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Autore Discussione: Intervista a Marco Pannella, candidato contestato del Pd.  (Letto 3681 volte)
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« inserito:: Luglio 26, 2007, 07:47:26 pm »

26/7/2007 (8:13)

"Per il Pd sono l'uomo dei miracoli"
 
Intervista a Marco Pannella, candidato contestato del Pd.

"Ho fatto vincere Prodi nel 2006 ora posso evitare il voto anticipato"

UGO MAGRI
ROMA


«Voglio fare il secondo miracolo», annuncia Marco Pannella, «e quindi avere la beatificazione».

Ci sfugge il primo miracolo. Quando è stato?
«Il 10 aprile 2006».

Alle scorse elezioni?
«Sì. L’Unione per tutti i sondaggisti aveva ormai perso. Invece vinse di 24 mila voti».

Non dica che fu merito suo.
«La Rosa nel pugno prese un milione di voti. Di cui almeno 500 mila trasportati da noi Radicali dal campo berlusconiano a quello prodiano. E così oggi, grazie proprio ai “nemici Radicali”, i promotori ulivisti del costituendo Pd sono pressoché tutti presidenti: della Repubblica, del Senato, del Consiglio, al minimo ministri e sottosegretari...».

Anticipi il prossimo prodigio.
«I sondaggi segnalano che governo e maggioranza sono al punto più basso degli ultimi 20 anni. E la tendenza rimane quella. Il miracolo serve per evitare che si torni alle urne. Quantomeno prima del formarsi anche nella Cdl di una minoranza seriamente riformatrice, laica e liberale».

E’ per questo che lei vuole candidarsi a leader del Pd?
«Il valore aggiunto che io porto, come attore e testimone della grande storia radicale, potrebbe essere determinante per fare anche di questo Partito democratico non un rottame del passato ma un preannunzio del futuro».

Veltroni sminuisce: Pannella tenta di infilarsi là dove ci sono i riflettori...
«Equipararmi a quel personaggio, credo si chiamasse Paolini, che sempre si infilava magari nelle bare pur di entrare nel video... Ecco, purtroppo temo che dia una dimensione del grande Walter piuttosto che del grosso Pannella».

Intanto le sbattono la porta in faccia.
«Sono 50 anni che me la sbattono. Mi hanno chiamato radical-fascista, radical-imbroglione che divora maritozzi nei periodi di digiuno, traditore della patria per l’obiezione di coscienza, irresponsabile per la chiusura dei manicomi, distruttore della famiglia col divorzio, immondo responsabile dell’aborto di massa... Tutte battaglie che, quando le facevamo, loro non c’erano. E ora le rivendicano, magari per negarmi il diritto di continuare a farlo con loro».

Però lei va avanti. E si candida...
«Non esiste per ora nessuna regola che possa proclamare irricevibile la mia candidatura ove la presentassi accompagnata dalle firme richieste».

Teme trucchi per escluderla?
«Hanno una fantasia... Sono arrivati a nominare uno di loro in Senato al posto mio».

Cosa temono ai piani alti del Pd?
«Con questi diavoli di Radicali, appena si offre loro la possibilità di contatto con la gente, succede proprio di tutto... Gli ex comunisti, e anche gli ex Dc, sanno benissimo che quando i loro elettori riescono a conoscere ciò che propongo, sono quasi tutti d’accordo con me e non con loro. Ma voglio tranquillizzarli».

In che modo?
«Dicendo da ora che se mi eleggono leader del Pd, potrei perfino dimettermi il giorno dopo. Per la stessa ragione che mi farebbe dimettere se il popolo mi eleggesse Presidente: vorrebbe dire che l’Italia non ha più bisogno di me e dei Radicali».

Lei ci si vede accanto a Rosy Bindi e ai «teo-dem»?
«Eccome no! E’ quello che ho fatto in tutta la vita. Diceva Pasolini: non avere paura dei luoghi più bui, delle avventure più irriconoscibili... Oltretutto Rosy mi appare la più vicina alla moderna religiosità, per cui l’essere laico è un modo insopprimibile di confrontarsi, nel profondo della propria coscienza, con il Mistero nel quale tutti siamo immersi».

