la tendenza alla crescita del rapporto tra costi e ricavi registrata nell'industria bancaria italiana negli ultimi dieci anni".

 

(31 maggio 2013) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/economia/2013/05/31/news/assemblea_annuale_bankitalia-60033356/?ref=nl-Ultimo-minuto-ore-13_31-05-2013
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« Risposta #5 inserito:: Giugno 09, 2013, 10:51:09 am »

"Paese indietro di 25 anni, urgono le riforme non si costruisce niente sulla difesa delle rendite"

La relazione annuale del governatore Visco:  "Compiere i passi necessari per uscire dalla crisi ma soprattutto da ritardi atavici, che ci hanno fatto sprofondare nella recessione più di altri Paesi". "I provvedimenti non vanno solo promossi, vanno anche attuati.

Anche le imprese devono fare la loro parte, promuovendo investimenti e innovazione, ma va ridotto il cuneo fiscale che pesa sul lavoro"

di ROSARIA AMATO


ROMA - Possiamo farcela, ma solo se chi governa riuscirà a promuovere e soprattutto ad attuare un sistema di riforme efficaci e lungimiranti. E' il messaggio finale del governatore della Banca d'Italia Ignazio Visco, all'Assemblea Annuale. "Non si costruisce niente sulla difesa delle rendite e del proprio particolare, si arretra tutti. - ammonisce Visco - Occorre consapevolezza, solidarietà, lungimiranza. Interventi e stimoli ben disegnati, anche se puntano a trasformare il Paese in un arco di tempo non breve, produrranno la fiducia che serve per decidere che già oggi vale la pena di impegnarsi, lavorare, investire".

E invece "l'azione di riforma ha perso vigore nel corso dell'anno passato, anche per il progressivo deterioramento del clima politico", rileva il governatore. Non solo, i provvedimenti già approvati rischiano di rimanere lettera morta, l'Italia rimane il Paese delle grida manzoniane: "In molti casi, varate le riforme, hanno tardato, talvolta ancora mancano, i provvedimenti attuativi; non sono cambiati i comportamenti dell'amministrazione. E' un tratto ricorrente dell'esperienza storica del nostro Paese: le principali difficoltà non risiedono tanto nel contenuto delle norme, quanto nella loro concreta applicazione".

Una crisi che viene da lontano. E non si tratta solo di incapacità, la nostra classe dirigente, ricorda Visco senza fare sconti, si porta dietro un problema atavico: "I rappresentanti politici stentano a mediare tra interesse generale e interessi particolari: i cittadini ne ricevono segnali contrastanti e incerti". Quindi non facciamoci illusione, la crisi nella quale l'Italia è sprofondata non viene da fuori, non del tutto, almeno: "Le origini finanziarie e internazionali della crisi, cui si è soprattutto rivolta l'attenzione delle autorità di politica economica, non devono far dimenticare che in Italia, più che in altri Paesi, gli andamenti ciclici si sovrappongono a gravi debolezze strutturali. Lo mostra, già nei dieci anni antecedenti la crisi, l'evoluzione complessiva della nostra economia, peggiore di quella di quasi tutti i principali Paesi sviluppati".

Coesione sociale a rischio. Gli effetti della crisi in questo momento non potrebbero essere peggiori: "La recessione sta segnando profondamente il potenziale produttivo, rischia di ripercuotersi sulla coesione sociale. Il prodotto interno lordo del 2012 è stato inferiore del 7 per cento rispetto a quello del 2007, il reddito disponibile delle famiglie di oltre il 9, la produzione di un quarto. Le ore lavorate sono state il 5,5 per cento in meno, la riduzione del numero di persone occupate superiore al mezzo milione. Il tasso di disoccupazione, pressoché raddoppiato rispetto al 2007 e pari all'11,5 per cento lo scorso marzo, si è avvicinato al 40 tra i più giovani, ha superato questa percentuale per quelli residenti nel Mezzogiorno".

Ripresa possibile. Eppure l'uscita dal tunnel potrebbe essere vicina: se "anche quest'anno si chiuderà con un forte calo dell'attività produttiva e dell'occupazione", tuttavia "l'inversione del ciclo economico verso la fine dell'anno è possibile; dipenderà dall'accelerazione del commercio mondiale, dall'attuazione di politiche economiche adeguate, dall'evoluzione positiva delle aspettative e delle condizioni per investire, dalla disponibilità di credito".

