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Autore Discussione: MATTEO RENZI  (Letto 142105 volte)
Arlecchino
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« Risposta #180 inserito:: Dicembre 31, 2016, 02:14:40 pm »


Renzi benedice lo schema Gentiloni: “Così si capisce che il Pd vuole votare”
Plauso dell’ex premier per la squadra di governo fotocopia, pressing sulla legge elettorale

Pubblicato il 30/12/2016
Carlo Bertini

Tanto per cominciare, il piano sui sottosegretari è stato rispettato alla lettera: varare una squadra fotocopia con scambi di poltrone che si contano sulle dita di una mano era la migliore soluzione per far capire che il Pd vuole elezioni subito. «E non era scontato farcela», raccontano gli uomini dell’ex premier. Dunque anche questa mossa è piaciuta al convitato di pietra di questa giornata campale, cioè Matteo Renzi. «Rivendico questa continuità sul piano politico», mette le cose in chiaro Gentiloni, come a dire idealmente che «io e Matteo siamo una cosa sola». E che sia proprio così lo dimostrano segnali vari, come il fatto che Filippo Sensi in questa fase faccia da portavoce a entrambi - premier ed ex premier - o come la scelta di Gentiloni di nominare capo del suo staff Antonio Funiciello, presidente del Comitato del Sì e spin doctor di Luca Lotti a Palazzo Chigi. 

Gli scambi whatsapp e le chiacchiere sui cellulari riportano dunque solo carezze per chi sta pedalando in tandem con Matteo nella stessa direzione di marcia, ovvero il voto anticipato. Nessun rilievo di sorta al neo premier. Il che, per una tribù sospettosa e abituata a pensar male come quella del «giglio magico» è fatto raro, specie se si tratta di commentare le azioni di chi ora mena le danze. Promosso alla prova del fuoco della conferenza di fine anno dal suo predecessore, che dalle Dolomiti ha seguito a distanza la condotta del suo prescelto. «Paolo va benissimo, è stato bravo, del resto Matteo sul voto e sulla legge elettorale non mette prescia a lui, ma al Parlamento», racconta il fiorentino David Ermini, amico di Renzi nonché responsabile giustizia del Pd. Che apprezza i toni e le professioni di lealtà dimostrate ad ogni piè sospinto. «Potete crederci o no, ma gliel’ho chiesto io alla Boschi», giura Gentiloni, caricandosi sulle spalle anche il fardello della riconferma della testimonial della riforma costituzionale, addossato finora solo al leader. Il quale ovviamente ha gradito questo gesto, così come non sono sfuggite le parole di «massima considerazione» nei riguardi di Lotti. 

Renzi viene menzionato dal premier per dare plastica rappresentazione di una lealtà formale e sostanziale, con toni perfino protettivi in vari passaggi: riproducendo un copione di sintonia umana e politica che arriva fino al paradosso di non nutrire istinti difensivi verso la propria poltrona di premier. Perché quando Gentiloni dice che «non si può vedere il voto come una minaccia», non fa che ammettere la sua disponibilità a lasciare Palazzo Chigi quando glielo chiederanno: cioè quando Renzi farà capire a Mattarella che il Pd non vorrà andare oltre, una volta ottenuta l’armonizzazione dei sistemi elettorali tra le due Camere.

«Con Renzi ho un rapporto di stima e collaborazione e penso che questo sia un vantaggio per il Pd e il governo», dice Gentiloni, facendo capire quale sia la vera polizza per la stabilità. Un rapporto che consente ai legionari del renzismo di battere da giorni su ordine del leader le truppe nemiche, «Nessuna melina sulla legge elettorale, i partiti si muovano, questo famoso 60% del No era una bufala, perché quando dal No si passa a dover dire un Sì tutti scappano», è lo sfogo del leader con i suoi interlocutori.

Licenza Creative Commons
Alcuni diritti riservati.

Da - http://www.lastampa.it/2016/12/30/italia/politica/renzi-benedice-lo-schema-gentiloni-cos-si-capisce-che-il-pd-vuole-votare-3waSOuS461zc7cX7eQLgMM/pagina.html
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« Risposta #181 inserito:: Gennaio 03, 2017, 08:42:28 pm »

Renzi e la fretta di andare a votare ad ogni costo.
Un incrocio pericoloso con Mattarella

Pubblicato: 02/01/2017 20:14 CET Aggiornato: 4 ore fa


L’ossessione (di Matteo Renzi) si chiama voto. Anche senza primarie o senza uno “schema politico” o una nuova visione, dopo la frana del 4 dicembre. Per tornare presto in scena perché, spiegano i suoi, “il tempo gioca a suo sfavore”. Voto, anche giocando al limite col Quirinale.

Ecco che, ventiquattr’ore dopo il discorso di Sergio Mattarella, il primo falco renziano che vola sulle urne di giugno è Matteo Orfini, presidente del Pd. Che in un’intervista al Corriere, nel giorno in cui sui giornali va il discorso del capo dello Stato, dice senza tante diplomazie: “Se riusciamo a far partire la nostra road map si può votare a giugno con una nuova legge. Qualora invece gli altri partiti ci lasciassero soli nel tentativo sincero di cambiarla, dovremmo sperare che il doppio Consultellum sia il più possibile omogeneo. Inevitabilmente si voterebbe con i sistemi indicati dalla Corte costituzionale e non certo per responsabilità del Pd”.

Significa che, alla ripresa, il Pd farà un giro di incontri, con scarsa convinzione, con le altre forze politiche. Più per dimostrare che ogni sforzo è stato tentato che per cercare un’intesa. Base di partenza, il Mattarellum, legge dall’impianto maggioritario. Se va a vuoto, c’è la legge che verrà partorita dalla sentenza della Corte. Che Orfini spera produca il cosiddetto Consultellum, ovvero un proporzionale molto simile alla prima Repubblica, praticamente la filosofia opposta al Mattarellum.

Proporzionale, maggioritario. L’una o l’altra pari sono, anche se funzionano in modo opposto. Perché l’unico schema è la fretta. Il pressing più che ricerca di interlocutori in Parlamento. La velocità più che il disegno. O meglio, il disegno di potere più che il disegno politico, dove l’ossessione del voto coincide con l’ossessione della stanza dei bottoni - palazzo Chigi – perché “con quel 40 per cento comunque Renzi arriva primo e l’incarico lo danno a lui”: “Tutto – sussurra a microfoni spenti un democrat di rango – è funzionale a far tornare presto in campo Matteo. Non può stare fuori e non può arrivare così alle amministrative di primavera, dove si vota in mille comuni. Se non si vota a giugno si arriva al 2018 e chissà se ci arriva candidato”.

Anche le parole e gli avverbi dell’intervista di Orfini (“inevitabilmente si voterà coi sistemi indicati dalla Corte”) incrociano pericolosamente quelle di Sergio Mattarella. Il quale, nel discorso di fine anno, ha fatto intendere che votare con due sistemi dissimili per Camera e Senato produrrebbe “un alto rischio di ingovernabilità”. E che è necessario uniformare il sistema. Prima o dopo la sentenza della Corte che al momento è imprevedibile e non è detto che produca ciò che il gruppo dirigente del Pd auspica. Dopodiché sarà possibile sciogliere senza indugio se lo chiederanno i partiti, anche a giugno.

L’incrocio pericoloso non è tra Mattarella che non vuole sciogliere e il Pd che chiede lo scioglimento. È tra Mattarella che chiede un sistema ordinato tra le due Camere (prima di sciogliere) e il Pd che invece di rimuovere gli ostacoli che si frappongono a uno svolgimento ordinato del voto procede a strappi. Anche in nome di Mattarella: “Siamo noi – dice Orfini all’HuffPost - il partito pro Mattarella, che vuole fare la legge elettorale. Quelli che citano il Quirinale senza agire in realtà vogliono solo allungare legislatura”. E Lorenzo Guerini, colomba renziana: “L’iniziativa del Pd per un confronto immediato con tutte le forza politiche sulla legge elettorale è il modo più serio e responsabile per raccogliere gli auspici indicati dal presidente della Repubblica”.

Tradotto: il Pd proverà a utilizzare questo paio di settimane per dire che ce l’ha messa tutta per trovare un’intesa come chiesto dal capo dello Stato, ma che purtroppo non tutti hanno avuto lo stesso senso di “responsabilità” e dunque, non resta altra strada che andare al voto con quel che dice la Corte. Anche se nessuno è in grado di dire se dalla Corte uscirà un sistema uniforme tra Camera e Senato o che sistema uscirà. La sensazione è che il vero incrocio pericoloso, col Quirinale, ci sarà allora, se da un lato l’unico schema sarà la fretta e dal Colle si continuerà a chiedere un sistema uniforme.

Da - http://www.huffingtonpost.it/2017/01/02/matteo-renzi_n_13930088.html?utm_hp
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« Risposta #182 inserito:: Gennaio 17, 2017, 11:25:59 am »

Renzi: "Sinistra, governo e banche: così riparto dai miei errori. Il M5s è solo un algoritmo"
L'intervista. L'ex premier e il ritorno in campo: "Ho fatto tante riforme senza capire che serviva più cuore e meno slide".
"Brucia la sconfitta. Ora nel Pd facce nuove e valori forti. Non ho fretta di votare ma evitiamo un bis del 2013"

Di EZIO MAURO
15 gennaio 2017

Segretario Renzi, la sua prima intervista dopo il referendum si può incominciare solo così: che sventola! Quanto le brucia?
"E deve domandarmelo, non se lo immagina? Brucia, eccome se brucia. Tanto che il vero dubbio è stato se continuare o lasciare. Ma poi uno ritrova la voglia e riparte".

Davvero ha pensato di uscire dalla politica?
"Sì, nei primi giorni. Mi tentava: e devo dirle, un po' per curiosità, un po' per arroganza".

