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Autore Discussione: SANOU MBAYE Reinventare la finanza dell'Africa  (Letto 2240 volte)
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« inserito:: Febbraio 16, 2010, 10:40:43 am »

16/2/2010

Reinventare la finanza dell'Africa
   
SANOU MBAYE*

C’è qualcosa di tristemente noto nell’ondata di notizie sulle crescenti piaghe dell’Africa - povertà, malnutrizione, guerre civili e morti in aumento – di fronte alla crisi finanziaria che ha investito il mondo. Più o meno ovunque i media traducono le conclusioni degli studiosi in grafici che illustrano la brutalità e la disperazione che regnano in luoghi come la Guinea e la Repubblica democratica del Congo.

Ma c’è un altro aspetto, purtroppo trascurato, della storia. I Paesi africani che erano stati tagliati fuori dai mercati internazionali per la maggior parte degli ultimi 50 anni hanno per lo più evitato la doppia sventura del disordine finanziario e del rovescio economico. Le economie del continente hanno subito un rallentamento ma non sono entrate in recessione. In effetti, secondo McKinsey & Company, l’Africa nel 2009 è stata tra i maggiori motori della crescita economica mondiale, al terzo posto dopo Cina e India.

In più diversi Paesi africani hanno ricevuto aperture dalle agenzie di credito che hanno dato loro accesso ai centri finanziari. In alcuni casi si parla di livelli pari o superiori a quelli di Paesi come la Turchia o l’Argentina. In tutto il continente sono fioriti gli uffici di Borsa. Inoltre Paesi come Cina, India e Brasile hanno stabilito una piattaforma di scambi per l’esportazione e introdotto un modello di cooperazione basato sul trasferimento di commerci, investimenti e tecnologie piuttosto che sugli «aiuti». I soli cambi Cina-Africa sono cresciuti dai 10 miliardi di dollari del 2000 ai 107 del 2008 e miliardi di dollari sono stati investiti nella produzione di combustibili, scavi minerari, trasporti, produzione e distribuzione di energia elettrica, telecomunicazioni e altre infrastrutture.

Questo tipo di sviluppo ha contribuito a migliorare in modo impressionante la macroeconomia dei Paesi africani. Rispetto agli Anni 90 l’inflazione è stata dimezzata e le riserve del commercio estero sono cresciute del 30%. La finanza pubblica è passata nel 2008 a un più 2,8% del prodotto interno lordo mentre nel 2000-2005 era in deficit per l’1,4 del prodotto interno lordo. I tassi di risparmio sono tra il10% e il 20% e il debito estero è passato dal 110% del Pil nel 2005 al 21% nel 2008. Dal 2000 i Paesi subsahariani hanno avuto una crescita economica fra il 5 e il 7%.

A questa rivoluzione hanno contribuito molti fattori. La domanda dei mercati emergenti ha spinto i prezzi dei beni di consumo. L’urbanizzazione ha dato vigore a un settore dinamico e informale. Ma hanno aiutato anche la migliore amministrazione, la maggior produzione di cibo, gli accresciuti scambi interstatali, la cancellazione del debito, il miglior uso degli aiuti allo sviluppo, l’espandersi delle telecomunicazioni e la nascita di mercati nazionali.

Tuttavia il contributo più significativo è arrivato dalla diaspora africana. Uno studio commissionato dal Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo, che ha sede a Roma, indica come oltre 30 milioni di persone che vivono lontane dai loro Paesi di origine abbiano contribuito con più di 40 miliardi di dollari di rimesse ogni anno mandati alle loro famiglie e alle loro comunità. Nell’Africa subsahariana secondo la Banca Mondiale queste rimesse sono salite da 3,1 miliardi nel 1995 a 18,5 miliardi nel 2007 e rappresentano un importo che va dal 9% al 24% del Pil ed è l’80-750% dell’indice ufficiale degli aiuti allo sviluppo (ODA) Le rimesse degli emigranti sono condizionate dalle norme vigenti e dalla qualità – in termini di velocità, costo, sicurezza e accessibilità – dei prodotti e dei servizi offerti dalle banche, dalle compagnie che trasferiscono denaro, dalle istituzioni di microcredito e dagli operatori privati. Sotto questo aspetto in Africa ci sono tre differenti strategie. Quella anglosassone ha il suo punto di forza nel liberalizzare il mercato delle rimesse incoraggiando la competizione, allentando i vincoli per gli operatori extrabancari, offrendo incentivi finanziari, incoraggiando l’innovazione tecnica e finanziaria e stimolando la collaborazione fra gli operatori sul mercato. Questo approccio, adottato anche dall’Italia, contribuisce a ridurre i costi e ad aumentare il volume degli introiti per i beneficiati.

L’approccio spagnolo promuove il coinvolgimento degli emigranti nel sistema bancario offrendo una vasta gamma di servizi tanto nel Paese d’origine come in quello ospite, con prodotti dedicati e commissioni basse sui trasferimenti di denaro. Questo sistema, assai sviluppato in Marocco e nell’area di influenza portoghese è ben rappresentato dalla politica di tasso zero attuata dalla banca spagnola Santander e dalla sua controparte marocchina, l’Attijariwafa Bank.

Infine, la strategia francese si fonda su due tipi di monopolio. Il primo è quello della Western Union, che controlla il 90% del volume dei trasferimenti con i 16 Paesi della «Zona Franca» africana. La Western Union applica tassi fino al 25% sui trasferimenti a questi Paesi in confronto a una media del 5% e ha richiesto ai Paesi membri la firma di contratti esclusivi per evitare la concorrenza di uffici di cambio stranieri, uffici postali e istituzioni di microcredito. Il secondo monopolio è esercitato nel settore bancario. La Francia ha diritto di veto presso la direzione delle due banche centrali della Zona Franca mentre due banche commerciali francesi, Bnp-Paribas e Société Générale esercitano un quasi monopolio sui programmi di prestito, per lo più imperniati su finanziamenti a breve termine e sulle necessità dei governi, delle imprese pubbliche e private e delle élite. Tutte le altre banche locali hanno adottato lo stesso sistema, limitando fortemente l’accesso ai servizi finanziari da parte dei privati e delle famiglie.

Malgrado la crescente importanza delle rimesse dall’Italia, dalla Spagna e dagli Stati Uniti, la quota maggiore in termini assoluti arriva ancora dalla Francia. C’è davvero bisogno nella Zona Franca di una istituzione finanziaria che converta le rimesse degli emigranti in investimenti produttivi, capaci di generare occupazione e benessere e che allarghi l’accesso ai servizi bancari, all’accensione di ipoteche, ai prodotti assicurativi, ai panini pensionistici e all’assistenza tecnica.

Le statistiche ufficiali del 2009 dimostrano come le rimesse degli emigranti tendano a scendere bruscamente via via che la recessione globale erode le possibilità di trovare lavoro all’estero. Questo rende ancora più importante fare sì che i Paesi africani, molti dei quali hanno svolto un duro lavoro per la crescita sostenibile, abbiano un sistema finanziario in loco che possa gestire le rimesse in modo efficace una volta rimessa in moto l’economia mondiale.

*È stato nell’ufficio direttivo della African Development Bank, è un banchiere senegalese e ha scritto «L’Afrique au secours de l’Afrique».

da lastampa.it
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