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Autore Discussione: Betancourt, la missioni francese è in Colombia  (Letto 5331 volte)
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« inserito:: Agosto 27, 2007, 03:34:03 pm »

Ingrid e gli sciacalli

Maurizio Chierici


Chi ha paura di Ingrid Betancourt? Venti giorni fa Patricia Poleo, venezuelana, giornalista in esilio volontario a Miami, racconta che Ingrid sta per essere liberata. Parcheggiata provvisoriamente in Venezuela nell'énclave dove spadroneggia la Farc, guerriglia vetereomarxista guidata da Tiro Fijo, mezzo secolo con le armi in pugno. Naturalmente amico di Chavez e Chavez vuol fare bella figura consegnando la Betancourt, da cinque anni sepolta nella foresta colombiana, alle mani della signora Sarkozy. Passa il tempo; di Ingrid nessuna notizia. La rivelazione non viene presa sul serio dai media delle due Americhe.

Sanno chi è Patricia Poleo. Silenzio a Miami e a New York. Silenzio a Parigi dove Chirac si era impegnato a liberare la signora un po' francese e un po' colombiana. Altri giornali d'Europa scoppiano di gioia con qualche dubbio ma un sospiro di felicità. Finalmente la separazione di una donna coraggiosa, leader verde del movimento Oxigeno, candidata alla presidenza della Colombia in concorrenza col liberista Uribe; finalmente, la mostruosità del sequestro Farc sta per finire.

Invece continua, non è successo niente. Ecco il sospetto di uno sciacallaggio atroce. L'impressione è che qualcuno stia usando la Betancourt per dimostrare che Chavez e le guerriglie sono una cosa sola proprio nei giorni in cui il presidente venezuelano comincia il giro delle americhe incrociando il Lula brasiliano. Sarebbero in concorrenza sulla leadership del continente. Esperienza sindacale e politica misurata sulle ricchezze del petrolio. Strategie che divergono attorno al Mercosur, mercato comune del quale il Venezuela vorrebbe far parte e tutti sembrano contenti. Il suo oro nero compra i bonus del debito di Paesi che hanno sfiorato la rovina. Un socio che distribuisce miliardi fa sempre comodo. Multinazionali del petrolio e i repubblicani del nord provano ad allargare i sospetti. Avvicinare Chavez ai crimini del terrorismo è una delle strategie per impedire il compattarsi di un sud minacciosamente ricco di materie prime. E la Betancourt diventa una pedina emotiva per pasticciare la coesione. Qualche sospetto resterà.

Madre, figli e l'ex marito di Ingrid si sono raccolti uniti ai familiari di altri 44 sequestrati storici, per chiedere a Chavez di fare qualcosa. Chavez rassicura. Lancia un appello Tv a Tiro Fiijo: non ti conosco, non so dove sei, ma ti prego di ascoltare. E parla e parla per convincerlo a liberare chi soffre. Il Tg2 Rai ce lo propone come ogni Tv del mondo, eppure la versione che gira sui giornali è un'altra: si sono telefonati, Chavez sa dove trovarlo. Questa la prova della correità. Ecco la partita che si gioca sulla pelle della Betancourt. Il presidente Uribe, ultimo alleato latino rimasto alla Washington di Bush, ha sempre rifiutato la trattativa, sincronizzato alla politica Usa. Mai scendere a patti. Le guerriglie devono essere sterminate e basta. Non può disobbedire. Il plan Colombia gli porta milioni di dollari in cambio della concessione di basi dove strateghi nordamericani addestrano i rangers locali; soprattutto tengono d'occhio Panama, militarmente abbandonata il 31 dicembre 1999. Inutilmente i familiari degli ostaggi chiedono di ammorbidire l'intransigenza. Uribe continuava a rispondere: libereremo i prigionieri con un inferno di fuoco.

Notizie troppo lontane dai nostri affanni. Spuntano a singhiozzo. Per aiutare la comprensione provo a ricostruire la beffa di Patricia Poleo e degli altri protagonisti. La Poleo è una signora di mezza età, lunghi capelli, occhiali e sorriso di convenienza. Ha vinto il premio re di Spagna col libro che racconta la cattura di Vladimiro Montesinos, ombra nera dell' ex presidente del Perù Fujimori. La sua polizia segreta sovrastava, torturava, faceva sparire chi non era d'accordo. Tanti delitti. Prima di scappare, Fuji lo molla e Montesinos sparisce coi suoi segreti. Dove è nascosto? Patricia Poleo lo racconta sul Nuevo Diario, giornale di famiglia: lo dirige assieme al padre scappato negli Stati Uniti. Giornale puntato contro il governo venezuelano. La rivelazione di sei anni fa ricorda la rivelazione Betancourt. La Poleo fa sapere che Montesinos è in Venezuela, protetto dalla polizia di Chavez. Come ha fatto a saperlo? Segreto di pulcinella perché è amica dei fratelli Guevara i quali hanno dato ospitalità al fuggitivo trattando col governo di Lima la taglia della consegna: 5 milioni di dollari. La notizia bomba della Poleo allarma ogni polizia. L'Fbi si dà da fare e informa Caracas che Montesinosa sta per essere trascinato dai protettori-carcerieri nell'ambasciata del Perù. Gli uomini di Chavez piombano sui Guevara e Montesinos: è il governo venezuelano a consegnarlo al governo di Lima. E i Guevara si arrabbiano col Perù: vogliono i cinque milioni. «Abbiamo fatto tutto da soli...». La Poleo li difende. La diffidenza che accompagna la rivelazione sulla Betancourt dipende dal pasticcio Montesinos?

