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Autore Discussione: Bianca DI GiOVANNI. - Tps - Dal fortino di Francoforte al ring del governo ...  (Letto 4349 volte)
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« inserito:: Giugno 27, 2007, 06:17:35 pm »

Dal fortino di Francoforte al ring del governo le «sorprese» di Tps

Bianca Di Giovanni


Prima ha spiazzato tutti con quelle «richieste inquietanti» denunciate sul tesoretto. E l’altro affondo: «i conti non vanno bene come si dice». Poi ha spiazzato tutti (gli stessi) con quella decisione di aumentare l’obiettivo di deficit per finanziare la svolta dell’Unione. Comunque lo si veda, quello di Tommaso Padoa-Schioppa è un ruolo carico di colpi di scena. Gli ultimi due si sono succeudti a distanza di una decina di giorni: un cambio di passo che ha ridato fiato in un lampo alla coalizione. E soprattutto ha gettato una luce diversa sul ministro del Tesoro. Lontani i tempi in cui, appena nominato, dichiarava con tono professorale: «Conoscere per deliberare». Quasi fosse in cattedra. Oggi è salito sul ring.

Ma in questo caso il ring non è esattamente quello della politica «guerreggiata» dei leader di partito. Chiunque voglia affibbiare a Tps (così lo chiama chi lo conosce dai tempi di Bankitalia) l’etichetta di tecnico prestato alla politica, o (oggi) di politico che ha «dimenticato» di essere un tecnico, è destinato a rimanere deluso. La vera cifra del ministro sta proprio nella sua capacità di restare fuori dalle righe, fuori dai ranghi, di stupire appunto. «È uno che va dritto per la sua strada», spiegano i suoi collaboratori. Così spesso arriva a conclusioni inattese, che stupiscono gli interlocutori. «La sua linea è sempre stata risanamento, crescita ed equità - continuano le fonti vicine al Tesoro - L’anno scorso era quella, e lo è anche quest’anno con il cosiddetto tesoretto. Fa le cose per cui è stato chiamato: lui crede in una crescita sostenibile. Ecco perché punta ad una finanza equitativa».

Detta così sembra quasi una favoletta. Ma in realtà seguire passo passo i tre principi enunciati nel Dpef dell’anno scorso (e che si ripeteranno in quello di quest’anno, in ordine diverso) dentro le stanze di un ministero o nei ranghi spesso scomposti del centro-sinistra, è come azionare una bomba a orologeria. Perché il ministro, con il suo puntiglio («vuole capire tutto, che tutto sia chiaro e trasparente», fanno sapere da Via Venti Settembre) spesso mette a nudo meccanismi nascosti, capovolge convenzioni, imbocca rotte di collisione frontale. Come è stato negli ultimi tempi con il sindacato sul pubblico impiego o sulle pensioni: vere e proprie fibrillazioni. C’è chi gli ha dato del procvocatore, chi di peggio. Al ministero non è sempre amato: i funzionari, quelli che restano mentre tutti i ministri passano, non sono abituati al suo stile. Per non parlare dell’ala più a sinistra della coalizione, dove molti lo vedono come la diretta emanazione dei tecnocrati di Francoforte, sempre a chiedere salari bassi e pensioni ridotte. Pesano i suoi anni alla Bce, con quei richiami al rigore sui conti, all’attenzione alla spesa. Piero Di Siena, senatore di sinistra democratica, lo ha definito «lo sfascista» su un numero di «Aprile».

Ma la sinistra cosiddetta radicale non riuscirà mai ad odiarlo. Proprio grazie ai suoi guizzi, alle sue bordate senza sconti. Tutti gli italiani lo hanno visto in diretta difendere il governo in Senato sul caso Speciale. Di fronte a un’opposizione scatenata, è andato avanti come una legione romana tra i barbari. Senza concedere neanche un centimetro all’avversario. Forse è lì che Tps ha mostrato la sua natura più profonda: non fa sconti a nessuno. Non li ha fatti alle imprese, a cui ha rimproverato di non avere coraggio. Non li ha fatti alle banche, a cui ha chiesto di non tradire la fiducia dei clienti. Non li ha fatti al sindacato. E anche uno come Giavazzi si è dovuto confrontare col suo puntiglio. C’è chi pensa che ha i giorni contati nel governo. Magari stupirà anche loro.


