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Autore Discussione: CHIAMPARINO -  (Letto 9420 volte)
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« inserito:: Luglio 29, 2007, 06:58:27 pm »

29/7/2007 (14:14)

“Oggi Torino è trasparente”

Intervista a Sergio Chiamparino

MARINA CASSI


TORINO
«Quanta nostalgia vedo serpeggiare». Sergio Chiamparino riflette sulle analisi che alcuni intellettuali torinesi hanno fatto sulla città e non si tiene: «Ma come si fa a rimpiangere la Torino del passato? Qualcuno si ricorda che è stata anche la città del superpartito? Altrochè rappresentanza. Si parla di caste chiuse, ma era negli scorsi decenni che c’erano le caste chiuse, c’erano gli intoccabili, oggi c’è molta più trasparenza ». A proposito di rappresentanza, Marco Revelli sostiene che i sindaci sono come i signori medioevali. Che ne dice? «Non vorrei sbagliare; ma allora il titolo si ereditava. Io invece sono stato votato dai due terzi dei torinesi. Ma a parte questo, che non è marginale, mi domando come si possa avere nostalgia dei tempi in cui i partiti erano forti. Era così perchè dovevano rappresentare una società semplice, ma oggi questa società non si lascerebbe più rappresentare così. E infatti, Mani pulite e caduta del Muro a parte, già prima quei partiti ormai non ce la facevano più».

Tutto bello, però è vero o no che a Torino contano sempre gli stessi? «Mi sembra che ci sia un teatrino mediatico su cose che non esistono. A parte che c’è una certa tendenza a dire che c’è una nomenclatura quando non se ne fa parte e a farla diventare classe dirigente quando vi si appartiene. Ma questa è una battuta. Nel merito domando: si parla delle fondazioni bancarie? E’ chiaro a tutti il ruolo che hanno avuto e hanno nelle politiche non solo culturali della città o no? Non è un problema questo? «Ma no. Mi sembra che la governance si sia allargata e che ci sia una voce in più oltre a risorse in più. Non va bene? Perchè?». Mirafiori... «Ho capito già qual è il problema. Voglio ricordare a Revelli, e non solo a lui, che forse sfugge, e lo dico senza polemica, che Torino è la città in Italia che ha fatto le più massicce operazioni di reindustrializzazione. Se si coltiva la nostalgia della classe operaia degli Anni ‘60 è un conto, ma non si può negare che a Mirafiori in cinque mesi con una spesa, insieme agli altri enti locali, di 70 milioni, il Comune abbia avviato una grande operazione di reindustrializzazione. E oggi ci sono 50 aziende che ci vogliono andare e lo stesso si è fatto sull’area della ex Savigliano e altrove». Senta, veniamo al Pd. C’è chi dice che bisogna lasciar spazio ai giovani a partire dalla costituente. E’ d’accordo? «Per intanto vorrei dire che mi sono un po’ stancato dell’idea che circola ogni tanto in base a cui io sono la vecchia politica e poi quando c’è un problema si viene da me. Penso proprio al Torino Film festival: non mi dicono nulla, apprendo che vogliono cambiare il giorno di Natale, tutto rischia di finire malissimo e io recupero. Alla faccia della vecchia politica se quella nuova è così. Ma quello che mi preme dire è un’altra cosa».

Dica «La costituente non un Pantheon del futuro: lì non ci si va per passare sotto le telecamere e per durare un mese. Si va per dare una battaglia politica, ad esempio, per un partito e un paese federalista». E i giovani? «E i giovani non credo siano contenti che i vecchi indichino quali di loro devono andare avanti. Il nostro compito non è sceglierli; è nostro compito creare un partito nel quale le persone ritrovino la voglia di fare politica. Non siamo lì per cooptare. Il cambiamento anche dei gruppi dirigenti si produce perchè qualcuno si ribella».

Il Pd nasce sotto un segno moderato come teme qualcuno? Se moderato significa tenere conto della realtà per governarla sì, se si parla di programma politico e valori no. Guardi che a non tener conto della realtà si finisce come è finito il centro sinistra al Nord». Cioè? «Va sempre peggio perchè il messaggio che diamo è di essere estranei a quella realtà. E non solo: diamo il messaggio di ritenere che tutto quello che c’è al Nord sia sbagliato e che non ci piaccia. Non ci votano è evidente».

da lastampa.it
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« Risposta #1 inserito:: Luglio 29, 2007, 06:59:34 pm »

TORINO SETTE

27/7/2007 - LETTURE SCENEGGIATE A USSEAUX, MASSELLO, TRAVES EMONASTERO DI LANZO
 
Le Alpi ricordano i sentieri della Resistenza
 
La rassegna «Voci e luoghi» è organizzata dalla Regione con il supporto tecnico di Assemblea Teatro
 
 
MONICA BONETTO
 
La Resistenza nei luoghi che ne sono stati teatro. E il teatro, quello semplice della parola che si fa narrazione ed evocazione, a restituire voce e memoria a quei luoghi. E’ proprio questa l’idea che sta alla base della rassegna che si apre domenica 29 luglio a Usseaux e che ha per titolo, appunto, «Voci dei luoghi: parole e musica dalla Resistenza ». La manifestazione, organizzata dal Consiglio regionale e dal Comitato Resistenza e Costituzione in collaborazione con due Comunità Montane - Valli Chisone e Germanasca e Valli di Lanzo - e quattro Comuni, Usseaux, Massello, Traves e Monastero di Lanzo, ha avuto il supporto tecnico di Assemblea Teatro (che ha curato l’allestimento delle letture-spettacolo) e la consulenza dell’Istituto storico della Resistenza in Piemonte e in particolare di Alberto Cavaglion che ha compiuto la selezione dei brani destinati alle letture.

