LUCA MERCALLI.

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17/8/2012

Ferragosto non fermerà un'estate da record

LUCA MERCALLI

Una nuova pulsazione dell’alta pressione africana si sta espandendo sull’Europa centro-meridionale. Questa volta l’apice del caldo non sarà raggiunto al Sud Italia, bensì tra Spagna e Midi francese, e interesserà dunque maggiormente le regioni alpine, fino ad ora rimaste escluse dai calori più intensi delle scorse settimane. Nei prossimi giorni e fino a martedì 21 agosto lo zero termico si porterà a 4500 metri sulle Alpi occidentali, divorando i ghiacciai, e i termometri indicheranno fino a 38-40 gradi dalle pianure dell’Alessandrino alla Romagna e nella Toscana interna, e valori attorno ai 30-35 gradi sulle regioni centro-meridionali.

Ormai dalle prime anticipazioni statistiche, che saranno definitive a fine mese, si può comunque assegnare all’estate 2012 la seconda posizione dopo quella epocale del 2003, che ancora per durata e intensità mantiene un primato poco invidiabile. Caratteristica di questa stagione estiva 2012, più che il raggiungimento di picchi di caldo estremo, è stata la perdurante continuità: sia giugno sia luglio sono stati mesi termicamente ben al di sopra della media, che ora si avviano a essere completati da un agosto analogo. Eppure si diceva un tempo «Agosto inizio d’inverno». Ed era vero che in genere dopo Ferragosto l’estate italiana manifestava i primi segni di cedimento soprattutto su Alpi e settentrione: temporali frequenti, prime imbiancate di neve sulle vette e notti più fresche e rugiadose.

Da una decina d’anni tuttavia non è più così, l’estate tende infatti ad attardarsi fino ad autunno inoltrato e agosto, da mese subordinato a luglio, è diventato gran protagonista dell’estate meteorologica mediterranea. E’ stata infatti la prima decade dell’agosto 2003 la parentesi più rovente della storia italiana degli ultimi secoli, con la simbolica soglia dei quaranta gradi toccata anche nelle aree urbane di Torino, Milano e Bologna, ma pure nel 2009 l’incursione d’aria africana si rinnovò tardivamente, e nei giorni 20-21 agosto si toccarono 40 gradi a Firenze-Peretola, 37 a Verona e 38 a Bologna. E per chi ha la memoria corta pure il 21 agosto 2011 stabiliva un primato di caldo a Firenze, con 40,8 gradi, e quasi 39 nell’Alessandrino.

Pertanto l’episodio attuale si inserisce pienamente nella tendenza recente verso estati più lunghe e più calde, peraltro previste da decenni dai modelli di simulazione numerica del clima come sintomo inequivocabile del riscaldamento globale. In queste condizioni la siccità giorno dopo giorno conquista posizioni: i temporali hanno interessato negli scorsi mesi in modo rilevante solo le Alpi, mentre a sud del Po il deficit di pioggia si fa sentire e il caldo prolungato non fa che aumentare l’evaporazione e le esigenze idriche agricole e civili. Nei prossimi giorni è probabile che di caldo, di carenza d’acqua e di cambiamenti climatici si parlerà molto, poi dalla prossima settimana, con il ritorno di temporali, aria più fresca, e la chiusura delle vacanze tutto verrà presto dimenticato, come accade di solito per le alluvioni, che si presenteranno poi all’appuntamento autunnale.

Eppure la ricerca scientifica internazionale sta apportando elementi sempre più rigorosi e affidabili agli scenari climatici che ci attendono, di cui questi episodi anomali rappresentano per ora casi relativamente gestibili e isolati destinati a infittirsi. Cosa aspettiamo dunque a intraprendere una seria politica di mitigazione e di adattamento? La crisi economica non è una buona scusa per ignorare la severissima sfida ambientale che abbiamo di fronte e che ha bisogno di un grande sforzo di pianificazione a lungo termine per essere efficace.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=10433

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23/8/2012

Non si contratta lo spread con la natura

LUCA MERCALLI

Ad aprile è stato inserito nella Costituzione italiana il pareggio di bilancio, ovviamente riferito al denaro. Ma c’è un bilancio estremamente più importante per la nostra vita. Vita che prima di essere soggetta ai capricci dell’economia è ferreamente dominata da flussi di energia e materia: è quello delle valute «fisiche» disponibili sul pianeta Terra. Un dato che, per quanto denso di conseguenze per il futuro dell’Umanità, nessuno considera strategico, né lo si inserisce nelle Costituzioni, salvo forse che in quella dell’Ecuador.

