Massimo FINI.
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Natale non è più Natale perché adesso è Natale tutto l'anno
di Massimo Fini - 17/12/2011
Fonte: Massimo Fini [scheda fonte]
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Un tempo era bello credere a Gesù bambino che portava i regali. Era divertente giocare con la fantasia.Ora non serve. Consumiamo tutto l'anno e genitori e figli sono senza desideri.Nonostante manchi quasi un mese al 25 dicembre sono già cominciate le feste di Natale. Le città sono tutte piene di luminarie e i negozi pavesati a festa, in qualche paese è già stato allestito il presepe dove i pastori o i Magi hanno le sembianze di Battisti, di Clinton e di altri personaggi dell'attualità. Diciamo la verità: anche il Natale è diventato una festa insopportabile. Un tempo era la più bella e la più attesa, anche perché era l'unica. Noi bambini l'aspettavamo spasmodicamente tutto l'anno. E quando finalmente arrivava, e si consumava rapidamente in quella magica notte del 24, eravamo come colti di sorpresa. Ma anche gli adulti lo vivevano con la stessa intensità e commozione. Lo so, per riflesso, dai volti dei miei genitori. Lo so, di persona, perché anch'io vissi così i miei primi Natali da adulto e, in seguito, da padre. Il Natale era ancora, negli anni Cinquanta e nei primi anni Sessanta, una festa che aveva qualcosa a che fare con lo spirito e con l'anima. Non era necessario essere cristiani per pensare che in quella notte si compiva un evento straordinario, che per i credenti era la nascita di Gesù, e per gli altri (per me, per esempio, che sono di madrepatria russa, dove si festeggia non Cristo ma «papà Gelo» ) era qualcosa di magico e di fatato, di irrazionale, di incomprensibile. Pensavamo sul serio che il giorno di Natale gli uomini fossero tutti un poco più buoni. Ricordo ancora la mia sorpresa quando, già ventunenne, un vigile mi appioppò una multa per sosta vietata proprio la notte del 24 dicembre. «Ma è Natale», gli dissi. Secondo quel me ragazzo i vigili non avrebbero dovuto dare multe in una notte come quella. Perche anche i vigili, a Natale, doveva- no,essere più buoni, più tolleranti, più comprensivi. E inutile dire che ho creduto a Babbo Natale fino ai limiti dell'impossibile. E guardavo con disdegno e con un certo orrore il compagnuccio di scuola, già scafato e saputello, che voleva convincermi che Babbo Natale non esisteva e che era tutto un imbroglio. La notte di Natale, dopo che i miei mi avevano messo a letto, cantavo a squarciagola nel tentativo di non addormentarmi e di beccarlo quando arrivava. Ma regolarmente mi assopivo prima della fatidica mezzanotte consentendo così a mio padre, a mia madre e a mia sorella, più grande di me di nove anni, di preparare l'albero. Perchè a casa mia anche l'albero veniva portato da Babbo Natale insieme con le ghirlande, i fili d'angelo, le candeline, le palle e gli altri oggettini di vetro gonfiato che lo addobbavano. Ed era sempre un pino alto fino al soffitto, enorme, perché così voleva mia madre in ricordo della sua terra russa. Credo che nulla potrà mai restituirmi la magia di quel momento in cui i miei mi permettevano di entrare nella sala abbuiata dalle tapparelle abbassate e vedevo l'albero illuminato dalle candele e sotto, nella penombra, i pacchetti con i regali. Perche, certo, c'erano anche i regali, chiesti con regolare lettera, correttamente francobollata e indirizzata con precisione «a Babbo Natale, in Cielo»: i soldatini, il teatro delle marionette, un gioco di società, un libro di figure, kit del piccolo prestigiatore e per i bambini ricchi, ma davvero ricchi, il trenino elettrico. Povere cose, semplici cose, rispetto a quello che ricevono i bambini e i ragazzi d'oggi, abituati a ben altro e a girare col denaro in tasca, ma che per noi coniugavano la parola proibita, «felicità», perché, assieme a quelli del compleanno, erano i soli giochi che ricevevamo nell'arco di dodici mesi durante i quali avremmo dovuto fare con quelli o con quegli altri creati dalla nostra inesausta fantasia. Oggi il Natale è una festa come un'altra. Anzi un «evento» come un altro. Vale la Pasqua, il carnevale, la Festa della mamma, del papà, dei fidanzati, un concerto dei Take That, l'arrivo di Madonna o di Robbie Williams, il Festival di Sanremo, la gara di Formula Uno, Wimbledon, i Campionati del mondo, i