«L’idea ci è venuta collegando il lavoro fatto con il progetto “La Memoria delle Alpi” e il successo ottenuto quest’anno con le letture per il 25 Aprile davanti al Museo Diffuso di Torino», ha spiegato il vicepresidente del Consiglio regionale, Roberto Placido, delegato al Comitato Resistenza e Costituzione. Così sui sentieri, nelle borgate, nei fienili e nelle piazze che tra il 1943 e il 1945 conobbero la lotta partigiana, tornano le parole che nacquero da quella esperienza, tratte direttamente dai diari dei combattenti di montagna, e poi dagli scritti di Marina Jarre, Ada Gobetti e Primo Levi sulla guerra, la Resistenza e la deportazione nei lager nazisti.

Si racconterà della mitica zona libera della Val Chisone, di casa Rollier a Torre Pellice, sede provvisoria del collettivo piemontese del Partito d’Azione, delle bande eterogenee delle Valli di Lanzo, come la Banda Monviso formata dopo l’8 settembre, dagli ex avieri dell’esercito regio, da soldati francesi e da giovani del posto che si unirono alla lotta. Quattro, per quest’anno (il primo di un progetto che per la prossima estate pensa già più in grande) gli appuntamenti in programma, tutti ad ingresso libero.

Si comincia dunque domenica 29 nella piazzetta del Comune di Usseaux dove, alle 16, sarà Gisella Bei, accompagnata dalla fisarmonica di Luca Zanetti, a dar voce alla fatica, alla paura e alle piccole gioie dei combattenti di quei tempi. Una lunga pausa, poi sabato 18 agosto ci si ritrova nella piazzetta Nicola Grosa della Borgata Villa di Traves alle 21 con Margherita Casalino voce recitante, accompagnata al pianoforte da Anna Barbero. Il giorno dopo, domenica 19 alle 21, tocca nuovamente a Gisella Bein (ancora con Anna Barbero al pianoforte) interpretare le pagine scelte per la serata a Massello, in località Molino. Si chiude significativamente al Parco della Resistenza e della Pace della Frazione Chiaves a Monastero di Lanzo sabato 25 agosto alle 21, ancora con Bein e Zanetti.

Inoltre, domenica 29 luglio, a Usseaux, il primo appuntamento della rassegna «Voci dei luoghi» coinciderà con l’apertura della mostra documentaria itinerante «Cammini di libertà tra arte e cultura», progetto promosso da Regione Piemonte, Città di Pinerolo, Valli Chisone e Germanasca in collaborazione con numerosi soggetti operanti sul territorio, in ambito culturale e turistico, con l'intento di consolidare e rafforzare l'identità locale.

Info: comitato.resistenzacostituzione@ consiglioregionale. piemonte.it.

da lastampa.it
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« Risposta #2 inserito:: Gennaio 20, 2008, 04:52:09 pm »

19/1/2008 - LA LETTERA
 
Caro Pd, o cambi tu o cambio io
 
Il ritorno dei veti incrociati
 
SERGIO CHIAMPARINO

 
Caro direttore,
riprendo volentieri gli stimoli dell’articolo di Luigi La Spina di ieri. Sono problemi che io stesso avevo posto al centro di una recente riunione di maggioranza. La politica a Torino è stata determinante per il salto di qualità che la città ha compiuto e che è oggi riconosciuto un po’ da tutti. Perché ha saputo interpretare la trasformazione, la metamorfosi direbbe Beppe Berta, dalla monoindustria manifatturiera al pluralismo industriale ed economico. Costruendo e garantendo un sistema di governo in cui, scontando le inevitabili assimmetrie che non è però detto che siano immutabili, poteri forti (troppo pochi e neanche tanto forti!), poteri deboli e poteri diffusi concorrono alla costruzione dell’interesse generale della città.

Insomma la politica, intesa soprattutto come politica delle amministrazioni locali tutte, è stata ed è al centro della crescita di Torino assai più di quanto non fosse in altre epoche di cui qualcuno parla sempre con l’enfasi delle iniziali maiuscole. E, quel che conta, è stata utile.

Oggi il rischio è che non sia più così. Che la politica si trasformi da elemento trainante ad elemento frenante. Perché? La nascita del Pd ha da un lato rinvigorito, ancorché senza verifiche elettorali, e dall’altro obbligato la sinistra radicale ad accentuare i propri elementi identitari producendo, per restare al piano cittadino, una visione della città che tende sempre più a divaricare da quello che a mio modo di vedere rappresenta l’asse politico e programmatico esplicito del mio mandato elettorale.

Ciò può anche servire ad esempio richiamando l’attenzione su certi temi e, di per sé, non è incompatibile con la possibilità di trovare onorevoli compromessi accettabili ed utili per la città. L’abbiamo fatto in passato (vedi piazza S. Carlo!) possiamo farlo anche oggi sulla TAV e sui grattacieli per citare due esempi.

Più complicata la situazione interna al Pd. Tralasciamo gli aspetti personali e guardiamo alla politica. Oggi il Pd non è niente di più di un contenitore in cui gruppi e sottogruppi tenuti insieme più da logiche di potere che da visioni politiche cercano spazi, ruoli e visibilità. I gruppi dirigenti eletti alle primarie possono e devono condurci oltre questo stato di cose, semplicemente trasformando questa frammentazione individualistica e localistica in visioni politiche e in visioni della città, compiute, diverse e, se ve ne sono, alternative a quelle espresse dalla mia giunta. Così il confronto può diventare esplicito, alla luce del sole, vi può prendere parte tutta la città, e tutti se ne possono arricchire, la città per prima e con essa anche coloro che guardano legittimamente al dopo Chiamparino.

