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Autore Discussione: L’Isola dove stavano operai e malfattori, Silvio diede li il primo vagito...  (Letto 6820 volte)
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« inserito:: Settembre 16, 2009, 10:55:10 pm »

L’Isola dove stavano operai e malfattori

di Oreste Pivetta


Ogni momento della vita di Berlusconi ha del miracoloso. Ad esempio è miracoloso che lui sia nato in luoghi diversi e in epoche successive. Di sicuro il primo vagito lo emise, nel lontano 1936, all'Isola. Il secondo in via Alciati, a 25 anni. Seguiranno altri vagiti,come più tardi al supermercato di Casalecchio di Reno dove annunciò la sua "discesa in campo". L'Isola era un quartiere popolare con la sua cattiva fama. Non vi è luogo ormai di Milano che non goda di cattiva fama. Allora, la cattiva fama era tutta colpa di borsaioli, scassinatori, operai e antifascisti.

All'Isola ci viveva anche la famiglia del Confalonieri, addirittura imparentata con il Borghi, il trumbè, l'idraulico che sarebbe diventato l'Ignis. L'Isola si chiamava così perchè era un ultimo lembo, diviso dal corpo della città dalla ferrovia. Superando la ferrovia ci si avviava verso il Garibaldi: anche lì case di ringhiera e poveracci. Un piano regolatore negli anni cinquanta aveva deciso di tirar diritta una specie di autostrada che legasse il centro, scavalcando la ferrovia, all'Isola e a quell'asse di penetrazione che era e rimane viale Zara (poi Fulvio Testi, dove sorgeva la gloriosa sede milanese dell'Unità). Del criminale progetto urbanistico si realizzò solo il ponte sui binari: è ancora lì, grande e grosso per un traffico di poco conto. Berlusconi, cresciutello (quel poco che poteva) avrà percorso quelle strade. Berlusconi ricorderà la vecchia Federazione del Pci, la libreria Rinascita, la coooperativa Sassetti. Ricorderà il mercato di piazzale Lagosta, che mamma Rosa avrà frequentato (c'è tornato per un comizio volante). Passata la guerra (Silvio era sfollato), nato Paolo (nel '49) meglio sistemato il padre alla banca Rasini, la famiglia si sarebbe trasferita proprio in viale Zara, una casa con qualche pretesa. Poi era campagna, fino ad arrivare a Cinisello, Bresso, Sesto San Giovanni, ed incontrare le grandi fabbriche, gli operai, le tute bianche della Pirelli e quelle blu della Breda, soprattutto su viale Sarca, la parallela. Ora è un supermercato e una multisala continua (con l'università dentro i confini milanesi).

Prima della guerra e dopo, tra quei camini e quegli altiforni e quei capannoni si produceva la ricchezza d'Italia. Ogni tanto capitava che gli operai scioperassero (durante il fascismo contro i fucili spianati dei repubblichini e dei nazisti). Erano giorni di grande fermento, quelli che videro Berlusconi studentello e poi universitario, con la Dc che s'alleava al Psi. Il Dio di Roserio pedalava attorno a Musocco e la Gilda incantava il Mac Mahon (chissà se il nostro avrà mai letto il grande Testori). Visconti girava "Rocco e i suoi fratelli" e Brecht conquistava i milanesi al Piccolo con Strehler, Antonio Banfi discettava alla libreria Einaudi (proprio accanto al fatale Teatro Manzoni). Migliaia e migliaia di immigrati moltiplicavano le lingue di Milano. Poche centinaia di metri al di là di casa Berlusconi, quasi a far ombra al cupo di mattoni rossi collegio dei salesiani, dove il giovane s'istruiva, saliva il grattacielo Pirelli, simbolo ancora non del formigonismo ma della grande impresa. L'ultima mattonella del Pirellone risale al 1960. Chissà se proprio quell'impresa sotto gli occhi l'avrà convinto a buttarsi sul mattone. D'altra parte quella era una città dove si costruiva, male, ovunque. Lui per cominciare, scelse via Alciati, in un quartiere dove avrebbe vissuto i suoi ultimi anni Mamma Rosa.

15 settembre 2009
da unita.it
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« Risposta #1 inserito:: Settembre 16, 2009, 10:58:13 pm »

Da Mandrake al mattone. I primi anni di un predestinato

di Claudia Fusani

Questione di attitudini. E di predisposizioni. Anche loro sono nel Dna, come gli occhi azzurri o i capelli ricci. Ci nasci, ed è difficile cambiare. L’attitudine al commercio, ad esempio: Silvio Berlusconi ce l’ha sempre avuta. Tra i banchi del liceo salesiano Sant’Ambrogio di via Copernico s'inventa la formula «soddisfatti o rimborsati» che avrà tanto successo nei suoi grandi magazzini trent'anni dopo. È bravo a scuola, specie in latino, greco e italiano, sono tempi di magra postbellici ma s'intravvede il boom e Silvio inventa ogni modo per raggranellare qualche soldo. Tra le fonti di guadagno i suoi compagni di classe. Racconta uno di loro, Giulio Colombo: «Faceva i compiti in un baleno e poi aiutava i vicini di banco ma pretendeva in cambio caramelle, oggettini, di preferenza 20 o 50 lire. Se però il compito non raggiungeva la sufficienza, restituiva i soldi».