Attenzione ai conti pubblici. Per quest'anno i margini di manovra delle risorse economiche da parte del governo è piuttosto limitato. "La correzione dei conti pubblici - riconosce il governatore - ha contribuito a ridimensionare le tensioni sul mercato dei titoli di Stato, evitando scenari peggiori". E dunque "i progressi conseguiti vanno preservati. Disperderli avrebbe conseguenze gravi". Nonostante il respiro di sollievo seguito alla chiusura della procedura Ue per deficit eccessivo, avvenuta qualche giorno fa, "per quest'anno non ci sono margini di aumento del disavanzo; sono stati assorbiti dalla decisione di pagare i debiti commerciali in conto capitale delle amministrazioni pubbliche". Decisione che via Nazionale mostra di approvare, precisando anzi che "non devono formarsi nuovi debiti della specie".

Un ritardo di 25 anni. Occhio alla spesa pubblica, dunque, anche perché "le tensioni sui mercati dei titoli di Stato non sono del tutto sopite", ma grande impulso alle riforme, non c'è tempo da perdere. L'Italia sconta un ritardo epocale: "Non siamo stati capaci di rispondere agli straordinari cambiamenti geopolitici, tecnologici e demografici degli ultimi venticinque anni". E' per questo che "l'aggiustamento richiesto e così a lungo rinviato ha una portata storica" e "necessita del contributo decisivo della politica , ma è essenziale la risposta della società e di tutte le forze produttive".

Il ruolo delle imprese. A cominciare da quello delle imprese, "chiamate a uno sforzo eccezionale per garantire il successo della trasformazione, investendo risorse proprie, aprendosi alle opportunità di crescita, adeguando la struttura societaria e i modelli organizzativi, puntando sull'innovazione, sulla capacità di essere presenti sui mercati più dinamici". Alcune lo stanno già facendo, riconosce Visco, ma "troppo poche hanno accettato fino in fondo questa sfida; a volte si preferisce, illusoriamente, invocare come soluzione il sostegno pubblico".

Ridurre il cuneo fiscale. Il che non significa che non debba esserci un sostegno pubblico, ma non sotto forma di sussidi; piuttosto, ancora una volta, in termini di risorse, a cominciare dalla promozione di "condizioni favorevoli all'attività d'impresa, alla riallocazione dei fattori produttivi". Serve la semplificazione amministrativa che intervenga su un "quadro regolamentare ridondante", le imprese soffrono anche per la mancanza di certezza del diritto, la corruzione, "una insufficiente protezione dalla criminalità". Serve, soprattutto, una riduzione "del cuneo fiscale che grava sul lavoro, frena l'occupazione e l'attività d'impresa".
 
Contrastare l'evasione. Va combattuto una volta per tutte anche un altro grave fattore di ritardo e di iniquità: l'evasione fiscale. "L'evasione distorce l'allocazione dei fattori produttivi, causa concorrenza sleale, è di ostacolo alla crescita della dimensione delle imprese, aumenta il carico tributario per i contribuenti in regola. Va contrastata anche nella dimensione sovranazionale".

I giovani. Anche il sistema scolastico e in generale la formazione vanno riformati, per permettere ai giovani di inserirsi, perché "negli anni a venire i giovani non potranno semplicemente contare di rimpiazzare i più anziani nel loro posto di lavoro". Va promossa l'imprenditorialità, ma soprattutto "la formazione professionale andrà sviluppata per coprire una intera vita lavorativa caratterizzata dalla mobilità e dal cambiamento, da tutelare con rafforzati sistemi di protezione e assicurazione, pubblici e privati, nei periodi di inattività. La scuola, l'università dovranno sostenere questo processo garantendo un'istruzione adeguata per qualità e quantità".

Mps: operato con correttezza. Sulla complessa vicenda del Monte dei Paschi di Siena Visco rivendica la correttezza dell'operato della Banca d'Italia. "L'azione di supervisione sul Monte dei Paschi negli ultimi anni è stata continua e di intensità crescente; l'autorità giudiziaria valuterà se essa sia stata ostacolata da passati amministratori e gestori. Abbiamo operato con correttezza, impegno e attenzione". Il governatore definisce anche "ambiziosi" gli obiettivi del piano di ristrutturazione messo a punto dai nuovi vertici di Rocca Salimbeni. "Il suo successo", sottolinea, "dipenderà anche dall'evoluzione del contesto economico e finanziario".