Non solo: la battaglia della Poleo è lunga. Il 24 marzo 2002 torna da Washington, dove vive la famiglia con una delegazione che difende i diritti umani. Ne è portavoce, così è come portavoce dei giornalisti liberi «perseguitati da Chavez». Ogni delegazione straniera in ogni Paese viene tutelata da poliziotti forse messi lì per spiare, sicuramente per proteggere. La Poleo li rifiuta: non vuole «uniformi di Stato, solo guardie municipali». Ed elenca i municipi di Caracas dei quali si fida. Due settimane dopo, il colpo di Stato al quale partecipano proprio le forze municipali delle comunità indicate dalla Poleo. Appena Chavez viene arrestato Patricia dichiara alla Tve spagnola: nuovo presidente sarà l'imprenditore Pedro Carmona. Dodici ore dopo previsione confermata: a Madrid cominciano a sospettare che la Poleo sappia troppe cose. E con Pedro Carmona va in onda mentre scappa all'aeroporto quando il presidente deposto torna a governare. Per gli strani amici Usa che la proteggono, Patricia non serve in esilio: deve tornare a Caracas. Come tornare dopo i pasticci? Scrive una lettera al Chavez redivivo. Parole appassionate: la felicità di rivederlo in sella, ringraziamenti per la speranza che regala alla gente. «Devi sempre restare con noi». Funziona perché va e viene, e il suo giornale continua liberamente a dare l'assalto al governo. Almeno fino a ieri mattina assieme alle grandi Tv private (compresa Radio Tv Caracas, tutt'altro che imbavagliata: trasmette via cavo e satellite) e al Universal e al Nacional, quotidiani che dominano l'informazione. Succedono tante cose, sempre lei protagonista.

Nel 2005 sparano al procuratore Anderson: stava per chiudere l'inchiesta sul golpe fallito contro Chavez. Le sue conclusioni allargavano il cerchio delle responsabilità. Gli assassini ne bruciano il corpo. Ed El Nuevo Pais della Poleo è l'unico giornale a pubblicare la foto dei resti fumanti, avviso mafioso a chi insiste nello scavare la verità. Per strana coincidenza i protagonisti dell'affare Montesinos, amici esaltati dalla Poleo nel libro premiato dal re di Spagna, vengono arrestati per l'assassinio del giudice e la Poleo denunciata quale «autrice intellettuale del delitto». Smentisce, ma scappa: in Venezuela non torna più.

Il presidente Alvaro Uribe si sta arrendendo. Incarica una senatrice dell'opposizione di trattare con la Farc una zona smilitarizzata per discutere della Betancourt e degli altri ostaggi. La senatrice ne parla con Chavez invitando i due presidenti a riunirsi in una strategia comune. Uribe non può far marcia indietro. La tragedia Colombia sta per scoppiare. Quattro milioni di profughi interni, un milione e 200 mila accampati attorno a campi minati (2 mila bambini muoiono ogni anno) vivono «come animali randagi e affamati. Povertà che offende»: l'Acnur delle Nazioni Unite, Caritas e Chiesa colombiana lanciano l’allarme. I paramilitari della destra armata stanno ricattando il governo che vorrebbe disarmarli. Memorie elettroniche accusano deputati e ministri di aver intascato il loro narcodollari e di averli incoraggiati a fare pressione (vuol dire terrore) per far votare Uribe. Saltata la signora cancelliere. Altre teste stanno cadendo. Ma il presidente non si decideva a trattare temendo il ritorno della Betancourt. Se nei cinque anni dell'esilio ha mantenuto la grinta polemica con la quale gli contendeva la presidenza, e se al ritorno torna in politica, la rielezione indefinita pronta nel cassetto non solo salta ma sarà la Betancourt a prendere il suo posto. Per sgelare Uribe la madre di Ingrid assicura che appena liberata, Ingrid volerà in Francia, Colombia per sempre addio. Il dubbio del presidente resta.

