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Autore Discussione: Il premier salvato dal lodo Alfano  (Letto 5613 volte)
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« inserito:: Febbraio 07, 2009, 10:46:09 pm »

Veltroni replica: «S'Inchini davanti a carta su cui ha giurato»

Berlusconi: «Costituzione ideologizzata»

Il premier: «Riforme necessarie, costituenti ispirati da Costituzione russa»


CAGLIARI - «Serve un chiarimento», anzi, una «riforma» della Costituzione. Lo chiede il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, che muovendo da quanto accaduto sul caso Englaro chiede a gran voce «un chiarimento sulla lettura della Carta costituzionale». E lo fa osservando, ad esempio, che «la responsabilità del giudizio sui requisiti di necessità e urgenza per la decretazione sia del governo e che il giudizio su questo fatto sia già attribuito al Parlamento che esamina l’esistenza di questi requisiti come primo atto nella Prima Commissione».

RIFORME - «Ora andremo a fare delle riforme - ha proseguito il premier poco prima di lasciare Cagliari - e può darsi che andremo subito a chiarire il dettato della Carta». Lasciando intendere che senza strumenti legislativi come i decreti il governo si svuota delle sue funzioni e può addirittura «andarsene a casa», Berlusconi scandisce che dopo una riflessione occorrerà vedere «se dovremo arrivare a quelle riforme della Costituzione che sono necessarie perché la Carta è una legge fatta molti anni fa sotto l’influenza della fine di una dittatura e con la presenza al tavolo di forze ideologizzate che hanno guardato alla Costituzione russa come a un modello da cui prendere molte indicazioni».

«PRASSI RIDICOLA» - E poco prima, tornando sul caso Englaro, Berlusconi aveva criticato apertamente la missiva inviata al consiglio dei ministri dal Capo dello Stato: «Con i poteri che ha ora il presidente del Consiglio e in più con l’ipotesi di una prassi che fa intervenire il capo dello Stato addirittura prima che si prendano decisioni la situazione è veramente una situazione che fa ridere». Il premier concede solo la «cortesia istituzionale» del confronto tra Quirinale e Palazzo Chigi, ma precisa che a chiedere quella lettera, quel parere, non è stato di certo lui. «La volontà di mandare una lettera è stata loro. Sono loro ad aver comunicato al dottor Letta l’esistenza di quella lettera».

VELTRONI REPLICA - Dura replica del segretario del Pd, Walter Veltroni, alle critiche del premier Silvio Berlusconi alla Costituzione. «Berlusconi - afferma Veltroni- dimentica di aver giurato fedeltà alla Costituzione italiana. La Costituzione è nata grazie al sacrificio di milioni di italiani che contrastarono chi aveva cancellato il ruolo del Parlamento e messo gli oppositori in condizione di non poter esprimere le proprie idee. Berlusconi si deve inchinare davanti alla Costituzione e davanti al sacrificio di quegli italiani».


07 febbraio 2009
da corriere.it
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« Risposta #1 inserito:: Febbraio 09, 2009, 10:33:03 pm »

«Silvio Berlusconi è come Putin. Sta usando Eluana»

di Natalia Lombardo


Bruno Tabacci, deputato Udc e, da sempre, voce critica, ha sottoscritto l’appello de l’Unità «Siamo con il presidente della Repubblica».

Cosa l’ha spinto a firmare, l’attacco di Berlusconi?
«Berlusconi come sempre cambia le carte in tavola. Si è infilato su questi temi in maniera strumentale per sollevare la questione istituzionale. Gli è parso più facile, piuttosto che porla su questioni strutturali come il rapporto tra repubblica parlamentare e presidenziale. L’ho detto mesi fa che avrebbe agganciato il federalismo al presidenzialismo. Il suo scopo è di far fuori Napolitano, purtroppo ha trovato delle sponde a sinistra».

Vuol dire che non è stata attenta?
«No, però molti della sinistra pensano che il sistema presidenziale sia la panacea dei problemi politici italiani, per cui sono irretiti in quel gioco. Allora il premier può dire: ci sono io che garantisco, cosa volete voi?».