Se questo non avviene il rischio di una spirale immobilistica è molto, molto reale. E’ quindi con esso il rischio che la città perda il passo di questi anni. A quel punto? Intanto non mettiamo il carro avanti ai buoi, ma per stare allo stimolo di La Spina, escludo idee da parte mia di chiamate plebiscitarie che pure nei corridoi ogni tanto qualcuno sussurra. Mentre non escluderei affatto la ricerca di soluzioni politiche diverse che, anche al di fuori degli schemi consolidati, siano davvero capaci di far prevalere l’interesse della città. Che è di non stare ferma. Ma come ho detto, si tratta solo di una risposta all’intelligente provocazione giornalistica di La Spina.

Sindaco di Torino

da lastampa.it
« Ultima modifica: Maggio 15, 2009, 05:01:53 pm da Admin » Registrato
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« Risposta #3 inserito:: Gennaio 21, 2008, 12:08:02 am »

20/1/2008 (11:44) - RETROSCENA, UN PARTITO VERSO LA RESA DEI CONTI

Pd, l'ora degli schiaffi
 
Mercedes Bresso è convinta che se lei è il sindato si fossero opposti ai rifiuti, gli avversari li avrebbero accolti
 
Bresso: «Sul pattume solo una manovra di potere»

ALESSANDRO MONDO
TORINO


Nel partito democratico volano i piatti. Tanto è il rumore, che qualcuno si chiede dove finisce la querelle sul «caso-Campania» e dove comincia lo scontro «a prescindere» tra le litigiose «anime» del Pd. Ieri il grattacielo di Piano, oggi il pattume di Napoli, domani chissà. «Confronto positivo e del tutto normale», commenta il parlamentare Giorgio Merlo rivendicando «la legittimazione democratica e popolare di Morgando».

Sarà. Ma il sindaco, che su La Stampa di sabato ha denunciato il gioco al massacro dentro il partito, ieri ha incassato l’appoggio di Veltroni. Non è il solo ad averne le scatole piene. Di fronte alle reazioni che hanno accolto il suo appello alla solidarietà, durissima quella del sindaco di Settimo Corgiat, Mercedes Bresso ha preso carta e penna per ribadire il concetto e scoperchiare qualche altarino: «Ho l'impressione che se Chiamparino e io ci fossimo opposti all'arrivo dei rifiuti da Napoli, la stessa componente che oggi non li vuole avrebbe dichiarato la propria disponibilità ad accoglierli. Più che il merito, mi sembra interessi la possibilità di conquistare spazio per una battaglia interna al partito».

Quanto è bastato per guadagnarle la replica piccata di Saitta: «Sono stufo delle sue prediche, le stesse che faceva nel 2006. La solidarietà è sacrosanta se si rivela utile, ci rifletta».

In realtà la bacchettata della presidente è diretta al battagliero «Pec», la componente «Sinistra per» guidata da Placido, Esposito e Chiama, che dopo l’uscita del sindaco di Settimo ha aggiornato l’acronimo in «Spec». «Da lei mi aspetterei un po’ di autocritica per il modo con cui il suo assessore ha gestito la partita - commenta Stefano Esposito, consigliere Pd in Provincia -. Banalizza un dibattito complesso».

Su questo ha ragione: le posizioni sono così variegate, tali e tanti i rovesciamenti di campo, che non ci si raccapezza più. Prendete Roberto Placido. Il vicepresidente del Consiglio regionale fa parte del «Pec» ma sulla questione-rifiuti la pensa come Bresso. Per questo il riferimento della «zarina» alla «componente del no», liquidata come un gruppetto di bastian contrari a caccia di spazi nel Pd, lo manda in bestia: «Bresso ha una concezione singolare della vita democratica del partito. Chi vive nel bunker del potere non può accusare altri di cercare il potere». In compenso Giorgio Ardito, sostenitore di Morgando nella partita contro Susta, rimprovera il segretario: «Gianfranco ha commesso un errore politico clamoroso, la sua posizione non rispecchia il senso dello Stato». E se nel fronte pro-Morgando liquidano Ardito come «lo Sgarbi di sinistra», anche Paolo Romano, presidente Confservizi, sposa l’appello alla solidarietà. L’assessore regionale Gianni Oliva (Cultura), va oltre: «Solidarietà e difesa dell’immagine del Piemonte nel mondo. L’altro giorno ero a Istanbul per una mostra sul design piemontese e tutti mi chiedevano dell’emergenza-rifiuti». Ieri Saverio Mazza, coordinatore della segreteria politica del Pd, ha invitato tutti ad «abbassare i toni». Sì, forse sarebbe il caso.

da lastampa.it
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« Risposta #4 inserito:: Maggio 15, 2009, 05:02:27 pm »

15/5/2009 (7:14) - COLLOQUIO

Il sindaco di Torino: "Sui clandestini il mio partito sta regredendo"
 
«Contro di me accuse surreali»


EMANUELA MINUCCI
TORINO

Mi accusano di slealtà? Intanto questa famosa lettera del Pd io non l’ho ancora, neppure, ricevuta. Poi, se mi arriverà, avrò due cose da replicare: prima di tutto mi pare un’accusa surreale dal momento che il nostro partito non ha mai organizzato una riunione sull’immigrazione e poi devo proprio dirlo: su questo argomento il Pd sta regredendo».