Ultimo protagonista Chavez. Si raccontano tante cose: mostro latino, protettore dei terroristi, gigione che programma di ripresentarsi alle elezioni fino a quando la gente non lo manderà a casa. Un cambio costituzionale da discutere due volte in parlamento (tutto suo per il rifiuto degli oppositori di candidarsi), poi il giudizio dell'alta corte, e la conferma o bocciatura del referendum popolare. Uribe ha accorciato i passaggi. Nessun referendum, solo il parere delle corte che ha appena nominato. Eppure viene considerato un democratico di largo respiro. Al giornalista dispettoso che voleva sapere se non era imbarazzato a cambiare per la seconda volta Costituzione, ha risposto: «Roosevelt è stato eletto presidente quattro mandati consecutivi. Nessuno si è lamentato. Negli anni 30 gli Usa erano sconvolti dalla depressione. Negli anni '40 la seconda guerra mondiale richiedeva la continuità della sua mano. Ha lasciato la Casa Bianca quando è morto». Anche Chavez?, insiste un anno fa il giornalista dispettoso: «Se lo ritiene utile al Paese, anche Chavez fa bene a riaprire la Costituzione». Aggiungendo qualcosa che la Colombia trascura: garanzia della proprietà privata, orario di lavoro non superiore alle sei ore, paghe minime obbligatorie e una riforma fiscale che finalmente fa pagare le tasse e controlla la fuga dei capitali. «Per tirare fuori i fucili c'è sempre una prima volta», non lo gridano gli evasori di Caracas, lo annuncia la rivolta fiscale di Bossi. Tropici lontani che cominciano ad avvicinarsi.
mchierici2@libero.it

Pubblicato il: 27.08.07
Modificato il: 27.08.07 alle ore 10.17   
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« Risposta #1 inserito:: Febbraio 28, 2008, 03:37:55 pm »

Ingrid, raccontano ex compagni di prigionia, è allo stremo.

APPELLI DI Chávez E SARKOZY

Angoscia Betancourt, «sta morendo»

Gli ostaggi liberati mercoledì dalle Farc: «Ha l'epatite B, è molto malata».

La figlia: «Il tempo è contato»
 
 
BOGOTA' -Dai quattro ostaggi liberati giovedì dalle Farc nuove - e cattive - notizie sulle condizioni di salute di Ingrid Betancourt. Secondo i suoi ex compagni di prigionia, Betancourt sarebbe «molto malata», avrebbe probabilmente l’epatite b e potrebbe morire tra non molto.

IL RACCONTO - «È molto malata, completamente spossata fisicamente e moralemente» dice Luis Eladio Perez che spiega di aver visto per l’ultima volta Ingrid per pochi brevi istanti lo scorso 4 febbraio: mi è sembrata «molto malata» aggiunge preoccupato. Ancora più allarmante quanto riferisce un’altra rapita, Gloria Palanco: «soffre di epatite b, è vicina alla fine». I due ex ostaggi denunciano anche il trattamento inflitto dalle Farc alla Betancourt: «riversano la loro rabbia su di lei, la trattano senza pietà. Ingrid è costantemente incatenata, sempre circondata da persone che non le rendono certo la vita facile».

LO STRAZIO DELLA FAMIGLIA - «È estremamente inquietante e so che il tempo che abbiamo è davvero contato. La mamma è viva, ma non so per quanto. Ma so che bisogna che la si faccia venir via da là il prima possibile», ha detto la figlia della Betancourt, Melanie Delloye. «Per questo sono estremamente angosciata. Spero che le Farc e il governo colombiano facciano un accordo umanitario il più presto possibile», ha proseguito. Giovedì le Farc hanno liberato quattro ex parlamentari colombiani (Gloria Polanco, Luis Eladio Perez, Orlando Beltran e Jorge Eduardo Gechem), che si trovavano da sei anni ostaggi nella selva. Le Farc hanno tuttavia annunciato che ora attendono un ritiro militare per procedere a nuove liberazioni di prigionieri. Nelle mani della guerriglia ci sono ancora una quarantina di ostaggi «eccellenti», tra cui tre americani e la Betancourt.

APPELLI DI CHAVEZ E SARKOZY - Il presidente venezuelano Hugo Chávez ha chiesto al capo delle Farc di trasferire urgentemente Betancourt in un luogo sicuro. E all'appello di Chávez fa eco quello del presidente francese che si è detto disponibile ad andare a cercare di persona l'ostaggio franco-colombiano lungo la frontiera tra il Venezuela e la Colombia. «Chiedo alle Farc di liberare senza indugio Ingrid Betancourt. È una questione di vita o di morte, una questione umanitaria urgente», ha dichiarato Sarkoy durante una conferenza stampa congiunta con il suo omologo sudafricano Thabo Mbeki.


