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Autore Discussione: Diecimila gridano: «Giù le mani da Emergency»  (Letto 3718 volte)
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« inserito:: Aprile 14, 2010, 02:41:17 pm »

Diecimila gridano: «Giù le mani da Emergency»

di Giuseppe Rizzo



Giù le mani da Emergency.

Cinque parole che racchiudono tante cose. Intanto, la storia di Matteo Dell'Aira, Marco Garatti e Matteo Pagani, i tre cooperanti dell’ong che sabato 10 aprile sono stati arrestati dalle autorità afghane nell’ospedale di Lashkar Gah. Poi i primi attacchi del ministro degli Esteri Franco Frattini e Maurizio Gasparri contro Gino Strada. Infine, la rabbia di migliaia di internauti che hanno aderito subito alla mobilitazione lanciata dall’Unità su Facebook e che si sono dati appuntamento per sabato 17 aprile in piazza Navona, a Roma. Creato l’evento, «Giù le mani da Emergency», appunto, il loro numero è iniziato a lievitare, tanto da raggiungere 10 mila sostenitori nel giro di 24 ore. Tutti pronti a manifestare indignazione per quanto accaduto e sostenere Emergency.

Maria Renzi, da subito, non ha usato mezze misure: «È semplicemente vergognoso lo sciacallaggio di questi due politici. Come fanno a schierarsi così aspramente, e con quali prove, poi, contro gente che ogni giorno rischia la vita per alleviare le sofferenze dei popoli in guerra, mettendone in dubbio l’onestà e la professionalità: vergogna!». Roberto Lanni, invece, si rivolge al ministro degli Esteri: «Questi ministri, piuttosto che occuparsi di capire cosa sta succedendo ai tre operatori di Emergency, fanno a gara a chi fa più dichiarazioni senza senso. Quando si tratta di avvisi di garanzia al loro capo, allora i giudici sono dei comunisti, eversivi. Quando si tratta di associazioni laiche che non sono vicini ai loro interessi, allora sono dei terroristi. Ma insomma caro ministro degli esteri: attiviamo o no la Farnesina per capire cosa è successo?».

I due pesi, le due misure

Giacomo Bolli invita tutti a riflettere: «Mettiamoci nei panni dei nostri politici: se un loro compagno di merende (vedi Bertolaso e tanti altri) commette un reato, non è colpevole fino all'ultimo grado di giudizio, e semmai gli capita la sfortuna di essere condannato, la responsabilità è sua e solo sua, non di tutta una classe politica; se invece un medico, o un infermiere o un semplice volontario che appartiene a Emergency è sospettato di aver commesso qualcosa, nasce subito la condanna e il rinnegamento di tutto il gruppo. Sono straconvinto che chi salva la vita di decine di persone ogni giorno, in territori massacrati da guerre ingiuste, e senza mai guardare il colore della pelle o la fede religiosa, non può essere un assassino».

Ne è così convinta anche Elena Mazzarano che scrive: «Parteciperò con tutto quello che ho, con tutto quello che sono, in tutti i modi che mi sono possibili, a qualsiasi iniziativa a favore di Emergency». Chiara Chirò non potrà essere a Roma, sabato prossimo, ma non rinuncerebbe «mai a dimostrare tutta la mia vicinanza ai tre medici ingiustamente arrestati, perciò mi sono iscritta immediatamente a questo evento e lo sto suggerendo a tutti i miei amici». Luigi Romano, invece, lancia una proposta alternativa a chi si chiede come aiutare Gino Strada e il suo gruppo: «Le bomboniere del nostro matrimonio saranno di Emergency. Una piccola goccia per dare sostegno». E Marco Trona subito gli risponde: «Bravo, a suo tempo io ho preso sia le bomboniere che le partecipazioni e sono stati tutti felicissimi e, lasciamelo dire, orgogliosi di riceverle».

Orgoglio è la parola che usa anche Giuseppe Tivori nel suo intervento: «In Italia non è facile usare questo termine, anzi. In Italia ogni giorno dobbiamo fare attenzione a chi lo usa. Frattini e Gasparri si commentano da soli. Emergency si commenta coi fatti. E io sono orgoglioso di essere italiano quando penso a Gino Strada e ai suoi medici». Mariastella Graziato sintetizza il commento di molti: «Giù le mani da Emergency, sabato tutti a Roma, orgogliosi di essere sempre e comunque dalla loro parte».

