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Autore Discussione: Nicola Rossi, La tregua fiscale non basta  (Letto 2529 volte)
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« inserito:: Agosto 30, 2007, 11:51:53 pm »

La lettera di Nicola Rossi

La tregua fiscale non basta

 
Caro direttore, il positivo andamento delle entrate è, con ogni probabilità, fra i fenomeni più significativi di questo primo scorcio di legislatura. In questo senso, i recenti dati relativi alle autoliquidazioni Irpef, Ires e Irap (più 21%) non hanno fatto che confermare una tendenza già piuttosto evidente nel 2006. Maessi non bastano a comprendere la centralità che la questione fiscale ha assunto nel dibattito economico e politico in questi ultimimesi. Una centralità che deriva invece dal fatto che essa sintetizza molti dei problemi di fondo che segnano in questa fase l'Italia. Ad esempio, un processo decisionale opaco e comunque poco informato.

La piena comprensione dell'origine degli andamenti recenti delle entrate tributarie è essenziale per definire correttamente i possibili utilizzi delle risorse così recuperate. Sono fenomeni di origine ciclica? Attribuibili ai provvedimenti assunti nel corso di questi mesi ed eventualmente già operanti?O si tratta, piuttosto, di modifiche dei comportamenti degli operatori? E, in questo caso, si tratta di modifiche reversibili o destinate a durare? Per il tramite di uno dei principali quotidiani italiani, il viceministro competente ci assicura che «l'aumento delle entrate fiscali — a parità di reddito e di legislazione—è interamente dovuto al recupero di evasioni ed elusioni fiscali» e dunque «la lotta all'evasione va mantenuta con lo stesso rigore fin qui applicato».

E' un'opinione certamente degna di fede e presumibilmente fondata su solidi elementi conoscitivi. E’ troppo chiedere che questi elementi conoscitivi siano resi pubblici ed eventualmente che siano resi pubblici i margini di incertezza che li caratterizzano? Quanta parte degli incrementi di entrate è imputabile alla fase congiunturale e quindi non dovrebbe essere utilizzata per incrementi di spese correnti o anche per riduzioni permanenti di entrate? Quanta parte degli incrementi di entrate derivano dalle misure approvate ed eventualmente attuate in questi ultimi quindici-sedici mesi e come si comparano con i maggiori oneri burocratici eventualmente sopportati a causa di quelle misure dai contribuenti? Quanta parte degli incrementi delle entrate sono in realtà fittizi essendo controbilanciati da poste non note di segno opposto (e cioè le richieste di rimborso)? A quanto ammonta lo stock di queste richieste? E come è variato nel corso degli ultimi 15-16 mesi? Qual è e qual era il tempo medio di rimborso e come si compara con quello prevalente, ad esempio, in Germania? Ancora, quali elementi ci consentono di associare gli incrementi delle entrate non attribuibili alle variazioni del reddito e della legislazione ad un miglioramento della tax compliance, e soprattutto quali elementi ci consentono di valutare come strutturale quel miglioramento?

Com'è ovvio, il campo del dibattito economico-politico risulterebbe di gran lunga più ridotto se si potesse rispondere in maniera convincente e documentata a quest'ultima domanda. Se si potesse indicare se e dove, per esempio, l'esperienza attuale diverge da quella degli anni a cavallo del secolo. Anni in cui risultati significativi in termini di adempimento degli obblighi tributari—non avendo modificato alla radice i comportamenti dei contribuenti ma essendo stati pressoché esclusivamente dipendenti dalla pressione esercitata dall'amministrazione—si rivelarono, al passaggio da una legislatura all'altra, del tutto transitori. Naturalmente, un contesto opaco è spesso del tutto funzionale ad una politica che tende ad esaurire se stessa negli obiettivi dellamediazione e della sopravvivenza. Manon si pensi che i cittadini ed i contribuenti non lo capiscano. Un secondo esempio: un sistema politico costruito per vincere le elezionima non per scegliere e governare.

Nella attuale maggioranza convivono sul tema fiscale opinioni sicuramente legittime ma diametralmente opposte. C'è chi considera il pagamento delle imposte un atto dovuto da parte dei cittadini, in maniera del tutto indipendente dall'utilizzo successivo delle stesse imposte. Segue direttamente da questa impostazione l'idea che si possa e si debba perseguire il contribuente inadempiente prescindendo dai costi addossati ai contribuenti onesti. E c'è, invece, chi pensa—e credo che fra questi si possa annoverare Walter Veltroni — che un corretto rapporto fra il contribuente e lo Stato debba essere basato sulla ottemperanza dei reciproci doveri e sul rispetto dei reciproci diritti. Ciò che rende legittima la richiesta dello Stato è, molto prima che il suo apparato repressivo, il comportamento dello Stato stesso. La sua efficienza, la sua capacità di risposta ai bisogni dei cittadini, la sua severità con se stesso prima ancora che con il cittadino. Da ciò segue naturalmente l'idea che il punto di riferimento della politica tributaria deve essere il contribuente onesto al quale offrire un sistema fiscale semplice, un'amministrazione spedita ed efficiente, modalità di lotta all'evasione mai invasive.
Quelle citate non sono due strategie di politica fiscale ma due visioni del mondo che convivono con grande difficoltà. E, dunque, non ci si meravigli se, a giorni alterni, quella convivenza sembra destinata a non durare. Date queste premesse, la proposta di una tregua fiscale — ha ragione il presidente di Confindustria — è da considerarsi, nel migliore dei casi, una proposta minimale. Una piccola concessione verso il suddito-contribuente. Ma gli italiani non di piccole concessioni hanno oggi bisogno. Essi hanno piuttosto diritto ad uno Stato che faccia finalmente, per intero e in tutti i campi di sua stretta competenza, il suo dovere.

Nicola Rossi
30 agosto 2007
 
da corriere.it
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