28 febbraio 2008


da corriere.it
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« Risposta #2 inserito:: Aprile 03, 2008, 04:51:13 pm »

Betancourt, la missioni francese è in Colombia


L'aereo della missione umanitaria inviata dalla Francia in Colombia per portare soccorso ad Ingrid Betancourt, da oltre sei anni in mano alle Farc, si trova attualmente nella base militare di Catam a Bogotà. Lo si è appreso da una fonte militare colombiana. «L'aereo è atterrato a Bogotà alle 2 locali (le 9 italiane di giovedì, Ndr)», ha precisato la stessa fonte che ha richiesto l'anonimato.
Secondo la radio privata colombiana Caracol, il velivolo è pronto a decollare a destinazione della città di San Jose del Guaviare, nel sud est della Colombia. L'apparecchio, un Falcon 50, prima di arrivare in Colombia, ha fatto scalo a Fort-de-France, nelle Antille francesi, dove durante le operazioni di rifornimento sono sbarcate da quattro a cinque persone.

«La missione è cominciata»: lo ha detto il presidente francese Nicolas Sarkozy in un incontro stampa a Bucarest, facendo riferimento alla missione umanitaria voluta dalla Francia per cercare di poter entrare in contatto con Ingrid Betancourt, che sarebbe in condizioni disperate. Ad una domanda che chiedeva notizie, Sarkozy ha detto «ho notizie, ma vista la sensibilità della vicenda non posso darne. Posso solo dire che la missione è partita».

Il Comitato internazionale della Croce rossa (Cicr) ha avvertito che senza un accordo delle Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc) non è possibile una sua partecipazione alla missione umanitaria avviata dalla Francia. In dichiarazioni alla stampa, la delegata del Cicr in Colombia, Barbara Hintermann, ha confermato che per il momento l'organismo non è stato invitato da entrambe le parti, elemento "sine qua non" è impossibile la partecipazione a qualunque operazione a favore degli ostaggi. La Hintermann ha ammesso che esistono contatti con Francia, Svizzera e con il governo colombiano, ma che per il momento è tutto, assicurando comunque che se si risolvesse il problema dell'accordo da parte della guerriglia «siamo disposti a metterci a disposizione per offrire materiale e medici per assistere gli ostaggi». Infine la delegata del Cicr ha indicato che nel caso di Ingrid Betancourt non è stato possibile avere notizie da una fonte primaria sul suo stato di salute, e tutto quello che si sa è stato comunicato da ex ostaggi liberati.

Un sacerdote colombiano che si era trasferito da un mese a San Josè del Guaviare, nel sud del paese, per cercare contatti con le Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc), è stato ferito a coltellate da uno sconosciuto che si è dato alla fuga. Lo riferisce Radio Caracol.

Si tratta, precisa l'emittente, di padre Luis Hernando Betancourt (ma non è parente di Ingrid) che settimane fa aveva ricevuto un via libera per la sua missione in favore di Ingrid Betancourt e degli altri ostaggi in mano alla guerriglia dallo stesso presidente Alvaro Uribe, trasferendosi per questo nella parrocchia Maria Auxiliadora di San Josè. È qui che un individuo ha bussato alla porta e ha aggredito il religioso ferendolo in sette parti del corpo con un'arma bianca. Fortunatamente nessuna delle ferite (ad un braccio, nella zona lombare, al torace e a un dito) era grave e padre Betancourt è riuscito a raggiungere con i suoi mezzi l'ospedale dove è stato curato ed è fuori pericolo. Le autorità hanno avviato le indagini per risalire all'autore dell'aggressione.


Pubblicato il: 03.04.08
Modificato il: 03.04.08 alle ore 16.14   
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« Risposta #3 inserito:: Aprile 07, 2008, 05:42:23 pm »

Un’ombra nera su Ingrid

Maurizio Chierici


Ecco le ultime notizie di Ingrid Betancourt: l’ansia diventa paura mentre continua il gioco ambiguo delle diplomazie. «Un manichino senza forza. Magra come uno scheletro. Le ho preso la mano: coraggio. Ha alzato gli occhi per ringraziare. I guerriglieri la stavano caricando su una jeep». Due contadini l’hanno incontrata attorno al paesino di Tomachipàn: cinquecento persone, cinquecento contadini per modo di dire perché duecento indossano la tuta mimetica della brigata 22, truppe speciali che assediano le Farc. Chi ha rincuorato Ingrid va dal sacerdote cattolico don Manuel Macera da vent’anni missionario nella regione dello Guaviare. «Sapevo che stava male », ha raccontato il prete a Gonzalo Guillen, giornalista del Nuevo Herald di Miami, arrivato con un piccolo aereo superando divieti e le minacce del comando militare. Cielo proibito, nessun curioso può entrare. «Non la immaginavo tanto grave», gli racconta don Manuel. «Deve stare davvero male per spingere i sequestratori a portarla a un passo dalle postazioni dei rangers».