In questo caso però il premier è stato piuttosto violento.
«Lo è stato anche prima di Natale quando ha lanciato il sistema presidenziale. Era stato contestato da più parti e adesso l’ha collegato con un tema concreto che divide il paese. È uno che sa il fatto suo, mica un signore che non sa di cosa parla. Ora vorrei sapere cosa ne pensa Vassallo o gli altri che vogliono cambiare i regolamenti parlamentari o che davano per scontato che la Costituzione fosse superata?».

Il premier ha detto che è sovietica...
«Certo lui che è amico di Putin può permettersi di dire certe questo. Berlusconi non vuole nessuno, per lui lo Stato è come un Cda: avete votato una volta, io ho il pacchetto di maggioranza, non si discute. Però, il modello del “Sindaco d’Italia”è la scorciatoia alla quale anche alcuni autorevoli esponenti del Pd hanno pensato, sennò sarebbero intervenuti sulla legge elettorale. Insomma, aver dato un premio di maggioranza a Berlusconi comporta che un giorno si permette di usare Eluana o il federalismo per cambiare il sistema democratico da parlamentare a sudamericano»

Sul caso Englaro lei, da cattolico, che ne pensa?
«Sono rispettoso e colpito dalla drammaticità di questo passaggio. È un tema delicato, non possiamo uscirne senza affrontare in profondità il testamento biologico. In questo caso la procedura non è legata all’accanimento terapeutico, ma all’idratazione o ad altre funzioni vitali e questo mette in crisi molte persone. Quando ero presidente di Regione ho fatto una convenzione con l’istituto psicopedagogico Casa del Sole di Mantova, dove sono ricoverati bambini gravissimi davvero, e ho visto tanti genitori che accettavano questo stato. E quando i leghisti hanno proposto le classi differenziate, mi è venuta in mente la mia battaglia per i bambini handicappati nelle scuole normali. Io sono a posto con la mia coscienza, ma dico: attenti. Un conto che non ci sia accanimento, e se c’è una manifestazione di volontà del malato, ma non si può ricostruire la volontà di Eluana adesso, come hanno fatto i giudici».

Da oggi in Parlamento sarà votata di corsa una legge sull’alimentazione forzata. E una legge ad hoc?
«Si, infatti non è una legge sul testamento biologico. Messa così diranno tutti sì. Io lo voterò, ma non mi sono permesso di contestare il padre come ha fatto il premier».

Tutto questo l’ha spinta a firmare l’appello in difesa della Costituzione?
«Sì, io Napolitano l’ho votato come presidente quando non lo votava nessuno, ma il problema vero è il rapporto con il Parlamento. E questo decreto era l’unico, forse, che si sarebbe potuto fare in questi mesi, invece ne sono stati fatti molti altri, piuttosto opinabili».


nlombardo@unita.it

09 febbraio 2009
da unita.it
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« Risposta #2 inserito:: Febbraio 18, 2009, 11:05:20 am »

18/2/2009 (7:11) - RETROSCENA

Il Cavaliere pigliatutto: Pd nel caos, riforme da soli
 
Valducci: e nel Pdl Silvio ora può cacciare i mercanti dal tempio

AUGUSTO MINZOLINI
ROMA


Lo si può considerare simpatico o antipatico. Garante della democrazia o «pericoloso» come pensa un certa sinistra. Di certo, però, dopo la vittoria del centro-destra in Sardegna Silvio Berlusconi è diventato il «dominus» della politica italiana. L’ultima mossa del Cavaliere è stata da manuale: il premier in Sardegna ha rischiato, magari anche troppo, ma in un colpo solo ha riaffermato la sua premiership nel centro-destra (semmai ce ne fosse stato bisogno) e ha liquidato il leader del Pd di oggi, Walter Veltroni che si è dimesso, e il potenziale leader di domani, Renato Soru, che non ha neppure spiccato il volo. Qualcuno dirà: magie del consenso. Ma la ricerca del consenso e il suo uso, nella politica del Cavaliere sono fondamentali. Se altri leader sono bravi nei tatticismi e nei giochi di Palazzo, Berlusconi punta tutto su quello. Anzi, vi ricorre ogni volta che è in difficoltà. Anche per questo non c’è da meravigliarsi molto se ha deciso di mettersi in gioco in prima persona nelle elezioni sarde. Il consenso è l’unico strumento che il premier ha a disposizione per riportare alla ragione magari degli alleati troppo riottosi, per liberarsi dei lacci e dei lacciuoli istituzionali quando diventano troppo stretti o per sbaragliare un Pd, che messe da parte le belle promesse del Veltroni del Lingotto, è ritornato a descriverlo come il Cavaliere nero.