14 aprile 2010
da unita.it
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Admin
Utente non iscritto
« Risposta #1 inserito:: Aprile 14, 2010, 02:57:26 pm »

Garantisti sempre

Non sappiamo se i tre operatori di Emergency arrestati sabato dai servizi segreti afghani abbiano davvero complottato contro il governatore della provincia di Helmand, o si siano addirittura resi responsabili di un più che misterioso omicidio. Ma sappiamo alcune altre cose che, fino a prova contraria, possono orientare la nostra opinione sull'accaduto.

Sappiamo che l'intelligence afghana obbedisce spesso, come del resto il suo governo, a interessi poco confessabili.
Sappiamo che la provincia di Helmand è al centro di tutte le tensioni perché si trova lì, in quel territorio pashtun che i talebani considerano casa propria, il fronte decisivo della guerra afghana, ed è lì che le forze americane e britanniche hanno da poco scatenato la più grande offensiva dall'inizio del conflitto.
Sappiamo ancora che proprio da quelle parti, nel bel mezzo della battaglia, sorge un ospedale di Emergency. Un ospedale particolare che tiene le porte aperte, che accoglie e cura con lo stesso metro umanitario civili vittime della guerra e combattenti. Talebani compresi.

Orbene, ci chiediamo, se le coordinate della questione sono a tal punto complesse, se qualcosa più di un dubbio risulta autorizzato dalle circostanze, non meriterebbero i nostri tre connazionali arrestati una forte presa di posizione garantista da parte del governo italiano? Voci improvvide, sempre fino a prova contraria, si sono levate dalla maggioranza. Il ministro degli Esteri Frattini ha espresso sconcerto e preoccupazione, ha pregato perché non risultassero vere le indiscrezioni del Times (poi smentite dagli stessi afghani) secondo cui i tre avevano confessato, ha fatto intervenire il nostro ambasciatore per verificare che i detenuti fossero trattati bene, ha parlato con il collega di Kabul. Comprendiamo la sua preoccupazione: non irritare gli afghani in un momento delicato. Ma noi avremmo preferito parole più nette, e non soltanto da lui, perché anche nell'opposizione è prevalsa una certa voglia di distanza.

E' vero, nel mezzo di una guerra il cui sbocco si gioca nell'offensiva in corso Emergency può dare fastidio. Può tendere a collocarsi agli occhi dei governi (e non soltanto di quello italiano) in una sorta di zona grigia che puzza di slealtà o di doppio gioco. Perché quello stesso talebano che ora viene curato ha forse ucciso, ieri, soldati afghani o della Nato. Perché è impossibile svolgere una missione umanitaria bipartisan senza tenere contatti, appunto, con tutte le parti in causa.

Ed è anche vero che Gino Strada, il chirurgo fondatore di Emergency, è un personaggio scomodo (soprattutto da quando ha fatto da mediatore per la liberazione del giornalista Daniele Mastrogiacomo), è polemico all'estremo, è contrario alla continuazione della guerra e, per semplificare, risulta più vicino alla sinistra che alla destra.

Ma può questo far dimenticare che Emergency, pur infiltrabile come tutte le organizzazioni di prima linea, è una preziosa e assai meritevole organizzazione umanitaria? La si può confondere, in linea di principio, con un potenziale covo di terroristi? Può la sua logica equidistante essere confusa con il tradimento? Crediamo di no. Gli unici a poter equivocare dovrebbero essere gli afghani che dall'offensiva alleata sperano di trarre vantaggi e si muovono con una collaudata disinvoltura, la stessa che muove Karzai quando accusa la Nato— invece di se stesso — di aver organizzato i brogli elettorali alle presidenziali. Il garantismo tanto evocato in patria, insomma, dovrebbe valere anche per i tre operatori sanitari arrestati tanto lontano dal nostro Palazzo. E dovrebbe, se possibile, essere affermato con energia ben maggiore di quella spesa in questi giorni.

Franco Venturini

13 aprile 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
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