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Autore Discussione: Addio al Nobel José SARAMAGO  (Letto 4108 volte)
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« inserito:: Giugno 18, 2010, 05:01:12 pm »

Avrebbe compiuto 88 anni il prossimo 16 novembre

Addio al Nobel José Saramago

Lo scrittore portoghese è deceduto nella sua casa alle Isole Canarie, dove risiedeva dal 1991

  
MADRID - Lo scrittore portoghese e premio Nobel José Saramago è morto nella sua residenza a Tias, località di Lanzarote, nelle Isole Canarie. Affetto da leucemia cronica, l'autore è deceduto intorno alle 13 e al suo capezzale c'era la moglie, Pilar del Rio. Aveva trascorso una notte tranquilla e fatto colazione. Poi si è sentito male. Saramago avrebbe compiuto 88 il prossimo 16 novembre. Poeta, romanziere e giornalista, è stato l’unico autore di lingua portoghese ad avere ricevuto il Nobel per la Letteratura. Ateo confesso, ebbe problemi con il governo portoghese che rifiutò di presentare il suo Vangelo secondo Gesù Cristo al Premio Letterario Europeo, abbandonando per protesta il Paese e trasferendosi a Lanzarote.

AUTORE IRRIVERENTE - Irriverente verso l’autorità e profondamente intriso di umanesimo, Saramago ha creato una prosa unica, fatta di una sorta di continuo dialogo interiore nel quale non trovano spazio i vincoli più rigidi della punteggiatura. Il discorso, nelle sue opere, fluisce continuo in una massa armonica di parole che assumono, pagina dopo pagina, la struttura concreta di un edificio superbo e forse difficilmente accessibile. Italia sono note soprattutto le sue polemiche con Silvio Berlusconi, che tra l’altro lo scrittore ha definito «un delinquente». Per l’accusa di diffamazione nei confronti del Cavaliere una edizione del suo Quaderno è stata rifiutata da Einaudi.

DALLA MILITANZA AL NOBEL - L’intera carriera di Saramago è stata costellata di polemiche per le sue prese di posizione senza compromessi, tanto in tema di politica quanto di religione. Saramago era nato ad Azinhaga, in Portogallo, nel 1922. Il suo primo romanzo in stile realista, Terra del peccato, è del 1947. Nel 1959 si iscrisse al Partito Comunista che, sotto il regime di Salazar, operava in clandestinità. Negli Anni Sessanta Saramago divenne uno dei critici più seguiti del suo Paese e nel '66 pubblicò la sua prima raccolta di poesie, I poemi possibili. Divenne quindi direttore letterario e di produzione per dodici anni di una casa editrice e dal 1972 al '73 curatore del supplemento culturale del Diario de Lisboa. Sino a metà degli Anni Settanta visse un periodo di formazione e pubblica poesie, cronache, testi teatrali, novelle e romanzi, ma è solo dopo la Rivoluzione dei Garofani che pian piano nacque un Saramago diverso (vice direttore del quotidiano Diario de Noticias nel '75 e quindi scrittore a tempo pieno), capace di liberare la narrativa portoghese dalle radici del passato. Anche per questo ricevette nel 1998 il premio Nobel per la letteratura. Nel 1980 la pubblicazione di Una terra chiamata Alentejo sulla rivolta della popolazione della regione più ad est del Portogallo.

IL SUCCESSO - Il grande successo arrivò nel 1982 con Memoriale del convento, seguito da L'anno della morte di Ricardo Reis. Negli anni '90, grazie al Nobel, Saramago raggiunse fama internazionale e pubblicò L'assedio di Lisbona, Il Vangelo secondo Gesù, quindi Cecità,'Tutti i nomi, La caverna, L'uomo duplicato, Le intermittenze della morte e Le piccole memorie. È stato uno dei sostenitori dell'iberismo, il movimento che propugna l'unificazione di Spagna e Portogallo, i due paesi della penisola iberica, cui dedica anche il romanzo La zattera di pietra. Per le sue posizioni sul conflitto mediorientale verrà accusato di antisemitismo, mentre per il Memoriale, ma soprattutto per il suo Vangelo e il testo teatrale La seconda vita di Francesco d'Assisi ha subito gli attacchi dalla Santa Sede.