Cronaca di uno scontro fra Maroni e Franceschini? Macché. E’ il sindaco di Torino Chiamparino, che ieri pomeriggio, alla Fiera del Libro, ha deciso di rispondere a muso duro ai suoi amici del Pd sull’argomento quanto mai caldo dei «respingimenti alle frontiere». A fornire l’occasione, un dibattito al Salone del Libro. Incalzato dalle domande dei cronisti, Chiamparino ha ribadito la sua ricetta per combattere l’immigrazione, fatta di difesa dura delle frontiere e confini blindati: «Lo dico e lo confermo: sono convinto che si debba fare di tutto per togliere l’immigrazione dalle mani delle mafia e della criminalità.

E quindi che si debba cercare di contrastare gli sbarchi dei clandestini sulle nostre coste perché questa attività è in mano esclusivamente alla criminalità». E ha aggiunto: «Se non spezziamo questo sistema non riusciremo mai a garantire un’immigrazione regolare sia per chi chiede asilo, sia per chi arriva chiedendo un lavoro». Quindi ha rinnovato la sua proposta, quella di ipotizzare, in accordo con l’Ue, almeno due porti italiani, attrezzati appositamente, dove si organizzino basi di accoglienza e dove si possano attraccare, più o meno due volte alla settimana, le barche provenienti dal Nord Africa con a bordo gli immigrati. «In questo modo si riuscirebbe a controllare i flussi immigratori - ha spiegato il sindaco di Torino - perché i flussi vanno governati, tanto gli immigrati ci sono e ci saranno sempre, la nostra ormai è una società multietnica, lo si vede anche qui alla Fiera del Libro».

Una linea esposta già qualche giorno fa nell’ambito di un’intervista al Mattino. E che subito ha scatenato le reazioni del suo partito: «Soro avrebbe scritto che devo essere più responsabile? Ribadisco: non ho ricevuto ancora alcuna lettera, e non sposto di una virgola quanto ho detto». Chiamparino, dunque, a cui una cinquantina di spettatori che si sono dichiarati «un po’ di destra e un po’ di sinistra» dopo questo discorso sono andati a stringere calorosamente la mano, non ha perso l’occasione per smarcarsi dal suo partito. «Sarebbe bene che le organizzazioni internazionali si ponessero il problema, Onu compresa - ha detto il primo cittadino - perché la vera emergenza è togliere l’immigrazione dalla mano delle mafie e quelli che conducono i barconi fanno parte di queste mafie. Quindi bisogna bloccare questi viaggi e costituire anche in Italia una sorta di Ellis Island».

Affondo finale: «Perché se noi non garantiamo una immigrazione legale la nostra società non sarà mai multietnica». Applausi, ancora bipartisan. Così, quel concetto che avrebbe scatenato una lettera di fuoco da parte di Soro («evidentemente abbiamo due idee diverse di come si sta in un grande partito politico») non hanno fatto cambiare rotta a Chiamparino, che ieri, anzi, gliele ha cantate ancora più chiare. E, visto che molti, in sala, a quel punto, hanno pensato che Chiamparino fosse l’avversario più insidioso per Franceschini e Bersani nella corsa alla leadership democratica lui ha dichiarato: «Non mi posso candidare alla segreteria nazionale del Pd per il semplice fatto che non ha alcun senso che io pensi di lasciare Torino obbligando la città ad andare al voto prima del previsto».

da lastampa.it
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« Risposta #5 inserito:: Maggio 28, 2009, 10:28:46 pm »

2009-05-28 14:41

CHIAMPARINO: BASTA DOPPIA MORALE. PD VADA FRA LA GENTE


 ROMA - In politica la doppia morale "non è inaccettabile" e il Pd deve avere in coraggio di far fruttare l'investimento fatto "andando tra la gente". E' questo, in sintesi, il messaggio lanciato, nel corso di un Forum all'ANSA, dal sindaco di Torino e presidente dell'Anci, Sergio Chiamparino, che si è soffermato anche sulla vicenda Fiat, auspicando che il Lingotto abbia già pronto un piano di riserva non caso in cui l'intesa con Opel fallisca.

BASTA DOPPIA MORALE - No alla "politica fatta dal buco della serratura: oggi la doppia morale non è più accettabile". Chiamparino usa parole chiare per entrare nei temi caldi che infiammano in questi giorni lo scenario politico. Senza citare alcun caso specifico, Chiamparino sottolinea che "chi ha responsabilità pubblica, deve avere comportamenti pubblici e privati coerenti. Non è accettabile, per esempio che chi organizza il family day sia un pluri-divorziato, perché dimostra di non essere credibile". Poi ci sono i programmi, avverte il primo cittadino, e su questo fronte spesso bisogna scegliere "il male minore". Ma i valori sono altra cosa e se "questi sono solidi, i programmi hanno un fondamento solido".

PD SIA ALTERNATIVO A BERLUSCONI - Con questa premessa, Chiamparino chiede al Pd di essere "alternativo a Berlusconi", di "produrre programmi e valori alternativi".
La strada da seguire porta "tra la gente", sottolinea il sindaco, che si affida a una metafora resistenziale: per sostenere l'investimento fatto sul Pd "bisogna andare sulle montagne, cioé andare nel territorio, tra la gente, avere il coraggio di sporcarsi le mani", afferma. Con una postilla: il processo di affermazione di un partito ha i suoi tempi: "Fra l'8 settembre e 25 aprile è passato un anno e c'é stato un inverno durissimo. Fuor di metafora è necessario far emergere alcuni caratteri del partito e non spaventarsi, perché un nuovo partito non è un investimento di breve periodo, un investimento per cui se non hai venduto i vestiti li porti al macero".