Poi?
"Poi ho pensato che solo il vigliacco scappa nei momenti di difficoltà. Ho ripensato alle migliaia di lettere ricevute, al desiderio di futuro espresso da milioni di persone. La nostra battaglia è appena incominciata".

Una rivincita o una vendetta?
"Nessuna delle due: sono parole che pensano al passato. Noi guardiamo avanti, non indietro".

Non è anche questo un modo per scappare dalla sconfitta?
"Se uno nasconde la testa sotto la sabbia e fa finita di niente, sì. Ma vorrei ricordarle che io mi sono dimesso, in un Paese dove di solito le dimissioni si annunciano".

Era difficile resistere dopo aver perso 41 a 59, lo ammette?
"Sarei andato via anche con il 49 per cento. In realtà mi sono dimesso tre volte".

Perché tre?
"La prima appena usciti risultati, domenica sera. La seconda davanti a Mattarella, lunedì. Poi il Presidente mi ha chiesto di portare a casa la legge di bilancio, l'abbiamo fatta in 48 ore. E con 173 voti a favore presi al Senato mi sono dimesso per la terza volta. Adesso c'è il presidente Gentiloni cui va tutto il nostro sostegno".

E lei cosa sta facendo?
"Rifletto, leggo, sto in famiglia. Vado al ricevimento professori dei genitori dei miei figli. Ho ripreso a usare la bici. Riorganizzo la struttura del partito. Uso gli occhi e le orecchie più che la bocca. C'era tempo solo per correre, prima. Adesso mi sono fermato: avrei preferito non farlo ma non è così male".

Ma non ha appena detto che le brucia?
"Umanamente è una grande lezione, come tutte le sconfitte. Sa cosa mi spiace soprattutto? Non essere riuscito a far capire quanto fosse importante per l'Italia questa riforma. Abbiamo perso un'occasione che per decenni non ricapiterà. Ma nessuno ci toglierà i mille giorni che abbiamo fatto, straordinari. E soprattutto nessuno può toglierci il futuro. Abbiamo il tempo, l'energia, la passione per imparare dalla sconfitta e ripartire ".

Improvvisamente lei parla al plurale dopo una vita politica vissuta al singolare. E' il momento di dire "noi", dopo troppi "io"?
"E' stato uno dei miei limiti. Ma l'Italia che abbiamo trovato nel 2014, con il pil al meno due per cento, aveva bisogno di una scossa. Dire io e metterci la faccia è stato necessario".

Insomma, "noi" non riesce a dirlo fino in fondo?
"Sto imparando, vorrei ci provassimo tutti. Vede, il Pd potrebbe vantarsi di un Jobs act votato dalla sinistra, di unioni civili votate dai cattolici, della legge sul caporalato e del miliardo e otto stanziato per la povertà, degli oltre 17 miliardi di recupero dalla lotta all'evasione, dell'abbassamento delle tasse. Invece i nostri votano in Parlamento, e tacciono nel Paese, anche sulle cose più positive".

Non starà qui a snocciolare la propaganda, visto che lo ha fatto ad ogni ora del giorno e della notte in tv e non le è servito, non le pare?
"Quella che lei chiama propaganda sono riforme che hanno aiutato un pezzo di Paese a vivere meglio. Non ci hanno fatto vincere? Ok, ma sono fiero di averle fatte e quei 13 milioni di voti raccolti al referendum sono un patrimonio di speranza per il futuro".

Alt, lei non può annettersi quel 41 per cento in automatico: non è un voto politico per Renzi, è un voto referendario. Diverso, no?
"Diverso quanto vuole. Ma non è che il 59 per cento è un voto politico e il 41 no. O siamo al paradosso per cui Renzi conta solo nei voti contrari e non in quelli a favore? Il 59 per cento è molto diviso al proprio interno, il 41 no. Temo che qualcuno faccia i conti senza l'oste".

Vediamo gli errori dell'oste, prima: qual è stato il più grave?
"Non aver colto il valore politico del referendum. Mi sono illuso che si votasse su province, Cnel, regioni. Errore clamoroso. In questo clima la parola riforma è suonata vuota, meccanica, artificiale. Nel 2014 il Paese sapeva di essere a rischio Grecia, l'efficienza aveva presa, funzionava perché serviva. Tre anni dopo avrei dovuto metterci più cuore, più valori, più ideali. Insomma, meno efficienza e più qualità".

Prima diceva che ha corso troppo, ora aggiunge addirittura che vuole più cuore. In questi tre anni abbiamo scritto tante volte che lei sostituiva il performer al politico, l'acrobata al leader. Non tutto è prassi, dunque?
"Un leader è sempre un po' acrobata, altrimenti vivacchia ma quelli che vivacchiano non sono leader. Poi talvolta cade, ma preferisco rischiare piuttosto che vivere nell'immobilismo. Ma se vuole andare più a fondo, ci sto: ho agito spesso senza riuscire a fare una teoria di quel che facevamo, senza "ideologizzare" la rotta del governo, senza raccontare la profondità culturale di quel che proponevamo al Paese. Abbiamo fatto la più grande redistribuzione di reddito della storia fiscale italiana - gli 80 euro - ma abbiamo accettato che fosse presentata come una mancia. Ma almeno noi lo abbiamo fatto, dopo anni di chiacchiere".

Più cultura, dunque, non solo politique d'abord?
"Se cerca uno slogan ne ho uno migliore: meno slide, più cuore".

E magari meno Giglio Magico, no? Non crede sia una mancanza di ambizione scegliere i più fedeli a Firenze invece che i più bravi in Italia?
"Dissento radicalmente: io ho sempre cercato di scegliere i più bravi. Ogni leader nel mondo ha un gruppo di collaboratori storici, anche del proprio territorio. E se lei si riferisce a Boschi e Lotti le dico che sono due persone straordinarie, professionisti eccellenti".

E la Manzione, capo dei vigili urbani a Firenze che diventa responsabile del dipartimento affari giuridici di Palazzo Chigi?
"Talmente brava che è stata confermata anche da Gentiloni. Tutto qui questo mitico Giglio Magico?".

E il suo amico Carrai candidato per settimane a guidare la cyber security?
"E poi non lo abbiamo nominato. Forse avrebbe fatto comodo la sua competenza, sa? ".

Ma ci sarà pure un ufficiale dei carabinieri laureato all'Mit che è altrettanto competente e in più ha giurato fedeltà alla Repubblica e non a lei, no?
"Adesso ascolti me: all'Eni dopo un lungo colloquio ho nominato De Scalzi, che non conoscevo, all'Enel Starace che non avevo mai visto, alle Ferrovie Mazzoncini che non è certo fiorentino, a Finmeccanica Moretti, alla Cdp Costamagna. Vogliamo parlare delle nomine nelle forze dell'ordine o ai servizi? Vogliamo discutere di Guerra e Piacentini che hanno accettato di rinunciare a stipendi milionari per lavorare con me? Vogliamo dire che col mio governo Fabiola Gianotti è arrivata a dirigere il CERN e Filippo Grandi l'Alto Commissariato per i rifugiati? Sono orgoglioso di queste scelte, altro che gigli e magie".

E alla Rai?
"Alla Rai cosa? Ho scelto un capo azienda del mestiere e l'ho lasciato lavorare".

Ma quel capo azienda lo ha scelto nel bouquet della Leopolda o sbaglio? E due nomi per lei scomodi come Berlinguer e Giannini non sono stati sostituiti?
"Non mi pare che partecipare a un convegno alla Leopolda sia un reato. L'amministratore delegato l'ho scelto per il mestiere, gli ho dato i poteri con la legge e i soldi con il canone in bolletta. Per il resto sfido chiunque a dire che ho messo bocca in una sola nomina. L'unica cosa che è veramente figlia di una mia proposta è stata la cancellazione della pubblicità dalla tv dei bambini. Sul resto io devo solo cercare il meglio per il futuro delle aziende. E lo farò anche per il Pd".

Cioè?
"Il Pd deve riflettere: a cosa serve un partito oggi? Come può la sinistra rispondere alla crisi? Come dobbiamo cambiare? Si guardi in giro: in Francia i socialisti non stanno benissimo. In Spagna per il Psoe abbiamo visto com'è finita, in Inghilterra con Corbyn il Labour non vince, in Germania la Merkel va al 42,9 per cento, superata solo da Adenauer, negli Usa Obama raccoglie risultati positivi nell'occupazione per 75 mesi e il Paese vota Trump. Non le dice niente?".

Sta pensando che la famiglia socialista appartiene al passato?
"Niente affatto, si ricordi che ho portato io il Pd nei socialisti europei, cosa che quelli di prima non erano riusciti a fare. Anni fa, quando qualcuno mi consigliava di fare un partito nuovo, ho sempre risposto che se fosse capitato un giorno di andare a palazzo Chigi un conto sarebbe stato andarci come capo della sinistra italiana, e tutt'altro conto come un passante che ha vinto alla lotteria. Io credo che la sinistra possa vincere e convincere. Ma deve entrare nel nuovo secolo, tenere insieme le tradizioni e il futuro ".

Come?
"Le nuove polarità sono esclusi e inclusi, innovazione e identità, paura e speranza. Gli esclusi sono la vera nuova faccia delle disuguaglianze, dobbiamo farli sentire rappresentati. L'identità è ciò che noi siamo, senza muri e barriere, e non dobbiamo lasciarla alla destra. Quanto all'innovazione, è indispensabile per non finire ai margini, ma ne ho parlato in termini troppo entusiastici, bisogna pensare anche ai posti di lavoro che fa saltare. Insomma, c'è un gran da fare per la sinistra".

E come può farcela un Pd diviso, negletto, ridotto ai minimi termini?
"Non so di quale Pd parli lei. Quello che conosco io ha preso il 40,8 per cento alle Europee, miglior risultato di un partito politico in Italia dalla Dc del 1959. Sono convinto che se il 4 dicembre si fosse votato per i partiti, saremmo risultati nettamente primi. Certo, adesso c'è da fare. Lanceremo una nuova classe dirigente, gireremo in lungo e largo l'Italia, scriveremo il programma dei prossimi cinque anni in modo originale. Siamo ammaccati dal referendum ma siamo una comunità piena di idee e di gente che va liberata dai vincoli delle correnti. Ci sarà da divertirsi nei prossimi mesi dalle parti del Nazareno".