Redazione online
18 giugno 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/cultura/10_giugno_18/morto-nobel-saramago_59816d64-7ad4-11df-aa33-00144f02aabe.shtml
« Ultima modifica: Luglio 16, 2010, 07:33:58 am da Admin » Registrato
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« Risposta #1 inserito:: Giugno 18, 2010, 05:02:27 pm »

Pubblicazione:       15-11-2005, STAMPA, NAZIONALE, pag.27
   
Sezione:    Societa' e Cultura
   
Autore:    RIZZO RENATO    

 
INCONTRO CON IL PREMIO NOBEL PORTOGHESE CHE PUBBLICA IL SUO ROMANZO-TESTAMENTO Saramago «Immortali? Si salvi chi puo'»

inviato a LISBONA OTTANTATRE' anni, il fisico asciutto e svelto dei suoi avi contadini, lo sguardo limpido - appena offuscato, di tanto in tanto, da una scheggia d'ombra pensosa - di chi attraversa la vita portando con se' il regalo di un grande, giovane amore: Jose' Saramago abbraccia la moglie Pilar, ne accarezza le mani, ne cerca la complicita'. Quasi a scusarsi d'averla assillata, mentre scriveva questo suo ultimo libro, «con le lente cantate di Leonard Cohen o i quartetti di Be'la Bartok» che invadevano la casa di Lanzarote scivolando dalla scala a chiocciola dello studio-mansarda. L'ultimo libro, appunto. Un testamento spirituale e letterario perche' - confessa il Premio Nobel senza apparente dolore - «ha forse segnato l'arrivo del giorno in cui non ho piu' nulla da dire». S'intitola Le intermittenze della morte questo romanzo, edito in Italia da Einaudi (pp. 206, e17), che Saramago ha presentato all'Europa nella sua Lisbona. Storia che, come spesso nelle opere dello scrittore portoghese, parte da un'«idea-catapulta»: in un paese immaginario, improvvisamente, la morte smette di uccidere lasciando la gente in una sorta d'eternita' transitoria che manda in corto circuito le istituzioni, mette in crisi la Chiesa, illude provvisoriamente gli ingenui per poi gettarli nello sconforto piu' profondo. Un universo capovolto, insomma: come un firmamento che si rifletta nello specchio d'un lago e perda, per chi lo guarda, i consueti punti di riferimento. Sino a quando in un intreccio di humour nero, paradossi, drammi, implacabile logicita' di cause ed effetti, la morte torna al suo lavoro. Ma l'Atropo dagli atteggiamenti meccanici, la fredda contabile delle lapidi, ha una de'faillance emotiva: ora e' un essere dolente, incalzata da un sentimento. Thanatos ed Eros, una lotta impari tra poesia della speranza e impossibile immortalita'. Tra i tanti temi proposti dal libro s'affaccia con prepotenza quello che, forse, piu' assilla la societa' moderna: la paura d'invecchiare e di morire. «La vicenda si svolge in un paese di fantasia e anche i personaggi sono senza un nome perche' oggi i nomi non hanno piu' importanza. Contano semmai i numeri: quelli della carta di credito. Noi, la societa', abbiamo paura della vecchiaia piu' ancora che della morte: possiamo utilizzare la chirurgia estetica, la cosmesi per illuderci, ma dobbiamo arrenderci all'idea che non e' possibile rinviare d'un solo secondo la nostra fine». Paura della vecchiaia: nel suo libro lei parla delle «dimore del felice occaso», eufemistici ospizi dove vengono messi gli anziani che la morte in sciopero ha rispamiato e che, comunque, continuano a viaggiare verso la senilita' piu' devastante. «E' un segno del nostro tempo: eliminare i vecchi dal paesaggio della nostra vita. Li chiudiamo in quei luoghi dove entrano in una sorta di invisibilita' che e' il vero inizio della morte». Il filo rosso che percorre tutto il libro sembra essere questo: viviamo per morire e non vivremmo se non ci fosse la morte. «L'immortalita' sarebbe terribile. Ci pensi: 20 anni d'infanzia, 50 di adolescenza, 90 di maturita'. Meglio non immaginare neppure una vecchiaia cosi' estrema. La vita e' organizzata come le onde del mare: l'una segue inesorabilmente l'altra. E, poi, morire non e' un atto d'eroismo, ma una cosa normale. La mia morte, insomma, e' nata con me. Quando mi uccidera' non potra' piu' uccidere nessun altro. E' solo mia, intrasmissibile». Nelle «Intermittenze della morte» lei, oltre a mettere sotto accusa l'ottusa boria dei politici e l'accondiscendenza dei mass media, punta il dito sulla Chiesa sostenendo che e' proprio la morte, la paura della morte da parte dell'uomo, a renderne duraturo il