«Cercavano medicine, soprattutto un dottore - continua don Manuel - Nessun dottore vive a Tomachipàn. E mancano farmaci per curare malaria, gastriti, malattie endemiche nella foresta». Il prete racconta di un altro incontro a La Paz, villaggio a pochi chilometri da Tomachipàn. Lo avvicina un guerrigliero che conosce. «Caro don Manuel, preghi per noi, ne abbiamo bisogno; preghi per Ingrid, chissà se ce la fa».

Attorno alla signora da sei anni sepolta nella foresta fioriscono belle parole e buone intenzioni, ma un po’ tutti non si arrendono alla soluzione naturale: scambio di prigionieri. Le Farc vogliono vedere i loro uomini in libertà, non importa i delitti e le colpe. Il presidente Uribe non cede, princìpi induriti dagli aiuti militari Usa: non si tratta coi terroristi. E la Betancourt resta dov’è. Sul suo nome ognuno gioca gli interessi della politica personale anche perché Uribe non ha voglia che la Betancourt torni a casa. Sciolta dalle catene Farc, in qualche modo ricomincerà a fare politica. E sarebbe un disastro. La lunga lettera dalla prigionia fa capire come sotto gli stracci della non vita, carattere ed impegno sociale non siano cambiati. Riportarla fra chi dovrà votare è un pericolo che l’ex avversario nella corsa alle presidenziali di sei anni fa, continua ad allontanare. Accuse della madre, della sorella, dei figli di Ingrid rimbalzano da mesi. Se la signora muore, Uribe può esserne travolto. Ecco il pantano nel quale prova a galleggiare.

Le Farc galleggiano da quasi 50 anni: lotta armata che appartiene ad un passato ormai sepolto nel continente; crudeltà medioevale e insensata. I rovesci armati stanno sfinendo il loro potere, eppure resistono perché è complicato schiacciarli nell’oceano verde di una foresta dove le armi sofisticate non trovano i bersagli. Ingrid resta il ricatto sul quale giocare un possibile futuro. Se la signora non ce la fa saranno travolti.

Chavez si è riofferto per mediare. Ha avvertito che la missione dell’aereo autoambulanza francese è ipotesi irrealizzabile. Il Falcon di Parigi resta parcheggiato in un angolo dell’aeroporto di Bogotà. Non può atterrare fra le piante. E la famiglia Betancourt invoca il ritorno di Chavez alla mediazione: è l’unico ad aver liberato ostaggi, almeno finora. Non è solo la solidarietà di un cuore solidale, quella del presidente venezuelano. Anche le sue acque sono agitate. Non riesce a fermare l’inflazione, né l’accaparramento dei prodotti alimentari. Venezuelani in fila a fare la spesa. E la sconfitta nel referendum sta dando fiato all’opposizione interna. Strappare la Betancourt dalle mani Farc può essere l’impresa da proiettare nel mondo, soprattutto latino.

Il terzo presidente dalle parole è passato all’azione. Sarkozy deve riguadagnare la popolarità evaporata nelle ultime settimane, soprattutto far capire a Washington, Russia e Cina che la Francia non è una protagonista del passato. Ma nelle pieghe della missione che ormai affronta in prima persona, affiorano protagonisti sconcertanti mandati da Parigi per favorire mediazione e liberazione dei prigionieri. La presenza di Mario Sandoval Alarcon nella delegazione francese ha gelato le Farc, sconvolto la senatrice colombiana Piedad Cordoba, messo in allarme il governo venezuelano e l’opposizione di Bogotà. Cosa fa una vecchia bandiera del terrorismo neofascista in una missione di pace? Forse Sarkozy non sa chi è Sandoval; forse i suoi servizi lo hanno imbrogliato. Ma dopo l’apparizione del «padrino delle squadre della morte» nel Guatemala del generale Rios Montt e nel Salvador del maggiore d’Aubuisson mandante dell’assassinio del vescovo Romero, la liberazione della Betancourt si è di nuovo bloccata.

