LA-U dell'OLIVO
Novembre 23, 2024, 01:12:57 am *
Benvenuto! Accedi o registrati.

Accesso con nome utente, password e durata della sessione
Notizie:
 
   Home   Guida Ricerca Agenda Accedi Registrati  
Pagine: [1]
  Stampa  
Autore Discussione: Enrico BELLAVIA. Un mistero chiamato Faccia da Mostro  (Letto 3157 volte)
Arlecchino
Global Moderator
Hero Member
*****
Scollegato Scollegato

Messaggi: 7.763


Mostra profilo
« inserito:: Luglio 29, 2017, 12:05:18 pm »

20LUG2017

Un mistero chiamato Faccia da Mostro

Di Enrico Bellavia - Giornalista di Repubblica

E' un killer di Stato o un uomo scovato apposta per ingarbugliare le indagini? E' l'assassino in divisa che ha manovrato mafiosi di strage in strage o è un altro nome per coprire i veri colpevoli? Per una deformazione del viso, tutti ormai lo conoscono come "Faccia da Mostro". Ma il suo nome è Giovanni Aiello, ha settant'anni, ufficialmente è un poliziotto in pensione, ufficialmente è residente a Montauro, un paesino sullo Jonio in provincia di Catanzaro.
L'hanno avvistato sulla scogliera dell'Addaura, l'hanno segnalato sull'autostrada di Capaci e poi in via D'Amelio, l'hanno accusato di avere partecipato all'assassino di un bambino (Claudio Domino) e del commissario Ninni Cassarà («Era lì con un fucile di precisione»), di avere avuto un ruolo nel delitto dell'agente Nino Agostino, di avere messo bombe sui treni e di avere dato assalto a caserme. E di stringere rapporti con la 'Ndrangheta calabrese, con i boss catanesi, con ambienti della destra eversiva e con la Cupola di Palermo. E' sospettato di tutto. Ed è sempre a piede libero.
Su di lui indagano quattro procure della Repubblica e pure l'Antiterrorismo, inchieste che si aprono e si chiudono, ipotesi che si accavallano e che si scontrano, che si confondono. Magistrati che credono che sia il personaggio chiave per condurli fuori dal labirinto delle stragi e magistrati che credono che sia solo un falso obiettivo. E poi una mezza dozzina di pentiti, che ricordano e non ricordano, che spariscono e ricompaiono.
Negli elenchi ufficiali dei servizi segreti il nome di Giovanni Aiello non risulta. Seguendone le tracce qualcuno è arrivato al centro di addestramento guastatori di Capo Marrargiu, base militare nel Nord della Sardegna, base di trame e di Gladio.
Raccontano di averlo visto più volte anche in compagnia di una donna, addestrata anche lei a Capo Marrurgiu e segnalata a Milano nei giorni dell'attentato nel luglio del 1993 in via Palestro.
Giovanni Aiello collegato a "mandanti di Stato" o vittima di elucubrazioni e dietrologie? Le investigazioni ufficiali propendono per la seconda ipotesi, ma ci sono piste ancora inesplorate.
Non c'è certezza neanche sullo sfregio che porta in volto Giovanni Aiello. Lui dice che è una cicatrice ricordo di uno scontro a fuoco con alcuni sequestratori di persona in Sardegna, nel suo foglio matricolare risulta una ferita provocata «da un colpo partito accidentalmente dal suo fucile».
Quattro anni fa, Attilio Bolzoni e Salvo Palazzolo, andarono a intervistarlo a Montauro, nella sua casa in riva al mare. Lui negò ogni cosa ma almeno per la prima volta di quella faccia si ebbe una foto. E il padre di Nino Agostino lo riconobbe.
In aula lo indicò puntando il dito prima di avere un collasso. (5 continua)

Da - http://mafie.blogautore.repubblica.it/2017/07/818/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P5-S2.4-L
Registrato
Arlecchino
Global Moderator
Hero Member
*****
Scollegato Scollegato

Messaggi: 7.763


Mostra profilo
« Risposta #1 inserito:: Luglio 30, 2017, 06:01:32 pm »

19LUG2017

Un "tranquillo" Alto Commissariato antimafia

Di Enrico Bellavia - Giornalista di Repubblica

L’Alto Commissariato per la lotta alla mafia era esattamente il contrario di quel che Giovanni Falcone immaginava dovesse essere la lotta alla mafia. Era il regno del quieto vivere, della pacifica coesistenza tra Stato e cosche.
A ribaltare quella logica ci aveva provato Carlo Alberto dalla Chiesa, il generale divenuto prefetto che a 100 giorni dal suo insediamento, il 3 settembre del 1982, la mafia aveva assassinato.
Sulla scogliera dell’Addaura quel ritorno all’antico perseguito dalla mafia, pronta più che mai a uccidere pur di dettare le condizioni della tregua, era invocato dalla gran parte della classe dirigente siciliana. Per viltà, codardia, convenienza e connivenza. Falcone era di tutt’altro avviso. Immaginava i magistrati come perno dell’azione repressiva, una struttura investigativa di prim’ordine alle dipendenze del pubblico ministero e un coordinamento assoluto tra gli organismi delle due strutture, con una totale circolazione di notizie tra procure in una visione più internazionale che nazionale.
Erano in embrione la Dna e la Dia che avrebbero visto piena operatività dopo la sua morte. Naturalmente a Falcone, che pure l’aveva inventata, preclusero anche la possibilità che assumesse la guida della Direzione nazionale antimafia. Nello Stato, prima ancora che in Cosa nostra, c’era chi sapeva bene che Falcone con quello strumento in mano sarebbe arrivato molto in là: l’Addaura fu proprio il tentativo di fermare quel processo prima che potesse compiersi. Anche qui un delitto preventivo.
In una prigione inglese, racconta il collaboratore di giustizia Francesco Di Carlo, si colloca proprio in quel frangente il primo abboccamento tra la mafia e gli apparati di sicurezza ostili al magistrato per fermarlo.
Perché nello Stato c’erano interessi coincidenti con quelli di Cosa nostra. Se i boss temevano la fine dell’impunità e una valanga di condanne sulle quali si sarebbe costruita l’architrave della nuova lotta alla mafia, anche nello Stato c’era chi sarebbe stato spazzato via dalla novità. Che avrebbe pagato il prezzo del compromesso, dell’accomodamento, del quieto vivere, dello scambio pattizio, dell’eterna trattativa.
Un mondo fatto di compiacenza e di coesistenza sarebbe stato demolito. Centri di potere come l’Alto Commissariato si sarebbero rivelati per quello che erano: la migliore assicurazione che oltre un livello di bassa manovalanza criminale lo Stato non avrebbe colpito.
Con un drappello di investigatori valorizzati da lui, Gianni De Gennaro e Antonio Manganelli su tutti, Giovanni Falcone aveva rotto il meccanismo e dato l’assalto al fortilizio delle vecchie strutture investigative impersonato da Bruno Contrada.
C’era di che temere dall’ondata di rivelazioni dei collaboratori di giustizia pronti a far luce su quel che era stata fino ad allora la guerra tra guardie e ladri. Con i doppiogiochisti sempre lì a disputare la loro partiti. Gente come Faccia da mostro. (4 continua)

Da - http://mafie.blogautore.repubblica.it/2017/07/il-vecchio-e-il-nuovo/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P2-S1.8-L
Registrato
Pagine: [1]
  Stampa  
 
Vai a:  

Powered by MySQL Powered by PHP Powered by SMF 1.1.21 | SMF © 2015, Simple Machines XHTML 1.0 valido! CSS valido!