«Di fronte ad un calo del consenso di queste proporzioni - sono le uniche parole che ieri il leader del centro-destra ha dedicato in privato all’addio di Veltroni - è inevitabile che siano i vertici a pagare. A parte questo Veltroni è stato contraddittorio: è partito bene ma poi si è legato mani e piedi a Di Pietro, cioè ad un personaggio che rendeva impossibile ogni dialogo con noi. Resta un problema: nel centro-sinistra non c’è un interlocuore affidabile». Un ragionamento che riprende anche uno dei consiglieri del Cavaliere, Fabrizio Cicchitto: «Ora per tre mesi il Pd si trasformerà in una nuova Beirut. Non avremo un interlocutore certo, ma tanti capi tribù. Per cui noi dovremo andare avanti da soli, contando sulla nostra maggioranza. E’ una strada obbligata». Appunto, in queste condizioni il Premier sarà costretto a procedere da solo. Berlusconi lo dice con rammarico, ma in fondo con la confusione che c’è in giro è la politica che predilige. Del resto la scommessa sarda gli ha semplificato i problemi su tutti i fronti. Ieri al Quirinale l’incontro è stato breve, ma cordiale. E l’identikit del giudice costituzionale che ha nominato Napolitano, Paolo Grossi, può essere considerato il suggello alla pace fatta tra il Colle e Palazzo Chigi. Il Cavaliere, infatti, si è sempre lamentato degli equilibri presenti nella Consulta («Undici giudici su quindici - è stato uno dei suoi leitmotiv fino a ieri - guardano a sinistra»), ha sempre bocciato la candidatura di Luciano Violante e l’idea che il nuovo giudice sia difficile da collocare politicamente non può non fargli piacere: per l’entourage di Veltroni, infatti, Grossi è uno sconosciuto mentre il vicecapogruppo del Pdl al Senato, Gaetano Quagliariello, dà di lui un giudizio lusinghiero.

Insomma, lo scontro delle settimane scorse è passato, anzi a stare dietro al premier non c’è mai stato, ma è probabile che d’ora in avanti il Capo dello Stato lo asseconderà nella sua richiesta di essere messo nelle condizioni di governare (a cominciare dall’uso dei decreti). Lo stesso discorso vale con gli alleati. I segnali già ci sono. Da mesi, ad esempio, andava avanti una querelle sulla nomina dell’amministratore delegato dell’Expo di Milano: il sindaco Letizia Moratti voleva a tutti i costi un suo uomo, Glisenti; da ieri invece i due papabili sono due personaggi legati al Cavaliere, l’ex ministro Stanca o Bruno Ermolli. Già, magie del consenso. Per il premier le elezioni sono un’iniezione di energia. Per questo i suoi avversari lo accusano di essere sempre in campagna elettorale. Lui si accontenta di aver rafforzato la sua centralità nello scenario politico. «Con questo voto - osserva Quagliariello - Berlusconi ha dimostrato che può vincere anche lì dove la Lega non c’è, in Abruzzo e in Sardegna. Ha dimostrato che l’Udc vince solo quando si allea con il centro-destra e non quando gli si schiera contro. Sono due elementi che ci aiutano nel rapporto di alleanza e di competizione con Bossi. La vittoria lo rafforza pure nei rapporti con il Quirinale e con Fini. Anche perché ci vuole poca fantasia per capire cosa sarebbe successo se in Sardegna il capo avesse perso: qualcuno avrebbe ridimensionato la sua leadership magari approfittando della condanna dell’avvocato Mills».