Pubblicato il: 27.06.07
Modificato il: 27.06.07 alle ore 8.59  
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« Ultima modifica: Marzo 07, 2013, 04:20:27 pm da Admin » Registrato
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« Risposta #1 inserito:: Marzo 02, 2008, 09:15:35 am »

La solita storia: la sinistra risana, poi arriva Berlusconi
Bianca Di Giovanni


Il dato del deficit italiano all’1,9% del Pil nel 2007 «è una notizia molto buona». Con queste parole Joaquin Almunia premia gli sforzi del trio Prodi-Padoa-Schioppa-Visco. Appena letti i dati disffusi dall’Istat dalla commissione europea arrivano le congratulazioni a Roma. Alla fine di aprile, nel momento in cui Bruxelles renderà note le nuove stime macroeconomiche, «trarrà anche le conclusioni in termini di procedura per deficit eccessivo». Tradotto in altri termini, tra un mese - con un nuovo governo in carica - la «bocciatura» dell’Italia verrà cancellata. Per l’esecutivo uscente sembra davvero un paradosso: dover lasciare nel momento in cui si producono i frutti della fatica degli ultimi 20 mesi.

Anche da Via venti Settembre arrivano reazioni di soddisfazione. «I dati sull’andamento del rapporto deficit-pil (1,9%) e sull’avanzo primario (3,1%) nel 2007 - dichiara Tommaso Padoa-Schioppa in una nota - sono particolarmente soddisfacenti e confermano la validità della linea di politica economica perseguita dal governo Prodi. Nonostante una crescita nel 2007 inferiore alle previsioni, il peso del deficit è nettamente inferiore sia dell’obiettivo fissato nel 2005 per l’Italia in sede europea (2,8%) sia a quello assunto nel luglio scorso (2.4%). Il valore di questo risultato è accresciuto dal fatto che nel 2007 sono stati compiuti importanti interventi di bilancio in materia di spesa sociale e di investimenti in infrastrutture». Gli fa eco Vincenzo Visco, che rivendica i risultati della faticosa lotta all’evasione. Infine, il commento di Romano Prodi: lascio un’italia sana e senza rischi.

In realtà dietro l’angolo c’è una difficile congiuntura internazionale che invita a non abbassare la guardia sul debito, come ricorda il titolare del Tesoro. La recessione americana ha effetti devastanti sul resto del pianeta: per l’Italia non sarà facile affrontare i prossimi mesi. Al Tesoro lo sanno bene: per questo quel richiamo al massimo rigore. Un appello necessario, se non altro per scongiurare quello che si è già visto: la distruzione del delicato equilibrio della finanza pubblica italiana nel giro di pochi anni. Avanzo primario cancellato, deficit oltre il 3%, debito in aumento. Maastricht assolutamente tradita. Quanto di peggio ci possa essere per un paese come l’Italia, che vive di scambi e cerca come l’oro nuovi investimenti.

Anche il candidato premier Walter Veltroni in serata dà l’onore delle armi al governo uscente. «Dobbiamo ringraziare lo straordinario lavoro di Romano Prodi - dichiara - La Destra aveva consegnato a Prodi un paese in una situazione terribile, con una procedura d’infrazione aperta, con un debito fuori controllo, e una spesa corrente cresciuta di due punti».