L’attitudine alla bugia, così, per il gusto di spararla perchè certe cose anche se non sono vere suona benedirle. Fanno scena. E per Berlusconi la scena vale più delle parole e dei fatti. Le biografie autorizzate raccontano che ha studiato due anni alla Sorbona, lo ha ripetuto a Sarkozy il 26 febbraio 2009 durante un incontro ufficiale. Falso. Forse ci ha fatto un corso estivo. Però fa scena il giovane talentuoso e squattrinato che arriva alla Sorbona. Le solite biografie autorizzate, che attingono soprattutto da aneddoti raccontati da Berlusconi medesimo alle convention di Publitalia, dicono della passione per la musica e del gruppo I Quattro doctores (siamo nei primi anni universitari) con Fedele Confalonieri al pianoforte e Silvio al microfono che sale e scende dal palco per sedurre le ragazze; di Confalonieri geloso che lo caccia ma poi è costretto a riprenderlo perchè senza non funziona; delle serate al «Tortuga» di Rimini e al «Gardenia» e al «Miramare» di Milano; delle crociere a fare l’animatore di bordo; della tournèe in Libano. Difficile dire dove inizi il falso e finisca il vero. Tranne il Libano, assolutamente falso: ma quanto fa esotico dirlo. Con queste attitudini Silvio Berlusconi nasce a Milano il 29 settembre 1936. Il padre Luigi, 28anni, è impiegato della Banca Rasini, un solo sportello in piazza Mercanti 5.La mamma Rosella Bossi, donna robusta, sguardo fiero, amante dei grandi cappelli, smette di lavorare alla Pirelli quando nasce Silvio. La famiglia vive in un quartiere di ringhiera, l'Isola Garibaldi. La guerra travolge tutto e tutti. Anche i Berlusconi: il padre è soldato semplice di fanteria e dopo l’8 settembre ‘43 si rifugia in Svizzera. Mamma Rosa, Silvio – viso tondo, il sorriso di chi la sa lunga, lo stesso di oggi, la capigliatura castana foltissima - e la neonata Maria Antonietta (Paolo nascerà nel 1949) sfollano a Oltrona di San Mamette, nel comasco. Berlusconi ama raccontare un aneddoto che vede mamma Rosa affrontare un soldato tedesco e, aiutata dai passeggeri di un treno, salvare una donna ebrea. La famiglia si riunisce solo nel luglio 1945. Silvio ha già 9 anni, papà Luigi torna a lavorare in banca e nel 1948 lo mette in collegio dai salesiani, il Sant’Ambrogio, dove «s’imparava a stare sui libri fino a capire a fondo e ricordare bene». Dice Padre Erminio Furlotti, uno dei suoi insegnanti, in Una storia italiana, opuscolo elettorale del 2001: «Era geniale, disinvolto, padrone di sé e di facile comunicativa. I discorsi ufficiali venivano sempre affidati a lui che spesso improvvisava». Lo chiamavano Mandrake.

In collegio fino alla maturità classica, Silvio si iscrive alla Statale, Giurisprudenza. Il padre gli chiede di aiutarsi negli studi. Non c’è problema: belloccio («dicono che ero un fusto »), fama di sciupafemmine, s’inventa piazzista di spazzole, fotografo di matrimoni e funerali, cantante. Intrattenitore e venditore, intenderà più o meno allo stesso modo anche la politica. Negli anni universitari stringe rapporti che saranno poi decisivi nella sua carriera. Con l’Opus Dei di Josemarìa Escrivà de Balaguer, anzitutto, di cui frequenta la Residenza internazionale Torrescalla, e dove nasce l’amicizia con il palermitano Marcello Dell’Utri. uno dei suoi più stretti collaboratori. Intanto, nel 1957, Luigi diventa direttore della Banca Rasini. Silvio si laurea nel 1960 con una tesi sulla pubblicità e vince una borsa di due milioni di lire della concessionaria di pubblicità Manzoni. Prende 110 e lode. Ha 25 anni. Le idee chiarissime su cosa fare. E come farlo.

(1/continua)
15 settembre 2009
da unita.it
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« Risposta #2 inserito:: Settembre 16, 2009, 10:59:01 pm »

Costruttore, ma senza soldi spunta l’aiuto di Carlo Rasini

di Claudia Fusani


È il 1961, in dieci anni Milano e l’hinterland hanno visto arrivare seicentomila immigrati, c’è fame di case e appartamenti. Miele per i palazzinari. Zucchero per Silvio Berlusconi che già nell’ultimo anno di università ha lavorato con la Immobiliare Costruzioni. Una volta laureato e schivata – lui che si vanta d’essere di sana e robusta costituzione – la naja, mette insieme domanda e offerta e il gioco è fatto. Sarà un crescendo impressionante: via Alciati, il primo minuscolo, ma significativo gruppo di case; poi i mille appartamenti di Brugherio; il modello new town a Segrate con Milano 2, dove prende forma nel 1974 il primo embrione di Canale 5, e a Basiglio con Milano 3.