Campionati d'Europa, la Champions League, la Coppa Uefa, la Coppa delle coppe, il Festival di Venezia, quello di Cannes, le sfilate di moda di Milano, di Roma, di Parigi, di New York e gli altri mille «eventi» che ogni giorno le Tv ci rimandano da tutto il mondo.Le città accendono le loro luminarie e i negozi infiocchettano e abbelliscono le loro vetrine. Ma cosa possono mostrare di più e di diverso dalla cornucopia di beni di cui fanno offerta tutto l'anno? E che cosa può desiderare un ragazzo che ha già tutto? Per il quale il computer simula perfettamente quei giochi che noi ci dovevamo inventare con i tollini, con i tappi di sughero, con le latte, con le piste disegnate col gesso? Cosa può ancora vedere, cosa lo può incuriosire, dopo che la tivù gli ha fatto vedere tutto? Noi avevamo gli animali di terracotta e qualche volta -ed era un avvenimento -ci portavano allo zoo, questi hanno le trasmissioni di Piero Angela dove anche i misteriosi è mostruosi accoppiamenti negli abissi marini vengono svelati fin nel dettaglio. Il Natale è una festa commerciale, come tutta la nostra vita. Per questo si comincia a battere la grancassa un mese prima. E' una sovraeccitazione drogata, pilotata, penosa, fastidiosa e inutile perché c'è poco da eccitare in una società estenuata, sfibrata, che vive in perenne stato di overdose. La felicità è un attimo che non può essere dilatato. E Natale non è più Natale perché adesso è Natale tutto l'anno.
da - http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=41562
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Cavaliere, lei non è intoccabile
Silvio Berlusconi lamenta una «campagna di odio e di aggressione» che alcuni giornali, gruppo Espresso-la Repubblica in testa, ma non escluso il nostro (gruppo Rizzoli-Corriere della Sera), starebbero conducendo contro di lui. Quelli dell'odio e dell'invidia (sua stretta parente) sono motivi ricorrenti in Berlusconi, ribattuti in modo talmente ossessivo da far pensare che siano, in termini psicoanalitici, la sua ombra. Non c'è infatti critica, sia essa rivolta alla Fininvest o alla Edilnord o al Milan di fronte alla quale Sua Emittenza non proclami immediatamente che «è tutta invidia». È una forma mentis preoccupante, tipica di un personaggio affetto da evidente ipertrofia dell'Io e da un così smodato ottimismo da pensare di essere l'ombelico del mondo. Detto questo non è escluso che Berlusconi possa essere effettivamente oggetto, in questo momento, se non di una campagna d'odio, di un'aggressione da parte di alcuni dei suoi concorrenti, editoriali e politici, soprattutto se si considera che dall'altra parte sta quel candido giglio di Eugenio Scalfari. Ci sembra però che Berlusconi, mandando alla controffensiva i suoi Epoca e Panorama, si sia difeso nel peggiore dei modi. Perché usa i metodi dei suoi avversari nel momento in cui glieli contesta. Afferma che è vergognoso che un editore utilizzi i propri giornali per dare addosso ai concorrenti e poi fa lo stesso con i suoi. Dice, parlando, da ventriloquo, attraverso il Tino Oldani di Panorama, che è deontologicamente e giornalisticamente scorretto (chissà mai perché) dar rilievo alle sue difficoltà economiche e poi sottolinea quelle degli altri. Attacca la Repubblica e L 'Espresso perché sono dei giornali-partito al servizio di un imprenditore, e subito dopo, sempre da ventriloquo, sostiene che «è diritto... di un imprenditore esprimere un'opzione politica, anche negli Stati Uniti è del tutto normale che gli editori dei maggiori giornali si schierino politicamente» (Panorama, 24/9). Sentenzia che tutti coloro che lo attaccano sono dei dirigisti e, quasi quasi, dei comunisti, mentre l'unico vero alfiere del liberismo sarebbe lui, il cavalier Silvio. E qui sta il nocciolo serio di tutta la questione. Non è infatti necessario covare sentimenti di odio e di invidia per capire che, attualmente, col liberismo Berlusconi ha poco o nulla a che fare. In nessun Paese democratico del mondo è consentito a un editore di avere una posizione oligopolistica nell'informazione. Perché I'oligopolio, lo insegnano al primo anno di economia, è I'affossatore del libero mercato, una sua degenerazione mortale, pericolosa quasi quanto il comunismo, anche se più nascosta, più subdola, più insidiosa. Berlusconi ha raggiunto questa posizione oligopolista perché è il più bravo di tutti o perché ha