23/7/2010
Per il Kosovo una sentenza che non decide
GIUSEPPE ZACCARIA
L’indipendenza che Pristina ha proclamato il 17 febbraio di due anni fa non è illegittima in quanto «non espressamente preclusa» dalla risoluzione 1244 dell’Onu, che pure riconosce alla Serbia sovranità sulla sua provincia meridionale. E’ un po’ come dire che se ti appropri di una parte di casa mia te la puoi tenere perché questo «non è espressamente precluso» dal regolamento di condominio, però in attesa che il lungo e discutibile parere della Corte di Giustizia dell’Aja sia analizzato in ogni sua parte (e si tratta di un documento particolarmente lungo) da ieri il mondo civilizzato deve fare i conti con nuove e temibili opzioni.
Dopo il parere - per quanto «non vincolante» - del solo tribunale che sia riconosciuto da quasi tutti i Paesi del mondo, se adesso per ipotesi la Catalogna decidesse di autodefinirsi repubblica indipendente Madrid avrebbe un argomento in meno per opporsi alla scelta, e se la parte Nord di Cipro occupata dai turchi volesse riprovare a proclamarsi Stato oggi il resto d’Europa sarebbe costretto quanto meno a darle ascolto. Lo stesso potrebbe accadere ai moldavi e agli ungheresi di Romania, agli albanesi del Nord della Grecia, e in pura teoria perfino ai ceceni, anche se si può azzardare l’ipotesi che in quel caso Mosca sceglierebbe argomenti diversi. Insomma, da ieri le leggi internazionali non valgono più, o almeno non del tutto, in uno dei loro principi essenziali, quello che prevede l’integrità territoriale delle nazioni.
Per la Serbia il colpo è duro, e c’è da augurarsi che la democrazia nata a fatica da bombardamenti umanitari e crisi economiche riesca a sopravvivere all’urto, il ministro degli Esteri Vuk Jeremic annuncia «una dura lotta politica», l’omologo kosovaro Skender Hysani è pronto a sedersi al tavolo di una trattativa che, per come stanno le cose, potrebbe farsi attendere anni. Gli osservatori si aspettavano una decisione che dopo aver ribadito il principio giuridico dell’integrità territoriale, che tuttora rappresenta uno dei cardini dei rapporti internazionali, scivolasse poi attraverso una serie di qualora e purtuttavia verso una sostanziale accettazione dello «status quo». La Corte dell’Aja è andata ben oltre, con questo offrendo il fianco a una serie di critiche e sospetti, ma più che delle polemiche adesso interessa occuparsi delle conseguenze di questo «parere».
Per quanto riguarda Serbia e Kosovo le prospettive non mutano, anche se naturalmente oggi Pristina si sente più forte. L’idea di contatti che riuscissero a dirimere almeno qualche problema concreto (chi paga l’elettricità, chi gestisce le linee telefoniche, come amministrare una demarcazione amministrativa che si tende a far diventare frontiera) si era già fatta strada anche per via delle pressioni europee, e prima o poi troverà uno sbocco. Tutto da decifrare rimane invece il futuro istituzionale di una regione che proclamandosi indipendente finora ha ottenuto il riconoscimento di soli 69 Paesi (Stati Uniti d’America, certo, Germania, Gran Bretagna, Italia ma anche Swaziland e Isole Tonga), ossia circa un terzo di quanti compongono l’assemblea delle Nazioni Unite.
Le ipotesi che si continuano a fare sul Kosovo riguardano un «modello altoatesino» (ovvero quello di un’ampia autonomia, che però sembra già superato dalla decisione di ieri) oppure una «soluzione cipriota» che poi consisterebbe in una non-soluzione, nel fare nulla lasciando che la semplice accettazione dei fatti prevalga sul resto. Quindi un Kosovo ancora zoppo, Mitrovica sempre divisa in due con i serbi a Nord del fiume Ibar e gli albanesi al di là del ponte, ministri che partono da Pristina con un terzo del mondo che li accoglie con tutti gli onori e altri Paesi che li vogliono arrestare, e così via. Sempre di riuscire a fermare nel frattempo le aspirazioni indipendentiste degli albanesi del Presevo (valle ancora appartenente alla Serbia), dei musulmani del Sangiaccato (in parte vicini al «mufti» di Sarajevo) o quelle irredentiste della Republika Srpska di Bosnia, che aspira a riunirsi ai fratelli maggiori.
Nelle menti illuminate che popolano le cancellerie occidentali soltanto una prospettiva potrebbe limitare i danni del «non espressamente precluso», e questa sarebbe l’ingresso di nazioni, vallate e regioni nell’Unione Europea. Ma l’Unione è disposta a sopportarlo?
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