In pochi anni Berlusconi riesce a ottenere linee di credito riservate e superagevolate, concessioni edilizie, varianti urbanistiche, a diventare socio di già noti finanzieri, a trovare compratori nonostante la crisi, addirittura a far deviare gli aerei che, da Linate, attraversano il cielo sopra i suoi palazzi. Il “miracolo milanese” di Sua Residenza è in realtà una sequenza di stupefacenti anomalie. E se il mito da lui alimentato favoleggia dell’uomo che si è fatto dal nulla, non si tiene conto, in questo nulla, dei miliardi di lire che gli sono inspiegabilmente piovuti tra le mani.

In via Alciati si affaccia un terreno che il giovane Silvio giudica perfetto per costruire abitazioni per gli immigrati che arrivano dal sud e dal Veneto rurale.
Giuseppe Fiori ne «Il venditore» (Garzanti) e Giovanni Ruggeri ne «Gli affari del Presidente» (Kaos) ricostruiscono i passaggi dell’investimento. L’area costa 190 milioni di lire, Silvio ne ha solo 10, ma non molla. Anzi. Cerca, e trova, dilazioni nei pagamenti, una fidejussione e un socio. Lo aiuta Carlo Rasini, che ha preso in mano la omonima banca (che alcuni atti giudiziari definiranno «crocevia degli interessi della malavita milanese in genere e in specie quella facente capo a Cosa Nostra») di cui il padre Luigi è direttore nel 1957. Il socio è un cliente dell’istituto di credito, il costruttore Pietro Canali, che accetta non solo di aprire il portafoglio ma anche, racconta Berlusconi («Io ho fatto fortuna così», Capital, aprile 1981), di sottoscrivere «una compartecipazione al 50 per cento». L’operazione va in porto, in due anni vengono costruiti gli appartamenti e i soci della Cantieri Riuniti Milanesi ci guadagnano pure qualcosa. È qui che Berlusconi s’inventa «la vendita sulla pianta», non la casa mostrata ma raccontata: sempre ben vestito e sorridente, va in cantiere con il potenziale cliente, lo prende sottobraccio e gli spiega «...qui lei immagini la camera da letto, qui la cucina luminosa, qui il box per la sua 1100». Lo ubriaca di discorsi, strappa l’anticipo al compromesso, un’altra quota con l’avanzamento dei lavori, il saldo alla consegna.
Nasce così il tormentone anche della sua carriera politica: «Io sono sempre stato convesso con il concavo e concavo con il convesso». Significa che il cliente ha sempre ragione, o almeno bisogna farglielo credere. Anche se poi chi vende fa come gli pare. Lo ripeterà trenta e passa anni dopo quando parla delle trattative con i potenziali partner e gli avversari politici. Alla fine fa sempre come vuole lui. Vende le case che ancora non esistono, fa patti che restano sulla carta. Come con la nascita del Pdl: una sintesi di più anime, la casa comune, aveva detto ai militanti di Fi e An. Macché: una caserma. Che ora ha pareti con lunghe crepe.
Ma torniamo ai palazzi della Milano del boom economico. Nel 1963 si chiude il cantiere di via Alciati e prende forma un progetto innovatore: costruire dal nulla una città dove c’è tutto, dalla clinica dove si nasce al cimitero, la prima new town europea. Giudica perfetta quella fetta di pianura tra l’Adda e il Lambro, a sud del canale Villoresi, avvolta tra le nebbie e i fumi delle fabbriche nel comune di Brugherio.

Ma un costruttore e un uomo d’affari deve essere, prima di tutto, un buon marito e padre di famiglia. Così gli hanno insegnato i salesiani. Così pretende la regola dell’Opus Dei. Nel 1964 il ventottenne Silvio incontra Carla Elvira Dall’Oglio, spezzina trasferita a Milano con la famiglia negli anni cinquanta. È un colpo di fulmine. Si sposano neppure un anno dopo. Nel 1966 nasce Maria Elvira (Marina), tre anni dopo Pier Silvio. Vanno a vivere in via San Gemignano, ancora la periferia di Milano.

2/continua

16 settembre 2009
da unita.it
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« Risposta #3 inserito:: Settembre 17, 2009, 10:33:33 pm »

I segreti del successo: palazzi più alti e linee aeree deviate

di Claudia Fusani



Cantieri, vendite, amicizie, moglie e figli, soldi. Tanti soldi, tantissimi. Ma da dove vengono? Giovanissimo - ha 28 anni - e laureato in legge, non in economia, Berlusconi è già un mago di giochi societari. Sciolta la Cantieri Riuniti Milanesi di via Alciati, crea nel 1962 - quando apre il cantiere di Brugherio - la Edilnord sas, che significa «società in accomandita semplice»: ci sono i soci accomandatari (o d’opera), quelli che si occupano di appalti, licenze e permessi, e i soci accomandanti, i finanziatori che mettono i capitali. Silvio è un socio d’opera con il commercialista Edoardo Piccitto, i costruttori Giovanni Canali ed Enrico e Giovanni Botta. Tra i finanziatori ci sono Carlo Rasini, sempre lui, il proprietario della banca dove papà Luigi nel frattempo è diventato direttore, e un avvocato d’affari svizzero, Renzo Rezzonico, legale rappresentante di una finanziaria di Lugano, Finanzierungesellschaft fur Residenzen Ag.
Le finanziarie servono sempre a schermare, a nascondere i proprietari. E infatti mai sarà possibile sapere chi si muove dietro questa ed altre coperture d’oltreconfine che sono la prima ragione del successo imprenditoriale di Silvio Berlusconi.