Banche più forti, ma devono rinnovarsi. "Le nostre banche appaiono in grado di fronteggiare shock avversi grazie alla loro patrimonializzazione e alla liquidità fornita dall'Eurosistema", rileva Visco. Tuttavia anche il sistema bancario deve rinnovarsi, così come il resto del Paese. Intanto ci sono ancora margini di riduzione dei costi operativi: Bankitalia suggerisce di ridurre anche "dividendi, remunerazioni di amministratori e dirigenti, in coerenza con la situazione reddituale e patrimoniale". E poi, a giudizio di via Nazionale, le banche non hanno puntato a sufficienza finora sull'innovazione: "Il cambiamento nell'impiego dei fattori produttivi e dei canali distributivi va favorito, sfruttando appieno le opportunità offerte dalle nuove tecnologie. Negli ultimi quindici anni è cresciuta l'importanza del canale telematico nei rapporti con la clientela. Modeste sono state, tuttavia, le implicazioni sulla rete tradizionale". Eppure "la differenziazione nell'utilizzo di questi canali" "potrebbe contribuire a invertire la tendenza alla crescita del rapporto tra costi e ricavi registrata nell'industria bancaria italiana negli ultimi dieci anni".

 

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da - http://www.repubblica.it/economia/2013/05/31/news/assemblea_annuale_bankitalia-60033356/?ref=nl-Ultimo-minuto-ore-13_31-05-2013
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« Risposta #6 inserito:: Dicembre 04, 2015, 07:21:43 pm »

Censis: l'Italia in letargo riparte a piccoli gruppi
Il Rapporto 2015 sullo stato del Paese: gli italiani non si muovono più da collettivo, ma da singoli e in gruppi, piccoli o locali.
Il risparmio ha fatto da scialuppa di salvataggio nella crisi, le nuove spese tornano ad andare verso il mattone e i beni durevoli.
Nel lavoro una ripartenza "selettiva": emergenza per i giovani

Di ROSARIA AMATO
04 dicembre 2015
La casa torna ad essere uno degli investimenti preferiti dagli italiani

ROMA - L'Italia è ferma, immersa in un "letargo esistenziale collettivo", la politica tenta di "trasmettere coinvolgimento e vitalità al corpo sociale", ma non ci riesce. Una sorta di "limbo italico", dice il presidente del Censis Giuseppe De Rita, citando Filippo Turati, fatto di "mezze tinte, mezze classi, mezzi partiti, mezze idee e mezze persone". Eppure, osserva il Rapporto Censis 2015, gli italiani si muovono, non più come collettività, certo non dentro un "progetto generale di sviluppo" che non esiste più da tempo, ma da singoli, all'interno magari di piccoli territori, o di piccoli gruppi sociali. Mettono a reddito il patrimonio immobiliare (560.000 bed&breakfast con un rispettabile fatturato di 6 miliardi di euro), inventano nuove forme di imprenditoria all'insegna dell'"ibridazione", coniugando gastronomia e turismo, design e artigianato, moda e piattaforme digitali. I giovani partono, le famiglie ricominciano ad acquistare case e beni durevoli, privilegiando in particolare auto ed elettrodomestici.

E poi usano l'home banking, sperimentano le forme più innovative di sharing economy, si attrezzano, producono. Senza mettersi in gioco fino in fondo però: nelle banche giace quasi inoperosa una montagna di risparmi, un "cash cautelativo" che supera i 4.000 miliardi, molti depositi e contanti, sempre meno azioni e partecipazioni. Soldi "pronti all'uso nel brevissimo periodo", l'unica destinazione possibile in un Paese che ha perso la capacità di "progettazione per il futuro" e di "disegni programmatici di medio periodo". Vince "la pura cronaca", la capacità d'inventarsi di giorno in giorno. Una società "a bassa resistenza e con scarsa autopropulsione", conferma il direttore del Censis Massimiliano Valerii: "Lo testimoniano anche i dati economici, a cominciare dall'inflazione. Eppure emerge una piattaforma di ripartenza e ricostruzione del nostro apparato produttivo, attraverso driver d’innovazione. Chi sono i vincenti? Coloro che in questa fase di ristrettezza piuttosto che trincerarsi dietro una posizione difensiva hanno colto le opportunità della globalizzazione, a cominciare da quelle offerte dall'esportazione"