Per questo vuole andare a votare subito senza far finire la legislatura?
"Mi è assolutamente indifferente. Io non ho fretta, decidiamo quel che serve all'Italia, senza ansie ma anche senza replicare il 2013 dove abbiamo pagato un tributo elettorale al senso di responsabilità del Pd. Forse alcuni parlamentari - specie dei nuovi partiti - sono terrorizzati dalle elezioni perché sanno che non avrebbero i voti neanche per un'assemblea di condominio. Ma noi no. Noi faremo ciò che serve al Paese ".

Ma lei è sicuro che le piaccia il mestiere di segretario del Pd ed è sicuro di saperlo fare?
"Vedremo se sarò capace, le rispondo tra qualche mese. Perché me lo chiede?".

Perché ha dato l'impressione spesso di usare il partito come un taxi per arrivare a palazzo Chigi.
"Io credo nel Pd, credo nell'intuizione veltroniana del partito maggioritario, credo possa essere la spina dorsale del sistema, soprattutto in un quadro bipolare come piace a me".

Quindi rimane favorevole al ballottaggio, anche con Grillo in campo?
"Sì, è il modo per evitare inciuci, governissimi, larghe intese tra noi e Forza Italia che non servono al Paese e aprono un'autostrada al grillini. Ballottaggio, o se no Mattarellum. Se poi dalla Corte verrà fuori un sistema diverso ci confronteremo con gli altri. Col maggioritario il Pd è il fulcro di un sistema simile alla democrazia americana. Con il proporzionale torniamo a un sistema più simile alla democrazia cristiana. Ma il Pd sarà decisivo comunque. Il futuro dell'Italia passa da noi, dai nostri sindaci, dalla comunità di valori della nostra gente. Che non ne può più di chi tutti i giorni spara contro il quartier generale ".

Scusi, anche a me non piacciono gli inciuci e le large intese, ma si ricorda che lei ha scelto di governare con Verdini?
"Scelto? Sono io che ricordo a lei che alle ultime elezioni politiche il Pd - non guidato da me - aveva preso il 25 per cento, non il 40. Senza Verdini lei oggi non avrebbe le unioni civili".

E se nel Pd si preparasse una scissione a sinistra?
"Non mi sembra l'aria. Una parte del gruppo dirigente ha votato "no" con Lega, Grillo e Berlusconi, ma il 91 per cento degli elettori del Pd ha votato sì. La scissione la farebbero i parlamentari, non gli iscritti. Nonostante le leggende nere, abbiamo perso a destra, non tra i compagni".

Dica ai compagni che non lascerà morire l'Unità: può dirlo?
"Faremo di tutto. Vedrò Staino e gli editori la settimana prossima. Ma se il giornale vende poco davvero pensiamo che la colpa sia del segretario del partito? Lavoreremo a una soluzione con umiltà e buon senso".

Da segretario lei è sembrato credere nell'Anno Zero, nel renzismo, accontentandosi di rappresentare solo metà partito, non tutto. E' così?
"Se ho dato questa impressione, ho sbagliato. Ma non c'è stato giorno senza che una parte della vecchia guardia mi abbia attaccato, anche in modo sgradevole a livello personale, quasi fosse stata lesa maestà sconfiggerli al congresso. Perché non dice che sono stato circondato nel Pd da un vero e proprio pregiudizio, secondo cui non ero degno di rappresentare la sinistra? ".

Lei sente di rappresentarla?
"Certo, secondo la sua storia e le mie convinzioni. Per me essere di sinistra è anche innovare: essere garantisti sulla giustizia, abbassare le tasse, non andare necessariamente a rimorchio del sindacato che contesta ideologicamente i voucher e poi li usa. Lo farò. L'ho fatto. La battaglia sull'accoglienza agli immigrati in Europa l'abbiamo fatta noi. E anche quella contro l'austerità come ideologia, non come necessità. Io ricordo benissimo il primo vertice europeo a Ypres nel giugno 2014, siamo finiti 2 contro 26 nel voto. Poi la nostra linea ha camminato. Troppo poco? Può darsi. Risultati parziali? Non c'è dubbio. Ma da dove eravamo partiti?"

Lo dica lei.
"Crede davvero che se non fossimo stati sul bordo della palude avrebbero dato la guida del governo a uno di 39 anni, senza quarti di nobiltà e senza padrini politici?".

Non avrà sangue blu, ma ha un'indubbia attrazione per il potere economico e imprenditoriale: non è eccessivo?
"Rivendico gli incontri con chi salva un pezzo di produzione industriale in questo Paese. Ma non è vero che cerco solo gli imprenditori. Vado a Torino vado alla Fiat, certo, dove riparte Mirafiori, ma vado anche al Cottolengo. Colpa mia se per voi Marchionne fa notizia e don Andrea no? Dove non mi troverà mai è nei salotti, soprattutto a Roma".

Nelle banche però vi hanno trovati, da Etruria a Mps: non crede che vi sia costato molto elettoralmente?
"Sì. Ma è una clamorosa menzogna. E non vedo l'ora che parta la commissione di inchiesta per fare chiarezza sulle vere responsabilità, dai politici ai manager ai controllori istituzionali".

Ma lei come ha fatto a dire che "Mps è un bell'affare, un brand su cui investire" mentre andava a rotoli?
"Ho detto in pubblico quel che ho ripetuto a tutti gli investitori stranieri. Avevamo creato le condizioni per un investimento estero importante - il fondo del Qatar - che ha detto no il giorno dopo il referendum per l'instabilità politica. Non ci sarebbe stata operazione pubblica da venti miliardi con la vittoria sulle riforme".

E perché ha voluto far fuori Viola per far posto a Morelli gradito a Jp Morgan?
"Sfido chiunque a dimostrare che ho preso posizione contro Viola o a favore di Morelli. Piuttosto, sulle banche abbiamo perso con Monti la vera occasione di fare la bad bank come la Merkel. Ci sono responsabilità politiche decennali. E sul Monte prima o poi qualcuno racconterà la vera storia, da Banca 121 a Antonveneta. A proposito, vediamo cosa dirà la commissione di inchiesta sulle popolari venete".

E Etruria quanto vi è costata, col padre della Boschi in Consiglio?
"Molto. Ma abbiamo fatto tutto quello che andava fatto. Abbiamo commissariato la banca, mandato a casa gli amministratori compreso il padre della Boschi, Etruria è l'unica banca sanzionata due volte, ci sono indagini della magistratura e ci saranno processi: vedremo chi sarà condannato e chi no. Ma noi siamo stati di una trasparenza cristallina. In tempi di post verità e di bufale virali posso sperare che ci sia ancora qualcuno che legge le carte e non i tweet preparati in modo scientifico dalla Casaleggio e associati? Mi colpisce molto che Arezzo e Siena siano tra le poche città in cui il Sì ha vinto: segno che chi sta sul territorio conosce la verità e non crede alle rappresentazioni di comodo ".

C'è ancora la Consip, i cui dirigenti sono stati avvertiti delle "cimici" disposte dalla Procura di Napoli e le hanno tolte prima che funzionassero. La soffiata, dice l'amministratore delegato, viene dal ministro Lotti, dal comandante dei Carabinieri Del Sette e dal comandante della Toscana Saltalamacchia. Non è grave? Non è giglio? Non è logico pensare che anche lei potesse sapere, visto che suo padre ha legami con l'imprenditore Romeo, indagato nell'inchiesta?
"La mia linea è sempre una sola: bene le indagini, si vada a sentenza. Noi chiediamo ai giudici di fare presto, sempre. Abbiamo visto polveroni su Tempa Rossa, Penati, Errani, Graziano e non c'è stata condanna. Notizie sparate in prima pagina per le richieste e nascoste per le assoluzioni. Aspetto di vedere la sentenza. Qualcuno ha violato la legge? Si dimostri con gli articoli del codice penale, non con gli articoli dei giornali. E chi ha sbagliato, se ha sbagliato, paghi".

C'è un fatto già certo: quelli le cimici le hanno tolte perché qualcuno li ha avvertiti, e i suoi uomini sono sospettati della soffiata. Non è già questo gravissimo?
"Mi interessano le sentenze, non i sospetti. Ovviamente non ho alcun dubbio sulla totale correttezza dei carabinieri e dei membri del governo in questa vicenda. Ma del resto basta aspettare per averne certezza".

Nel frattempo, mi scusi, non sarebbe bene che i vostri familiari si astenessero da affari che riguardano il settore pubblico, per il periodo temporaneo in cui avete l'onore di guidare la sinistra o il Paese?
"Condivido il principio e non mi risultano affari di mio padre con il pubblico. Si è preso un avviso di garanzia appena io sono andato a Palazzo Chigi. Quando è accaduto io sono andato in tv, da premier, e ho dato solidarietà, ma ai magistrati, non a mio padre. Alla fine è stato archiviato. Male non fare, paura non avere".

Non crede che il Pd abbia bisogno di aria fresca, troppi indagati, troppi notabili, troppe compromissioni come denunciava Saviano?
"Il mancato rinnovo della classe dirigente è stato un mio limite. Saviano lo ha detto con un tono discutibile, ma nel merito aveva ragione. Non si cambia il Sud poggiando solo sul notabilato. Idee nuove e amministratori vecchi? Sbagliato, non funziona. Togliere le ecoballe è importante, ci mancherebbe. Ma più ancora aprire il Pd a facce nuove. Voglio farlo".