Il cantiere di Brugherio sarà completato nell’estate del 1969, mille appartamenti venduti, quattromila abitanti. Il tutto in una stagione in cui vendere case è difficilissimo. Dopo il primo palazzo rimasto invenduto, i soci vorrebbero chiudere. Berlusconi insiste. Le biografie autorizzate (Berlusconi in concert, D’Anna e Moncalvo, Otzium Ltd, 1994) sono ricche di aneddoti in odore di mito. Almeno uno merita di essere raccontato. Il socio d’opera Silvio Berlusconi non si rassegna al fallimento di Brugherio. S’impegna coi soci, ghe pense mì a trovare gli acquirenti. Decide di puntare sul mercato dei fondi professionali. «Io non avevo contatti con la politica - racconta quasi vantandosi - e per arrivare agli enti romani dovevi pagare tangenti». Si rivolge al commendator Piero Michiara, presidente della Manzoni Pubblicità, quella della borsa di studio. Michiara è anche il responsabile del Fondo di previdenza dei dirigenti commerciali.

Organizza un incontro a Brugherio con il suo vice, è una domenica pomeriggio, nebbia, umido, fango e cemento. Un disastro. E’ no su tutta la linea, in quel posto non ci sono servizi nè negozi. Una condanna a morte. A cui Silvio si ribella. Come? Si fa presentare la segretaria del vicepresidente, la corteggia («non feci fatica a far nascere una relazione amichevole»), si fa dire dove può trovare casualmente il vicedirettore del Fondo (un viaggio in treno Roma-Milano, orario e carrozza) e lo intorta per ore con chiacchiere e volgarità («Arrivammo mezzi sbronzi interessati alla natura delle circasse che sembra cominci qua e finisca là dietro...»). Risultato: il Fondo acquista i mille appartamenti di Brugherio. E la segretaria? «Pagai la penale alla mia informatrice. Fu una cosa molto carina».

Oltre gli aneddoti, qualche fatto. I palazzi di Brugherio dovevano essere di cinque piani e invece crebbero fino a otto. Berlusconi assunse come direttore del progetto il responsabile dell’urbanistica del comune, un democristiano. Intervistato anni dopo, l’urbanista Edoardo Teruzzi spiegò: «Un abuso (i piani in più ndr.)? Non esageriamo. Fu un malinteso che venne risolto con 200 milioni e la costruzione di un asilo».
L’esperienza di Brugherio diventa preziosa per avviare (1968) il cantiere di Milano 2, a Segrate, 712 mila metri quadrati pagati tre miliardi di lire, un progetto residenziale per 14 mila persone nei primi anni settanta, un’oasi di lusso e abbondanza all’americana.

L’intervento politico è determinante. I terreni di Milano 2 sono vicini all’aeroporto di Linate e il rumore degli aerei deprezza il valore dell’area. L’imprenditore Berlusconi non si perde d’animo: ottiene (1973) la deviazione delle linee grazie ad agganci politici e a uno studio del Poltitecnico che solo in seguito si scopre essere stato commissionato da Edilnord. Il valore degli appartamenti di Milano 2 passa da 130 mila a 280 mila al metro quadrato. Non solo: fa autorizzare, vicino all’area da edificare, la costruzione di una clinica, il San Raffaele del suo amico don Verzè. Un motivo in più per deviare le rumorosissime linee aeree. Don Verzè, già allora, al suo fianco. È il sacerdote luminare a cui Berlusconi ha commissionato la ricerca del segreto dell’immortalità.

16 settembre 2009
da unita.it
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« Risposta #4 inserito:: Settembre 18, 2009, 11:56:59 pm »

La microbanca di piazza Mercanti all'origine di tutti i miracoli

di Claudia Fusani


Piazza Mercanti, cinquanta metri da piazza Duomo, ieri e oggi il cuore della Milano degli affari. Bisogna tenere a mente questo indirizzo perché qui al piano terra, interni eleganti e un po' barocchi, sono custoditi l'alfa e l'omega della fortuna e della carriera di Silvio Berlusconi. Il primo cent, fosse stato Paperon dè Paperoni, di un’immensa fortuna.

Già prima dell’ultima guerra in piazza Mercanti operava un piccolo ma raffinato istituto di credito, la Banca Rasini, la preferita dall'alta borghesia meneghina.
Luigi Berlusconi ci arriva come impiegato negli anni trenta, ne diventa direttore nel 1957, la lascia nel 1973 per seguire gli affari del figlio. Il conte Carlo Rasini è, come abbiamo già visto, il primo socio in affari del venticinquenne Silvio, mette a disposizione il capitale per l’acquisto del terreno in via Alciati, offre garanzie per il prestito per la costruzione dei palazzi, fidejussioni e malleverie ancora più consistenti per la realizzazione dei mille appartamenti a Brugherio. La presenza del conte Rasini nelle prime avventure imprenditoriali di Silvio è stata sicuramente, come minimo, una garanzia che ha poi aperto la porta all’arrivo di altri capitali, dalla Svizzera come dal Liechtenstein.