Ma proprio il fiore all’occhiello del governo diventa materia di nuovo contenzioso a sinistra. «È stato un errore destinare le risorse dell’extragettito al risanamento del debito anziché alle famiglie dei lavoratori dipendenti e pensionati, come avevamo chiesto noi della sinistra», dichiara in una nota Paolo Ferrero. Il quale accusa in primo luogo il partito democratico. Insomma, ormai anche su quei numeri infuria la campagna elettorale. Se la destra innalza il vessillo del «troppe tasse», la sinistra al contrario denuncia «pochi aiuti alle famiglie», nonostante i due tesoretti distribuiti. Sta di fatto che con i tassi di interesse previsti in crescita (poi bloccati dalla crisi subprime) per l’Italia un deficit alto avrebbe significato meno risorse per il welfare. Ma ormai è troppo tardi per ragionare sulle cifre: a questo punto valgono solo gli slogan.

Pubblicato il: 01.03.08
Modificato il: 01.03.08 alle ore 14.21   
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« Risposta #2 inserito:: Luglio 07, 2010, 05:05:26 pm »

Il premier all’Ikea, Tremonti dissangua le regioni in rivolta

di Bianca Di Giovanni

Berlusconi-Tremonti atto secondo.
Dopo l’incontro di Arcore che ha suggellato l’accordo sulla manovra, premier e ministro preparano il rush finale in Senato, dove si voterà la fiducia mercoledì 14 luglio. Le vittime designate dal centrodestra restano le Regioni, ancora sottoposte alla tagliola più pesante: quasi 5 miliardi in un anno, 13 nel triennio. La prima doccia fredda per i governatori è arrivata nella mattinata, con Paolo Bonaiuti che ha smentito l’ipotesi di un incontro. «Nessun appuntamento, ma siamo aperti a qualche modifica», ha dichiarato il sottosegretario. Da lì una girandola di controdichiarazioni e di semi-aperture: ma nulla di concreto. Nel tardo pomeriggio è stato il relatore Antonio Azzollini a chiudere definitivamente il sipario, confermando che l’articolo sulle Regioni resta sostanzialmente invariato: solo una flessibilità in più per le Regioni virtuose. Modifica molto marginale, ma che serve alla Lega per la sua propaganda anti-meridionalista. Di fatto è una non risposta, tanto che Roberto Formigoni insiste: «Se nulla dovesse cambiare sono favorevole all’ipotesi di restituire le deleghe». In serata Silvio Berlusconi ha preferito far visita ai padiglioni dello «store» Ikea della capitale, piuttosto che incontrare i governatori. Nel frattempo dal Tesoro Tremonti cantava vittoria: «Tutte ricostruzioni da film quelle lette sui giornali (che parlavano di uno scontro con il premier ad Arcore, ndr) - si legge in una nota di Via Venti Settembre - Darò il premio Pulitzer agli autori». Come a dire: ma quale scontro, per me è filato tutto liscio.

Vittoria
In effetti, viste le tessere della manovra che sono saltate e quelle che sono rimaste invariate, si può dire che il titolare dell’Economia è uscito vittorioso dal duello con il premier. Il capitolo enti locali era il più delicato: sostituire 14 miliardi di tagli significa riaprire l’intera partita. Per questo Tremonti ha preteso la linea dura, riuscendo ad ottenerla. Il premier dal canto suo si è preso il merito di aver perorato la causa degli industriali (c’era da aspettarselo) e dei poliziotti. Ma i giochi non sono certo chiusi qui. Quella data finale slitatta di uan settimana rispetto al ruolino di marcia dice tutto: sarà un altro week end di lavoro. E al primo posto ci saranno sempre le Regioni. Perché un conto è incontrarsi nei salotti di Arcore, altro conto è confrontarsi con gli amministratori locali. Cosa potranno raccontare a Renata Polverini, e ai neoeletti come lei? Cosa pretenderà in termini politici lo stesso Formigoni, costretto a contrattare sui trasferimenti nonostante i suoi bilanci in ordine? Per il governo lo scontro è una specie di triplo salto mortale.