E, invece, rischiando, cosa che pochi politici in Italia sono disposti a fare, il Cavaliere mai come ora è al «centro» della politica italiana. In Italia i problemi posti dalla crisi economica hanno rafforzato la leadership del capo del governo e hanno liquidato quella del capo dell’opposizione. Un dato che non deve apparire paradossale: un premier riesce a superare le situazioni difficili solo se riesce ad esercitare fino in fondo la sua premiership, se riesce a governare e a decidere, se diventa un riferimento sicuro per l’opinione pubblica. E’ un dato che debbono avere presenti gli alleati. «Il Pdl - si sfoga Mario Valducci, altro consigliere del Cavaliere - si salverà solo se riuscirà a valorizzare il lavoro del governo. Io, invece, quando vado al partito mi cadono le braccia. Sento solo parlare di coordinatori. An si preoccupa solo di chiedere. Ora, però, il capo ha anche la forza di cacciare i mercanti dal tempio».

da lastampa.it
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« Risposta #3 inserito:: Febbraio 18, 2009, 07:55:46 pm »

L'ANALISI

Il premier salvato dal lodo Alfano

di PIERO COLAPRICO


Da avvocato parlava con competenza di "equilibrismi" e "svicolare", ma alla fine quello che ha svicolato è stato l'altro. E come accade non di raro in ogni paese del mondo, il pesce piccolo è finito nella padella e il pesce grosso nuota forse non felice, ma di certo libero dalla rete.

David Donald Mills Mac Kenzie, avvocatone inglese, è stato condannato ieri per aver accettato una "regalia" in dollari e aver detto più d'una bugia ai magistrati italiani. Ma chi, stando alle accuse, e stando alla sentenza di primo grado emessa ieri, ne ha tratto i maggiori profitti e benefici, e cioè Silvio Berlusconi, si è dileguato negli abissi. Come non raramente gli è accaduto, negli ultimi quindici anni.

C'è una storia, è sempre la stessa storia, nessuno la narra più. Qualcuno ricorda Bettino Craxi, il suo amico ristoratore Giorgio Tradati e una sigla curiosa, All Iberian? In breve. Tradati, quando incontra suo malgrado i magistrati nel pieno di Mani Pulite, non può che confessare almeno un po' di quello che sa. è uno dei prestanome di Craxi e conferma che nel '91 (sì, sono storie di diciassette anni fa, il tempo passa senza essere raggiunto dalla verità) su un conto svizzero dell'allora segretario socialista affluiscono quindici miliardi di lire. Li manda una società con sede in un paradiso fiscale, la All Iberian. E, caso più unico che raro in Tangentopoli, su questa società poco dopo il conto craxiano rimanda indietro cinque miliardi. In quale modo fossero sbagliati i conti del dare o dell'avere, non si è mai saputo, c'è ancora chi se lo chiede.

Ma Silvio Berlusconi - qualcuno lo ricorderà - giura sulla testa dei suoi figli di non saperne niente. "Volete che con mio senso estetico potrei scegliere un nome così brutto?", ribatte ai cronisti in un corridoio del tribunale. Eppure, Craxi e Berlusconi finiscono nel processo chiamato, appunto, All Iberian: le rogatorie non consentono dubbi, quella società danarosa che dà soldi in nero ai politici fa parte del grappolo di ditte e conti bancari esteri del sistema-Berlusconi. Nel frattempo, il teste Omega, e cioè Stefania Ariosto, porta a Ilda Boccassini rivelazioni tali da consentire indagini dure, e il processo che porterà alla condanna in Cassazione di Cesare Previti, il braccio destro di Berlusconi negli affari giudiziari, e a scoprire un bel racket di giudici e avvocati per aggiustare le sentenze.

Il premier, che è e resta un combattente invidiabile, affronta però ogni tempesta. Spesso ribatte colpo su colpo. Appena può, abbandona nel mare agitato i perdenti e i perduti. Ma chissà come, tra i flutti, qualcuno dalla procura pesca quel pesciolino inglese. Che poi tanto pesciolino non è: è un signore elegante, giramondo, affabile, che ha sposato Tessa Yowell, allora ministro della Sanità governo Blair e ora (si sono separati) sottosegretario alle Olimpiadi di Londra 2012.