Rimpiange di essere salito a palazzo Chigi dall'ascensore di servizio e non dallo scalone d'onore, con il voto?
"No. Per la mia immagine è stato un errore, ma serviva al Paese e l'Italia vale di più della mia immagine. Ma lei ricorda quei momenti? Eravamo bloccati e impauriti, la disoccupazione cresceva, il Pil crollava. Ora l'Italia ha qualche diritto in più e qualche tassa in meno. Ancora non andiamo bene, ma andiamo meglio di prima. Dobbiamo stringere i denti e fare di più".

Non sente oggi come suona male quella continua polemica coi gufi e i rosiconi?
"Bisognava dar l'idea della svolta. Forse non dovevo usare quelle parole, va bene: ma l'ottimismo fa parte della politica. Detto questo adesso posso confessarlo: a me i gufi stanno simpatici. Gli animali, intendo".

Grillo punta invece sul catastrofismo: conviene?
"Sì. Lui vince se denuncia il male. Non se prova a cambiare. Quei ragazzi sono già divisi, si odiano tra gruppi dirigenti, fanno carte e firme false per farsi la guerra. Ma sono un algoritmo, non un partito. Lui è il Capo di un sistema che ripete ai seguaci solo quello che vogliono sentirsi dire, raccogliendo la schiuma dell'onda del web. Dovremmo fare una colletta per liberare la Raggi e i parlamentari europei dalle orrende manette incostituzionali che multano l'infedeltà al partito, ogni ribellione o autonomia. Ma quelli che vedevano la deriva autoritaria nella riforma costituzionale, su questo tacciono. Se l'immagina una misura del genere nel Pd? Io non voglio una sinistra dell'algoritmo: la voglio libera, capace di pensare con la sua testa, coi suoi valori, la sua cultura, i suoi ideali".

Meglio tardi che mai, segretario, la strada è lunga. E se alla fine non dovesse portarla a palazzo Chigi, se non ci tornasse più?
"Chissà, vedremo. In ogni caso che male c'è? Ho lasciato il campanello a Paolo e ho visto i miei amici entrare in sala Consiglio mentre io me ne andavo. Penso che sia giusto così. Quando si perde deve pagare il capo, non un capro espiatorio a caso. Mentre camminavo sulla guida rossa, col drappello militare che rendeva gli onori al Capo del governo uscente, inchinandomi alla bandiera, ho pensato che in questi tre anni ho cercato di fare il mio dovere con disciplina e onore come dice la Costituzione. Se torneremo a Chigi, faremo tesoro degli errori e proveremo a fare ancora meglio. Se non ci torneremo, abbiamo servito il Paese più bello del mondo per mille giorni. Dica lei: che posso volere di più?".

© Riproduzione riservata
15 gennaio 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/01/15/news/intervista_ezio_mauro_a_matteo_renzi_l_italia_il_governo_il_pd_la_sinistra-156041821/?ref=HREC1-1
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« Risposta #183 inserito:: Gennaio 17, 2017, 11:43:49 am »

Segreteria con nomi nuovi e agenda sociale: ecco il piano di Renzi per rilanciare il Pd
Oltre a Fassino e Nannicini possibile un incarico anche allo scrittore Carofiglio

Pubblicato il 14/01/2017
Ultima modifica il 13/01/2017 alle ore 20:51

Carlo Bertini

Oltre un’ora di chiacchierata, la prima a tu per tu dallo scambio della campanella del passaggio di consegne a palazzo Chigi. Matteo Renzi va a trovare Paolo Gentiloni nella sua stanza al Gemelli e insieme fanno il punto della situazione, toccando tutti i temi sensibili, dalla legge elettorale che impegnerà il leader Pd, ai temi del lavoro sui quali si pronuncerà il governo nei prossimi giorni per tentare di sminare i due referendum della Cgil sui voucher e sugli appalti. Ed è proprio sull’agenda sociale che premier e segretario lavoreranno in tandem, visto che Renzi vuole accentuare il profilo del partito di governo sui temi del lavoro e dei giovani che hanno visto il Pd più in affanno in questi mesi, come dimostrato dai vari test elettorali.

Gentiloni sta bene, si è completamente rimesso, ieri ha visto pure la Boschi per preparare il consiglio dei ministri: stamattina infatti uscirà dall’ospedale diretto non a casa, bensì a Palazzo Chigi, dove vuole presiedere la riunione del suo gabinetto che presenta un ordine del giorno corposo: decreti attuativi sulla scuola e sulle unioni civili ed altri provvedimenti. 

Con il premier, dopo una mattinata passata al Nazareno per una serie di incontri, Renzi si è di certo voluto confrontare anche sulla nuova road map che lo vedrà protagonista: lunedì prossimo dovrebbe dare il via libera alla nuova composizione della segreteria del Pd, «più collettiva, più aperta, più autorevole», come la definisce lui, che verrà formalizzata in una riunione della Direzione. Il leader non riuscirà a fare della segreteria un organismo snello come avrebbe voluto, ma ci saranno diversi innesti e novità: Piero Fassino, che Renzi ha mandato a Lisbona a presenziare per i funerali di Mario Soares, si occuperà degli Esteri e curerà i rapporti con i socialisti europei, Tommaso Nannicini si occuperà del programma (il 23 gennaio organizzerà un seminario sull’evasione fiscale) e tra gli intellettuali potrebbe fare il suo ingresso lo scrittore Enrico Carofiglio. Entrerà anche il ministro Maurizio Martina - capo della corrente di sinistra leale al leader. E in segreteria resteranno non solo diversi parlamentari - tra i più accreditati David Ermini, Ernesto Carbone, Alessia Rotta, ma anche tutte le anime del partito tranne la minoranza ribelle dei bersaniani: sarà rappresentata la corrente di Cuperlo - con cui Renzi ha perlato ieri a lungo - così come quella dei «giovani turchi» di Orfini e Orlando, e quella di Franceschini.

Renzi parteciperà poi ad un’assemblea dei circoli il 21 gennaio a Roma e a quella con gli amministratori locali del Pd il 27-28 gennaio a Rimini: i primi appuntamenti pubblici che segneranno la ripresa della sua attività a pieno ritmo, che lo vedrà presente nella capitale nel suo ruolo di segretario Pd almeno tre giorni a settimana.

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Da - http://www.lastampa.it/2017/01/14/italia/politica/segreteria-con-nomi-nuovi-e-agenda-sociale-ecco-il-piano-di-renzi-per-rilanciare-il-pd-dIxGYoy2j1BD9lq3IBXgVO/pagina.html
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« Risposta #184 inserito:: Gennaio 18, 2017, 06:13:36 pm »

l'Unità TV > Focus
Unità.tv @unitaonline

 15 gennaio 2017

Renzi: “La sconfitta brucia, ma sono pronto a ripartire”. E rilancia il Pd
Politica   
Il presidente del consiglio Matteo Renzi durante la conferenza stampa nella sede del Partito Democratico sui risultati delle elezioni amministrative comunali, Roma, 06 giugno 2016. ANSA/ANGELO CARCONI   

Referendum, voto anticipato, Pd e il futuro del Paese. Matteo Renzi, in un’intervuista a Repubblica, parla per la prima volta dopo le dimissioni

La sconfitta al referendum “brucia, eccome”, ammette Matteo Renzi che confessa, in una intervista a Repubblica di aver pensato “al ritiro”, ma di essere anche pronto, ora, a ripartire dagli errori, e a rilanciare il Pd. “Credo nel Pd – dice – lo rilanceremo con facce nuove e valori forti”. E sul voto: “Io non ho fretta, decidiamo quel che serve all’Italia, senza ansie ma anche senza replicare il 2013″.

Renzi analizza gli errori commessi: “Mi sono illuso che si votasse su province, Cnel, regioni. Errore clamoroso. In questo clima la parola riforma è suonata vuota, meccanica, artificiale. Nel 2014 il Paese sapeva di essere a rischio Grecia, l’efficienza aveva presa, funzionava perché serviva. Tre anni dopo avrei dovuto metterci più cuore, più valori, più ideali. Insomma, meno efficienza e più qualità”. E credo per il futuro nelle opportunità della sinistra che può “vincere e convincere. Ma deve entrare nel nuovo secolo, tenere insieme le tradizioni e il futuro”.

Tant’è che spiega cosa vuol dire essere di sinistra per lui: “Per me essere di sinistra è anche innovare: essere garantisti sulla giustizia, abbassare le tasse, non andare necessariamente a rimorchio del sindacato che contesta ideologicamente i voucher e poi li usa. Lo farò. L’ho fatto”.

Nel Pd “adesso c’è da fare. Lanceremo una nuova classe dirigente, gireremo in lungo e largo l’Italia, scriveremo il programma dei prossimi cinque anni in modo originale. Siamo ammaccati dal referendum ma siamo una comunità piena di idee e di gente che va liberata dai vincoli delle correnti. Ci sarà da divertirsi nei prossimi mesi dalle parti del Nazareno”.

L’ex premier è chiaro anche sul voto anticipato: “Io non ho fretta, decidiamo quel che serve all’Italia, senza ansie ma anche senza replicare il 2013 dove abbiamo pagato un tributo elettorale al senso di responsabilità del Pd. Forse alcuni parlamentari – specie dei nuovi partiti – sono terrorizzati dalle elezioni perché sanno che non avrebbero i voti neanche per un’assemblea di condominio. Ma noi no. Noi faremo ciò che serve al Paese”.

Il ballottaggio “è il modo per evitare inciuci, governissimi, larghe intese tra noi e Forza Italia che non servono al Paese e aprono un’autostrada al grillini”. Dunque la posizione del Pd sulla riforma elettorale resta “ballottaggio o se no Mattarellum”. E “se poi dalla Corte verrà fuori un sistema diverso ci confronteremo con gli altri”. “Col maggioritario – sottolinea Renzi a Repubblica- il Pd è il fulcro di un sistema simile alla democrazia americana. Con il proporzionale torniamo a un sistema più simile alla democrazistiana. Ma il Pd sarà decisivo comunque. Il futuro dell’Italia passa da noi, dai nostri sindaci, dalla comunità di valori della nostra gente. Che non ne può più di chi tutti i giorni spara contro il quartier generale”.