Mario Sandoval è la leggenda ricordata alla Commissione Stragi di Roma anche da Stefano Delle Chiaie, seduta 26 luglio 1979. Rispondendo alle domande del presidente Giovanni Pellegrino fa sapere che nella sua amicizia con Jay Simon Solby, nome di battaglia Castor, ispiratore di attentati «anticomunisti» in Italia, Europa e America Latina, ha saputo dei suoi rapporti con Mario Sandoval, pedina principe delle strategie «sporche» di Washington. Solby era alle sue dipendenze in Costarica e Salvador. Lo conferma Bill Moyers segretario del Public Broocasting Service, servizio segreto e parallelo alla Cia col quale Mario Sandoval Alarcon comincia a far carriera: organizza i massacri del contadini guatemaltechi, inventa Orden, battaglione senza divisa che terrorizza le campagne del Salvador. Nel 1981 batte cassa appena eletto Reagan: gli servono più soldi per reclutare « professionisti indispensabili al disegno anticomunista» della World Anticomunist League che lo vede protagonista nel continente latino. Nel Cile di Pinochet, nell’Argentina di Videla. È la spalla di Oliver North durante l’operazione Irangate contro il Nicaragua sandinista. Quando North finisce in tribunale, Sandoval sparisce. Riappare in Europa, Francia e Spagna dove ha uno strano incarico: insegnante all’istituto di Studi sull’America Latina di Parigi e alla Nuova Sorbona. Chi può aver messo in una cattedra sia pure temporanea un personaggio così? In compagnia di Alain Juliette, che appartiene alla direzione generale della sicurezza esterna francese, rispunta in Cile a un convegno organizzato dall’università Bernando O’Higghins voluta da Pinochet. Ma gli Stati Uniti sono preoccupati per la Colombia ed ecco che Mario Sandoval a Santa Fè de Ralito si mescola a 32 comandanti paramilitari. Assieme a Salvatore Mancuso e Jorge 40 garantisce un nuovo patto sociale che appoggia la legge Giustizia e Pace concessa dal governo Uribe. I terroristi di una destra neanche tanto clandestina messa in campo da latifondisti impauriti dall’inquietudine delle folle in povertà, godranno di un colpo di spugna ufficiale: delitti, attentati e furti cancellati se deporranno le armi. Almeno nella forma, davanti alle Tv. La presenza del «professore della Sorbona» conferisce sacralità all’accordo. Nasce una Ong paradossale: si impegna a difendere «democrazia e valori della libertà». Sandoval ne è il garante: non solo della mascherata ma soprattutto dei finanziamenti. Arrivano da notabili colombiani e strane ong di Stati Uniti e d’Europa. Con la rapidità di Zelig, cambia ancora d’abito: esce di scena per riapparire nella delegazione francese impegnata a liberare la Betancourt mediando con le Farc. L’ambasciata di Parigi a Bogotà smentisce che il signor Sandoval abbia un incarico ufficiale fra i consiglieri del presidente Sarkozy. Ed è un’ammissione: ufficiale no, ma di fiducia sì. Chi l’ha messo sull’aereo di Stato atterrato a Bogotà? E quando mai Mario Sandoval si è presentato a qualcuno con credenziali ufficiali? Povera Betancourt, speriamo bene.

Pubblicato il: 06.04.08
Modificato il: 07.04.08 alle ore 8.14   
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« Risposta #4 inserito:: Aprile 09, 2008, 08:55:06 pm »

ESTERI

Con un duro comunicato, la guerriglia colombiana respinge la proposta di Parigi e scarica la colpa sul presidente Uribe: "Non ci facciamo ricattare o influenzare" Betancourt, no delle Farc alla missione francese


BOGOTA' - Le Farc hanno giudicato "irricevibile" la missione umanitaria organizzata dalla Francia che si riprometteva di prestare soccorso medico a Ingrid Betancourt. Il no delle Forze armate rivoluzionarie colombiane è stato reso noto tramite un comunicato diffuso dall'agenzia Abp, vicina alla guerriglia. E così, l'aereo inviato da Parigi, e già atterrato a Bogotà, è tornato indietro.

Il comando centrale delle Farc accusa il governo francese di aver lanciato l'operazione una settimana fa senza consultarsi preventivamente con i guerriglieri e definisce la missione "irragionevole": "Non è il risultato di una concertazione - è scritto nella nota - ma della malafede di Uribe (il presidente colombiano, ndr) verso il governo francese". Per questo, la scelta di non farsi "influenzare da un ricatto, né dall'impulso delle campagne mediatiche".

La guerriglia prosegue quindi rilevando che "mentre noi propiziavamo fatti concreti diretti a facilitare lo scambio di prigionieri, il presidente Uribe pianificava e metteva in esecuzione l'assassinio di Raul Reyes", il "numero due" delle Farc ucciso in un attacco militare colombiano l'1 marzo scorso insieme a altre 26 persone. "Questo - si dice ancora - è Uribe: l'ostacolo principale e il nemico numero uno dello scambio".

"Se all'inizio dell'anno - si dice infine - il presidente Uribe avesse smilitarizzato Florida e Pradere per 45 giorni, sia Ingrid Betancourt, sia i militari e i guerriglieri in carcere avrebbero già ritrovato la libertà, e sarebbe stata una vittoria di tutti". E intanto Ingrid Betancourt resta prigioniera, e priva di assistenza sanitaria qualificata.