Il pesciolino, il 18 luglio 2004, dieci anni dopo l'addio alla toga di Antonio Di Pietro, viene convocato nella noiosa e triste procura milanese. Di fronte a lui un pm che suscita sentimenti negativi e positivi in egual misura, si chiama Fabio De Pasquale. Era stato lui a respingere la richiesta di libertà di Gabriele Cagliari, ex presidente Eni, trovato morto soffocato a San Vittore. Ma è lui che con caparbietà segue piste che altri evitano.

Mills, si sa, ha curato "situazioni" nei paradisi fiscali per il gruppo Mediaset e altri gruppi italiani. Un professionista di livello mondiale. Sbarca dall'aereo con sicumera e si siede davanti ai pm, in qualità di fondatore di una galassia di cifre e monete e sigle. Ci sta un'ora, due ore. Alla fine, dieci ore.

E, sorpresa, la sua corazza cede: "Io - dice in sostanza - durante l'inchiesta e il processo All Iberian non ho raccontato le vere titolarità dei conti". E siccome gli sono arrivati 600mila dollari, e deve spiegarli, aggiunge: "Quelle somme mi furono date da Carlo Bernasconi per conto di Silvio Berlusconi erano un regalo per gli equilibrismi che avrei dovuto fare per svicolare da alcune situazioni difficili che si erano venute a creare". Una contortamente perfetta frase da avvocato.

Bernasconi, nel frattempo, è morto. Ma sono vivi i fiscalisti inglesi ai quali Mills si è rivolto dicendo, più o meno, "sono in un guaio". Ha cercato di cambiare versione, ha mandato lettere su lettere - l'ultima nella scorsa udienza - coinvolto personaggi vari che però con All Iberian e dintorni non c'entrano nulla. I giudici, ricusati ma riaffermati, non gli hanno creduto. Ed è evidente che in quell'aula non credono nemmeno a Berlusconi: ma mentre Mills è condannato, l'altro fa la conta di quelli che lo difendono e naviga con il vento in poppa. Sempre più intoccabile grazie al lodo Alfano, irraggiungibile in virtù del tempo che prescrive sentenze e corrode tutti tranne lui, potentissimo per il combinato disposto della carica politica, dei suoi miliardi in euro, della sudditanza incondizionata di fans della strada e onorevoli del Palazzo, Berlusconi è davvero al di là delle angosce degli imputati mortali. E tale resterà.

(18 febbraio 2009)
da repubblica.it
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« Risposta #4 inserito:: Febbraio 19, 2009, 12:23:21 am »

Storia di una notizia

di Giovanni Maria Bellu


Lo scandalo argentino di Silvio Berlusconi è una nuova occasione – dopo le reticenti cronache televisive sul processo Mills – per fare un nuovo punto sulla condizione dell’informazione in Italia.

Bisogna infatti sapere che la «battuta» sui desaparecidos è stata pronunciata dal presidente del Consiglio non oggi e nemmeno ieri ma ben cinque giorni fa e, precisamente, venerdì 13 febbraio nel discorso di chiusura della campagna elettorale. Per l’occasione al palazzo dello sport di Cagliari si erano riunite circa duemila persone e decine di giornalisti della stampa nazionale e locale oltre agli operatori di tutte le televisioni pubbliche e private.

La frase sui desaparecidos, però, è stata riportata soltanto dall’Unità nella cronaca del nostro inviato Marco Bucciantini.

L’articolo – apparso sul nostro numero di sabato – non ha suscitato in Italia alcuna reazione. Noi, anziché commentarlo – e prenderci l’inevitabile accusa di antiberlusconismo” (già, il dissenso è una specie di reato) abbiamo questa volta preferito segnalare la notizia agli ambienti della stampa estera.

Si è a quel punto innescato il meccanismo della diffusione delle notizie che scatta, in modo automatico, nei paesi normali.

