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Autore Discussione: De Benedetti senior è già nella storia? ...  (Letto 2203 volte)
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« inserito:: Febbraio 02, 2009, 05:38:12 pm »

Svolte/2 L’Ingegnere, la cultura imprenditoriale e il tema del profitto

Le memorie di Carlo e il replay di Adriano

De Benedetti senior è già nella storia? Spuntano i primi paragoni con i big dell’industria.

E torna persino il confronto con gli Olivetti


Carlo De Benedetti si ritira dalla presidenza di Cofide, Cir e del Gruppo Espresso, ma sarà ancora lui a designare i direttori di Repubblica , dell'Espresso e degli altri giornali della casa, che non saranno mai venduti, lui vivente, perché, ha spiegato, considera l’editoria «una passione e una missione».

Si tratta di una confessione singolare, essendo il Gruppo Espresso l'unica delle sue imprese fondata da altri, Carlo Caracciolo ed Eugenio Scalfari in primis . Ma non si tratta di una confessione sorprendente. L'editoria, infatti, risponde alla vocazione pubblica di un personaggio che da tempo influenza equilibri e carriere in seno alla sinistra. D'altra parte, proclamare di non vendere comunque è un lusso tipico dei grandi che dall'economia hanno già avuto la loro parte e però conservano carisma e potere proprietario sul loro sistema: in questo De Benedetti ricorda Giovanni Agnelli che non vendeva la Fiat Auto perché a quell'impresa era indissolubilmente legata la sua personale collocazione nella società italiana. Ma la confessione è anche interessante: per la storia del confessante e per il futuro della nuova generazione De Benedetti che, mutatis mutandis , viene così a trovarsi in una posizione non dissimile da quella degli eredi dell’Avvocato.

I concetti di passione e di missione, in bocca a chi non ha esitato a vendere Buitoni, Valeo e Olivetti in base al calcolo razionale delle convenienze nel momento dato, segnano una svolta. Almeno così sembra, perché negli affari il mai non è mai sicuro. Resta che la passione e la missione - la verità di oggi - indicano un vissuto e una finalità che vanno oltre la ricerca del massimo profitto. Un secolo fa, per Walter Rathenau, la compagnia di navigazione del Reno trovava la sua ragion d’essere nel far funzionare i battelli per rendere un buon servizio ai naviganti. Riuscirà Carlo De Benedetti, nella parte che si è ritagliato, a coniugare l'interesse dei soci di una conglomerata come la Cir con la missione di dare alla comunità nazionale, in competizione con gli altri editori, un ventaglio di giornali figli della passione? In attesa dei fatti, un vecchio olivettiano mai pentito come Giulio Sapelli vede riaffiorare la memoria di Adriano Olivetti, l'industriale utopista dal quale aveva preso le distanze il De Benedetti degli anni Settanta-Ottanta. Eppure furono proprio quelli gli anni in cui De Benedetti divenne l'Ingegnere. Un leader che portava energia, coraggio e spregiudicatezza in un capitalismo italiano impaurito dall'inflazione, dallo strapotere sindacale, dal terrorismo e che, tuttavia, cominciava a praticare con silenzioso successo l’economia dei distretti industriali e della media impresa. Non era l'unico, De Benedetti, a difendere la dignità del capitale. In modi diversi lo fecero anche altri: Cesare Romiti anzitutto, e poi Vittorio Merloni e Luigi Lucchini. Ma l’Ingegnere aveva la particolarità di essere un membro dell'establishment e, al tempo stesso, di essere percepito come un outsider . Fino alla metà degli anni Ottanta, l'Ingegnere è stato percepito come un cavaliere del profitto. Perfino le scatole cinesi, delle quali aveva fatto ampio uso pur non avendole inventate lui, per alcuni anni avrebbero potuto essere citate come esempi di creazione di valore, se la semantica di allora fosse stata quella degli anni Novanta.

Adesso, invece, il De Benedetti che tira le fila dei suoi primi cinquant'anni di lavoro e vede a palazzo Chigi l’uomo che per due volte gli ha tagliato la strada («con il favore della politica»), attribuisce all'editoria una missione. Il che la rende l’industria dell’informazione un soggetto economico uguale e diverso dagli altri. Sfortuna vuole che questo obiettivo emerga in un periodo storico nel quale la nuda informazione assomiglia sempre più a una commodity a buon mercato mentre il valore aggiunto costa e però fatica a trovare remunerazione: fatica, e a voler esser precisi faticava già prima della recessione.
 
La scissione della Cir in una Cir storica con dentro tutte le partecipazioni non editoriali e in una nuova Cir con il solo Espresso avrebbe isolato il business speciale dagli altri. Ma le difficoltà esecutive hanno reso per il momento impraticabile l'operazione.

Anche una fusione Cofide-Cir potrebbe rimescolare le carte, soprattutto ove si pensi che il valore delle partecipazioni è stimato dagli analisti ampiamente superiore alla capitalizzazione di Borsa della holding (per Deutsche Bank è quasi il triplo). Ma una fusione di quel genere diluirebbe le posizioni dei De Benedetti e dunque non è praticabile. Al momento la missione di Rodolfo è quella di tutti i gerenti d’impresa: taglia i costi e stai a vedere.

da corriere.it
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