Renzi non risparmia una riflessione anche sul Movimento Cinquestelle e il suo leader Grillo “vince se denuncia il male. Non se prova a cambiare. Quei ragazzi sono già divisi, si odiano tra gruppi dirigenti, fanno carte e firme false per farsi la guerra. Ma sono un algoritmo, non un partito”. “Lui è il Capo di un sistema che ripete ai seguaci solo quello che vogliono sentirsi dire, raccogliendo la schiuma dell’onda del web” – afferma, e aggiunge – “io non voglio una sinistra all’algoritmo: la voglio libera, capace di pensare con la sua testa, coi sui valori, la sua cultura, i suoi ideali”.

Nell’intervista Renzi mette a fuoco anche la questione banche: “Il caso Etruria ci è costato molto. Ma abbiamo fatto tutto quello che andava fatto. Abbiamo commissariato la banca, mandato a casa gli amministratori compreso il padre della Boschi, Etruria è l’unica banca sanzionata due volte, ci sono indagini della magistratura e ci saranno processi: vedremo chi sarà condannato e chi no”. E invece il commento dell’ex premier sulla crisi delle banche. “Non vedo l’ora che parta la commissione di inchiesta per fare chiarezza sulle vere responsabilità, dai politici ai manager ai controllori istituzionali”, ha aggiunto.

Infine sul futuro del quotidiano L’Unità, assicura che “lavoreremo a una soluzione con umiltà e buon senso”. “Faremo di tutto – dice- Vedrò Staino e gli editori della settimana prossima. Ma se il giornale vende poco davvero pensiamo che la colpa sia del segretario del partito?”.

Da - http://www.unita.tv/focus/renzi-la-sconfitta-brucia-ma-sono-pronto-a-ripartire-e-rilancia-il-pd/
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« Risposta #185 inserito:: Gennaio 19, 2017, 05:49:18 pm »


Il primo blitz sulla nuova segreteria Pd non riesce a Renzi. Le correnti del partito si oppongono
Per ora reggono i veti. Il segretario prende tempo e ragiona su nuove uscite, fuori dal palazzo

Pubblicato il 19/01/2017
Carlo Bertini
Roma

La verità è che il primo blitz non gli è riuscito: la mossa che doveva dare il là al suo ritorno, un azzeramento della vecchia segreteria per farla ripartire con pochi nomi, nuovi incarichi e piglio molto operativo, è stata sventata dalla resistenza delle correnti.

Tanto per citarne una, la corrente di Franceschini, a detta degli stessi uomini del ministro, ha subito fatto sapere di non gradire un gesto che avrebbe contraddetto con la volontà di costruire una gestione-narrazione più plurale e meno individuale del partito.

Quindi non stupisce che ora Renzi si sia preso altri tre giorni per ponderare la lista di nomi sul suo tavolo, che di ora in ora si aggiorna. Altro esempio: il tira e molla dell’ultim’ora del ministro Martina, leader di un’altra corrente della sinistra lealista, restio a entrare in segreteria senza incarichi di peso come l’organizzazione o un ruolo di vice unico.

Anche per questo si era pensato ad allargare la segreteria a tutti i pezzi da novanta del partito, dai due capigruppo Zanda e Rosato (entrambi area Franceschini), al presidente Orfini dei «giovani turchi». Ma Renzi ci ha subito ripensato, «poi sembra uno dei soliti “caminetti”, non se ne fa nulla».

Per dare un’idea dell’inferno dantesco in cui riesce a trasformarsi il Pd quando c’è da nominare un qualche organismo, perfino per la ventilata nomina di Ciro Bonaiuto, sindaco di Ercolano e pupillo di Maria Elena Boschi, ci sarebbe stata una sollevazione di altri primi cittadini campani, gelosie locali che hanno sconsigliato però di procedere. 

Si capisce dunque perché Renzi stia al Nazareno «come un leone in gabbia». Così lo dipingono gli amici, consci di quanto poco il segretario riesca a digerire le logiche dei bilancini. Anche per questo, per sottrarsi al gioco dei veti incrociati, Renzi non resterà tanto tempo nel suo studio di segretario al secondo piano del Nazareno: sempre più spesso farà altre uscite a sorpresa come quella a Scampia. Meglio uscire dal palazzo, anche da quello del suo partito.

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Da - http://www.lastampa.it/2017/01/19/italia/politica/il-primo-blitz-sulla-nuova-segreteria-pd-non-riesce-a-renzi-le-correnti-del-partito-si-oppongono-Zco6SmrMCA2GbON4wRMD9L/pagina.html
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« Risposta #186 inserito:: Gennaio 24, 2017, 06:13:38 pm »

Opinioni
Giorgio Merlo   - @giorgiomerlo
· 23 gennaio 2017

Come cambia il “racconto” di Renzi”?

Il “racconto” o la “narrazione” renziana possono tranquillamente continuare in questa fase politica se cambiano registro rispetto a ciò che abbiamo ascoltato in questi ultimi tempi

Diciamoci la verità. Tutti i grandi leader politici, almeno quelli della seconda repubblica, sono divisivi. Anzi, fortemente divisivi. Si impongono per talento naturale e attraverso le modalità più disparate. Ma è indubbio che la leadership non si può contestare. Così è stato per Berlusconi, e per Bossi. E così è stato per Grillo e ultimamente per Matteo Renzi.

Ora, per fermarsi proprio al leader del Pd, e al Pd nello specifico, credo che non si possono sottacere alcune caratteristiche. Innanzitutto Renzi è un leader “naturale”. Per il suo dinamismo, per la sua energia, per la sua capacità di attrarre attenzione e, soprattutto per la innata propensione a suscitare emozioni e passioni e, di conseguenza, consenso. Nel caso specifico, il consenso politico.

E, al di là del carattere – che resta un aspetto personale e del tutto incontestabile – emerge una oggettiva capacità politica. Quella capacità che ha saputo rilanciare il Pd attraverso una energica iniziativa politica sfociata con la conquista del partito prima e del Governo poi.

Dopodiché sono arrivate le elezioni amministrative del giugno scorso e la storica sconfitta di Torino, oltre a Roma, Napoli e moltissimi altri comuni e, soprattutto, la batosta del referendum del 4 dicembre. E, come sempre capita in politica dopo una sonora sconfitta, qualunque sia la stagione in cui si vive, emerge come da copione una domanda. Sempre la stessa domanda: ma quel “racconto” politico regge ancora? Ovvero, per essere più precisi, la cosiddetta “narrazione” renziana è ancora il valore aggiunto per il Pd, per il centro sinistra e per un riformismo di governo di marca progressista?

Perché, al netto delle polemiche personali, dei rancori e delle stesse lotte di potere, il tema di fondo è sempre quello. Soprattutto in un contesto politico dove la personalizzazione della politica ha il sopravvento e i partiti sono diventati progressivamente partiti “personali” espressione del leader.

Questo, credo, è il nodo politico per eccellenza. Cioè il messaggio politico di Renzi in questa stagione politica. Dopo la doppia sconfitta elettorale di giugno e di dicembre. E la domanda di fondo, al di fuori delle polemiche politiche e personali, è molto semplice: il progetto politico del Pd può essere sempre lo stesso?

In altri termini, le parole d’ordine dovranno continuare ad essere quelle che abbiamo ascoltato in questi ultimi 3 anni? Sia per quanto riguarda il partito e sia per l’azione del governo?

Ora, attorno a queste domande le risposte sono molteplici. Le conosciamo tutti. Da chi dice, sempre nel Pd, che adesso la vera priorità è quella di cambiare al più presto la guida del partito a chi, specularmente, sostiene che senza Renzi finiremmo tutti in un baratro e sarebbe la fine per il Pd, per il centro sinistra e chi più ne ha più ne metta. Io, e come me credo la stragrande maggioranza dei Democratici, ritengono che tra le opposte tifoserie – o gli opposti estremismi – c’è sempre una via di mezzo.

Cioè, per dirla con parole semplici, la strada del buon senso e della responsabilità politica. Perché una cosa è chiara. Lo scenario politico che si è aperto dopo il voto del 4 dicembre è cambiato, profondamente cambiato. Sarebbe puerile negarlo aprioristicamente. Ecco perché, allora, adesso è necessaria una strategia che contenga alcuni punti fermi.

Innanzitutto si deve lavorare per garantire e conservare una vera unità del partito. Una precondizione indispensabile per rafforzare il progetto del Pd, per essere una credibile alternativa politica ai vari populismi e per poter dispiegare una credibile azione di governo. Basta con le “rese dei conti” nel partito da un lato e con gli attacchi pretestuosi e pregiudiziali al segretario nazionale dall’altro.

In secondo luogo, e al di là del futuro sistema elettorale, occorre uscire dall’isolamento e dall’autosufficienza politica ed elettorale. Il Pd deve recuperare la logica della coalizione non per bloccare l’ascesa del movimento 5 stelle ma perché, semplicemente, in Italia la politica è sempre stata “politica delle alleanze”.

In ultimo, per fermarsi a soli 3 aspetti, va riconosciuto il pluralismo culturale nel partito e va praticata una vera collegialità nella gestione del partito stesso. E questo non per favorire consociativismi o ricreare caminetti ma, al contrario, per evitare che il tutto si riduca sempre e solo ad appaltare le scelte all’uomo solo al comando o, peggio ancora, a sperare nel ruolo salvifico e miracolistico del leader.

Dunque, il “racconto” o la “narrazione” renziana possono tranquillamente continuare in questa fase politica se cambiano registro rispetto a ciò che abbiamo ascoltato in questi ultimi tempi. La capacità di un leader è anche quella. Cioé, oltre ad essere un valore aggiunto per il suo talento naturale, c’è anche quello di saper cambiare lo stile e l’approccio quando le condizioni te lo impongono.

Perché altrimenti il rischio concreto che si corre è sempre quello di portare tutti a sbattere. E prima o poi quella previsione si può verificare.

