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Autore Discussione: Padre Ragheed Ganni un martire o una vittima...  (Letto 3429 volte)
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« inserito:: Giugno 08, 2007, 11:03:45 pm »


Padre Ragheed aveva un fratello musulmano, che gli ha scritto…

Ieri 7 giugno 2007, 12.39.31 | Sandro Magister

Adnan Mokrani, di fede musulmana, è professore di islamistica alla Pontificia Università Gregoriana di Roma, all’Istituto di studi delle religioni e delle civilizzazioni.

Era amico padre Ragheed Ganni, il sacerdote caldeo ucciso domenica 3 giugno nei pressi di Mosul, assieme a tre suoi suddiaconi. Vedi in www.chiesa: “L’ultima messa di padre Ragheed, martire della Chiesa caldea”.

Ecco la lettera che gli ha scritto quando gli è giunta la notizia della sua morte. La lettera è stata diffusa dall’agenzia internazionale Zenit:

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In nome di Dio, clemente e misericordioso.

Ragheed, fratello mio,

ti chiedo perdono, fratello, di non essere stato accanto a te quando i criminali hanno aperto il fuoco su te e i tuoi fratelli, ma le pallottole che hanno trafitto il tuo corpo puro e innocente, hanno trafitto anche il mio cuore e la mia anima.

Tu sei stato una delle prime persone che ho conosciuto al mio arrivo a Roma, nei corridoi dell’Angelicum, dove ci siamo conosciuti e dove abbiamo bevuto assieme il nostro cappuccino nella caffetteria dell’università. Tu mi avevi colpito per la tua innocenza, la tua allegria, il tuo sorriso tenero e puro che non ti lasciava mai. Io non posso che immaginarti sorridente, felice, pieno di gioia di vivere. Ragheed per me è l’innocenza fatta persona, un’innocenza saggia, che porta nel suo cuore le preoccupazioni del suo popolo infelice. Mi ricordo di quella volta nella mensa dell’università, quando l’Iraq era sotto embargo e tu mi hai detto che il prezzo di un solo cappuccino avrebbe potuto colmare i bisogni di una famiglia irachena per un’intera giornata, come se tu ti sentissi in qualche modo colpevole di essere lontano dal tuo popolo assediato e di non condividerne le sofferenze…

Eccoti di ritorno in Iraq, non solo per condividere con la gente il loro destino di sofferenze, ma anche per unire il tuo sangue a quello delle migliaia di iracheni che muoiono ogni giorno. Non potrò mai dimenticare il giorno della tua ordinazione all’Urbaniana… Con le lacrime agli occhi, mi avevi detto: “Oggi sono morto per me”… una frase molto dura.

Nell’immediato non avevo ben capito, o forse non l’avevo presa sul serio come avrei dovuto… Ma oggi, attraverso il tuo martirio, l’ho capita questa frase… tu sei morto nella tua anima e nel tuo corpo per resuscitare nel tuo Bene amato e nel tuo Maestro e affinché Cristo resusciti in te, malgrado le sofferenze e le tristezze, malgrado il caos e la follia.

In nome di quale dio della morte ti hanno ucciso? In nome di quale paganesimo ti hanno crocifisso?… Sapevano veramente quello che facevano?

Oh Dio, noi non ti chiediamo vendetta o rivincita, ma vittoria… vittoria del giusto sul falso, della vita sulla morte, dell’innocenza sulla perfidia, del sangue sulla spada… Il tuo sangue non sarà stato versato invano, caro Ragheed, poiché ha santificato la terra del tuo paese… ed il tuo sorriso tenero continuerà ad illuminare dal cielo le tenebre delle nostre notti e ad annunciarci un domani migliore…

Ti chiedo scusa, fratello, ma quando i vivi si incontrano, essi credono di avere tutto il tempo per conversare, farsi visita e dirsi i propri sentimenti e i propri pensieri… Tu mi avevi invitato in Iraq… Sogno sempre di visitare la tua casa, i tuoi genitori, il tuo ufficio… Non avrei mai pensato che sarebbe stata la tua tomba che un giorno avrei visitato o che sarebbero stati i versetti del mio Corano che avrei recitato per il riposo della tua anima….

Un giorno, ti ho accompagnato per acquistare degli oggetti ricordo e dei regali per la tua famiglia alla vigilia della tua prima visita in Iraq dopo una lunga assenza. Tu mi avevi parlato del tuo lavoro futuro: “Vorrei regnare sulla gente sulla base della carità prima della giustizia” mi avevi detto. Allora mi era difficile immaginarti come “giudice” canonico… Ma oggi il tuo sangue e il tuo martirio hanno detto la loro parola, verdetto di fedeltà e di pazienza, di speranza contro ogni sofferenza e di sopravvivenza, malgrado la morte, malgrado il nulla.

Fratello, il tuo sangue non è stato versato invano… e l’altare della tua chiesa non era una mascherata… Tu hai preso il tuo ruolo con profonda serietà, fino alla fine, con un sorriso che nulla spegnerà… mai.

Il tuo fratello che ti vuole bene

Adnan Mokrani


da magister.bloautore.espresso.repubblica.it
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