La frase di Berlusconi è stata ripresa dai corrispondenti dei quotidiani di Buenos Aires. Il principale quotidiano argentino, “El Clarin”, l’ha riportata oggi in prima pagina nel giornale cartaceo. Immediatamente, tutti i siti online sudamericani l’hanno ripresa. E in questo modo – dopo aver fatto il giro del mondo – la notizia è arrivata in Italia e adesso potete leggerla su tutti i siti dei quotidiani nazionali.

Questa volta chi parla di antiberlusconismo deve prendersela col resto del mondo. Alla prossima.

18 febbraio 2009

da unita.it
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« Risposta #5 inserito:: Febbraio 20, 2009, 03:50:58 pm »

20/2/2009
 
Un segnale dal premier
 
AUGUSTO MINZOLINI
 

Qualche minuto prima davanti a Gordon Brown tra gli affreschi di Villa Madama Silvio Berlusconi aveva messo in discussione uno dei pilastri del libero mercato, annunciando che a livello internazionale gli sherpa che stanno lavorando al G20 e al G8 tra le tante ipotesi hanno immaginato anche quella di «una nazionalizzazione delle banche».

Per garantire il credito necessario alle economie nazionali per fronteggiare la crisi. Poi lasciando la villa medicea, ormai tradizionale sede dei summit internazionali nella capitale, il premier ha aperto un attimo la portiera dell’automobile per spiegare il vero scopo di quest’idea che potrebbe far inorridire qualche purista del libero mercato. «È un’ipotesi - ha fatto presente il Cavaliere - a cui stiamo pensando davvero a livello internazionale. L’obiettivo è quello di mantenere gli stessi livelli di credito con interessi fissati dallo Stato. L’importante è garantire il credito alle imprese e ai privati che è una condizione essenziale per uscire dalla crisi. In un momento come questo il libero mercato, la concorrenza qui rischia davvero di andare tutto all’aria... è una rivoluzione».

Al di là delle dispute sui termini, «nazionalizzazioni» o meno, o delle solite polemiche nostrane, l’uscita del Cavaliere dimostra che la comunità internazionale, i grandi Paesi che si raccolgono nel G8 e nel G20, sono pronti a somministrare qualunque cura, anche la più «rivoluzionaria», all’economia mondiale per farla uscire dalla crisi. Una cura che per essere efficace deve essere concordata, appunto, a livello globale per poi avere attuazione sul piano nazionale. Dire quindi se riguarderà pure le nostre banche o meno in questo momento ha poco senso. L’unica cosa certa è che, come recita «the plan of ricovery», il piano per la ripresa che Gordon Brown sta presentando nel suo giro nelle capitali europee, solo se le grandi economie nazionali si riuniranno in un «New Global Deal» potranno far fronte alla crisi. E una parte centrale del documento messo a punto dal governo inglese che ha la presidenza del prossimo G20, riguarda proprio il settore bancario: deve essere rilanciata «l’attività creditizia interna e internazionale... e le banche devono essere adeguatamente capitalizzate, dove appropriato, attraverso l’intervento diretto dei governi o delle banche centrali».

Un ragionamento che Berlusconi, da uomo pragmatico, ha sintetizzato nell’uscita di ieri, suscitando per la verità anche parecchio trambusto in Borsa. Del resto di tanti discorsi al premier italiano interessa, soprattutto, una questione che sulla sua bocca è diventata quasi un leitmotiv: «Le banche debbono fare il loro mestiere, garantire il credito alle imprese». Il vero problema del sistema bancario italiano è proprio questo: i nostri istituti non hanno problemi di capitalizzazione, il sistema è sano, ma a volte non svolgono questa funzione indispensabile per rilanciare l'economia. «Ci giungono grida di allarme da tutto il Paese - ha spiegato ieri Berlusconi - sull’esigenza che le banche debbano continuare a fare le banche e a dare fondi e investimenti necessari alle imprese».