Merito dell'intraprendenza di Silvio, dicono le biografie autorizzate. Verissimo, senz’altro. Merito anche di Luigi, fedele dipendente dei Rasini e brillante banchiere.
Certo è che il “nulla” da cui emerge Berlusconi ha dietro di sé la sostanza e i capitali di una banca. E allora il nodo da sciogliere è: cosa fa veramente la banca Rasini?
E perchè si mette a disposizione, sulla fiducia, per operazioni immobiliari traballanti anche se poi azzeccatissime?
Rispondere a questa domanda significherebbe avere in mano la chiave della soluzione. Berlusconi sorvola, parla d’altro, sarebbe stupefacente il contrario. Tocca arrangiarsi incrociando quanto raccontano i libri inchiesta (tra cui l'ultimo, appena uscito, "L'unto del signore", di Ferruccio Pinotti e Udo Gumpel, Bur) con il contenuto di alcuni atti giudiziari. Tenere in conto i fatti e cercare di metterli in fila. Per farli parlare da soli. Sapendo subito quale è stata la conclusione: nel 1983 l’istituto resta coinvolto (il profilo penale riguarda solo il direttore generale Antonio Vecchione, il successore di Luigi Berlusconi) in un’inchiesta di riciclaggio di capitali mafiosi; tra il 1991 e il 1992 la Rasini viene acquisita e assorbita dalla Popolare di Lodi per poi scomparire del tutto.
Fondamentale è fissare alcune date e i relativi passaggi. L’istituto, abbiamo detto, è il salotto buono dell’alta borghesia meneghina e Luigi Berlusconi è l’uomo di fiducia dei conti. Negli anni cinquanta una prima svolta: entra nella Rasini - la banca è una sas, società in accomandita semplice - la famiglia Azzaretto, siciliani di Misilmeri, con forti legami in Vaticano, con i Cavalieri di Malta e del Santo Sepolcro. Nel 1973 la banca si trasforma in società per azioni e cresce il ruolo dei soci isolani. Nello stesso anno Luigi Berlusconi decide di pensionarsi per dare una mano al figlio già lanciato verso i piani alti dell'imprenditoria. Nel 1974 anche Carlo Rasini abbandona la banca, «il mondo finanziario era cambiato, estraneo a quello del conte» dicono alcune testimonianze. La maggioranza del pacchetto azionario della banca passa nelle mani di Dario Azzaretto con il 29,3 per cento delle azioni. Un pacchetto consistente pari al 32,7 per cento viene gestito da tre società del Liechtenstein, la Wootz Anstalt di Eschen, la Brittener Anstalt di Mauren e la Manlands Financiere SA di Schann, tutte rappresentate da Herbert Batliner,

Uomo d’affari e discusso mecenate, Batliner è personaggio che merita di essere approfondito. Nella loro inchiesta Pinotti e Gumpel ricordano che Batliner non solo avrebbe “prestato” la sua consulenza a narcotrafficanti latino-americani ma anche che nel 2007 è stato riconosciuto colpevole di una maxi evasione fiscale in Germania dalla procura di BOchum, in prima linea nella lotta all’evasione. Batliner ha riconosciuto le sue colpe, ha accettato di pagare una sanzione di 2 milioni ed è oggi in pari con la giustizia. Le indagini continuano (sono 900 le società che lavoravano con lui) ma lo stato tedesco ha già recuperato 900 milioni. Nel 2006, nonostante non potesse mettere piede in Germania, Batliner ha avuto un permesso speciale per incontrare papa Ratzinger a Ratisbona. E donargli un organo a canne del valore di 730mila euro.


18 settembre 2009
da unita.it
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« Risposta #5 inserito:: Settembre 19, 2009, 06:30:18 pm »

Azzaretto, Rovelli, Popolare Lodi, tutti i padroni della Rasini

di Claudia Fusani


Ma torniamo in piazza Mercanti e seguiamo le sorti della microbanca Rasini. La Milano del boom economico poi della crisi e del terrorismo prima della Milano da bere è una città amministrata ininterrottamente dai primi anni sessanta da sindaci di area socialista, da Bucalossi fino a Pillitteri. Fino a Mani Pulite. In questo contesto tra il 1961 e il 1972 sono inviati al soggiorno obbligato in Lombardia 372 mafiosi che costruiscono una fitta rete d’affari criminale. Molti di questi nomi compaiono nell’informativa della Criminalpol (rapporto 0500/C.A.S del 13 aprile 1981), duecento pagine sulle indagini sulla mafia a Milano e in Lombardia e i suoi collegamenti con le famiglie siciliane e con quelle americane di Cosa Nostra. [

Sulla base dei nomi, dei legami e delle intercettazioni finite in quel rapporto, la notte del 14 febbraio 1983 vengono arrestati vari imprenditori perchè legati a Cosa Nostra e si scopre che lo sportello-gioiello di piazza Mercanti serviva come lavanderia di denaro sporco. In manette finiscono Giuseppe Bono, Antonio Virgilio, Salvatore Enea e Luigi Monti, tramite i quali erano diventati clienti della Banca Rasini i clan mafiosi della famiglia Fidanzati, Bono e Gaeta. Virgilio e Monti hanno legami, documentati da intercettazioni telefoniche, con Vittorio Mangano, il mafioso palermitano assunto come stalliere ad Arcore da Berlusconi e amico di Marcello Dell’Utri (ma questi saranno protagonisti di alcune prossime puntate).