potere nel tempo. «Ci pensi. La Chiesa ha bisogno della morte per vivere: senza la morte non ci sarebbe Chiesa, perche' non ci sarebbe Resurrezione. E cosi' la religione si alimenta della fine dell'uomo, fonda su essa il suo monumento teologico e repressivo». Nel romanzo ha un forte peso la presenza della mafia, che lei scrive sarcasticamente «maphia», capace di adeguarsi alle diverse circostanze. Prima, durante lo sciopero della morte, portando la gente, con un fruttuoso contrabbando, a morire oltre frontiera. Poi, con il ritorno alla normalita', imponendo il «pizzo» alle rifiorite imprese di pompe funebri. «Questa ''maphia'', certo, non ha nulla a che vedere con la Sicilia o la Calabria: e' il simbolo del crimine organizzato che governa il mondo. Droga, prostituzione, traffico di carne umana». Lei ha sostenuto: «Non sono io a essere pessimista, e' il mondo che e' pessimo...». «Penso alle Canarie, dove vivo da anni: le poche miglia che ci separano dalla Mauritania sono in cimitero di almeno 3 mila persone che fuggivano dalla miseria e si sono rovesciate con i loro barconi. Gente nata in questo pianeta per non vivere». A proposito di immigrazione: in Francia, proprio in queste ore, divampa la protesta delle banlieues. «Parigi, Parigi. Quando sono nato io e l'aspettativa di vita, nel mio paesino, arrivava a 33 anni, era la seconda citta' portoghese dopo Lisbona. Siamo stati un popolo di emigranti. Secondo me bisogna cercare di comprendere le ragioni di questo disagio scoppiato nelle periferie abbandonate a se stesse. E l'Europa? Che cosa fa per migliorare certe situazioni?». Nel racconto i primi a rendersi conto di quanto sia fatua l'ubriacatura d'eternita' che colpisce una societa' improvvisamente senza morte sono i contadini che, di notte, varcano la frontiera perche' il piu' anziano di loro possa finalmente liberarsi da questa morte sospesa e andarsene in pace. Sembra la rivalutazione della vita semplice, essenziale. Come quando lei ricorda: l'«uomo piu' saggio che ho conosciuto non sapeva ne' leggere ne' scrivere: mio nonno». «Chiunque conosca la mia storia lo sa: sono un creatore di personaggi, ma anche loro creatura. Il vecchio che nel romanzo dice ''voglio morire'' e' probabilmente il mio vecchio Jeronimo». Il libro si divide in due «tempi». Il primo descrive il caos che deriva dallo sciopero della morte e dal suo improvviso ritorno al lavoro. Il secondo narra della grande falciatrice che veste di carne il suo scheletro e scende in mezzo alla gente come donna. Qual e' la parte che piu' si e' «divertito» a scrivere? «Quella iniziale, certamente. Quando si parla direttamente della morte la faccenda non e' piu' uno scherzo. Mica si puo' ridere di lei: e' sempre lei che ride di noi, alla fine. La storia raccontata dal romanzo, con Atropo di fronte alla scoperta del sentimento, ricambiato, per l'unico uomo che casualmente l'ha beffata e non muore alla data stabilita, fatte le debite proporzioni e' un po' come la vicenda del Paradiso terrestre: tutto diventa serio dopo che Eva fa mangiare la mela a Adamo». Perche' ha deciso di attribuire alla morte una figura di donna? (Ride) «Molto banalmente perche' in portoghese, come in italiano, del resto, questa parola e' femminile. In tedesco il termine e' maschile: sara' un bel problema per i traduttori spiegare che non si tratta d'un rapporto con risvolti gay...». Torniamo all'attualita': lei e' un intellettuale da sempre impegnato a sinistra che ha vissuto anche l'esperienza della clandestinita'. Come vede la situazione del suo Portogallo dove, tra l'altro, a inizio 2006, si terranno le elezioni presidenziali? «Io sono e resto ormonalmente comunista. Quanto all'impegno, mi lasci dire una cosa: noi scrittori siamo un po' come buffoni di corte perche' la liberta' di parola e' quella che compromette meno. Ben piu' impegnativo e' conquistarsi la liberta' di fare. Il mio paese? Sembra che la sinistra, qui come altrove, non abbia idee e, quindi, sia incapace di unita': quattro candidati contro uno della destra. Ma cio' che mi preoccupa di piu' e' l'apatia della gente. Un tempo potevamo consolarci guardandoci alle spalle e dicendo: ''Meno male che c'e' la Grecia''. Oggi quello che 30 anni fa era lo Stato piu' combattivo d'Europa vive una preoccupante crisi d'indifferenza».