Per cui con la sua sortita il premier, che da sempre è un maestro nell’uso dell’effetto-annuncio, ha voluto mandare un segnale preciso al nostro sistema creditizio. Ha voluto ricordare il ruolo delle banche, la loro funzione, nei fatti il motivo per cui i governi dei grandi Paesi hanno deciso di salvaguardare gli istituiti di credito in questa crisi. Una funzione talmente essenziale che la comunità internazionale è pronta a garantire con qualsiasi strumento. «La “nazionalizzazione” - ha osservato ieri il Cavaliere - può sembrare una teoria suggestiva e contraria alle regole del mercato e del capitalismo, ma è qualcosa su cui per ora ci stiamo esercitando, è un’ipotesi che sarà sul tavolo del G8 e che prevede l’impegno di continuare a fornire credito come prima. Del resto, se fosse facile non sarebbe tanto arduo trovare una soluzione».

Certo bisogna essere pronti a tutto e Berlusconi, che è uomo concreto, che ha sempre coniugato liberismo e solidarismo, che è un liberale di buonsenso e non è mai stato schiavo di nessuna ideologia, non è tipo da scandalizzarsi. Per cui è possibile che nella comunità internazionale si faccia avanti anche questo strano «paradosso»: nazionalizzare le banche, costringerle alla loro funzione, proprio per garantire il libero mercato e il capitalismo. «Per superare una crisi di queste proporzioni - il Cavaliere ne è convinto - bisogna avere fantasia».

da lastampa.it
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« Risposta #6 inserito:: Febbraio 21, 2009, 11:56:28 pm »

Far ridere il mondo

di Marcella Ciarnelli

Capita che la politica delle «pacche sulle spalle» non paghi. Che la battuta non sia gradita. Che si crei un incidente diplomatico. Che si feriscano i sentimenti di una persona, di un intero popolo. Ma Silvio Berlusconi, premier sottratto al cabaret, sembra non tenere in alcun conto queste considerazioni che, invece, dovrebbero apparirgli quanto mai evidenti dato che la sua carriera politica è costellata di incidenti, diplomatici e non, gravi e meno gravi, di affermazioni agghiaccianti o inutilmente pittoresche. Nessuno riuscirà mai a togliergli dalla testa che non c’è niente di meglio di una barzelletta, di una battuta a doppio senso, di un’allusione neanche troppo velata, per allentare le tensioni. Parlando di donne e motori,come cantava Bruno Lauzi. E anche di pallone, ovvio.

L’incidente con l’Argentina, esploso dopo la cinica battuta sui desaparecidos, è l’ennesimo di una lunga serie ma non sarà certo l’ultimo. Ma la teoria di Berlusconi dell’alleggerimento a mezzo boutade non sembra destinata a fermarsi davanti alle proteste, ai richiami ufficiali, allo sdegno che coglie ogni persona di buon senso e con una dose minima di umanità davanti alla evocazione dell’Olocausto o dei malati di Aids che il Cavaliere in questi anni ha fatto. Flash. Ricordi. Spicchi di realtà che tornano nella memoria, tanto esasperati da apparire irreali. Il premier che guida una delle potenze del mondo che sceglie di sorprendere con un doppio senso piuttosto che dare un senso alla politica di un Paese che si dibatte tra mille difficoltà. Ed in cui la stragrande maggioranza delle persone vive nell’incertezza. Anche se c’è da fare i conti con la categoria di coloro che l’oblio lo vanno a cercare nella casa del Grande Fratello la sera della morte di Eluana. Ma questa è un’altra storia.

Un elenco delle gaffe di Berlusconi è impresa ardua. C’è sempre qualcuno con il suo ricordo personale che batte tutti gli altri. Questione di sensibilità, di gusto, di attenzione per l’una cosa o l’altra. Volendo seguire un certo ordine, si può cominciare dagli incidenti per così dire internazionali. Perchè avvenuti all’estero, perchè hanno colpito la sensibilità di un popolo.