Certo, a uno sguardo più severo il Paese può apparire ancora in declino, nonostante i tanti segnali di ripartenza: della "spensierata stagione del consumismo", osserva De Rita, rimane solo "la medietà del consumatore sobrio", della "lunga stagione del primato delle ideologie" rimane "l'empirismo continuato della società che evolve". Qualcosa dell'Italia migliore rimane: "lo scheletro contadino", che però non è mero attaccamento alle radici. Insomma, conclude De Rita, "è come quando, girando per il Paese, tu chiedi a qualcuno come va: lui ti dice che va tutto male, il lavoro, la macchina, la moglie. E allora tu chiedi: e il resto? E la risposta è sempre: il resto va bene. Ecco, l'Italia è così: il resto ha dentro di sé un’energia misteriosa, ed è quella che dà la scossa, la voglia di fare. Il resto ha una sua implicita superiorità".

Il risparmio, scialuppa di salvataggio. Mentre la crisi impoveriva il Paese, tra il giugno del 2011 e il giugno del 2015, nei depositi delle banche sono arrivati 401,5 miliardi di euro. Mentre il Pil crollava il patrimonio finanziario degli italiani è cresciuto del 6,2% in termini reali. Contanti e depositi sono saliti dal 23,6% del totale nel 2007 al 30,9% del 2014, le assicurazioni e i fondi pensioni sono passati dal 14,8% al 20,9%, i fondi comuni sono passati dal 9,1% al 10,9%, azioni e partecipazioni sono crollate dal 31,8% al 23,7% e le obbligazioni dal 17,6% al 10,8%. Negli ultimi 12 mesi sono riuscite a risparmiare 10,6 milioni di famiglie: a scopo cautelativo, per finanziare la formazione dei figli, per i bisogni della vecchiaia, per paura di perdere il posto di lavoro. E d'altra parte molti ancora hanno attinto ai risparmi, negli ultimi 12 mesi 3,1 milioni di famiglie li hanno usati "per fronteggiare gap di reddito rispetto alle spese mensili".

Si spende di nuovo: più mattone...Se gli italiani rifuggono più che mai dagli investimenti rischiosi, come quelli in azioni e obbligazioni, però hanno ricominciato ad acquistare beni di valore, segno comunque di una rinnovata fiducia nell'andamento dell'economia. Tra gennaio e ottobre di quest'anno le richieste di mutui sono cresciute del 94,3% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente (anche se circa un terzo finanziano surroghe, e non nuovi acquisti di abitazioni), e le compravendite immobiliari sono aumentate del 6,6% nel secondo trimestre di quest'anno rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente. Certo, cresce anche l'insofferenza verso i contributi pubblici: il 55,3% degli italiani vorrebbe pagare meno tasse, per avere una maggiore disponibilità di reddito.

...e beni durevoli. Tornano anche gli acquisti di beni durevoli, in forte declino tra il 2007 e il 2013. In particolare le intenzioni di comprare nuove auto quest'anno risultano più che raddoppiate rispetto all'anno precedente, tanto che se si concretizzassero nel 2016 le immatricolazioni tornerebbero ai valori del 2008, un milione e mezzo. Quasi tre milioni id famiglie dichiarano che nel 2016 compreranno un elettrodomestico nuovo, molti intendono acquistare mobili e ristrutturare la propria abitazione. E' tornato l'ottimismo: il 39,8% dichiara di aver fiducia nel futuro contro il 22,4% che ancora non vede segnali positivi e il 37,8% ancora incerto.