Un giro d’affari pazzesco per quegli anni: sul conto corrente di Antonio Virgilio transitano tra il 28 febbraio del 1980 e il 31 maggio del 1982 operazioni per quasi cinquanta miliardi; la Rasini ha scontato a Virgilio oltre un miliardo di lire (360 milioni da una gioielleria di piazza di Spagna); Salvatore Enea, un altro della mafia dei colletti bianchi ha fatto versamenti per 828 milioni di euro. Questo il mondo che si muove intorno allo sportello di piazza Mercanti. Va precisato e messo in evidenza che la famiglia Berlusconi non ha più alcun tipo di contatto o legame operativo con la banca a partire dal 1973 quando Luigi si dimette e il conte Rasini cede il comando agli Azzaretto. In rispetto alla cronaca va anche aggiunto che un incendio distrugge tutti i documenti bancari relativi al periodo antecedente al 1973 (così risulta dalle dichiarazioni dei responsabili della banca nell’ambito del processo Dell’Utri). A ben vedere, l’unico, a parte Berlusconi, ancora lucido e vivente che conosce i segreti della Banca è Batliner (vedere puntata precedente) che controllando un terzo del capitale sociale dell’istituto è decisivo per ogni scelta. Non solo: il libro inchiesta di Pinotti e Gumpel ricostruisce il dietro le quinte delle tre fiduciarie del Liechtenstein e arriva ad ipotizzare che «tre protagonisti della finanza vaticana (Sindona, Calvi e Marcinkus)avrebbero una partecipazione coperta nella Rasini». Dopo il blitz di San Valentino anche gli Azzaretto decidono che è meglio lasciar fare.

Tra l’83 e l ’84 il controllo dell’istituto passa alla famiglia di Nino Rovelli, “re della petrolchimica” sarda, protagonista dello scandalo Imi-Sir. Le più recenti cronache giudiziarie ci hanno spiegato che uno dei protagonisti di quell’affaire, l’avvocato Cesare Previti (nello staff legale di Berlusconi già dai primi anni settanta), riuscì a corrompere i giudici per far avere ai Rovelli un risarcimento di mille miliardi di lire.

Perché Rovelli, mai stato banchiere, si prende la Rasini? Chi gli chiede questo favore? Ancora una volta Pinotti e Gumpel, che a loro volta riprendono un’intervista alla baronessa Cordopatri cliente della Rasini, arrivano ad alcune conclusioni: dietro la Rasini c’è Giulio Andreotti, già dai tempi degli Azzaretto. «Certo è - scrivono a proposito dei motivi che hanno convinto i Rovelli prima e la Popolare di Lodi poi a rilevare la banca di piazza Mercanti - che una bancarotta della Rasini non avrebbe giovato a nessuno. Avrebbe richiamato gli ispettori della Banca d’Italia e creato uno scandalo. Andava impedito un altro caso Sindona. Si spiega così il colpo dei Rovelli: salvare una banca amica del Vaticano». Nel 1992 la Popolare di Lodi assorbe la Rasini. E il 5 settembre 2003 anche le tre società del Liechtenstein vengono cancellate. Evapora così, prima nel fuoco poi nel nulla, la memoria della banca dei segreti.

19 settembre 2009
da unita.it
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« Risposta #6 inserito:: Settembre 21, 2009, 04:01:17 pm »