Correva il luglio 2003 quando Martin Schultz, esponente di punta dei socialisti a Strasburgo si sentì definire “kapò” per il suo accento e si vide offrire una parte in una fiction. L’episodio avvenne sotto gli occhi di un Gianfranco Fini ministro degli Esteri che in quei momenti avrebbe voluto essere dall’altra parte del mondo. L’incidente, di fatto, non è mai rientrato. Almeno ufficialmente sembra essere rimasto senza conseguenze quell’apprezzamento ad «Obama abbronzato» anche se il presidente degli Stati Uniti il tempo per telefonare a Palazzo Chigi l’ha trovato molto dopo i tempi diplomatici tradizionali. E Tarja Halonen, presidente finlandese, ancora non ha dimenticato l’approccio del payboy fané che cercò di convincere il mondo di aver strappato l’Agenzia alimentare europea alla Finlandia solo con le sue arti di conquistatore di cui la signora avrebbe subito il fascino. Il ministro degli Esteri finlandese convocò il nostro ambasciatore. La presunta arte della seduzione con cui il «rappresentante del culatello» aveva sconfitto «il filetto di renna» fu passata al vaglio delle regole della diplomazia. Ci sono le corna di Càceres, alle spalle del ministro spagnolo Piquet. Era il 2 febbraio 2002. La superiorità dell’Occidente sull’Islam segnò un altro momento di grande tensione. Berlino, settembre 2001. Berlusconi parla a ruota libera in un momento di particolare esaltazione di chi è «fermo al 1400». L’ombra delle due torri che non ci sono più gli fanno pensare di poter dire qualunque cosa. La fa grossa il premier per cui gli autori della strage alla stazione di Madrid,marzo 2004 «sono quattro beduini di Al Qaeda». Deve dare spiegazioni ai rappresentanti islamici cui fornirà una registrazione edulcorata. E se Arafat chiede una tv per la striscia di Gaza «gli si può mandare Striscia la notizia». L’offerta aggiornata ad ieri per risolvere la questione palestinese è di «realizzare un aeroporto con accordi con compagnie low cost e alberghi». Ed il premier ungherese Viktor Orbàn, può essere utilizzato anche come guida hard per i giornalisti in trasferta: «Tu sei giovane, dagli qualche buon indirizzo». Mentre il cancelliere tedesco Schroder fu invitato a parlare di donne: «Te ne intendi, hai avuto quattro mogli». Toccò poi all’attonito premier danese Rasmussen che si sentì apostrofare: «Sei meglio di Cacciari, lo devo dire a mia moglie».

L’allusione alla sua signora apre il capitolo delle battute sulle donne. Il primo ministro inglese, Margaret Thatcher «è una bella gnocca» nel luglio del 2007. La precaria che deve risolvere i suoi problemi di lavoro «può sposare un milionario». E per la sicurezza ci vorrebbero i militari in strada «uno ogni bella ragazza», le altre si arrangino. L’operaia della fabbrica Merloni nella tundra russa, già ha tanti problemi, ma deve sfuggire alle avances del premier in versione anguilla che la insegue per l’intero capannone. Lei che corre avanti, stretta nella sua tutta da lavoro. Lui che ansima ma cerca il bacio della vittoria. Non gli riuscirà. La classe operaia ha la sua dignità. E la figlia del premier turco Erdogan a stento riuscì a salvarsi dall’inopportuno baciamano del testimone al matrimonio troppo caricato dall’impegno e in preda al caldo dell’agosto 2003. L’incidente diplomatico fu sfiorato per un pelo. Mentre la giornalista russa che nell’aprile del 2008 osò fare una domanda «all’amico Putin» si guadagnò una sventagliata di mitra, anche se solo mimata.Una donna che osa pensare. Che scandalo. Invece di mostrare quanto di meglio ha ed offrirsi anche come dono telefonico ad un amico di potere che viene da lontano. Vedi la conversazione tra Ugo Chavez e Aida Yespica.

Si potrebbe continuare. Il problema rifiuti di Napoli risolto riempiendo come una discarica il cortile del Quirinale e la pretesa di uno jus primae noctis teorizzato davanti a Mara Carfagna. Ma chi si scandalizzasse e protestasse deve saperlo: il libero docente di Arcore gli assegnerà «la laurea del coglione».

20 febbraio 2009
da unita.it
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