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Autore Discussione: Per l’Europa l'asse Usa-Cina è una iattura  (Letto 2142 volte)
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« inserito:: Aprile 02, 2009, 03:41:40 pm »

Per l’Europa l'asse Usa-Cina è una iattura


di Alberto Quadro Curzio


Basterà la novità Barack Obama per portare al successo il summit del G20 che si riunisce oggi a Londra? Difficile, perché troppi e troppo ampi sono i temi riassumibili in tre: come usare politiche espansive di spesa pubblica per uscire dalla crisi; come evitare il protezionismo; come riformare regole e vigilanza finanziaria. A questi temi si aggiunge anche l'ipotesi non scontata di un potenziamento di organismi come il Fondo monetario internazionale. È ben vero che la riunione cade in un momento di minor tensione sui mercati, rispetto al G20 che si tenne in novembre a Washington, con qualche luce in fondo al tunnel della crisi.

Ma è anche vero che le posizioni di partenza dei partecipanti sono piuttosto distanti. Consideriamo i singoli temi da un'ottica prevalentemente europea. Politiche espansive e di sostegno. Gli Usa vorrebbero che tutti i Paesi mettessero in atto politiche coordinate, fatte di spesa pubblica e di riduzioni di tasse, per almeno un 2% del Pil sia nel 2009 che nel 2010. I Paesi europei non sono inclini a questa scelta sia perché in tutti hanno operato stabilizzatori automatici e ammortizzatori sociali di notevoli dimensioni, ai quali è stata aggiunta altra spesa pubblica; ma anche perché essi tengono agli obiettivi di medio termine di finanze pubbliche sane con un deficit su Pil sotto il 3%, limite oggi sforato. Quanto alla Cina: ha varato dal novembre scorso un programma gigantesco di spesa pubblica pari al 14% del suo Pil. Gli Usa non possono pretendere che l'Europa adotti per uscire dalla crisi il loro «paradigma», peraltro non chiaro in quanto imposto anche dalla necessità di giganteschi salvataggi, che li porterà anche a un deficit su Pil intorno al 12% nel 2009.

Tuttavia la Uem potrebbe e dovrebbe fare di più con la emissione di titoli di debito pubblico europeo e con la modifica del Patto di stabilità connesso ai parametri di Maastricht per scorporare dal deficit le spese in infrastrutture. Obiettivi di medio termine irrealizzabili per la cautela della Germania verso la quale si dovrà continuare un'opera di convincimento che anche l'Italia ha da tempo avviato. Protezionismo. Nel 2009 si prevede una caduta nel volume del commercio mondiale del 9%. Malgrado la difficoltà delle previsioni, l'ordine di grandezza colpisce se si pensa che tra il 1998 e il 2008 c'è stata una crescita medio annua di quasi il 6%. Purtroppo alla caduta si stanno affiancando misure, più o meno striscianti, di protezionismo.

È stato stimato che la maggioranza dei Paesi del G20 ha preso misure restrittive dall'inizio della crisi. Esse vanno da aumenti tariffari sulle importazioni da parte di Paesi emergenti fino a pressioni fatte dai governi di Paesi sviluppati affinché le loro aziende, sostenute da aiuti di Stato, creino occupazione nazionale. È un rischio perché la crescita economica mondiale è stata forte negli ultimi due decenni anche per merito del commercio internazionale. Intaccare l'interdipendenza commerciale vuol dire danneggiare anche l'integrazione produttiva e quindi la crescita mondiale. Contro il protezionismo il G20 deve essere determinato così come deve esserlo l'Organizzazione mondiale del commercio, soprattutto verso Usa e Cina. Quanto alla Ue, la Commissione europea deve anche evitare che il mercato interno venga intaccato. Se non ci riuscirà la sua legittimazione sarà molto danneggiata. Riforma delle regole e della vigilanza bancaria-finanziaria. Su questo tema sono da mesi al lavoro talmente tanti «soggetti» internazionali (oltre a quelli nazionali) che è difficile farne l'elenco e dare conto dei loro contributi.

Alcuni di questi soggetti sono stabili, altri temporanei; alcuni sono emanazione di Organismi sopranazionali, altri sono privati; altri hanno già concluso mentre altri sono all'opera. Ci sono il FMI, l'Ocse, il Gruppo dei Trenta, la Banca dei regolamenti internazionali e altri ancora, ai quali partecipano anche autorevoli personalità italiane. Ma spiccano soprattutto il Financial Stability Forum (FSF), presieduto da Mario Draghi, e il Gruppo, nominato dal presidente della Commissione europea, presieduto da Jacques de Larosière e del quale fa parte anche Rainer Masera. La sostanza dei problemi da risolvere è nota. La riforma dovrebbe infatti riguardare i requisiti di capitale delle banche e delle finanziarie, i connessi effetti ciclici, il monitoraggio dei rischi a livello dei singoli operatori e sistemici, i criteri contabili, la regolamentazione di attori e prodotti finanziari, le agenzie di rating, la supervisione internazionale delle banche globali e molto altro, fino alle retribuzioni dei vertici bancari e al ridimensionamento dei paradisi fiscali.

In questo complesso insieme di problemi e di iniziative è indispensabile che la Ue/Uem si dia una posizione unitaria così come richiesto dall'ottimo Rapporto de Larosière. Nello stesso, da un lato si auspica una collaborazione internazionale per raggiungere standard comuni nel campo finanziario, ma dall'altro si afferma che la Ue/Uem deve darsi un forte Sistema europeo di regolazione e supervisione finanziaria e bancaria, integrato con la Bce e con gli Enti nazionali ai quali ultimi non si può certo chiedere un efficace controllo su soggetti a scala continentale. Ciò è in coerenza con un principio cardine della Ue/Uem: quello della sussidiarietà. Esso non è infatti operante solo verso il basso attribuendo per «disaggregazione» più poteri alla «periferia» ma è anche un principio di «coesione» che opera verso l'alto attribuendo più poteri al «centro» ove necessario. E il centro della Ue/Uem non può essere il Fmi o il Fsf e non solo perché negli stessi l'influenza americana potrebbe alla fine prevalere. In conclusione. Anche per evitare che il G20 di oggi prefiguri per domani un G2 tra Stati Uniti (grande debitore) e Cina (grande creditore) è necessario che la Ue/Uem (grande economia equilibrata) si rafforzi, attraverso le sue istituzioni, come terzo polo geoeconomico.

02 aprile 2009
da corriere.it

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