Da - http://www.unita.tv/opinioni/come-cambia-il-racconto-di-renzi/
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« Risposta #187 inserito:: Gennaio 26, 2017, 12:23:21 pm »

Il futuro, prima o poi, torna
Ci sono molti modi di cominciare. E di ricominciare.
Chi è cresciuto con l’esperienza scout sa che il modo più bello è mettersi in cammino.

Un cammino fisico, fatto di passi, incontri, sguardi. Con vecchi amici che non vedi da tempo, perché finalmente hai più tempo per te e per loro. Con nuovi luoghi da osservare, scrutare, toccare per la prima volta, come mi è accaduto a Scampia qualche giorno fa.

Ma è anche il cammino virtuale e condiviso di una comunità.

Ci sono milioni di italiani che hanno un’idea chiara e bella del futuro dell’Italia. Con tutte le difficoltà che nessuno vuole negare. Questi milioni di italiani non si arrendono alla rassegnazione. Io voglio camminare con loro.

Ci sono dei momenti — nella vita di un Paese — in cui il futuro sembra scomparire. Tutto diventa schiacciato sul presente. Sognare sembra vietato, progettare impossibile, avere idee una colpa. Vale solo il presente indefinito, dove l’unica cosa che conta è non disturbare la rendita di chi ha sempre fatto in un certo modo e vuole continuare a fare così.

Intendiamoci. Noi siamo pronti a ogni verifica sul passato. Noi siamo quelli che hanno da offrire mille giorni di lavoro al Governo, che hanno portato tanti risultati. Con alcuni errori, certo, ma nella stragrande maggioranza abbiamo fatto passi in avanti per noi e per il Paese. Oggi l’Italia ha qualche diritto in più e qualche tassa in meno: dal Cantiere sociale ai diritti civili fino agli 80 euro o all’abolizione dell’Imu sulla prima casa. Ha attraversato, indenne dal terrorismo, eventi come Expo e Giubileo mentre in altre zone d’Europa le cose andavano diversamente. Ha recuperato in tre anni 600mila posti di lavoro, di cui tre quarti a tempo indeterminato ed è passata dal meno due per cento del PIL 2013 al più uno per cento di oggi. Ha sbloccato opere pubbliche ferme da decenni e ha iniziato l’operazione banda larga che cambierà il volto delle città. Ha investito nelle periferie, nello sport, nelle scuole, nelle imprese, nei musei e nei teatri perché con la cultura si definisce l’identità di un popolo. Noi siamo fieri dei nostri mille giorni. Ma, ragazzi, anche basta. Quello è il passato, ormai.

E questo Blog non è pensato per i reduci. É un luogo dove camminare verso il futuro. Insieme, in tanti. La sconfitta al referendum ci ha fatto male, vorrei vedere il contrario. Con le riforme, volevamo un Paese più semplice e più forte: è andata male. Volevo tagliare centinaia di poltrone e alla fine l’unica che è saltata — come era giusto e doveroso che fosse — è stata la mia. Ma anche quella sconfitta appartiene al passato. E ci sono milioni di italiani, milioni, che hanno votato “sì” e che vogliono vedere tornare il futuro. Questo Blog non è solo mio, è di tutti loro. Ed è anche di chi ha votato “no” ma ha voglia di dare un contributo, di discutere, di confrontarsi. Perché nel tempo dell’insulto e dello scontro, è bello dialogare. È bello essere civili, senza sciacallaggi, polemiche, odio ad personam. Noi siamo quelli che fanno politica per qualcosa, non contro qualcuno.

Discuteremo di tutto. A cominciare, già dalle prossime ore, dal ruolo dell’Europa in questa fase delicata. A cosa servono le istituzioni europee in un’era che i commentatori immaginano dominata dal rapporto Trump-Putin (tutto da verificare, peraltro)? A cosa serve l’idea dell’Europa nata a Ventotene? A inviare letterine ridicole per chiedere assurde correzioni sul deficit, come quelle che ci hanno inviato senza risultati per tre anni? Davanti a 45mila scosse di terremoto e all’inadempienza dell’Unione Europea sugli immigrati, come rispondiamo non alle regole — che rispettiamo — ma alle miopi interpretazioni delle regole fatte da qualche euro burocrate?

E ancora: che spazio c’è per un centrosinistra che tagli le tasse come è doveroso che si continui a fare in Italia, che trovi una forma di protezione per i nuovi esclusi dalla globalizzazione, che combatta la povertà partendo dai bambini e dalla crescita, che usi l’innovazione non solo per digitalizzare i servizi ma anche per rendere più competitiva l’Italia, che non segua lo sciacallaggio quotidiano ma investa su Casa Italia come pensata da Renzo Piano, che sappia coniugare in modo nuovo la parola sicurezza? E l’elenco potrebbe continuare a lungo. Vi aspetto in giro per l’Italia. Ma vi aspetto anche qui, con i vostri commenti, contributi, idee.

Il futuro, prima o poi, torna. A noi il compito di costruirlo, non solo di aspettarlo.

Un sorriso,
Matteo

Ps: idee? suggerimenti? critiche? proposte? scrivimi a matteo@matteorenzi.it

da - https://blog.matteorenzi.it/il-futuro-prima-o-poi-torna-c87519dd367c#.lgkn2uh85
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« Risposta #188 inserito:: Gennaio 26, 2017, 12:27:25 pm »

Renzi riparte lanciando un blog: “Il futuro prima o poi torna”
L’ex premier ha salutato con un sms i membri della vecchia segreteria annunciando di fatto la nuova squadra

Pubblicato il 25/01/2017 - Ultima modifica il 25/01/2017 alle ore 12:31

Matteo Renzi riparte con un blog. «Il futuro, prima o poi, torna», è lo scritto con cui spiega di rimettersi in cammino con un blog «non pensato per i reduci» ma per «camminare verso il futuro» aprendo a discussioni su Ue ma anche sul centrosinistra. «La sconfitta al referendum - ammette Renzi - ci ha fatto male. Con le riforme, volevamo un paese più semplice e più forte: è andata male. Volevo tagliare centinaia di poltrone e alla fine l’unica che è saltata è stata la mia. Ma anche quella sconfitta appartiene al passato».

Renzi lancia il primo tema di discussione sull’Unione europea. «A cosa servono - si chiede l’ex premier - le istituzioni europee in un’era che i commentatori immaginano dominata dal rapporto Trump-Putin (tutto da verificare, peraltro)? A cosa serve l’idea dell’Europa nata a Ventotene? A inviare letterine ridicole per chiedere assurde correzioni sul deficit, come quelle che ci hanno inviato senza risultati per tre anni? Davanti a 45mila scosse di terremoto e all’inadempienza dell’Unione Europea sugli immigrati, come rispondiamo non alle regole -che rispettiamo- ma alle miopi interpretazioni delle regole fatte da qualche euro burocrate?». 
 
L’ex premier, poi, guarda avanti. E saluta la vecchia squadra con un messaggio di poche righe. «Grazie per quanto avete fatto per il Pd». Secondo quanto apprende l’Agi, Renzi ha salutato così i membri della segreteria del Nazareno annunciando di fatto la nuova squadra. «Riorganizzeremo il partito», dice il segretario, «continueremo a combattere insieme».
 
È quindi imminente l’annuncio del prossimo team, «anche se - spiega uno dei big del Nazareno - dal messaggio non si capisce se cambia tutta la squadra o soltanto alcuni membri». L’sms comunque è stato inviato a tutti i componenti della segreteria.
 
Renzi intanto attende il pronunciamento della Consulta sulle modifiche all’Italicum. Qualora le previsioni dovessero essere rispettate, una delle strade sarebbe quella di cercare di armonizzare le due leggi esistenti con un provvedimento, magari anche un decreto. Il Pd punta sul Mattarellum ma qualora il tentativo di trovare un’intesa non si concretizzasse, in presenza di una sentenza della Consulta “auto-applicativa”, si potrebbe - osservano fonti parlamentari dem - andare a votare anche con le due leggi esistenti, ovvero l’Italicum per la Camera e il Consultellum al Senato.
 
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Da - http://www.lastampa.it/2017/01/25/italia/politica/renzi-riparte-lanciando-un-suo-blog-il-futuro-prima-o-poi-torna-V9ZcuRvk8kaUVXPrNk9xHI/pagina.html
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« Risposta #189 inserito:: Gennaio 29, 2017, 08:38:06 pm »

Il miraggio del 40%

Pubblicato: 26/01/2017 22:03 CET Aggiornato: 26/01/2017 22:04 CET

Però il numero magico di Matteo Renzi è rimasto: 40 per cento - come lo stabiliante successo alle Europee del 2014, come il livello della diga dei Sì nella pur devastante sconfitta del Referendum del 4 dicembre 2016, e ora, come la soglia minima per ottenere il premio di maggioranza nella versione della legge elettorale licenziata dalla Consulta. Un filo di percentuali di consensi per il premier, che rende certamente non casuale la scelta del 40 per cento nella scrittura della prima versione dell'Italicum.

Questa cifra è, come appare in queste ore, una percentuale di consensi altissima per un sistema che sembra andare verso uno spappolamento dei partiti e del maggioritario? O non è, invece, proprio uno dei segreti motori dell'indicazione fornitaci dalla scelta della Consulta? In effetti, la decisione della Corte vista nel suo complesso, e al netto delle future letture e modifiche, sembra consegnarci uno strumento di forte ambiguità - un proporzionale che, come ha notato Tomaso Montanari nel suo più recente post per HuffPost, mantiene "il cuore plebiscitario della legge: l'abnorme premio di maggioranza che mette il Parlamento nelle mani di 4 italiani su 10". Sembra una contraddizione, ma è in effetti forse, nella sua ambiguità, un meccanismo che tiene insieme l'incredibile spappolarsi dei partiti e l'aspirazione politica a un sistema a leadership forte.

Una doppiezza, in senso letterale, che può fortemente determinare la ricostruzione della politica nelle prossime settimane.