In sostanza, non si possono prelevare dal conto terrestre più risorse di quante i sistemi naturali siano in grado di rigenerare né immettere rifiuti e inquinanti più di quanto la biosfera sia in grado di metabolizzare. L’Overshoot Day di quest’anno, annunciato ieri, definisce la data nella quale il nostro conto corrente con l’ambiente è andato in rosso. Abbiamo speso tutti gli interessi in questi primi 234 giorni dell’anno, e da oggi al 31 dicembre dilapideremo una parte del capitale, con conseguenze talora irreversibili, come il riscaldamento globale o l’estinzione di specie viventi.

Il pareggio di bilancio mondiale è stato rispettato più o meno fino alla metà degli Anni 70, quando l’umanità contava 3,5 miliardi di individui. Oggi siamo 7 miliardi, consumiamo e inquiniamo come non mai e preleviamo l’equivalente di una terra e mezza. La biosfera è un sistema resiliente, e per brevi periodi può sopportare uno stress senza collassare, a patto che si rientri nei limiti imposti dalle leggi universali che governano i cicli biogeochimici, il clima, la riproduzione della fauna ittica, la rigenerazione delle foreste. Ma, come accade a un motore lanciato a folle corsa, quando la lancetta del contagiri entra in zona rossa, per non sbiellare bisogna ridurre la velocità.

Stranamente l’economia mondiale appare preoccupatissima del rallentamento dei giri del motore e invoca un’ulteriore accelerazione che secondo i modelli ecologici porterebbe attorno al 2050 alla necessità dell’equivalente di due pianeti, dei quali evidentemente non disponiamo. Ovvero il motore salta e la macchina si ferma di botto con gravi conseguenze per la società e per l’ecosistema. La «spending review» tanto oggi di moda dovrebbe dunque includere anche le risorse fondamentali da cui dipendiamo, suolo, acqua, energia, biomassa, carico inquinante.

Una riduzione dei giri governata con saggezza per riportarci nei limiti concessi dall’unico pianeta che abbiamo è l’unico atteggiamento razionale a cui ricorrere, e sarebbe assurdo non considerarlo proprio ora che la ricerca scientifica ci mette a disposizione tanti dati affidabili su cui costruire gli scenari futuri, scegliendo quelli più favorevoli ed evitando le trappole del sovrasfruttamento. La sfida è enorme, l’uomo deve completamente mutare il proprio paradigma, da un cieco inseguimento della crescita fine a se stessa a un’economia basata su uno stato stazionario, energie rinnovabili e rifiuti riciclabili. È un obiettivo per nulla facile da perseguire, né esistono ricette preconfezionate, tuttavia ciò che la comunità scientifica invoca invano da anni è una disponibilità all’ascolto del mondo economico e politico, alla ricerca di soluzioni nuove e condivise che tengano conto dell’enorme posta in gioco, ovvero la sopravvivenza della specie per un periodo dello stesso ordine di grandezza del nostro cammino evolutivo precedente, diciamo 200 mila anni. Sotto le isteriche oscillazioni dello spread, c’è un debito con la natura che non si potrà contrattare in nessun Parlamento.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=10454

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27/8/2012

La (breve) bufera non ferma il termometro

LUCA MERCALLI

Come spesso accade dopo un periodo di gran caldo, al primo sbuffo di aria atlantica più fresca, ecco scoppiare i nubifragi.