Intanto oggi a Parigi il ministro degli Esteri francese, Bernard Kouchner, ha osservato che "per ora" la missione continua, e che se le Farc non invieranno una risposta, si dovrà trovare "un altro cammino".

(8 aprile 2008)
 
da repubblica.it
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« Risposta #5 inserito:: Aprile 10, 2008, 04:00:41 pm »

ESTERI

Sulle tracce dell'ostaggio da sei anni nelle mani delle Farc

Reportage dal villaggio di El Capricho, in Colombia

Ecco l'ambulatorio nella foresta dove è stata curata la Betancourt

A fine febbraio l'hanno portata in questo piccolo ambulatorio

Poi è scomparsa di nuovo. Il parroco: "Tutti sanno ma tutti tacciono"

dal nostro inviato OMERO CIAI

 
EL CAPRICHO (COLOMBIA) - A fine febbraio un gruppo di guerriglieri ha portato fin qui Ingrid Bétancourt, per curarla dopo i sei anni trascorsi nella giungla. La sua ultima apparizione risale al 23 marzo in un altro villaggio della zona dove vennero rilasciate Clara Rojas insieme al figlio Emmanuel e Consuelo Gonzalez. Tre stanzette spoglie e sporche, due barelle, uno scaffale polveroso con piccole ampolle di medicinali in un assolato villaggio ai margini della selva.

Poi, come fantasmi, sono scomparsi tutti. Il giovane medico, Andres Mauricio Teheran, ha abbandonato il Pronto soccorso; l'infermiera ha chiesto il trasferimento e suo marito, autista dell'ambulanza, si è messo in ferie. All'esercito che li ha interrogati hanno smentito di aver incontrato l'ostaggio numero uno di tutta la Colombia. E quando un tenente ha minacciato di sottoporli alla "macchina della verità" si sono dileguati.

Oggi nell'ambulatorio di El Capricho c'è un nuovo dottore. Temporaneo, perché qui non ci vuole venire nessuno e il Ministero della Sanità ci spedisce i giovani laureati in missione obbligatoria per sei mesi. Nel villaggio, un centinaio di case di legno, vivono 700 abitanti. È gente di frontiera. Ultimo lembo di una colonizzazione iniziata negli anni Sessanta ed esplosa alla fine degli anni Ottanta quando, con Pablo Escobar re del narcotraffico, migliaia di coloni raggiunsero questa regione nel sud-est del paese per strappare alla giungla la terra propizia per le piantagioni di foglia di coca.

La guerriglia li proteggeva, l'esercito non c'era e la legge era quella che ognuno aveva la forza di imporre. Questa vita li ha resi chiusi e sospettosi. "Per sopravvivere quaggiù - racconta Jorge, un giovanotto nato nel boom della colonizzazione - non devi dare confidenza a nessuno. Perché un anno comandano i soldati, l'anno dopo la guerriglia e quello dopo ancora un gruppo di paramilitari. Vanno e vengono come le stagioni. Se ti leghi a qualcuno, se collabori, gli altri ti ammazzano".

L'ultima apparizione di Ingrid Betancourt risale alla mezzanotte del 23 marzo in un altro villaggio della zona, El Retorno, non lontano da quello, La Libertad, dove grazie alla mediazione del presidente venezuelano Chavez, a gennaio vennero rilasciate Clara Rojas (l'assistente della senatrice franco-colombiana) insieme al figlio Emmanuel, avuto durante la prigionia, e Consuelo Gonzalez, una ex deputata. A rivelarlo è il parroco, Manuel Mancera, unico custode della confessione di un anonimo contadino.

L'incontro sarebbe avvenuto fuori dal paese lungo un sentiero sterrato che si perde nella vegetazione rigogliosa della giungla. Il contadino ha raccontato al prete di aver incontrato la Betancourt nel corso di un trasferimento notturno da una prigione ad un'altra e di averla riconosciuta grazie alle fotografie che aveva visto in tv. Era debole, aveva l'aria dimessa. Il contadino le avrebbe stretto la mano cercando di rianimarla, dicendole "Forza, forza". E lei, senza parlare, gli avrebbe sorriso. Mancera è un Padre istrionico, vulcanico. Durante la messa suona con brio un pianoforte appoggiato al lato dell'altare e canta insieme ai fedeli pregando per la libertà di Ingrid. Sul breve ricovero dell'ostaggio nel Pronto soccorso di El Capricho e sul successivo avvistamento di El Retorno non ha dubbi: "Tutti sanno ma tutti tacciono". Per il timore di rappresaglie, aggiunge.

