19LUG2017
Un "tranquillo" Alto Commissariato antimafia
Di Enrico Bellavia - Giornalista di Repubblica
L’Alto Commissariato per la lotta alla mafia era esattamente il contrario di quel che Giovanni Falcone immaginava dovesse essere la lotta alla mafia. Era il regno del quieto vivere, della pacifica coesistenza tra Stato e cosche.
A ribaltare quella logica ci aveva provato Carlo Alberto dalla Chiesa, il generale divenuto prefetto che a 100 giorni dal suo insediamento, il 3 settembre del 1982, la mafia aveva assassinato.
Sulla scogliera dell’Addaura quel ritorno all’antico perseguito dalla mafia, pronta più che mai a uccidere pur di dettare le condizioni della tregua, era invocato dalla gran parte della classe dirigente siciliana. Per viltà, codardia, convenienza e connivenza. Falcone era di tutt’altro avviso. Immaginava i magistrati come perno dell’azione repressiva, una struttura investigativa di prim’ordine alle dipendenze del pubblico ministero e un coordinamento assoluto tra gli organismi delle due strutture, con una totale circolazione di notizie tra procure in una visione più internazionale che nazionale.
Erano in embrione la Dna e la Dia che avrebbero visto piena operatività dopo la sua morte. Naturalmente a Falcone, che pure l’aveva inventata, preclusero anche la possibilità che assumesse la guida della Direzione nazionale antimafia. Nello Stato, prima ancora che in Cosa nostra, c’era chi sapeva bene che Falcone con quello strumento in mano sarebbe arrivato molto in là: l’Addaura fu proprio il tentativo di fermare quel processo prima che potesse compiersi. Anche qui un delitto preventivo.
In una prigione inglese, racconta il collaboratore di giustizia Francesco Di Carlo, si colloca proprio in quel frangente il primo abboccamento tra la mafia e gli apparati di sicurezza ostili al magistrato per fermarlo.
Perché nello Stato c’erano interessi coincidenti con quelli di Cosa nostra. Se i boss temevano la fine dell’impunità e una valanga di condanne sulle quali si sarebbe costruita l’architrave della nuova lotta alla mafia, anche nello Stato c’era chi sarebbe stato spazzato via dalla novità. Che avrebbe pagato il prezzo del compromesso, dell’accomodamento, del quieto vivere, dello scambio pattizio, dell’eterna trattativa.
Un mondo fatto di compiacenza e di coesistenza sarebbe stato demolito. Centri di potere come l’Alto Commissariato si sarebbero rivelati per quello che erano: la migliore assicurazione che oltre un livello di bassa manovalanza criminale lo Stato non avrebbe colpito.
Con un drappello di investigatori valorizzati da lui, Gianni De Gennaro e Antonio Manganelli su tutti, Giovanni Falcone aveva rotto il meccanismo e dato l’assalto al fortilizio delle vecchie strutture investigative impersonato da Bruno Contrada.
C’era di che temere dall’ondata di rivelazioni dei collaboratori di giustizia pronti a far luce su quel che era stata fino ad allora la guerra tra guardie e ladri. Con i doppiogiochisti sempre lì a disputare la loro partiti. Gente come Faccia da mostro. (4 continua)
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