FIAT E LE CARTE DI RISERVA - L'altro grande tema affrontato durante il Forum è stata la vicenda Fiat, tra "orgoglio e preoccupazione", ha detto il primo cittadino.
I timori, in questo momento, sono legati soprattutto alle trattative con Opel: "La speranza - ha spiegato - è che, se non dovesse andare in porto Opel, ci siano delle carte di riserva per costruire un grande gruppo capace di posizionarsi negli scenari post crisi". Chiamparino chiama in causa tanto l'amministratore delegato della casa automobilistica, quanto il governo.

E' fondamentale, ammette, "la riuscita della sfida di Marchionne perché tutti i problemi, anche quelli occupazionali e di sovrapproduzione, si affrontano meglio quando si è un grande piuttosto che non un piccolo gruppo". Ma questo non è sufficiente: anche "il governo deve fare la sua parte: non basta - rimarca Chiamparino - fare il tifo". 

da ansa.it
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« Risposta #6 inserito:: Luglio 14, 2009, 06:23:11 pm »

14/7/2009 (7:11) - VERSO IL CONGRESSO

Chiamparino tentato dal non voto di protesta
 
Il sindaco di Torino pensa a una «mozione degli astenuti»

BEPPE MINELLO
TORINO


Ci vorrebbe una mozione dell’astensione, qualcuno che dica: non partecipiamo al congresso Pd. Non sarebbe boicottaggio ma un’azione politica vera per dire che noi non stiamo con nessuno degli attuali contendenti e schieramenti. D’altra parte, il congresso così come si sta sviluppando sta solo riproponendo le spaccature interne. Il Pd dovrebbe implodere per rinascere».

Sono suonate più o meno così le sconfortanti e sconfortate considerazioni del sindaco di Torino, Sergio Chiamparino, di fronte a Peppino Englaro, a Mina Welby e a una delegazione di radicali, che l’hanno incontrato «privatamente» nel suo ufficio a margine della consegna della delibera di iniziativa popolare firmata da oltre 2700 torinesi per chiedere che il Comune istituisca il registro dei testamenti biologici.

«Una buona iniziativa - ha commentato Chiamparino - che accompagna la legge che il Parlamento dovrà approvare e, in ogni caso, un segnale politico che va nella direzione che io condivido. Il tema che solleva non è solo quello della laicità dello Stato, ma anche quello del rapporto tra autorità e libertà, ossia chi decide in ultima istanza nelle questioni che riguardano l’individuo e io penso che questo spetti all’individuo stesso mentre la religione ha il compito di accompagnare le coscienze».

Insomma, una battaglia principe anche per un partito che si definisce e vuole essere laico come, appunto, lo vorrebbe e lo teorizza il «Chiampa» secondo il quale il Pd dei suoi sogni dovrebbe anche essere «permeabile» a forze di destra e sinistra e pronto ad «accogliere le istanze provenienti dal territorio e dalla società». Dicevamo incontro e considerazioni «private», ché al termine Chiamparino s’è ben guardato dal comunicarle ai giornalisti limitandosi a sostenere che «se la battaglia congressuale continua così come sta andando mi chiedo se qualcuno, a un certo punto, non debba alzarsi per dire “Fermi tutti”».

Frase apparentemente incomprensibile e spiegata dai suoi collaboratori come una riproposizione, con altre parole, della sua originaria proposta di rinviare di un anno il congresso «per evitare di farci trovare a litigare mentre il mondo cambia». Proposta bocciata tra i lazzi e i fischi generali e seguita dall’ipotesi, svanita nell’arco di qualche giorno, della sua discesa in campo per partecipare in prima persona alla corsa verso la segreteria del Pd. E di delusione in delusione, la sortita di Ignazio Marino - guardato con «simpatia» da Chiamparino sia per le sue battaglie laiche, sia perché lo toglieva dalla scomoda posizione di dover scegliere fra Franceschini e Bersani - sul caso Bianchini, il responsabile di Circolo Pd accusato di stupro.

«Questo congresso è afflitto da una crescente mediatizzazione che ci espone al rischio di una superficialità devastante - ha detto Chiamparino - e le dichiarazioni di Marino su Bianchini, che considero sbagliate, sono il frutto di un clima congressuale in cui prevale l’attaccarsi reciprocamente anziché lavorare per costruire una proposta per l’esterno». «Crescente mediatizzazione» che è all’origine anche della volontà del comico genovese Beppe Grillo di candidarsi alla segreteria Pd.

Infine, ligio a non rivelare ciò che aveva appena detto alla delegazione radicale (ma è lo stesso Chiamparino a teorizzare la presenza di un giornalista quando parla con almeno due persone), a chi gli domandava con quale candidato intendesse schierarsi al congresso, Chiamparino ha rinviato la risposta a settembre. «Dialogo e discuto con tutti - ha concluso - e con due-tre dei miei amici più fidati sto preparando un documento. Ma ne riparliamo dopo le vacanze».

da lastampa.it
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« Risposta #7 inserito:: Agosto 20, 2009, 05:27:59 pm »

20/8/2009
 
Chiediamo un intento comune
 
SERGIO CHIAMPARINO, ENZO GHIGO
 
Ha ragione il presidente Giorgio Napolitano nell’esprimere grande preoccupazione per i ritardi che, a livello nazionale, si stanno accumulando nel definire una programmazione di eventi celebrativi del 150° anniversario dell’Unità d’Italia nel 2011. Noi qui in Piemonte e a Torino abbiamo già dato prova - in occasione della campagna per ottenere, per organizzare le Olimpiadi invernali del 2006 e successivamente nella gestione dell’evento - di una notevole capacità bipartisan di fare sistema. Allora c’erano un governo e un presidente della Regione di centro destra, un sindaco e un presidente della Provincia di centro sinistra. La divisione politica, su alcuni punti anche intensa, non ha impedito una concordia istituzionale che spesso in Italia è stata valutata come un vero e proprio valore aggiunto di questo territorio.