Il lavoro: un rimbalzo parziale e "selettivo".  Non si può negare che quest'anno ci sia stata una ripresa dell'occupazione: il Censis però osserva le cifre con la lente d'ingrandimento e rileva che intanto mancano ancora all'appello, rispetto al 2008, 551.000 posti di lavoro, tanto che il tasso di disoccupazione è all'11,9% contro il 6,7% di otto anni fa. Ma l'aspetto più grave è che si registra un crollo dell'occupazione giovanile: ad aumentare davvero sono stati "per decreto" i lavoratori anziani, tra i 55 e i 64 anni, sono passati dai 2,5 milioni del 2008 ai 3,5 milioni attuali, e continuano a crescere. Ci sono 2,2 milioni di Neet, 783.000 sottoccupati, 2,7 milioni di lavoratori in part-time involontario. Eppure molti sono costretti a strafare: 10,3 milioni nell'ultimo anno hanno lavorato oltre l'orario formale senza il pagamento degli straordinari, 4 milioni hanno arrotondato con piccoli lavoretti saltuari.

Il nuovo capitalismo "ibrido". Vince chi esporta (l'export vale il 29,6% del Pil), chi riesce a inventare "un nuovo stile italiano" attraverso l'"ibridazione", la trasformazione dei settori tradizionali, di cui design e moda sono l'archetipo, sostiene il Censis: coniugano "qualità, saper fare artigiano, estetica, brand". I settori vincenti: i produttori di macchine e apparecchiature, con un surplus di 50,2 miliardi di euro nel 2014, l'agroalimentare, con un aumento del 6,2% dell'export nei primi otto mesi di quest'anno, l'abbigliamento, la pelletteria, i mobili, i gioielli. E poi un settore "trasversale per vocazione", quello creativo-culturale, con 43 miliardi di export.

Il restringimento del welfare. In una società sempre meno coesa, anche il welfare si riduce, per effetto dei tagli della spesa pubblica. La spesa sanitaria nell'ultimo anno si è attestata a 110,3 miliardi contro i 112,8 del 2010. Il risultato è il "fai-da-te" per chi può permetterselo: la spesa sanitaria privata delle famiglie è passata dai 29,6 miliardi di euro del 2007 ai 32,7 del 2014, raggiungendo il 22,8% del totale. Chi non ce la fa arranca: 7,7 milioni si sono indebitati o hanno chiesto un aiuto economico per far fronte a spese sanitarie private. E chi proprio non riesce neanche a indebitarsi rinuncia: nel 66,7% delle famiglie a basso reddito almeno un componente l'anno scorso ha dovuto rinunciare a prestazioni sanitarie, o ha dovuto rinviarle.

Gli immigrati verso il ceto medio. Tra il 2008 e il 2014 in Italia i titolari d'impresa stranieri sono aumentati del 31,5%, soprattutto nel commercio, e mentre le imprese guidate da italiani diminuivano del 10,6%. Un indicatore, suggerisce il direttore del Censis Massimiliano Valerii, del fatto che "gli stranieri in Italia inseguono una traiettoria di crescita verso la condizione di ceto medio, differenziandosi così dalle situazioni di concentrazione etnica e disagio sociale che caratterizzano le periferie di Londra o Parigi".

© Riproduzione riservata
04 dicembre 2015

Da - http://www.repubblica.it/economia/2015/12/04/news/censis_rapporto_2015_sulla_situazione_del_paese-128722147/?ref=nl-Ultimo-minuto-ore-13_04-12-2015
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« Risposta #7 inserito:: Aprile 26, 2016, 09:16:58 am »

Prestiti, il primato della Basilicata e di Ragusa: segnali di ripresa dal Mezzogiorno
L'analisi Crif dei dati sull'erogato di prestiti e mutui nel 2015 riserva qualche sorpresa.
Ma non si tratta di anomalie: la produzione di auto a Melfi ha innescato un ciclo positivo per la Regione, segnalato anche dalla Banca d'Italia.
E nel ragusano è boom di turisti


Di ROSARIA AMATO
23 aprile 2016

Prestiti, il primato della Basilicata e di Ragusa: segnali di ripresa dal Mezzogiorno
L'incremento dei prestiti è legato soprattutto all'acquisto di beni durevoli, in particolare auto e arredamento (ansa)

ROMA - Il primato per i prestiti finalizzati nel 2015 non stupisce nessuno: in testa il Trentino Alto Adige con un erogato medio di 5.634 euro. Al contrario, lo studio Crif Credit Solutions su mutui e credito al consumo riserva una sorpresa sul versante dei prestiti personali, dove il primato spetta invece alla Basilicata, con un erogato medio di 13.767 euro, ben al si sopra dell'importo medio nazionale che è di 12.835 euro. E tra l'altro gli analisti Crif sottolineano anche come l'importo medio dei prestiti personali si sia allineato nel 2015 ai livelli precrisi, mentre per i prestiti finalizzati ancora gli oltre 6.000 euro del 2007 rimangono lontanissimi dai 4.242 del 2015. Questo minirecord della Basilicata non è un dato anomalo: da mesi la Regione dà segnali di inversione di tendenza a fronte di un Mezzogiorno che in generale fa invece più fatica a riprendersi dalla crisi.

