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Autore Discussione: PIERO BIANUCCI - Robert Edwards processo a un Nobel discusso  (Letto 2435 volte)
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« inserito:: Ottobre 23, 2010, 08:45:13 am »

23/10/2010

Robert Edwards processo a un Nobel discusso

PIERO BIANUCCI

Che ci sia una «politica del Nobel» lo dice il nome di certi vincitori per la letteratura, l’economia e la pace. I Nobel scientifici sono diversi. Di solito arrivano quando il consenso sul lavoro del vincitore è ormai unanime. Ma quest’anno il Nobel della Medicina a Robert Edwards per la fecondazione in provetta è stato un sasso nello stagno. Il Vaticano ha dichiarato «inopportuna» la scelta fatta a Stoccolma e l’ha presentata come un attentato ai valori etici della Chiesa cattolica. Tra gli scienziati qualcuno maliziosamente ha rilevato che la tecnica applicata da Edwards era già di uso comune in campo veterinario. Altri hanno ribattuto che nell’uomo la questione è ben più complessa e si sono richiamati ad Alfred Nobel, che nel suo testamento istituì il premio pensando ad applicazioni che migliorino la qualità della vita. Il dibattito è più italiano che internazionale perché il Vaticano l’abbiamo in casa e sulla fecondazione assistita il centrodestra ha introdotto una legge molto restrittiva. Migliaia di coppie ogni anno sono costrette ad andare all’estero, dove il procedimento è meno invasivo verso la donna e per le coppie esposte al rischio di trasmettere ai figli malattie genetiche prevede controlli sull’embrione prima dell’impianto.

Con queste premesse è normale che la polemica, quasi inesistente all’estero, da noi si trascini e inacidisca: insomma, il Nobel a Edwards è una scelta di civiltà o una sfida ideologica alla Chiesa? A 32 anni dalla nascita di Louise Brown, prima figlia della provetta, ne hanno discusso ieri all’Università di Torino il biologo Aldo Fasolo, il bioeticista Maurizio Mori, il chirurgo Giorgio Paletto e Luca Savarino della Commissione bioetica della Chiesa valdese e docente di bioetica all’Università del Piemonte orientale, il filosofo Enrico Pasini. Senza entrare nella cronaca del dibattito, ne estraiamo qualche spunto utile alla riflessione in attesa del 10 dicembre, quando il rito della premiazione sarà officiato dal re di Svezia. La fecondazione in provetta è un risultato importante lungo il percorso che in mezzo secolo ha portato dalla scoperta della struttura del Dna alle attuali ricerche sulle cellule staminali: come ha detto ieri Fasolo, «il Nobel a Edwards va in realtà a un’intera generazione di biologi».

Oggi sono 4 milioni i bambini nati grazie alla tecnica della fecondazione artificiale. E’ una casistica che permette di costruire scelte etiche e politiche su dati sperimentali e non soltanto su principi astratti. Tesi che scontenterà i dogmatici, ma apre anche una nuova strada al legislatore e alla morale laica, che è pur sempre, kantianamente, «ragion pratica». Interessante la tesi di Maurizio Mori, per il quale questo Nobel segna la «secolarizzazione della biologia» così come nel 1609 le osservazioni al telescopio di Galileo segnarono la secolarizzazione dell’astronomia. Grazie a Edwards, «alla sacralità della nascita si è sostituita la responsabilità dell’atto procreativo», affermazione scandalosa per chi, come Giorgio Paletto, ritiene che l’embrione sia potenzialmente un essere umano e dunque non riducibile a strumento per soddisfare il desiderio di paternità, tanto più che esistono rischi di gravidanze multiple, parto prematuro e malformazioni del feto.

Con gli interrogativi sullo statuto ontologico dell’embrione si arriva al nocciolo, e qui bisogna avere presenti le più recenti acquisizioni dell’embriologia: l’identità della persona - l’ha detto Luca Savarino - non è riducibile al Dna, e fino a un certo punto dello sviluppo embrionale non esiste un «individuo»: lo prova il fatto che può dividersi e dare origine a due persone. Invece di litigare su labili concetti come ovulo fecondato, morula, blastula, gastrula e così via, conviene operativamente rivedere in senso più umano la legge 40, che al momento è fonte di disagi gravi e sofferenze. Sotto traccia, al fondo del contrasto sulla fecondazione assistita, c’è una diversa visione della Natura: sacra per il cattolico che la identifica con la volontà stessa di Dio, e invece messa da Dio a disposizione dell’intelligenza umana nella visione laica e della Chiesa valdese. Ma al di là della filosofia, come ha detto un giovane tra il pubblico, conta l’aspetto esistenziale, contano la nuova vita venuta alla luce e le coppie felici per aver coronato l’aspirazione a diventare genitori. Nel 1966 a Cambridge Robert Edwards riuscì per la prima volta a fecondare un uovo in provetta. «Non potrò mai dimenticare - ha poi raccontato - il giorno in cui guardando nel microscopio ho visto una cosa strana nelle colture. Ho guardato meglio, e quello che ho visto era una blastocisti che mi osservava. Ho pensato: ce l’abbiamo fatta». La gioia dello scienziato, che a sua volta ha generato quella di tante persone che senza Edwards non sarebbero in questo mondo.

