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Autore Discussione: Lazar: "L'Europa sia a potere diffuso, non francocentrica"  (Letto 2013 volte)
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« inserito:: Aprile 25, 2010, 11:28:57 pm »

25/4/2010 - INTERNATIONAL JOURNALISM FESTIVAL

Lazar: "L'Europa sia a potere diffuso, non francocentrica"

FRANCESCO RIGATELLI

Dopo la conferenza dell’International Journalism Festival sui rapporti tra Europa e Stati Uniti con lo storico Andrea Romano, l’ambasciatore americano a Roma David Thorne e l’ex ambasciatore italiano a Washington Sergio Vento, Marc Lazar prende un caffè sulla terrazza dell’hotel Brufani di Perugia. Anzi due, «perché quello italiano è così buono». Il sole primaverile fa risaltare gli occhi azzurri del professore più noto di Sciences Po, da poco pure presidente della neonata School of Government della Luiss. Un uomo molto tranquillo, attento e spiritoso. Tanto da mettere in discussione, come in quest’intervista, addirittura il suo paese: «Sono francese e questo è già un difetto – scherza -. Ma sono scettico come il mio maestro Raymond Aron. Siamo proprio certi che l’Europa esista? E che gli Stati Uniti sapranno resistere alle loro storiche tentazioni: il ripiegamento su se stessi e l’imperialismo?». Lazar pensa che se non costruiamo a breve un’Europa forte finiremo per essere una provincia del mondo globalizzato di questo secolo. Politicamente si definisce «socialdemocratico blairista. Ma l’etica di professore m’impedisce di schierarmi, anche se posso rivelare che ho votato per la Costituzione europea e che sono critico nei confronti dei vertici attuali dell’Unione».
Cosa si aspetta dall’Europa?
«L’ideale sarebbe trovare un Obama europeo con un suo progetto e la capacità di narrarlo. In attesa di ritrovare uno spirito europeo ed un suo protagonista, va ammesso che l’ingegneria istituzionale di Bruxelles è ancora troppo farraginosa. Occorrono decisioni veloci, anche senza il motore francotedesco. Il problema è che Parigi e Berlino non sono in buoni rapporti ultimamente».
Come mai?
«La Germania dopo il 1989 guarda con interesse economico all’Europa centrale ed alla Russia più che alla Francia. E quest’ultima non riesce a ripensare la sua politica estera. Ma deve smettere di credere in un’Europa francocentrica. Occorre immaginare un soggetto a potere più diffuso».
L’euroscetticismo insidia l’integrazione però. Che ne pensa?
«Il quadro generale dell’Unione è comunemente accettato. Esistono dei grossi interrogativi però. Gli economisti, ad esempio, negano che l’aumento dei prezzi discenda dall’introduzione della moneta unica, ma la gente non ci crede. Inoltre c’è una diffusa crescita dell’incultura della dietrologia».
Cioè?
«Me ne sto rendendo conto dalla School of Government della Luiss: c’è un odio del popolo per le élite in Italia ed in Europa. Anche tra i giovani esiste il dramma di chi si sente escluso dalla società. Succede perché nella società della conoscenza l’età prima dei trent’anni è fondamentale. E chi non ha accesso a studi ed esperienze qualificanti non se la cava più come una volta. I respinti dal sistema rigettano dunque la politica. Fu chiaro già nello scontro Chirac-Le Pen, quando una parte dei francesi preferì punire il candidato di sinistra che salvare il paese».
Come riparare?
«Occorre convincere la gente che un’Unione forte può essere una risposta a certi malesseri. Soprattutto in un periodo storico d’ascesa di nuove potenze concorrenti: non solo gli Stati Uniti di Obama, ma Brasile, Cina, India e Turchia. E poi bisogna riqualificare le élite. Aprire le università d’eccellenza a tutti con borse di studio, renderle accessibili alle diversità etniche e sessuali. Fare sì che l’ascesa sociale sia possibile senza discriminazioni. E che l’integrazione sia reale. Una mia idea per la Luiss è mandare gli studenti in stage come operai prima di farli diventare manager. Se tutto questo non funziona c’è solo una conclusione: sciogliere l’Unione Europea».
In Italia la sfiducia per la politica è diffusa ed il sentimento europeo pare freddo. Che ne pensa?
«Il paese rimane legato all’idea di Europa e, nonostante la crescita della Lega, il Pdl è fortemente collegato al Ppe».
Eppure il conflitto d’interessi del presidente del Consiglio Berlusconi lascia l’Italia idealmente fuori dall’Europa.
«L’italia è un sismografo di molti difetti presenti anche in altri paesi. Ad esempio, la ricerca dell’uomo forte o la diffusione dell’antipolitica. Dunque non credo ad un’anomalia italiana in Europa. Anche se alcune specificità sono gravi e da risolvere. Il conflitto d’interessi di Berlusconi certamente. Molto criticato in Francia come in Inghilterra da conservatori, liberali e socialisti alla stessa maniera. Ed un altro difetto del paese tanto specifico quanto da non dimenticare è il suo meridione, il cui controllo sfugge allo stato centrale».

da lastampa.it
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