È accaduto sabato sera in molte zone dell’Italia nord-occidentale, ma con particolare violenza tra Biellese e Verbano. I temporali, previsti da giorni e invocati specialmente dagli agricoltori penalizzati dalla siccità, hanno però portato più danno che sollievo, soprattutto sulla sponda piemontese del Lago Maggiore, intorno a Verbania. La stazione meteorologica Arpa Piemonte di Pallanza (www.arpa.piemonte.it), investita in pieno dalla tempesta di pioggia e vento attorno alle 20, ha registrato in totale 94 millimetri d’acqua, di cui 66 in appena un’ora, e raffiche fino a 108 km/h, più che sufficienti a sradicare centinaia di alberi e scoperchiare edifici. Si è talora parlato di tornado, ma in realtà le impetuose folate che hanno squassato il celebre parco di Villa Taranto sono attribuibili alle turbolente correnti discendenti dai cumulonembi - le torreggianti nubi temporalesche - e non a una tromba d’aria con la sua caratteristica nube vorticosa «a imbuto», di cui in questo caso non c’è testimonianza. Non si tratta tuttavia di fenomeni nuovi per la fine di agosto, anzi, ogni anno accade che i contrasti termici tra i calori padani di fine estate e le prime perturbazioni dal Nord Atlantico generino vigorose linee temporalesche che, con movimento solitamente orientato da Sud-Ovest verso Nord-Est, si propagano lungo le zone pedemontane dal Torinese ai grandi laghi prealpini. Questa volta gli effetti sono stati particolarmente vistosi perché il fortunale si è abbattuto su un’area turistica densamente abitata. D’altra parte l’instabilità atmosferica di fine agosto è così ricorrente da essere impressa perfino in un detto popolare locale che ricorda la «bura ‘d San Bartlumé», la piena di San Bartolomeo, 24 agosto. E proprio il 24 agosto 1987, venticinque anni fa, piogge torrenziali da 250 millimetri in 24 ore si abbattevano sul bacino del Toce causando frane ed esondazioni, poi il 5 settembre 1998 la stessa Verbania fu investita da un nubifragio che allagò la città rovesciando in 12 ore ben 352 mm d’acqua. In genere questi episodi segnavano la «rottura» dell’estate e l’avvio dell’autunno, invece quest’anno, passata la breve tempesta, l’estate continua.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=10463

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Editoriali
16/10/2012

Troppi codici rossi, così non ci crederà più nessuno

Luca Mercalli


E dunque su Roma i temporali sono arrivati in serata ma non si è trattato dell’annunciato Armageddon pluviale. 

 

Qualche criticità nella notte su Lazio, Campania, Sicilia e Friuli è da mettere in conto, ma i sacchi di sabbia, l’ordine di non uscir di casa e gli annunci esasperati erano di troppo. 

 

è dalla grave alluvione del Po del 15 ottobre 2000 che le informazioni meteorologiche dimostrano attendibilità ottimale per programmare un serio allertamento preventivo. Ma ad oltre dieci anni da allora, ciò che ancora manca è il coordinamento della diffusione degli avvisi, che soffre pure della frammentazione delle fonti, pubbliche e private, moltiplicate dalla rete, nonché la formazione dei comunicatori dell’emergenza e l’educazione al rischio del pubblico. 

 

Tutte operazioni che necessitano di programmazione a lungo termine, di azioni preventive nelle scuole, nei mezzi d’informazione, serenamente pianificate quando splende il sole, e non di affannose improvvisazioni a poche ore dall’emergenza. La perturbazione c’era, è stata correttamente prevista e aveva in sé il potenziale per produrre nubifragi, allagamenti e disagi al traffico. Ma si è preferito coniugare tutto all’indicativo piuttosto che al condizionale, usare i superlativi assoluti invece di quelli relativi, non avere cautela e rispetto per la terminologia, che conta moltissimo nella comunicazione del rischio. 

 

Come per i terremoti, anche in meteorologia si usano scale di pericolo: gli uragani hanno la Saffir-Simpson con intensità crescente da uno a cinque, i tornado hanno la Fujita, da F0 a F5, le grandinate si classificano con la scala Torro, da H0 a H10. Le piogge alluvionali in genere in Europa si suddividono in tre livelli – come in Francia - o cinque – come in Svizzera - con codici colore dal verde al rosso. Il fronte temporalesco di ieri poteva ragionevolmente classificarsi a un livello moderato, un arancione, ovvero non al massimo grado se comparato con altri recenti episodi disastrosi, quali le alluvioni venete del novembre 2010, il nubifragio delle Cinque Terre del 25 ottobre scorso o quello successivo su Genova del 4 novembre 2011. I comunicati dovevano dunque attirare l’attenzione su uno stato di vigilanza attiva delle persone e di preparazione degli organi di manutenzione e di pronto intervento. 