Oggi è con questo spirito che vogliamo lanciare un appello. Riteniamo che ogni Paese abbia bisogno di date fondanti da celebrare, riteniamo che l’unità di un popolo passi anche attraverso la conoscenza e la condivisione della storia dello Stato nazione in cui si vive. Ogni nazione ha date simbolo che ne cementano nell’oggi reciproci riconoscimenti, universali valori. Vale per il Piemonte e per Torino - terra di risolutivi e fattivi ardori risorgimentali - vale per tutto il Paese. Per questo noi - senza pretendere di impartire lezioni o di sconfinare in campi non nostri - ma forti della presenza di un comitato bipartisan che molto lavoro ha già fatto, come riconosciuto ieri dal Capo dello Stato nel colloquio con la Stampa, ci permettiamo di proporre che questo modello sia replicato a livello nazionale. Certamente adattandolo e allargandolo ad altre esperienze. Ma ci sembra che identico debba essere l’obiettivo: poche cose che siano in grado di fare cultura, diffondere conoscenze e identità. I nostri progetti sono noti: oltre al restauro dei monumenti risorgimentali ci sarà la mostra Fare gli italiani alle Ogr e una mostra sull’arte alla Venaria. Su questo schema altre iniziative si possono aggiungere in altri luoghi del paese e naturalmente a Roma e Firenze.

Ci rendiamo conto che ormai non ci sono né le risorse economiche né forse neppure il tempo per realizzare grandi opere, anche perché nessuno aveva mai pensato a celebrazioni elefantiache. Ma tutto il resto - come sollecita anche il presidente della Repubblica - si può e si deve fare. E tanto maggior valore assumeranno queste iniziative volte «a fare gli italiani» in un momento, come questo, in cui lo Stato sta mutando le sue forme e da centralista si va articolando in vari gradi di federalità.

Per poter sopportare il costo delle varie attività che si svolgeranno a Torino noi chiediamo che siano destinati a questo fine i fondi di un «Gratta e vinci» appositamente destinato alle celebrazioni del 150° dell’Unità d’Italia. Ma sappiamo che il vero nodo non sono i fondi: occorre, come ci sprona Giorgio Napolitano - rinverdire l’unità di intenti e definire in fretta un programma nazionale. Occorre farlo e farlo subito, senza distinzioni politiche e con uno spirito davvero olimpico.

Sindaco di Torino
Coordinatore regionale del Pdl
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« Risposta #8 inserito:: Gennaio 30, 2010, 09:48:02 am »

Leo Sansone,   29 gennaio 2010, 12:20

Fuoco amico su Bersani   

Prodi e Chiamparino hanno duramente criticato in piena campagna elettorale per le regionali la leadership del segretario del Pd. Il Pd non riesce ad essere una opposizione credibile. Ma il guaio dura da tempo. Da 16 anni l'Italia è una democrazia bloccata perché l'opposizione non è una alternativa credibile di governo a Berlusconi


Pierluigi Bersani è segretario da appena tre mesi, eppure la contestazione interna già soffia con forza. Sulle prime le critiche erano un venticello, ora sono diventate tramontana, dopo le elezioni regionali di marzo rischiano di trasformarsi in una pericolosa tempesta.
La miscela esplosiva ha quattro micce accese: lo scontro tra le diverse correnti del partito a livello nazionale e locale, l'affermazione delle candidature di Emma Bonino (radicali) alla presidenza del Lazio e di Nichi Vendola (Sinistra ecologia e libertà) in Puglia, il braccio di ferro sommerso tra Walter Veltroni e Massimo D'Alema, l'esodo alla spicciolata di molti esponenti cattolici dopo l'addio di Francesco Rutelli che ha fondato l'Alleanza per l'Italia (Api).
Di qui l'incertezza e la sfiducia di molti elettori e militanti del Pd. In questi giorni i mormorii di malcontento sono diventati qualcosa di più serio. Prima è uscito allo scoperto Romano Prodi. "Tre settimane fa ero a Campolongo, a sciare. In fila per lo skilift la gente mi fermava e mi chiedeva solo questo: ma chi comanda, nel Pd?", ha detto a "la Repubblica" del 26 gennaio l'inventore dell'Ulivo e il fondatore del Pd. Una pesante critica alla leadership di Bersani, sparata in piena campagna elettorale per le regionali. In ogni caso l'ex presidente del Consiglio, l'unico che è riuscito a battere per due volte Silvio Berlusconi, nega di voler ridiscendere in campo."Ormai sono fuori, e quando si è fuori si è fuori...", ha sostenuto.

Non si erano ancora placate le acque per le critiche di Prodi e sono arrivate quelle altrettanto dure di Sergio Chiamparino. "Nella gestione delle candidature Bersani ha camminato a zig zag, senza dare la sensazione di tenere la barra dritta", ha accusato ieri il sindaco di Torino in una intervista a "La Stampa".Perché? "La scelta della Bonino, nome eccellente, è stata imposta più che proposta, su Vendola abbiamo subito un veto di Casini e ora lo sosteniamo", ha osservato.
Il sindaco di Torino, la più importante città del nord Italia guidata da un esponente del Pd, ha proposto una nuova strategia e non ha escluso di candidarsi alla segreteria. "Ormai è chiaro: il progetto del Pd è fallito", ha detto sempre ieri, ma questa volta al "Riformista". Ed ha indicato la nuova strada. "Per evitare il disastro totale bisogna aprire dopo le regionali il cantiere di una nuova coalizione. Un nuovo Ulivo" . E la segreteria di Bersani potrà essere messa in discussione. "Io per ora faccio il sindaco. E' chiaro che sono disposto a impegnarmi se si aprisse un percorso di questo genere in cui credo fermamente", ha annunciato.
Niente male. Bersani è sotto il "fuoco amico" in piena campagna elettorale. Il segretario del Pd, per carità di patria, ha fatto finta di non sentire e si è limitato a replicare in maniera garbata a Prodi: lo stimo, ma non condivido le sue critiche.