Per ora l’incontro chiesto a più riprese con Berlusconi ancora non c’è.
Un fatto «gravissimo e inaccettabile», attaccano governatori e sindaci. Il presidente della Conferenza delle Regioni, Vasco Errani, insiste: «Noi chiediamo sempre un incontro con il premier. È quella la sede istituzionale per ottenere risposte alle nostre richieste». Oggi sono state fissate sedute straordinarie sia dell'Anci che della Conferenza delle Regioni. Non una parola dal premier che nei giorni scorsi, insieme, al leader della Lega Umberto Bossi, aveva mostrato disponibilità al dialogo. Di fatto, con l'approvazione del testo Azzollini, quello spiraglio sembra essere definitivamente tramontato. Intanto il ministro per gli Affari regionali, Raffaele Fitto, ha convocato la Conferenza unificata per domani, in concomitanza con l'approdo della manovra nell'Aula del Senato. In quella sede, ha annunciato Fitto, ci sarà anche il ministro dell'Economia. Una cosa diversa dall'incontro sollecitato dalle autonomie che puntavano a ragionare con il premier Berlusconi per superare la muraglia eretta da Tremonti, il quale ha ribadito più volte che i saldi devono restare invariati e che i sacrifici così come sono stati suddivisi non sono in discussione. E infatti, a stretto giro di posta, Errani precisa: «La Conferenza unificata non è la soluzione, non è l'incontro che avevamo chiesto».

07 luglio 2010
http://www.unita.it/news/italia/100893/il_premier_allikea_tremonti_dissangua_le_regioni_in_rivolta
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« Risposta #3 inserito:: Luglio 13, 2011, 04:16:50 pm »



di Bianca Di Giovanni


Oggi la casa rischia di bruciare. I segnali di fumo c’erano da tempo, e molti hanno evitato di vederli. La fragilità della ripresa, la pesantezza del debito, la paralisi sul fronte degli investimenti: molte «Cassandre» si sono esercitate a puntare il dito sulle debolezze italiane. Oggi i «pessimisti» sono scomparsi, e si invocano i pompieri. Ma chi ha acceso il cerino sotto una tanica di benzina che rischia di travolgere per prime le fasce più deboli del Paese ha un nome preciso: il governo di centrodestra. Una dopo l’altra, l’esecutivo ha infilato una serie di mosse sbagliate che hanno trascinato l’Italia nel cono d’ombra della speculazione.

Ecco i dieci errori capitali imputabili a Silvio Berlusconi e ai suoi alleati.

1. Scaricabarile. Le tabelle della finanziaria «parlano» più di qualsiasi discorso. La correzione prevista è sostanzialmente inesistente per quest’anno e l’anno prossimo. Una sforbiciata che in realtà non supera i200 milioni. Il grosso peserà sul futuro governo, nel biennio successivo. Un vero gioco a nascondino: Giulio Tremonti si fa bello in Europa impegnandosi a un pareggio già nel 2014 (termine non obbligatorio), e poi passa il cerino ai suoi successori. Qui parte la crisi di credibilità.

2. Balletto di cifre. Il Tesoro ha lasciato trapelare prima un intervento da 43 miliardi, poi uno da circa 50, addirittura si è arrivati a 68. Peccato che alla fine tutte le anticipazioni sono state smentite dal testo della manovra, tenute lontano dai riflettori per giorni e giorni. Il ministro ha «nicchiato » anche davanti ai giornalisti, tentando di sommare il rientro di un anno con quello successivo. Solo in serata ha dovuto ammettere che anche le deleghe contribuiscono alla manovra.

3. Il «buco». Mancano almeno 15 miliardi: saranno quelli che la riforma fiscale dovrà reperire. Annunciata come grande rivisitazione del fisco antiquato, come realizzazione di quella storica promessa del «meno tasse per tutti», oggi quella riforma si tramuta nel suo contrario: più tasse, meno agevolazioni, meno assistenza.

