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Autore Discussione: DEPUTATI ASSENTEISTI  (Letto 3457 volte)
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« inserito:: Luglio 30, 2007, 04:23:27 pm »

30/7/2007 (7:12) - DEPUTATI ASSENTEISTI

L'onorevole? E' fuori stanza
 
In poco più di un anno le votazioni sono state oltre 3000, ma qualcuno non ha mai partecipato a nessuna di esse

UGO MAGRI
ROMA

La pentola è stata scoperchiata, come spesso accade, dai Radicali per nobili motivi e (va detto) anche per consumare una piccola vendetta.
Anzitutto volevano puntare i riflettori sul grande tema del rapporto tra elettori ed eletti, denunciando la difficoltà di conoscere cosa combinano i nostri onorevoli, una volta accasati in Parlamento. Una questione alta di trasparenza, insomma. E poi, en passant, intendevano dimostrare che la perdita di Daniele Capezzone, entrato in rotta con Marco Pannella, non è poi così grave dal momento che l’ex segretario del partito in aula si vede solo ogni tanto. Così nei giorni scorsi si sono fatti consegnare dagli uffici di Montecitorio i tabulati sulle presenze e assenze al momento del voto, una trentina di fogli che un comune mortale cercherebbe inutilmente sul sito istituzionale www.camera.it. Spulciandoli, ne viene fuori uno spaccato di qualche interesse.

Intanto le buone notizie. C’è chi, tra i rappresentanti del popolo, sgobba come un matto. Autentici stakanovisti. Gente avvitata al proprio scranno, che non si distrae nemmeno per fare pipì, che sulle 3116 votazioni elettroniche effettuate dal 28 aprile 2006 al 7 giugno 2007 (è il periodo preso in esame) sono arrivati a sfiorare il 100 per cento delle presenze. Da Guinness la performance di Massimo Zunino, diessino di Savona, già recordman delle votazioni nella XIV legislatura, il quale ha pigiato il tasto ben 3115 volte. Guarda un po’, nella speciale classifica tutti i primi dieci appartengono all’Ulivo.

Per scovare finalmente un forzista occorre calare intorno al ventesimo posto (Gaetano Fasolino, con un pur ragguardevole 98,23 per cento di centri). E’ la prova di una diversità antropologica, una sinistra disciplinata e compatta contro una destra pasticciona e assenteista? Può darsi. Certo il Cavaliere non se ne può lamentare, in quanto è da lui per primo che viene il cattivo esempio. Certo, Berlusconi è Berlusconi. Oltre alla politica ha il Milan, le tivù, le ville, le canzoni napoletane e tanto ancora. Però le sue incursioni alla Camera sono così rare da costituire un evento: ha votato in un anno 70 volte, faccenda che si sbriga in tre sedute. Peggio di lui hanno fatto solo Paolo Cirino Pomicino e Cesare Previti: il primo perché malato (ha subito un trapianto di cuore) il secondo in quanto detenuto.

Qualche maligno sostiene che il Cav. snobba le votazioni potendosi permettere di rinunciare alla diaria mensile da 4.190 euro, accordata oltre all’indennità di 7 mila euro a quanti non risultano mai assenti (ogni forfait sono 200 euro in meno). Ma la ragione per cui Berlusconi si tiene al largo dalla Camera è molto più seria. E affonda le sue radici nell’ultima riforma elettorale.

Il cosiddetto «Porcellum» attribuisce a chi vince un premio su base nazionale. Non a Palazzo Madama (dove difatti se la combattono sul filo di pochi voti e i senatori sono stressatissimi) ma alla Camera. Qui, grazie ai contestatissimi 24 mila voti in più delle ultime elezioni, Romano Prodi può usufruire di un margine garantito, 71 voti che rendono praticamente impossibili i ribaltoni. Provarci, da parte dell’opposizione, sarebbe perfettamente inutile: alla maggioranza è sufficiente tenere un «piantone» in aula per sventare ogni possibile agguato. Ne discende un’organizzazione del lavoro dove ad alcuni tocca fare la guardia al bidone. Mentre quelli che possono, cioè i grandi capi e gli aspiranti tali, con una giustificazione o con l’altra si sottraggono alla frustrazione dell’atto di presenza.

Ministri, vice-ministri e sottosegretari hanno una scusa eccellente: gli affari di governo. Senza ipocrisie Giuliano Amato, ministro dell’Interno, ha votato 18 volte su 3116, fiducia compresa. Il premier, 115. D’Alema, giramondo in quanto capo della diplomazia, 138. L’unico ministro che di tanto in tanto si incontra alla Camera è Vannino Chiti (16,46 votazioni su cento), ma lui è titolare dei Rapporti col Parlamento. Anche per i massimi leader si tende a fare eccezione, in passato non è che i Moro, i Berlinguer, i Nenni fossero sempre lì a votare.

Piero Fassino, anche per rispetto della tradizione, è risultato assente nel 91 per cento dei casi. Ora, tutto si può dire a Fassino tranne che sia un lavativo. Così come si offenderebbe Claudio Scajola se gli rimproverassero l’assenza dall’aula (in 98 votazioni su cento): lui è presidente del Comitato di controllo sui servizi segreti, di questi tempi un vero tormento. Lo stesso Capezzone, uno che letteralmente vive di politica, presiede la Commissione Attività produttive. Insomma, fanno dell’altro: riunioni, incontri, conferenze spesso autorizzate. Dunque, prima di bollarli come «imboscati» occorre controllare se fossero in missione o meno. Nel caso di Capezzone, è accaduto 4 volte su 10. In quello di Giulio Tremonti, vicepresidente della Camera e figura di spicco dell’opposizione, 7 su dieci. Qualcuno esagera. Il comunista italiano Severino Galante risulta ufficialmente in missione ben 93,7 volte ogni cento votazioni. Il che lo rende (paradosso del Regolamento) uno dei deputati più presenti in assoluto. Laddove un plotoncino di deputati del gruppo misto tranquillamente «bigia» le votazioni una volta su due, tanto nessuno dice nulla.

Per i radicali Sergio D’Elia e Maurizio Turco, attivissimi sull’argomento, è materia da riformare in profondità. Hanno già bussato alla porta di Bertinotti (assai sensibile) perché si rendano pubbliche le informazioni sull’attività di ogni deputato. Come avviene nei paesi di più antica tradizione democratica, ogni cittadino elettore deve poter cliccare sul sito della Camera e sapere come si comporta il proprio rappresentante. Senza doversi rivolgere a «Chi l’ha visto».

da lastampa.it
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