La regione del Guaviare è diventata in questi mesi l'epicentro della politica colombiana. Sei ostaggi sono stati rilasciati in quest'area. Le prime due donne a La Libertad, gli altri quattro nel villaggio di La Paz. La Betancourt è stata curata nel piccolo ospedale di El Capricho e più tardi avvistata a El Retorno. "Capriccio", "Ritorno", "Pace", "Libertà". E' come se le Farc stessero utilizzando il linguaggio di un messaggio in codice, e un buon investigatore, esaminando territorio e toponomastica, potrebbe individuare il luogo della prossima rivelazione.
 
In cima al triangolo dell'area colonizzata c'è la capitale del Guaviare, San José, 400 chilometri a sud di Bogotà e 60 mila abitanti che oggi, dopo l'arrivo dell'esercito spinto fin qui dai programmi di "tolleranza zero" del "Plan Colombia" finanziato dagli Stati Uniti, vivono l'illusione di potersi finalmente riconvertire: da coltivatori nelle piantagioni di coca all'allevamento del bestiame e alla produzione di frutta tropicale. Dall'altra parte, nell'apice che si incunea verso la giungla, c'è Calamar, trenta case addossate alla pista di un aeroporto militare. Tutt'intorno è selva, giù fino all'orizzonte verso le frontiere con l'Ecuador, il Perù e il Brasile. L'immensa terra delle Farc e delle sue inaccessibili prigioni.

Nella guarnigione di San José ci sono settemila soldati e la gente del posto dice di aver visto anche molti "gringos", i consiglieri militari statunitensi. Ma controllare la miriade di piccoli villaggi che appaiono improvvisi con le loro baracche di latta e legno confuse con la vegetazione, è quasi impossibile. Le strade sono tortuosi sentieri di terra battuta che diventano pozze di fango e scompaiono nella stagione delle piogge. Ogni sei mesi bisogna tracciarle di nuovo.

Fino all'inizio di questo secolo nella grande piazza rettangolare che disegna il centro di San José ogni settimana si teneva il Gramaje, la vendita a peso delle foglie di coca agli intermediari dei grandi cartelli di Calì o di Medellin. Atterravano quaggiù su piccoli aerei che oggi trasportano gli inviati di tutta la stampa francese e delle grandi agenzie. Ma l'arrivo dell'esercito ha cambiato la vita dei coloni e trasformato il mercato della coca. Oggi le piantagioni sono molto più a sud e i narcos hanno allestito i laboratori chimici nella giungla: in tal modo non devono più trasportare le foglie ma direttamente la pasta base della cocaina. La guerriglia vigila e incassa la tassa sulla produzione.
 
A San José si dice che i trafficanti siano in difficoltà, che le incursioni sempre più frequenti delle Forze armate, i bombardamenti e il rastrellamento degli aerei spia, abbiano indebolito le Farc. Fino al punto che Uribe, il presidente colombiano, si sarebbe convinto del fatto che saranno dei disertori, prima o poi, a restituirgli la Betancourt senza che lui debba piegarsi ai ricatti dei leader guerriglieri. Ed effettivamente le taglie, milioni di dollari, che vengono elargite dal governo ai ribelli che uccidono i loro capi e si consegnano ai soldati, cominciano a funzionare. L'ultimo caso è quello di Ivan Rios, il membro del Segretariato delle Farc (dieci uomini in tutto), ammazzato nel sonno dalla sua truppa.

Ma sono appena voci che si rincorrono. Proprio come le apparizioni di Ingrid. L'area della giungla è talmente vasta che le versioni cambiano di villaggio in villaggio come parole che sfidano il vento. Non appena Marulanda, l'anziano leader della guerriglia, ha respinto la missione sanitaria francese, il Falcon 50 dell'Eliseo ha immediatamente lasciato l'aeroporto militare di Catam, a Bogotà, per tornarsene mestamente a Parigi.

Eppure non c'è altro modo che scendere nel ventre del Guaviare per capire questa guerra civile che dissangua la Colombia da cinquant'anni. Il dominio delle Farc è direttamente proporzionale all'abbandono istituzionale di queste aree, all'avidità dei narcos e all'assenza di infrastrutture, strade e aeroporti in primis. Ne sa qualcosa Alejandro, un giovane contadino, già padre di quattro figli, che ha riciclato la sua piantagione di coca in papaya. Peccato che da qui nessuno si prenda la briga di trasportargli la papaya in aereo verso qualche ricco mercato: costerebbe troppo. "Se ci fosse una buona strada, un magazzino con i frigoriferi per conservare la frutta - sogna Alejandro - chissà, magari sarebbe diverso".

Del resto non solo lo spazio ma anche lo scorrere del tempo in questi luoghi tropicali ha una dimensione astratta. I tempi di Parigi non sono quelli di Marulanda. Se nessuno cederà qualcosa la prigionia della Betancourt potrebbe durare ancora molto a lungo. Perché per le Farc è un ostaggio prezioso tanto quanto la sopravvivenza della guerriglia.

(10 aprile 2008)

da repubblica.it
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