http://archivio.lastampa.it/LaStampaArchivio/main/History/tmpl_viewObj.jsp?objid=6577231
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« Risposta #2 inserito:: Giugno 19, 2010, 06:24:49 pm »

SULL'OSSERVATORE ROMANO

Il Vaticano contro Saramago: era un ideologo anti-religioso

«Non dormiva per le Crociate, ma dimenticava i gulag»


«L'onnipotenza (presunta) del narratore»: sotto questo titolo, l'Osservatore Romano ricorda lo scrittore Josè Saramago, morto ieri alle Canarie, e ne sottolinea la sua «ideologia» anti-religiosa. È stato, scrive il quotidiano vaticano, «un uomo e un intellettuale di nessuna ammissione metafisica, fino all'ultimo inchiodato in una sua pervicace fiducia nel materialismo storico, alias marxismo. Lucidamente autocollocatosi dalla parte della zizzania nell'evangelico campo di grano, si dichiarava insonne al solo pensiero delle crociate, o dell'inquisizione, dimenticando il ricordo dei gulag, delle "purghe", dei genocidi, dei samizdat culturali e religiosi».


19 giugno 2010
http://www.corriere.it/cultura/10_giugno_19/vaticano-contro-saramago_94b52d4c-7bb2-11df-aa56-00144f02aabe.shtml
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« Risposta #3 inserito:: Luglio 16, 2010, 07:34:34 am »

ARTE / Inediti. Praga: una cinquantina fra dipinti e installazioni

Saramago: «Dio non ha letto Kafka»

Il Nobel presenta la mostra di Sofía Gandarias dedicata allo scrittore ceco


«Kafka, il visionario» è il titolo della mostra che Sofía Gandarias (Guernica, 1957) dedica, a Praga, allo scrittore ceco di lingua tedesca (1883-1924). La rassegna di una cinquantina fra dipinti e installazioni è distribuita in due sedi. Lo spettatore è accompagnato da un sottofondo di musiche di Antonin Dvorák e di Gustav Mahler. Per questa esposizione, José Saramago, una ventina di giorni prima della morte, ha scritto un testo, inedito in Italia, che pubblichiamo in esclusiva. Come si ricorderà, José Saramago non solo ha scritto di arte, ma era egli stesso un artista di notevole spessore. Basta ricordare la grande mostra del maggio dello scorso anno a Palazzo di Ajuda a Lisbona, nella quale erano esposti, fra sculture e architetture, circa 500 lavori del premio Nobel portoghese.


Alla domanda angosciosa, sebbene carica di facile retorica, che il Papa lanciò ad Auschwitz, fra lo stupore e lo scandalo dei credenti: «Dov’era Dio?», segue questa importante mostra di Sofía Gandarias che con semplicità risponde: «Dio non è qui».

È evidente che Dio non ha letto Kafka e, a quanto pare, neppure Ratzinger. Tanto meno Primo Levi che è più prossimo al nostro tempo e che mai si è servito di allegorie per descrivere l’orrore.

Se mi si permette l’audacia, consiglierei al Papa di visitare, con tempo e occhio attento, questa mostra di Sofía e di ascoltare con attenzione le spiegazioni che gli offrirebbe una pittrice la quale, conoscendo a fondo l’arte che esercita, s’intende molto anche del mondo e della vita che in esso abbiamo fatto, credenti e i non credenti, fiduciosi e sfiduciati, e gli altri, quelli che fecero Auschwitz e quelli che si domandano dov’era Dio. Meglio sarebbe che ci domandassimo dove siamo noi, quale incurabile malattia è mai questa che non ci permette di inventare una vita diversa, anche con dei, se necessario, senza però l’obbligo di credere in loro.

L’unica e autentica libertà dell’essere umano è quella dello spirito, uno spirito non contaminato da credenze irrazionali e da superstizioni, in alcuni casi magari poetiche, che però deformano la percezione della realtà e che dovrebbero offendere la ragione più elementare.

Seguo da anni il lavoro di Sofía Gandarias. Sono impressionato dalle sue capacità di resa, la forza della sua vocazione, l’abilità con cui trasferisce sulla tela le sue visioni del mondo interiore, il rapporto quasi organico che ha con il colore e con il disegno.

Sofía Gandarias è, lei tutta, memoria. In primo luogo memoria di se stessa, come chiunque di noi, e anche memoria del suo vissuto e di quanto ha imparato, memoria di tutto quanto ha interiorizzato come cosa propria, memoria di Kafka, Primo Levi, Roa Bastos, Borges, Rilke, Brecht, Hanna Arendt; di quanti, per dirla in una parola, si sono affacciati al pozzo dell’animo umano e hanno provato quella vertigine.
(Traduzione di Giancarlo Depretis)

SOFÍA GANDARIAS
Praga, Czech Centre (tel. +420/234668501) e Instituto Cervantes (tel. +420/221595211), sino al 16 luglio

José Saramago
05 luglio 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/cultura/10_luglio_05/depetris-saramago-dio-kafka_f5e7041e-882d-11df-adfd-00144f02aabe.shtml
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