Il grande risiko societario dell’imprenditore Berlusconi

di Claudia Fusani


Come le carte di un mazzo a un tavolo da gioco: studiate, calate, scartate, ammucchiate costruiscono scale reali, full, doppia coppia, poker d’assi. Giochi sapienti e vincenti. Solo che quasi mai si scorge il volto del giocatore avvolto da nubi di fumo, ombre e penombre, oppure confuso dalla luce della lampadina bassa sul tavolo.
Così la storia delle società di Silvio Berlusconi che, forse perchè figlio di un alto funzionario di banca, laureato in legge e non in economia, ha sempre avuto un debole per i giochi societari. La storia di queste società è un romanzo appassionante assai di più di una mano di poker con folle di prestanome, fiduciarie svizzere, incastri di holding tutte intestate a «servizi di parruccheria e istituti di bellezza».
Due precisazioni prima di affrontare la trama societaria. La prima: le varie inchieste giudiziarie che dal 1994 in poi hanno indagato Berlusconi per vari reati, dalla frode fiscale al falso in bilancio (depenalizzato dal 2002, governo Berlusconi 2), dalla corruzione al finanziamento illecito ai partiti passando per l’appropriazione indebita e la corruzione in atti giudiziari, non lo hanno mai visto condannato. I verdetti sono di prescrizione o di assoluzione. Tranne che nel processo Mills (corruzione di testimone) e quello sui diritti cinematografici (appropriazione indebita), procedimenti entrambi congelati dal lodo Alfano, lo scudo che mette le quattro più alte cariche dello Stato al riparo da eventuali processi.
La seconda precisazione: il 26 novembre 2002 i magistrati di Palermo che indagavano su Dell’Utri e su un’ipotesi di riciclaggio e cercavano di ricostruire i percorsi di quei capitali hanno sentito Silvio Berlusconi come persona informata sui fatti. Il premier però si è avvalso della facoltà di non rispondere. Fininvest, da parte sua, non è stata in grado di fornire tutto il materiale necessario.
Cantieri riuniti milanesi. E’ la prima società, quella che costruisce in via Alciati appartamenti per gli immigrati in arrivo dal sud Italia. E’ il 1961. Il giovanissimo Berlusconi (25 anni) ottiene credito (circa duecento milioni di lire) dalla Banca Rasini dove lavora il padre Luigi che gli procura anche il socio, Pietro Canali. Primi passi in assoluta trasparenza.
La prima Edilnord. È quella che tra il 1963 e il 1969 costruisce e vende, tra qualche difficoltà risolta a modo suo dal brillante giovane Berlusconi, gli appartamenti per 4000 persone a Brugherio, luogo di nebbie ma dove per B. «brilla sempre il sole». Qui cominciano ad inabissarsi i soldi, nel senso che cominciano a schermarsi dietro società straniere di cui è impossibile stabilire con certezza il reale intestatario. La Edilnord sas, società in accomandita semplice, vede sei soci d’opera, tra cui Silvio, mentre i soci accomandanti, quelli che mettono i capitali, fanno capo alla finanziaria di Lugano Finanzier ungesellschaft fur Residenzen Ag rappresentata dall’avvocato svizzero Renzo Rezzonico.
La seconda Edilnord. E’ un anno speciale, il 1968. Dalle università e dalle fabbriche arrivano messaggi di cambiamenti importanti, anche drammatici. Il 29 settembre Berlusconi compie 32 anni e decide di regalarsi - lui è fatto così - una nuova società. Si chiama Edilnord Centri Residenziali, è sempre una Sas ( come la prima Edilnord che resterà in vita fino al 1972) ma stavolta Silvio non figura più tra i soci d’opera accomandatari. Scompare dalla compagine societaria e al suo posto spunta fuori la cugina Lidia Borsani, quasi coetanea, 31 anni, figlia di una sorella di mamma Rosa Bossi. I soldi li mette una fiduciaria di Lugano, che con la precedente condivide solo il legale rappresentante, l’avvocato Renzo Rezzonico. e si chiama Aktiengesellschaft fur Immobilienanlagen in Residenzentren Ag. Per semplificare, Aktien. Chiunque ci sia dietro, ha un sacco di soldi. La seconda Edilnord è quella che edificherà Milano 2 a Segrate. E’ una società che è in grado di affrontare un investimento iniziale di circa tre miliardi per l’acquisto dell’area dal conte Bonzi e un cantiere costosissimo durato 4-5 anni (un’inchiesta della Padania, nel 1998, diceva “500 milioni al giorno”). Lecito chiedersi da dove arrivassero tutti quei soldi per un imprenditore sconosciuto e appena trentenne. Le inchieste negli anni si sono dovute fermare davanti al muro di gomma della fiduciarie.
Si può aggiungere che la Aktien è nata il 19 settembre 1968 dall’agenzia lussemburghese di una finanziaria americana, la Discount Bank Overseas Limited che ha soci di vari paesi. E che la Aktien può operare solo fuori dalla Svizzera.

(6-continua)
Il labirinto delle società

da unita.it

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Fiduciarie svizzere, casalinghe, zii, cugini e P2: i soci di Silvio

di C.Fusani e J.Bufalini

Dopo la prima parte sul risiko delle società, la Cantieri riuniti milanesi e le prime due Edilnord, ecco gli altri tasselli del puzzle.