http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=7992&ID_sezione=&sezione=
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« Risposta #1 inserito:: Agosto 30, 2011, 09:57:07 am »

30/8/2011

Un battito d'ali placa Irene

Dietro le polemiche per l'uragano di New York la vecchia pretesa della previsione assoluta

PIERO BIANUCCI

Dopo la tempesta reale Barack Obama e il sindaco di New York Bloomberg affrontano quella metaforica. Adesso nell’occhio del ciclone ci sono loro. I giornali sembrano delusi per la tragedia mancata (se 25 morti vi sembrano pochi). Gli sfollati tornano a casa con uno stato d’animo che oscilla tra il sollievo per la fine dell’incubo e la rabbia per il weekend rovinato. Il partito conservatore carica a testa bassa: Obama ha sopravvalutato il pericolo, le misure preventive sono state uno spreco di denaro pubblico, tanta paura per un po’ di vento e qualche secchio d’acqua.

Ma se chi ha fatto le scelte politiche è in prima linea, subito dopo ci sono gli scienziati. Come, con tutti i loro supercomputer non riescono a prevedere il percorso di un ciclone?

Speculazioni politiche a parte, qui c’è un problema vero e tipico del nostro tempo: come gestire le grandi emergenze partendo da informazioni scientifiche.

Per molti la scienza si scrive con la S maiuscola. È un totem, un oracolo. Per altri (non pochi) è una manifestazione di arroganza intellettuale.

Il difficile è far capire a una intera popolazione, decine di milioni di persone, che invece la scienza non è né l’una né l’altra cosa. La scienza è un metodo, non un repertorio di soluzioni. Le sue risposte sono sempre provvisorie, e il più delle volte sono semplicemente nuove domande formulate meglio. In ogni caso le risposte scientifiche per essere tali devono portare con sé una stima della loro probabilità. Non ci sono risposte giuste e risposte sbagliate. Ci sono risposte con un più o meno alto grado di attendibilità.

Ora, quando parliamo di come cadono le mele (per fermarci a Newton) le risposte sfiorano la certezza. Quando parliamo di nuvole, sole e pioggia, e quindi di uragani come Katrina e Irene, le risposte sono sotto il dominio del caos, usando la parola non in senso figurato o letterario, ma nel senso propriamente matematico.

Edward Lorenz, dopo aver fatto le previsioni del tempo per l’esercito americano durante la seconda guerra mondiale, nel 1963 provò a costruire un modello dell’atmosfera terrestre estremamente semplificato e lo fece girare su un computer del Mit. Per un po’ l’evoluzione fu rappresentata da una spirale che si avvolgeva su se stessa, segno di un tempo meteorologico abbastanza stabile. Poi, all’improvviso, la linea divergeva dalla vecchia spirale e andava a disegnarne un’altra, opposta alla prima. Quella svolta brusca è il segno del caos, dell’imprevedibile.

Il modello dell’atmosfera di Lorenz aveva solo tre variabili. Nella realtà sono milioni. Le due spirali disegnano una farfalla. Curiosamente, chi titolò l’articolo scientifico di Lorenz usò l’espressione «effetto farfalla» con riferimento all’idea che una piccola causa, come un battito d’ali, in meteorologia può portare conseguenze enormi come un uragano.

Obama e Bloomberg stanno provando sulla loro pelle l’effetto farfalla. Forse hanno esagerato nel lanciare il grido di allarme. Ma è meglio eccedere in prudenza che in superficialità, come fece l’amministrazione Bush con l’uragano Katrina (1836 morti e danni per 82 miliardi di dollari). E poi c’è un aspetto didattico da non sottovalutare: il piano anti-Irene deve essere visto anche come una prova generale di fronte a una qualsiasi emergenza, attacchi terroristici inclusi. La protezione civile è prima di tutto una cultura diffusa nella popolazione, non il miracolo di un demiurgo alla Bertolaso.

L’altro punto cruciale è la nostra aspettativa verso la scienza. Scientisti e antiscientisti hanno una cosa in comune: entrambi sottintendono che la scienza sia onnipotente, i primi nel produrre benefici, i secondi nel generare disastri. Prigioniero di questa dicotomia, l’uomo occidentale contemporaneo non è più capace di accettare i margini di incertezza. Come cade la mela lo sappiamo al 99,99 per cento, che cosa farà l’uragano Irene si può prevedere con una probabilità del 60-70 per cento. Troppo poco? Beh, non si può fare meglio, non è questione di supercomputer, dipende dal fatto che l’atmosfera è caotica.

La pretesa di certezza assoluta è per sua natura antiscientifica perché le certezze coincidono con i dogmi. Altrettanto antiscientifica è la pretesa del rischio zero che coltivano i teorici del «principio di precauzione». Il rischio zero, oltre ad essere irraggiungibile, è un’astrazione paralizzante. Bruno de Finetti, il più brillante matematico della probabilità del secolo scorso, metteva in guardia contro la «prudenza infinita». E lui se ne intendeva: prima di andare in cattedra all’Università di Roma era stato per quindici anni alle Assicurazioni Generali, una potenza finanziaria fondata sulla percezione del rischio e della sua probabilità. Obama ha cercato il punto di equilibrio tra incertezza della previsione e ragionevole prudenza. Potremmo parlare, più bonariamente, di buon senso.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9142
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