La parte proporzionale introduce un elemento rassicurante per le sfilacciate organizzazioni che combattono per la loro sopravvivenza oggi (basterà solo un 3 per cento) e guardano alle alleanze post elettorali per un loro ruolo. Al proporzionale guardano con simpatia infatti anche le sfere pensose dello Stato, che vedono nelle alleanze un modo "soffice" per in canale il consenso, una sorta di sostituzione della partecipazione. E vi pensano infatti come toccasana (al momento almeno) contro ogni sorta di populismo, in particolare quello M5S, e anche ogni tentazione da "uomo forte", come quella di Renzi. Ma se il diavolo fa le pentole e non i coperchi, anche la Consulta sa fare il proporzionale, ma senza proprio escludere il maggioritario.

Troviamo qui infatti, dentro la decisione della Consulta, un secondo motore del meccanismo: quel 40 per cento, che visto dalle numerose organizzazioni in crisi sembra un traguardo impossibile, è invece, visto dal punto di vista di un ambizioso leader, la vera occasione.

Quanto facile può apparire questa sfida a quel Renzi che il 40 per cento lo ha toccato, altrettanto facile può apparire ai pentastellati, galvanizzati essi stessi dai loro risultati. Aggiungiamo che, conoscendo i due, Grillo e Renzi, questo assalto al cielo è esattamente quello che intendono fare. E perché no? È il loro progetto da quando sono apparsi sulla scena politica.

Così mentre già ci addentriamo nelle alchimie delle liste (a destra, a sinistra-sinistra, nel Pd, etc) si profila un secondo aspetto che potrebbe essere alla fine dominante nel definire la politica dei prossimi mesi. L'incentivo ad arrivare alla soglia minima per il premio di maggioranza può essere uno stimolo fortissimo per la creazione di superliste, confluenze spurie di uomini e di idee - ma tenute insieme dal miraggio della vittoria assoluta. Con un'impronta a forte leadership, consolidata dalla permanenza dei capilista bloccati, strumento che lascia nelle mani del capo del partito le leve di definizione principale degli eletti.

È davvero impossibile ipotizzare che nell'area Pd potrebbe scattare una vasta trattativa per recuperare tutte le correnti in cambio di posti eletti, e di aggiungere nel frattempo alla raccolta le aree "limitrofe" come Ncd, quel che resta di Scelta Civica, i verdiniani, e tutto quel che può essere ulteriormente aggregato a destra e sinistra? Parallelamente i pentastellati potrebbero fare la stessa operazione aggregando a destra senza disdegnare un'ampia fetta di sinistra che neanche morta andrebbe con il Pd, soprattutto se a guida renziana. Difficile invece pensare a una mossa del genere in area berlusconiana, la cui capacità di attrazione nei confronti dei moderati e della destra appare molto esile. Ma la minaccia di queste megaliste come quelle che stiamo descrivendo potrebbe provocare qualche reazione.

I segni di questa tendenza ci sono comunque tutti - la battaglia già iniziata nel Pd sui tempi del Congresso (farlo subito o no?) ha a che fare proprio con la cruciale forza che resta nelle mani di Renzi, in quanto segretario, nella sua funzione della formazione delle liste.
I segnali che Grillo invia sono ancora più espliciti.

La soglia del 40 per cento per il premio di maggioranza lasciata in campo apre insomma alla possibilità delle "megaliste", che sono una forma di fatto di "coalizione" fatta "prima" del voto al fine di ottenere la maggioranza assoluta, piuttosto che tentare di formare faticose coalizioni fra partiti "dopo" il voto. In fondo, si può sostenere che dentro le forme del proporzionale come ci viene indicato pulsa un meccanismo che favorisce il rientro dalla finestra di un maggioritario di fatto, che tiene aperta la strada per un governo del leader.

Come dire: quanto di più italiano ci possa essere. Per ipocrisia e sottigliezza.

Da - http://www.huffingtonpost.it/lucia-annunziata/il-miraggio-del-40_b_14419376.html?utm_hp_ref=italy
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« Risposta #190 inserito:: Gennaio 29, 2017, 09:05:01 pm »

Renzi offre una tregua a Bersani: “Ma servono le urne sennò è la palude”
Matteo Renzi

Direzione il 13 febbraio, poi via alla campagna elettorale. Telefonata a Speranza per dividere l’opposizione interna ed evitare il big bang
Dal nostro inviato TOMMASO CIRIACO

RIMINI. C'è un tempo buono per la pace e uno giusto per la guerra. E così, mentre Massimo D'Alema lancia l’Opa sulla scissione della sinistra dem, Matteo Renzi torna a confrontarsi con Roberto Speranza. Una telefonata inaspettata, una "linea rossa" a un passo dal baratro. "Ciao Matteo ", "ciao Roby", è l'esordio imbarazzato dopo mesi di gelo assoluto. C'è molta pretattica, naturalmente. Ma prevale un interesse comune: limitare gli effetti della scissione dalemiana. Ed evitare l'esplosione del Pd.

Il palco di Rimini dista 339 chilometri dal centro congresso Frentani di Roma. Lì, nel cuore di molte delle separazioni della sinistra comunista, D'Alema ha appena reclutato per una nuova battaglia i comitati del No al referendum. È pronto, raccoglie fondi per arrivare prima di Giuliano Pisapia a un nuovo partito alla sinistra del Pd. "Non abbiamo bisogno di richiamare i riservisti - picchia durissimo Debora Serracchiani - c'è chi lavora sempre alla scissione dell'atomo, senza produrre energia".

Quando le agenzie battono la minaccia dalemiana all'unità dem, Renzi è ancora lontano dal palacongressi della riviera romagnola. Chiama subito i fedelissimi e fissa la linea. "Non lo attacco, anzi neanche lo nomino ", promette. E mantiene l'impegno, deciso piuttosto a incunearsi nelle divisioni della minoranza puntando tutto sul dialogo con i bersaniani, i più tiepidi sull'ipotesi di una scissione.

A metà pomeriggio Speranza mette piede nell'enorme emiciclo del palacongressi. L'accoglienza è sorprendente. Neanche un fischio, alla faccia della Leopolda pre-referendaria. Assieme a Nico Stumpo, l'ex capogruppo si arrampica fino in cima alla platea, quasi a voler restare in disparte. Ma a metà del cammino l'organizzazione li richiama e li fa accomodare in prima fila, perché così ha raccomandato il capo. Segnali, preparati con cura anche dal vicesegretario Lorenzo Guerini.

I rapporti tra Renzi e la minoranza restano pessimi, naturalmente. La fiducia reciproca è esaurita da tempo. E nel giorno della sentenza della Consulta, Renzi aveva riservato proprio a Speranza e Bersani i concetti più ruvidi: "Ora non sanno cosa fare - aveva confidato - sono in un angolo. Se vanno via, non raggiungono certo l'otto per cento al Senato...". Se invece restano, il sottinteso, dovranno bere l'amaro calice della minoranza e accontentarsi di pochissimi posti - meno di dieci - da capolista bloccati. Il quadro, però, è mutato in fretta. Per ottenere le elezioni di cui ha tanto bisogno, il leader di Rignano ha capito che è necessario tenere assieme proprio il Pd. Ed è pronto, per questo, a garantire anche la storia della minoranza bersaniana.

Si vedrà. Di elezioni Renzi parla pochissimo, dal palco di Rimini. Si concentra soprattutto sullo schema di campagna elettorale che ha in mente. Picchia duro su Grillo, attacca l'euroburocrazia e spinge al massimo sul voto utile. Tra le righe, però, attiva anche il timer elettorale, convocando per il 13 febbraio la direzione del partito. "Sarà allora - spiega in privato - che faremo capire di non essere disposti ad accettare la palude ". Sarà allora, soprattutto, che fisserà i paletti per tornare alle urne: un ritocco elettorale in tempi brevi, oppure elezioni. "La linea non cambia", sussurra il capogruppo Ettore Rosato.

Ecco il nodo delle prossime settimane, allora, quello su cui si giocherà la trattativa con la minoranza bersaniana. Elezioni in cambio di rappresentanza. In fondo, è quello che si lascia sfuggire a sera anche Speranza: "D'Alema e Renzi? Io lavoro perché non diventino due partiti diversi, ma Matteo deve evitare l'avventura elettorale a giugno. Sarebbe folle, ma se commettesse questo errore dovrebbe almeno convocare prima un congresso, oppure primarie per la premiership ". La partita per la sopravvivenza è appena cominciata.

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29 gennaio 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/01/29/news/renzi_offre_una_tregua_a_bersani_ma_servono_le_urne_senno_e_la_palude_-157112162/?ref=HREC1-2
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« Risposta #191 inserito:: Febbraio 01, 2017, 08:45:47 pm »

LaStampa.it

Renzi preme per il voto, Napolitano frena: “Nei Paesi civili si aspetta la scadenza del mandato”
L’ex presidente della Repubblica: «Per togliere la fiducia deve accadere qualcosa».
Bersani avverte Renzi: «Se continua a forzare muore il Pd ma nascerà un nuovo Ulivo».
Orfini: se si va al voto anticipato, Renzi farà le primarie

Pubblicato il 01/02/2017 - Ultima modifica il 01/02/2017 alle ore 19:02

Il presidente emerito della Repubblica frena sull’ipotesi di voto anticipato, spiegando che nei paesi civili alle elezioni si va a scadenza naturale, e qui da noi manca ancora un anno. In Italia c’è stato un abuso al ricorso voto anticipato: no ai calcoli tattici di qualcuno, dice.

«Nei paesi civili alle elezioni si va a scadenza naturale e a noi manca ancora un anno. In Italia c’è stato un abuso del ricorso alle elezioni anticipate. Bisognerebbe andare a votare o alla scadenza naturale della legislatura o quando mancano le condizioni per continuare ad andare avanti. Per togliere le fiducia ad un governo deve accadere qualcosa. Non si fa certo per il calcolo tattico di qualcuno...» spiega Napolitano commentando l’ipotesi di un voto anticipato. «Per togliere la fiducia a un governo deve accadere qualcosa, non si fa certo per il calcolo tattico di qualcuno...» ha aggiunto conversando con i cronisti in Senato.