La terza Edilnord - Dopo quella della cugina, c'è la società intestata alla zia. La società nasce il 15 giugno 1970 da un semplice cambio di carta per cui la zia Maria prende il posto della figlia Lidia, cugina di Berlusconi. La società resta una Sas, socio accomandante è sempre la finanziaria di Lugano Aktien.
Italcantieri srl- Nasce a Milano il 2 febbraio 1973. Il gioco societario si complica ed è sempre meno palese. Italcantieri deve portare avanti la costruzione di Milano 2. Berlusconi resta un fantasma, ormai dai tempi della seconda Edilnord. La Italcantieri è figlia di due fiduciarie ticinesi: la Cofigen sa di Lugano rappresentata da un avvocato praticante, Renato Pironi; la Eti A.G. holding di Chiasso rappresentata dalla casalinga Elda Brovelli e da uno zio anziano di Berlusconi, Luigi Foscale.
La Eti è stata registrata il 24 aprile 1969, numero di protocollo 518, e ha tre soci: Arno Ballinari, Stefania e Ercole Doninelli a sua volta rappresentante della Aurelius Financing company sa (legata alla Interchange bank coinvolta nello scandalo finanziario Texon). A Ercole fa capo anche la Fi.MO, finanziaria svizzera schierata politicamente a destra e coinvolta in inchieste di riciclaggio. Durante Mani Pulite Fi.MO è sospettata di essere stata il tramite delle tangenti Eni e Enimont. Più di recente è diventata Bipielle Suisse, banca di riferimento di Gianpiero Fiorani.
Non meno complesso il dietro le quinte di Cofigen che nasce a Lugano il 21 dicembre 1972 (33 giorni prima della Italcantieri) e fa capo al finanziere Tito Tettamanti, uomo con tre grandi passioni: Opus Dei,massoneria, anticomunismo. Di sigla in sigla, la ricerca sul chi-è Cofigen porta alla Privat Credit bank e alla Cofi che fino al 1977 si chiama Milano internazionale sa il cui legale rappresentante è il senatore Giuseppe Pella, leader della destra Dc.
Un vortice che fa perdere la testa. Alla fine si può dire con certezza che dalla Svizzera giungono in quegli anni miliardi su miliardi (solo la Aktien versa 4 miliardi di lire e 600 milioni e 50 mila franchi svizzeri) di cui non si è mai saputa la provenienza. E che in tre anni la Italcantieri porta il suo capitale sociale da 20 milioni a due miliardi. Berlusconi non c’è. Non esiste. Compare solo il 18 luglio 1975 quando Italcantieri diventa spa. Esce zio Luigi Foscale. Silvio è presidente.
Immobiliare San Martino spa. Oltre le fiduciarie svizzere c’è un altro punto fermo nella storia delle società del giovane Berlusconi. E’ un indirizzo di Roma, salita San Nicola da Tolentino 1/b, un palazzo che ospita un’infinità di società. Una di queste è la Servizio Italia, fiduciaria del parabancario della Bnl rappresentata da Gianfranco Graziadei, tessera 1912 della P2. Con Servizio Italia hanno trafficato Gelli, Sindona, Calvi. Il 16 settembre 1974, Servizio Italia e laSaf sottoscrivono il capitale sociale della Immobiliare San Martino. Amministratore unico è Marcello dell’Utri.
Finanziaria d’investimento. La prima Fininvest nasce in salita San Nicola da Tolentino il 21 marzo 1975. E’ una srl che dopo otto mesi diventa spa e si trasferisce a Milano.
Milano 2 spa. E’ il nuovo nome della ex Immobiliare San Martino. E’ il 15 settembre 1977. La sede passa da Roma a Segrate. Dell’Utri esce.
Edilnord, l’ultima. E’ la quarta della filiera e il 6 dicembre 1977 entra come socio accomandatario, dopo cugine, zie e zii, Umberto Previti, 76 anni, padre di Cesare, con il mandato di chiuderla. Negli uffici dell’ultima Edilnord il 24 ottobre 1979 arriva una visita della Finanza. Dura un attimo. Gli ufficiali sono Massimo Berruti, dal ‘94 deputato di Forza Italia, e Salvatore Gallo, tessera 2200 della P2.
Fininvest 2. L’8 giugno 1978, sempre in salita da Tolentino, le solite Servizio Italia e Saf danno vita alla Finivest Roma srl, un solo impiegato, che il 26 gennaio 1979 incorpora la prima Finivest, quella di Milano. Amministratore unico diventa Previti senior. Dopo 6 mesi, nel luglio 1979 la Finivest si trasferisce a Milano. Previti esce. Berlusconi diventa presidente. Nel cda siedono il fratello Paolo e il cugino Giancarlo Foscale, figlio di Luigi.
Le 22 holding. Si chiamano Holding Italia I, II, III, così via fino alla 38. Nascono il 19 giugno 1978 e sono le proprietarie di Fininvest che poi, negli anni scendono a 23, poi a 22, a 20 infine a otto. Appartengono al 90% a un prestanome, Nicla Crocitto, anziana casalinga abitante a Milano 2, e il 10% al marito Armando Minna, ex sindaco della Rasini. Il 5 dicembre 1978 escono a loro volta di scena e sono sostituiti da due fiduciarie, Saf e Parmafid. Ogni holding ha il minimo possibile di capitale sociale (20 milioni). Ma tra il 1978 e il 1985 nelle holding entrano circa 94 miliardi di lire. Sconosciuta l’origine, noti i nomi dei prestanome: dalla casalinga al meccanico a un invalido in carrozzina di 75 anni. Numerose le banche che lavorano con le holding: la Popolare di Abbiategrasso, Popolare di Lodi, anche la vecchia Rasini presso la quale però le società sono catalogate sotto la voce «servizi di parrucchieri e istituti di bellezza». Tanta fantasia, hanno spiegato i vertici Finivest, per pagare meno tasse.

(7-continua)
Le grandi opere

20 settembre 2009
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