Certo un problema esiste. E' scarsa la credibilità politica del Pd. L'opinione pubblica in genere non vede nel Partito democratico una forza affidabile, capace di diventare alternativa di governo a Silvio Berlusconi. Le battaglie e le proposte del Pd non si vedono o non lasciano il segno, seppure riescono ad emergere sulle televisioni e sui giornali. Il partito non riesce a parlare né alla sua tradizionale base dei lavoratori dipendenti né ai ceti medi produttivi, agli artigiani e al lavoro autonomo. Non riesce a dare risposte né alle paure della crisi economica né a quelle provocate (a torto o a ragione) dalla criminalità e dall'immigrazione clandestina. I giovani precari diventano disoccupati e i lavoratori anziani, se perdono il lavoro, si trasformano in disperati.

L'Italia appare una democrazia bloccata. Il centrodestra al suo interno sembra contenere sia la maggioranza sia l'opposizione (Gianfranco Fini ed Umberto Bossi che, alternativamente, sembrano criticare con efficacia Berlusconi). Le opposizioni reali, compreso il Pd, la maggiore, sembrano relegate ad un ruolo marginale di testimonianza, perché non riescono ad incidere sulle scelte del governo. Sembra di essere tornati agli anni del Pci, quando in Italia c'era una democrazia bloccata perché la "guerra fredda" fra Stati Uniti e Unione Sovietica impediva un ricambio del governo e garantiva l'inamovibilità della Dc. Al massimo poteva andare al governo il Psi, una volta divenuto autonomo da Mosca.
Certo, questo non si può imputare a Bersani. L'uomo amante delle canzoni di Vasco Rossi, suo conterraneo emiliano, è alla guida del Pd da appena tre mesi ed ha cercato di riparare i cocci di un partito reduce dalle disfatte di Walter Veltroni e Dario Franceschini, i primi due segretari. Sono 16 anni che il centrosinistra non riesce ad essere strategicamente competitivo con il centrodestra messo in piedi da Berlusconi. Prodi per due volte è riuscito a battere il Cavaliere con l'Ulivo, ma i suoi governi sono morti prematuramente per implosione, per i duri contrasti interni nel centrosinistra. Così l'Italia è rimasta di fatto una democrazia bloccata, priva di alternativa.

"Voglio trovare un senso a questa storia anche se questa storia un senso non ce l'ha" canta Vasco Rossi. Bersani deve trovare "un senso" al Pd, ne va della buona salute dell'opposizione e della stessa democrazia italiana. Ma intanto deve vincere la sfida con Berlusconi alle elezioni regionali di marzo.

da aprileonline.info
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« Risposta #9 inserito:: Aprile 13, 2010, 06:25:07 pm »

L'INTERVISTA

Chiamparino: "Stop alle correnti Per salvarci serve un Pd federale"

Il sindaco di Torino dopo la delusione dei ballottaggi: bene l'idea di Prodi, un leader scelto dai segretari regionali permette a Bersani di scompaginare le componenti interne

di ETTORE BOFFANO


TORINO - Sindaco Sergio Chiamparino, ha visto il risultato di Mantova?
 "Sì e mi dispiace molto. Un'altra sconfitta, ancora una volta per colpa di una divisione tra noi. In Lombardia svanisce l'ultima propaggine del centrosinistra. Contare qualcosa nel Nord è sempre più difficile".

Un argomento in più per dare ragione alle proposte di Romano Prodi sul Pd?
"Quelle avevano già un valore prima di Mantova. Non parlo da tempo con Prodi, ho letto solo i giornali. Ciò di cui posso discutere è l'idea di un partito federale, che provi a ripartire dal territorio, che cambi equilibri e procedure seguiti sino a oggi. Muovendosi dal basso e dagli elettori più che dalle gerarchie nazionali. Che rompa l'autoreferenzialità del gruppo dirigente".

Il Pd si sta dividendo sul fatto se quello di Prodi sia o no un siluro a Bersani.
"Non credo che Prodi voglia delegittimare il segretario, anzi penso che la sua proposta offra a Bersani lo spunto per avviare un'iniziativa politica. Un assist, non un siluro".

Che cosa c'è di così convincente in quella proposta?
"Quel ribaltare la prospettiva, scompaginando il solito tavolo nazionale nel quale ci si schiera per componenti. Uno schierarsi che poi discende a cascata a livello locale. Se la proposta di Prodi andasse avanti, avremmo venti segretari regionali eletti con le primarie e con un peso politico pari ai voti che il Pd ha raccolto alle politiche in ogni regione. Quei venti, poi, indicherebbero il segretario nazionale. Sarebbe una visione davvero federalista e territoriale di un "partito degli elettori" e raggiungerebbe anche lo scopo di far saltare le attuali componenti interne".

Le componenti interne non le piacciono?
"Non dico questo. Mi pare però che esse siano vecchissime, importate dai Ds e dalla Margherita e, attraverso quei due partiti che non esistono più, addirittura dalla Prima Repubblica. So benissimo che anche nell'assetto federale del Pd si formerebbero nuove componenti. Ma sarebbero appunto nuove, imperniate su temi altrettanto nuovi: bioetica, laicità, infrastrutture, giustizia".