 

Creare aspettative così inquietanti non era giustificato per tale categoria di evento, soprattutto in quanto la natura temporalesca dei fenomeni, a macchia di leopardo e difficili da localizzare, escludeva a priori sia il coinvolgimento contemporaneo di un vasto territorio, come accade nelle piene maggiori sui corsi d’acqua di ordine superiore, sia la certezza di occorrenza su zone fortemente urbanizzate, lasciando un carattere di aleatorietà che non interviene nel caso di perturbazioni più vaste, organizzate e durature per le quali l’allarme può essere più preciso. Come nel caso dell’uragano Irene su New York nell’agosto 2011, che indusse correttamente il sindaco Bloomberg a evacuare parte della città, colpita poi soltanto di striscio. Insomma, ora che le previsioni son fatte, bisogna fare gli utenti e i comunicatori, altrimenti emerge lo spettro - temutissimo da ogni operatore del rischio - del vano grido «al lupo, al lupo». 

 

Alla prossima previsione in codice rosso, chi crederà più ai bollettini?

da - http://lastampa.it/2012/10/16/cultura/opinioni/editoriali/troppi-codici-rossi-cosi-non-ci-credera-piu-nessuno-nnx74uErj8d9X7vLiivtEN/pagina.html

Admin:
Editoriali
14/11/2012

Previsioni, la terra di nessuno

Luca Mercalli


Le allerte meteorologiche di queste settimane, delle quali l’ultima del tutto motivata sulla Maremma, chiedono a gran voce istruzioni per l’uso per i cittadini e riorganizzazioni istituzionali. Cominciamo dalle previsioni. In Italia il panorama è all’insegna della frammentazione:
l’Aeronautica Militare detiene il ruolo di Servizio Meteorologico nazionale presso l’Organizzazione meteorologica mondiale ma la sua presenza a scala locale è limitata. Per questo sono sorti negli ultimi trent’anni i servizi meteo regionali in genere gestiti dalle Agenzie Regionali per l’Ambiente. La Protezione civile nazionale a sua volta ha costituito una propria struttura previsionale. Su questa complessa meteorologia dei granducati si è sovrapposta la recente esplosione di siti web amatoriali e commerciali la cui attendibilità è più o meno buona ma la cui capacità di relazionarsi con le persone è ben più dinamica delle istituzioni. Sul numero 4/2012 di «Ecoscienza», rivista del Servizio Meteo Regionale dell’Emilia Romagna (www.arpa.emr.it), Stefano Tibaldi, uno dei fisici dell’atmosfera che più si sono spesi per la nostra meteorologia, definisce questa situazione un «disastro nazionale unico in Europa», motivato da «enorme debolezza accademica e totale disinteresse istituzionale statale».

 

Di recente è vero che il Dipartimento della protezione civile ha favorito «la crescita di alcune eccellenze scientifiche e operative», ma la persistente indifferenza dello Stato mantiene l’Italia una «terra (meteorologica) di nessuno», nonostante la legge 100/2012 per il riordino del Sistema nazionale di protezione civile, che dovrebbe realizzare il «Servizio meteorologico nazionale distribuito» richiesto dal decreto legge 112/98 e mai attuato.

 

Nel frattempo i cittadini si arrangiano, pescando le previsioni dove capita ricevendo le allerte non da un’unica e autorevole fonte, diciamo Météo France o Meteo Svizzera, bensì dalle chiacchiere del bar. Poi l’alluvione arriva, anche per via della cementificazione selvaggia e
dell’urbanistica che non si è accordata con l’idraulica, cose ipernote, se ne parla dall’evento di Firenze del 1966. Fiumi di congressi, gruppi di lavoro, commissioni, progetti di ricerca... Eppure le famiglie di Vicenza che in due anni si sono viste invadere la casa dal Bacchiglione, si stanno arrangiando da sole: se ne vanno, cambiano casa. Incredibile che la dinamica di adattamento stia coinvolgendo in modo dirompente e improvvisato le persone senza che vi sia la minima guida di questi delicati processi da parte delle istituzioni! Che cosa giunge di tante dotte riflessioni a chi ora ha l’acqua in salotto?

 

In Francia, dopo la tempesta Xynthia che il 28 febbraio 2010 ha causato 29 vittime nel comune atlantico di La Faute-sur-Mer, l’area residenziale costruita in violazione del rischio è stata dichiarata dalla prefettura «zone noire» con abbattimento e delocalizzazione di 674 case. 

da - http://lastampa.it/2012/11/14/cultura/opinioni/editoriali/previsioni-la-terra-di-nessuno-qXIf4Chmg6mDoIoHE6B73L/pagina.html

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