Nel dibattito interviene anche la presidente della Camera Laura Boldrini: «Lasciar intendere che la maturazione dell’eventuale pensione possa essere il criterio-guida in base al quale i deputati decideranno sulla conclusione della legislatura rischia di contribuire alla delegittimazione del Parlamento. Ho già espresso l’auspicio che, nel periodo restante della legislatura, si completino importanti interventi legislativi nel contrasto alla povertà e in materia di diritti». 

L’accelerazione sui tempi verso il voto consentirebbe al Pd di portare avanti la propria strategia: verificare rapidamente se c’è la possibilità di un accordo blindato sulla legge elettorale, e in caso contrario di lasciar cadere il confronto per andare alle urne entro giugno con i due sistemi per Camera e Senato usciti dalle due sentenze della Corte Costituzionale.

Il Pd proverà dunque nei prossimi giorni (più probabilmente dopo l’arrivo delle motivazioni della sentenza della Consulta, verso il 10 febbraio) a stringere un accordo blindato tra i partiti, da portare poi in Commissione e in Aula. Qui il contingentamento dei tempi aiuterebbe questo intento. Anche se l’atteggiamento intransigente di M5s e l’ostilità di Fi al voto anticipato rendono stretto il percorso.

La corsa al voto a giugno vede contrari non solo Fi, SI, Ap e gli altri partiti che sostengono il governo, ma anche diversi parlamentari del Pd.

E intanto Bersani avverte: «Se Renzi forza, rifiutando il Congresso e una qualunque altra forma di confronto e di contendibilità della linea politica e della leadership per andare al voto, è finito il Pd. E non nasce la cosa 3 di D’Alema, di Bersani o di altri, ma un soggetto ulivista, largo plurale, democratico». 

Parole a seguito delle quali Orfini assicura: «Possiamo convocare il congresso da giugno in poi. Qualora ci dovesse essere un’accelerazione sul voto, non faremo in tempo a fare il congresso ma se c’è l’esigenza di ridiscutere con quale candidato andiamo alle elezioni, come chiede Bersani, potremmo tranquillamente trovare il modo di fare le primarie prima delle elezioni. Lo dico da presidente del partito che garantisce lo statuto. Il segretario del partito non ha intenzione di sottrarsi». 

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Da - http://www.lastampa.it/2017/02/01/italia/politica/renzi-preme-per-il-voto-napolitano-frena-nei-paesi-civili-si-aspetta-la-scadenza-del-mandato-I78mJYdMPGUhL8eObrA6gI/pagina.html
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« Risposta #192 inserito:: Febbraio 13, 2017, 12:45:16 pm »

Renzi verso le dimissioni da segretario. “O si vota a giugno o si fa il congresso”
Telefonata con il ministro dell’Economia Padoan: “Bisogna trattare con l’Ue, niente manovra”
Bersaglio. Il segretario del Pd Matteo Renzi vuole accelerare: «Non ci sto a fare il bersaglio per mesi»
Pubblicato il 11/02/2017 - Ultima modifica il 11/02/2017 alle ore 09:01
Carlo Bertini
Roma

Doppio colpo, primarie a fine aprile, con dimissioni da segretario preannunciate lunedì in Direzione. E voto per le politiche a giugno, dopo essersi ripreso il partito con il consenso del popolo dei gazebo. È lo schema ambizioso - tattico e minaccioso - che in queste ore scalda gli animi del segretario Pd e del suo cerchio magico. Renzi non demorde: rincuorato dai sondaggi che danno i 5stelle in calo del 2,7% dopo il caso Raggi - e temendo di pagare nel 2018 lo stesso prezzo che costò a Bersani il sostegno al governo Monti - vuole votare a giugno. Possibilmente l’11: un «election day» per cercare di evitare la sconfitta in molte città in bilico, da Genova a Palermo, con il traino delle elezioni nazionali. Un sogno, in una fase come questa in cui il partito del non voto si ingrossa ogni giorno. Ma al quale Renzi non rinuncia, conscio di esser quello che dà le carte come ricorda Salvini. 

Dunque il voto in estate, al massimo in settembre (gira anche una data, il 24): dopo aver fatto trascorrere le prossime settimane dimostrando al Paese e alle più alte istituzioni che il Parlamento non riescono a fare una nuova legge elettorale. «E se non ci riesci ora, perché dovresti riuscirci a farla tra sei mesi? Cosa cambia?», chiede il fedelissimo David Ermini. 

La mediazione e le correnti 
Ma dietro le minacce c’è il realismo che induce alla mediazione. Lunedì metterà le carte sul tavolo. Della serie, «ditemi se vogliamo fare la legge elettorale e andare a votare, oppure si fa subito il congresso». Mettendo tutti di fronte alle responsabilità di una decisione, quella di rinviare le urne, che può penalizzare il Pd e il Paese. Per lanciare un segnale sui rischi di urne nel 2018, ieri ha benedetto un post del fiorentino Dario Parrini, che cita l’economista Guido Tabellini: per il Paese sarebbe «assai rischioso far coincidere il massimo di incertezza politica - la campagna elettorale - con un evento come la fine del maxiscudo Bce a dicembre 2017, che può aprire una fase di forte turbolenza sui mercati». 


Anche Padoan in Direzione 
Si vedrà in Direzione, dove Renzi ha invitato Padoan per fargli illustrare i successi del suo governo, come la prenderà la minoranza. Il congresso subirebbe questo timing: voto nei circoli sui candidati alla segreteria, con primarie per la leadership a fine aprile, il 23 o il 30. E poi rinvio all’autunno delle votazioni sugli organismi dirigenti locali. Fare il congresso e votare implicherebbe però una fortissima accelerazione: convocare il congresso subito, per chiudere all’angolo Bersani e compagni costringendoli a cimentarsi in battaglia. E far venire meno le ragioni di vita del governo, portando Gentiloni a dimissioni lampo il giorno dopo le primarie. Qualcuno azzarda: magari dopo un incidente parlamentare: perché la presa di distanze dal governo con la lettera dei 37 fedelissimi guidati dal fiorentino Fanucci - mirata a far quadrare i conti solo con tagli di spesa e proventi da evasione fiscale, senza aumenti di accise - è un avvertimento. Anche se gli stessi renziani più fedeli lo definiscono «un boomerang», perché «avremmo dovuto essere almeno tutti quelli della prima ora, così sembra che perdiamo pezzi», dice uno dei firmatari. Lo stesso Renzi, nella telefonata di ieri a Padoan, ha comunque ribadito la linea: «La manovra correttiva non serve, non dovete toccare le accise, continuate a trattare con l’Ue». 

Il colloquio con Orlando 
Un piano che si scontra con i potentati interni, con Dario Franceschini, con cui pare abbia parlato ieri, e altri capicorrente. A partire da Andrea Orlando, con il quale Renzi si è intrattenuto ieri al Nazareno.

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Da - http://www.lastampa.it/2017/02/11/italia/politica/renzi-verso-le-dimissioni-da-segretario-o-si-vota-a-giugno-o-si-fa-il-congresso-NqNCXeAqo9TRQOMu2DSsuM/pagina.html
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« Risposta #193 inserito:: Febbraio 17, 2017, 12:11:10 am »

Renzi: il Pd riparte da Torino: appuntamento al Lingotto dal 10 marzo
«Faremo anche le pulci all’azione di governo per costruire il prossimo programma»

Pubblicato il 15/02/2017
Ultima modifica il 15/02/2017 alle ore 17:09

TORINO
Il Pd riparte da Torino. Lo scrive il segretario del Pd Matteo Renzi nella sua enews. «Per prepararci a vivere il congresso non come scontro sulle poltrone, ma come confronto di idee ho bisogno del vostro aiuto: intanto sui progetti per il futuro dell’Italia. Dal 10 al 12 marzo con gli amici che sosterranno la mozione congressuale ci vedremo a Torino, al Lingotto. Nel luogo dove nacque il Pd a fare... il tagliando a quell’idea di quasi dieci anni fa». Lo scrive il segretario del Pd Matteo Renzi nella sua enews.
 
Renzi spiega che il Lingotto, lo stesso luogo dove dieci anni fa Veltroni lanciò la sua candidatura a primo segretario del Pd, sarà anche il luogo in cui «fare le pulci all’azione di governo di questi tre anni per costruire il prossimo programma. Cosa ha funzionato, cosa no. Cosa dobbiamo fare meglio, oggi e domani. Una discussione vera, senza rete. Su ambiente, cultura, scuola, lavoro, università, sanità, infrastrutture, tasse, giustizia e l’elenco potrebbe continuare a lungo. Venite al Lingotto, se potete. Intanto c’è una email per chiedere maggiori informazioni e per raccogliere le vostre proposte: lingotto@matteorenzi.it 
 
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Da - http://www.lastampa.it/2017/02/15/cronaca/renzi-congresso-pd-a-torino-al-lingotto-dal-marzo-aqXW1PGRJIWLpmK2gf2avK/pagina.html
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« Risposta #194 inserito:: Febbraio 25, 2017, 09:05:30 pm »

Caro Renzi, con il fascismo alle porte, affrontare il futuro in conflitto con gli ex-PCI non solo non ci convince, ma ci preoccupa.

Il POLO DEMOCRATICO (ne scrivo da tempo) che si metta a lavorare ad un Progetto Unitario da realizzare insieme, ma ognuno dalla propria Casa (il proprio Partito) toglierebbe molti sassi dalle scarpe, consentendovi di dedicarvi al Progetto (e al relativo Governo) con efficacia togliendoci il fastidio di sentirvi e vedervi "bisticciare" invece di produrre Giustizia Sociale. Pensaci.

Da FB del 22/02/2017
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