Ma parlare di federalismo non è un po' copiare la Lega?
"Dipende dal punto di vista. La modernizzazione economica del paese, avviata da Prodi con l'euro si è fermata e per rilanciarla il federalismo è fondamentale. È un'idea che da molto tempo avrebbe dovuto essere patrimonio della sinistra. Il fatto che la usi la Lega non vuol dire niente. Se invece riteniamo che l'attuale sia il migliore Stato possibile, allora il federalismo non ci piacerà. Io condivido il primo ragionamento e dunque penso che un partito, che dia più autonomia alle realtà locali e anzi ne sia stimolato, sia fondamentale".

Oggi i personaggi più rappresentativi della sinistra nei territori sono sindaci come lei o presidenti di Regione. Lei si candiderebbe a segretario regionale del Pd piemontese?
"Io non mi autocandido a nulla. Ma se queste proposte andassero avanti e non ci fosse incompatibilità col ruolo di sindaco, allora, se fosse giudicato utile, potrei anche farlo".

Per poi diventare coordinatore nazionale?
"Al gioco di proporsi per incarichi nazionali non voglio partecipare. Ciò che voglio sottolineare è la novità del discorso di Prodi. È altrettanto vero, invece, che oggi io sono uno degli amministratori locali più autorevoli che il mio partito ha nel paese. Ma conta il metodo, innanzitutto: valorizzare la realtà territoriale e punire l'autoreferenzialità. Poi però ci vogliono contenuti: non basta stare in strada con la gente, bisogna avere anche delle cose da dire".

Alcuni di questi ragionamenti lei li aveva già anticipati commentando il voto delle regionali. Era sembrato un messaggio a Bersani: vi siete sentiti?
"Mi ha telefonato esprimendomi apprezzamenti. Poi c'è stato un breve incontro a Parma per l'assise di Confindustria dove abbiamo concordato di rivederci. Sabato a Roma c'è la direzione del partito e lì potremmo cominciare a parlarne".

© Riproduzione riservata (13 aprile 2010)
da repubblica.it
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« Risposta #10 inserito:: Luglio 03, 2011, 10:29:36 am »

1/7/2011

Tav, il riformismo passa dalla Val di Susa

SERGIO CHIAMPARINO *


Caro direttore, lo Stato italiano, se vuole, c’è. Lo ha dimostrato con la mite determinazione messa in campo per sgomberare i blocchi con cui si voleva impedire l’avvio dei cantieri per la Tav in Val di Susa. Lo ha affermato contro chi pensa in barba ad ogni regola di democrazia e di rispetto delle opinioni e delle decisioni della maggioranza del Paese di poter essere, come recitava uno degli ultimi cartelli no Tav: «padroni a casa nostra», come se l’Italia fosse un vestito d’Arlecchino in cui ognuno possiede il proprio spicchio. L’egoismo è deleterio comunque, non importa se milita sotto bandiere verdi o rosse.

Grazie alle forze dell’ordine che con estrema professionalità hanno respinto pesanti provocazioni ed hanno costretto gli autonominati liberi cittadini «della Maddalena» a ripiegare con le pive nel sacco. E grazie a tutta la «filiera» del coordinamento dell’operazione, dal questore al prefetto al ministro. Stanno anche emergendo le differenze fra la stragrande maggioranza dei valsusini che può anche essere, legittimamente, contraria alla Tav, ma è democratica e non violenta, e, viceversa, l’estremismo di frange che nulla hanno a che vedere con la valle né con la Tav, al punto che persino alcuni «duri» dei centri sociali torinesi sono apparsi spiazzati.

Ora, naturalmente, non si può pensare che un’opera di questa natura e di questa durata possa essere realizzata con un dispiegamento permanente così massiccio di agenti. Dopo la consegna del cantiere esplorativo che dovrebbe convincere l’Unione Europea della volontà dell’Italia di rispettare tempi già troppo lunghi, devono tornare in primo piano la politica e l’amministrazione.

I governi, quello nazionale soprattutto per accompagnare più efficacemente l’azione dell’Osservatorio e dei governi locali che in questi anni ha permesso di tenere conto di molte richieste provenienti dal territorio, che, però, non sempre, sono state tempestivamente trasformate in azioni amministrative ed in finanziamenti.

La politica per affermare nettamente, più di quanto si sia fatto finora, tre cose. La prima che è eticamente, prima ancora che istituzionalmente, necessario che lo Stato affermi il rispetto delle regole tanto più quando coinvolgono altri Stati ed il rispetto della volontà delle maggioranze. In altri termini, l’interesse generale costruito in decenni (non anni!) di discussioni deve prevalere sui particolarismi. Ed affermare con nettezza che non esiste un interesse generale ed una legalità autoproclamate da una minoranza come se, parafrasando una ben nota affermazione, interesse generale e legalità si pesassero e non si contassero.

La seconda che la Tav non è un mostro ma assai semplicemente il modo con cui si fanno le ferrovie a media e lunga percorrenza nel XXI secolo. Meno energivore e più veloci perché grazie alle tecnologie di scavo non c’è più bisogno di salire a 1500 metri per forare una montagna. Un po’ come gli elettromotori hanno sostituito le vaporiere nel XX secolo.

Terza, infine, che questa è soprattutto una sfida fra chi pensa che possa esistere un percorso di crescita sostenibile in Paesi di antica industrializzazione come l’Italia, e chi ritiene che l’unica strada sia, nei fatti, la decrescita ovvero la gestione del declino. Ed è dunque più che mai, anche simbolicamente ormai, un tema che decide a sinistra ma anche a destra, su qualità e credibilità di un programma di governo. Si potrebbe dire che per tutti il riformismo passa dalla Val Susa.

* Ex sindaco di Torino
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