Una tendenza che si respira già da una serie di titoli di giornali che parlano di "ripresa nel tacco d'Italia" o ancora di "effetto Melfi sui consumi", con un diretto riferimento alla fabbrica della FCA di San Nicola di Melfi, nel Potentino, 8.000 unità più circa 3.000 dell'indotto: lo scorso anno sono state prodotte 390.000 vetture, il triplo rispetto alle 123mila del 2014, con un incremento del 217%. E l'effetto su occupazione e consumi sta arrivando sui dati: l'ultimo report della Banca d'Italia sulla Regione sottolinea come gli indicatori del mercato del lavoro mostrino un andamento migliore rispetto al resto del Mezzogiorno. L'aumento degli occupati ha prodotto un aumento dei consumi: già nell'aprile dell'anno scorso la Basilicata mostrava una variazione annua da record, il 4,7% rispetto, per esempio, a un aumento del 2,1% in Lombardia.

Il merito è tutto delle automobili? Forse, però la ripresa della produzione industriale si è riflessa anche in altri settori, a cominciare da quello delle costruzioni, mentre il turismo ha registrato un vero e proprio boom soprattutto nella provincia di Matera, con un aumento del 45%. Il clima positivo attrae sempre più investitori esteri, ma anche grandi gruppi italiani rafforzano in Basilicata la loro presenza, a cominciare dalla Barilla, che vanta un insediamento di lunghissima data. Sotto il profilo dei mutui invece la media lucana non è certo da record, di poco al di sopra dei 110.000 euro, ma va considerato che in genere nel Mezzogiorno le case costano meno che altrove. E però anche sui mutui in Basilicata c'è una certa vivacità: uno studio Tecnocasa su dati della Banca d'Italia mostra come nel terzo trimestre del 2015 si registri una variazione positiva del 136% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente. Se si guarda alla sola provincia di Matera l'aumento è addirittura del 164,9%.
Nella top ten dei prestiti personali stilata dal Crif c'è anche un'altra provincia meridionale, quella di Ragusa, con un importo medio dei prestiti erogati di 13.833 euro, anche in questo caso superiore alla media nazionale. Nel Ragusano non c'è un'attività industriale paragonabile a quella lucana, però certamente la provincia negli ultimi anni ha beneficiato di un boom turistico robusto, spinto in buona parte dalla serie televisiva del Commissario Montalbano: è da quando il primo film è approdato in tv, e soprattutto da quando è arrivato all'estero che sono aumentati gli arrivi di turisti e persino gli acquisti di immobili, si parla di "Ragusashire", proprio come molto tempo fa si era parlato di "Chiantishire". Ai primi tre posti per i prestiti personali ci sono tuttavia tre province del Centro-Nord, e cioè Sondrio, Reggio Emilia e Modena.

Per i prestiti finalizzati le province in testa sono rigorosamente del Nord industriale, e cioè Como, Varese e Biella. Così anche per i mutui, dove la prima provincia meridionale in classifica è Napoli, che arriva però solo al ventiquattresimo posto, con un importo di 124.814 euro che è comunque superiore alla media nazionale di 122.942 euro. La prima Regione è invece ancora il Trentino Alto Adige con oltre 180.000 euro, seguito a distanza da Lazio e Lombardia con circa 140.000 euro. Gli importi più bassi si riscontrano in Molise e Calabria, agli ultimi posti della classifica nazionale con importi medi al di sotto dei 100.000 euro.

© Riproduzione riservata
23 aprile 2016

Da - http://www.repubblica.it/economia/2016/04/23/news/prestiti_il_primato_della_basilicata-138310860/?ref=HREA-1
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