saputo sfruttare meglio I'assenza di leggi o, piuttosto, l'interessata benevolenza, a suo tempo, di Bettino Craxi? Non lo sappiamo. Ma si trattasse anche di sola e pura bravura questa situazione non può essere tollerata più oltre perché qui non stiamo giocando a Monopoli ma è in ballo la libertà di informazione e della cultura che è un'aspetto fondamentale della democrazia. E se nel nostro Paese esiste una legge antitrust ridicola questa legge, in un'Italia che intende cambiare e che sta frantumando, nel settore dell'informazione, quella parte di oligopolio che era stata appaltata ai partiti, va modificata, anche perché consente ogni sorta di aggiramento ai suoi già comici tetti, tipo quello di affidare la proprietà delle testate a parenti e affini come ha fatto Berlusconi passando il Giornale e La Notte al fratello Paolo. Temo quindi che Sua Emittenza dovrà rassegnarsi a cedere qualcuna delle sue reti, anche se questo ridimensionamento deve avvenire nell'ambito di un più generale riassetto del settore dell'informazione che riguardi, come ha detto giustamente lo stesso Berlusconi in un'intervista a Epoca, «la parità di concorrenza con la Rai, la disciplina dei grandi gruppi editoriali della carta stampata». Non è sano, da nessun punto di vista, che in una società si affermi, culturalmente, la visione del mondo di un solo individuo o di un gruppo di individui, per bella e rosea che sia, come il bambino Berlusconi, goloso e prepotente pretenderebbe. Noi la visione del mondo di Berlusconi la detestiamo cordialmente, ma la rispettiamo e come è ovvio le riconosciamo il diritto di esprimersi. Desidereremmo che Sua Emittenza, riconoscesse a noi un altrettale diritto, anche se non portiamo la cravatta, non ci pettiniamo come i suoi mezzibusti, non ci piace Milano 2, aborriamo l'americanismo, siamo brutti, sporchi, cattivi e, per soprammercato, pure pessimisti.
Da - http://www.massimofini.it/1993/blog/pagina-49
Arlecchino:
Catalogna, Massimo Fini: "Pericolo guerra civile. Ora possibile legame tra più indipendentismi"
02 ottobre 2017 ore 12:18,
Andrea Barcariol
Domenica di fuoco in Catalogna. Duri scontri tra Polizia e i militanti indipendentisti che hanno tentato di fare resistenza per non far bloccare il voto che il premier spagnolo Rajoy ha definito una "messa in scena" sottolineandone il suo carattere illegale. Sulla vicenda catalana e sui possibili risvolti futuri Intelligonews ha intervistato il giornalista Massimo Fini.
Catalogna, Massimo Fini: 'Pericolo guerra civile. Ora possibile legame tra più indipendentismi' Che idea si è fatto di quanto accaduto ieri in Catalogna?
"L'accordo di Helsinki del 1975 ha sancito il diritto all'autodeterminazione dei popoli. I catalani hanno tutto il diritto di fare il referendum. A riguardo avevo già scritto un articolo tempo fa prospettando quello che sarebbe accaduto".
Quali saranno ora le prossime mosse di Rajoy e del presidente della Catalogna Carles Puigdemont?
"I catalani non sono i lombardi, credo che resisteranno su questa posizione indipendentista ad oltranza. Quindi si potrebbe arrivare a una sorta di guerra civile, visto che anche la polizia catalana sta con i catalani. Questa potrebbe essere un'ipotesi".
Dalla Catalogna potrebbe partire la scintilla per altre situazioni simili in Europa?
"Certamente, è il diritto delle piccole patrie che in Europa riguarda baschi, scozzesi e corsi. Si potrebbe arrivare a un legame tra questi vari indipendentismi contro le forze centraliste. Se la Catalogna si separa dalla Spagna questo non vuol dire che lascerà l'Europa, molto semplicemente l'Ue avrà uno Stato in più che si chiama Catalogna".
Il direttore di Intelligonews Fabio Torriero ha definito il referendum un "atto di finta democrazia e sovversione". Questa volta il populismo è di sinistra?
"Ci sono state manifestazioni del tutto pacifiche mentre c'è stato un brutale intervento della Polizia spagnola. Qui si è semplicemente esercitato un diritto democratico nella forma più limpida, quella della democrazia diretta. Si deve ammettere, invece di parlare di populismi, che anche il popolo ha diritto di dire la sua".
Da - http://www.intelligonews.it/le-interviste-della-civetta/articoli/2-ottobre-2017/68367/referendum-catalogna-voto-90-si-indipendenza-cosa-succede-ora-rajoy-puigdemont-intervista-massimo-fini/
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