4.Risparmio tartassato.Il prelievo sul conto titoli ha avuto l’effetto deflagrante dell’allarme rosso. Dai «pacchetti» dai 50mila euro in su lo Stato rastrellerà 720 milioni in più già da quest’anno per arrivare alla cifra di 2,4 miliardi dal 2014 in poi. Un salasso. La platea potrebbe essere la stessa di quella dei pensionati presi di mira dal blocco della rivalutazione (contribuiscono per un miliardo), che spesso investono in titoli la liquidazione. Sul fronte del credito c’è anche l’aumento dell’Irap per le banche, oggi esposte alle turbolenze finanziarie.

5. Scossa mancata. Da gennaio Silvio Berlusconi parla di scossa. Peccato che sia arrivata solo sui giornali. I mercati lo sanno, e senza crescita condannano l’Italia al declino. Il governo ha prodottountopolino:undecreto sviluppo in cui si cedevano spiagge (misura cancellata) insieme ad altre micromisure di cui le imprese non si sono neanche accorte.

6. Niente mercato. Il presidente Antitrust lo ha detto chiaro e tondo: servono le liberalizzazioni. Su questo fronte il governo invece di fare ha disfatto, reintroducendo tariffe minime e mercati protetti. In zona Cesarini è riuscito a varare una riforma dei carburanti, introdotta con un emendamento al Dl concorrenza. Troppo poco per crescere.

7. Conflitto sindacale. In questo caso il governo è recidivo. Spaccare i sindacati è stato un obiettivo anche della scorsa legislatura. Il risultato è stato amplificare il conflitto, con danni pesanti per il sistema produttivo. Esattamente il contrario di quello che serve nelle fasi di emergenza.

8. Ministro isolato. Giulio Tremonti ha perso l’appoggio della Lega, esponendo così il fianco anche al fuoco amico nel Pdl. Una situazione di instabilità, che ha suscitato i timori degli investitori.

9.Premier impresentabile.Berlusconi che infila nella manovra la norma salva-Fininvest è la fotografia di un leader allo sbando. Nulla di più «pericoloso» per gli investitori.

10.Comiche finali. Quel «cretino» affibbiato al ministro Renato Brunetta durante la conferenza stampa sulla manovra, con la prima linea del governo schierata davanti a un esercito di telecamere è la pietra tombale.

12 luglio 2011
da - http://www.unita.it/italia/ecco-i-dieci-errori-capitali-br-di-berlusconi-1.312765
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« Risposta #4 inserito:: Febbraio 05, 2012, 03:52:43 pm »

Art. 18, strappo Monti: «Basta cittadelle»

Monti sposa la linea dura sull'articolo 18. «Alcuni lavoratori sono chiusi in una cittadella, altri non hanno difese».

E le posizioni al tavolo sul lavoro virano verso destra. Berlusconi soddisfatto.

Di Bianca Di Giovanni

4 febbraio 2012

«L’articolo 18 è un tema centrale della discussione. È ora di passare dai miti, dai simboli, alla realtà». Con questo passaggio dell’intervista rilasciata a Repubblica Tv, Mario Monti scopre le carte del suo governo sul tavolo del lavoro: e sono carte pesantissime. Non solo per la norma sui licenziamenti senza giusta causa, che in questo modo viene imposta come prioritaria nella trattativa (al contrario di quanto si era detto finora), con un’ipotetica scadenza a fine marzo. Ma anche per una lunga serie di osservazioni sulla politica sociale, che lasciano amaro in bocca.

Come quella sul «buonismo» dei governi passati. Sarebbe questo il motivo per cui l’Italia è ridotta male. «Per decenni i governi italiani hanno avuto troppo cuore, hanno diffuso troppo buonismo sociale - dichiara il premier - soprattutto prima che arrivasse l’Europa un po’ austera a renderci più attenti». E non si ferma qui. «Anche i tecnici hanno un cuore - aggiunge - ma spesso più si eroga bontà, più si creano le condizioni che graveranno sui giovani». Insomma, serve rigore, austerità, «cattiveria», naturalmente con i lavoratori. Che dire della corruzione dilagante, dell’evasione massiccia, dell’abbandono di intere regioni del Paese nelle mani della criminalità? Nulla di tutto questo: l’Italia sta male perché si sarebbe concesso troppo ai lavoratori, che nel frattempo - va ricordato - hanno continuato a perdere potere d’acquisto, mentre una piccola fetta di società si è arricchita sempre di più.

Invece per Monti torna l’assioma: meno diritti da una parte, più dall’altra. Come una coperta tirata di qua o di là. «Bisogna dare meno tutele a chi oggi ne ha troppe ed è quasi blindato nella sua cittadella - dichiara - e darne di più a chi è in forme estreme di precariato o è fuori dal mercato del lavoro». Insomma, serve un travaso: così gli over 50 potranno starsene a casa e gli under 35 andare al lavoro. Sarebbe questa la soluzione? Per il governo (e anche per Confindustria) proprio la possibilità di reintegro nel posto di lavoro terrebbe lontani gli investimenti stranieri. Finora avevano raccontato di una burocrazia elefantiaca, di mancanza di infrastrutture, di incertezza del diritto: ma questa del reintegro finora non si era mai sentita.

CHI USA LO SPREAD
È chiaro a questo punto che il governo vira verso destra: prima Elsa Fornero che tira dritto con o senza consenso dei sindacati, poi Monti che picchia duro su chi « è blindato nella cittadella». Non è un caso che Silvio Berlusconi annuncia al Financial Times un forte sostegno all’esecutivo Monti. Con l’ex premier sembra esserci una luna di miele mai interrotta. Tanto che Monti ne prende le difese, dichiarando che si è esagerato ad usare lo spread per attaccare il suo predecessore. Forse non è neanche un caso che le esternazioni sull’ articolo 18 arrivano a poche ore dall’incontro sul lavoro con la delegazione Pdl, tra cui anche il «falco» Maurizio Sacconi. Probabilmente il premier pensa a quella «maggioranza ampia ma purtroppo evanescente» che il giorno prima lo ha inchiodato alla prima sconfitta in un’aula parlamentare sulla responsabilità civile dei giudici.

Poi tenta un accreditamento anche a sinistra. C’ è da dire che che il pelo alla sinistra. «In manovra abbiamo pur sempre introdotto una cosa, che non abbiamo chiamato “imposta patrimoniale” per non urtare le sensibilità di chi non gradiva quell’impostazione», spiega riferendosi alle tasse sugli immobili e sui depositi bancari. Quanto all’equità, il premier difende le sue iniziative sulla lotta all’evasione, elemento decisivo per la redistribuzione della ricchezza.

Ma è chiaro che la partita centrale per il governo oggi è il lavoro, e la supposta contrapposizione giovani-vecchi. Tanto che il premier si perita di chiarire la sua ultima gaffe sul posto fisso che sarebbe «monotono». Specifica che intendeva dire semplicemente che i giovani dovranno abituarsi a cambiare posto e luogo di lavoro. Anzi, arriva persino a consigliare ai giovani di non pensare necessariamente a un futuro in Italia. Per un premier di un Paese non è il massimo.

La partita europea - che pure è cruciale - resta sullo sfondo. Assicura che, dopo il rigore, cioè dopo l’entrata in vigore dell’ultima intesa sulle regole di finanza pubblica (il cosiddetto fiscal compact), con la germania si potrà ragionare di Eurobond. Insomma, una visione di medio-lungo termine, a patto che, tanto per citare Keynes, nel lungo termine non saremo tutti morti. Sulla Tobin tax (la tassa sulle transazioni finanziarie)Monti si dice convinto che i tempi siano maturi.


da - http://www.unita.it/italia/articolo-18-lo-strappo-di-monti-basta-cittadelle-1.378526
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