Parisi pone una condizione: che lei sciolga il suo partito.
«Ma quale “mio” partito? L’unica responsabilità che ho è di presidente del Senato del Partito Radicale Nonviolento transnazionale e transpartito. Di cui fanno parte parlamentari della destra e della sinistra. Se Parisi ci tiene, posso dimettermi. Ma a scioglierlo ed espellerlo dall’Onu non sono riusciti né la Russia, né la Cina, né Cuba».

Parisi vuol segnalare che lei è un tantino ingombrante...
«Forse. Ma dopo l’ultimo sciopero della sete e della fame ho tutt’ora da riacquistare una ventina di chili. Forse così può ancora accettarmi».

da lastampa.it
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« Risposta #1 inserito:: Luglio 26, 2007, 10:43:47 pm »

Il veto a Pannella candidato per il Pd

L'esclusione democratica

di Piero Ostellino

 
L'Ufficio di presidenza del costituendo Partito democratico ha respinto la candidatura di Marco Pannella alle elezioni primarie per la futura leadership del partito perché «persona notoriamente appartenente a forze politiche o a ispirazioni ideali non riconducibili all'Ulivo- Partito democratico». Se si trattasse di una decisione «tecnica» che riguarda solo le procedure interne per la scelta della propria dirigenza da parte di un partito che per ora non c'è, non ci sarebbe molto da dire. Ciascuno dispone i mobili come meglio gli pare quando mette su casa. E decide, poi, come più gli piace, chi invitare e chi non. Ma si tratta di una decisione «politicamente motivata » che già definisce la collocazione ideale e politica di un partito che ci sarà, i cui costituenti si dicono intenzionati ad «aprirsi alla società civile» e si prefiggono l'obiettivo di incidere profondamente sul quadro politico nazionale.

Qui, la questione non riguarda più «chi decide di invitare chi», bensì chi — gli elettori — decide di accettare o non l'invito a votare il partito.

La decisione del Pd a me pare, dunque, culturalmente criticabile e politicamente persino autolesionista. Per due ragioni. Una di merito; l'altra di metodo. La ragione di merito. Marco Pannella è liberale. Respingendone la candidatura alle primarie perché «persona appartenente a ispirazioni ideali non riconducibili all'Ulivo-Partito democratico», l'Ufficio di presidenza del Pd fa sapere che, non solo i due partiti che daranno vita al nuovo partito, i Democratici di sinistra e la Margherita, non sono mai stati liberali. Ma che anche il Partito democratico non intende esserlo. Insomma, ammesso, e non concesso, che il Pd non finisca con essere la «fusione fredda» fra gli apparati dei due partiti, un fatto è certo: sarà la «fusione caldissima» dalla quale nascerà una forza politica che tutto sarà tranne che liberale. Mi chiedo, a questo punto, quanti — fra coloro i quali vorrebbero che a destra e a sinistra gli «ideali» liberali fossero più presenti e attivi — pensino valga ancora la pena di votarlo. Se non fosse una cosa seria, ci sarebbe da concludere che la sinistra riformista italiana assomiglia tragicamente a quel Tafazzi televisivo che godeva nel picchiarsi sulle proprie parti basse.

La ragione di metodo. Le elezioni primarie sono lo strumento attraverso il quale, negli Stati Uniti, il Partito democratico e quello repubblicano scelgono i propri candidati alla Casa Bianca. Nessuno dei due — come ricorda una fonte non sospetta, Furio Colombo, a sua volta candidato alle primarie del Pd — si sognerebbe di inibire a qualcuno di candidarsi. Chi decide quale sarà il candidato alla presidenza Usa non sono i partiti, ma gli elettori. La stessa funzione si presumeva avessero nella elezione della leadership del Partito democratico. Ma, evidentemente, non è così. Aver respinto la candidatura di Pannella — che oltre tutto non avrebbe alcuna probabilità di essere eletto — equivale a aver detto che l'Ufficio di presidenza del Pd non crede nella sovranità degli elettori, ma solo in quella di chi voterà i candidati che piacciono ai futuri maggiorenti del partito. Che sembra si voglia far nascere proprio con questi metodi. Qui, ci sono due incongruenze. La prima è l'affermazione che i costituenti vogliono «aprirsi alla società». La seconda è l'attributo «democratico», dopo il sostantivo partito. Che i partiti, tutti i partiti, siano organizzazioni oligarchiche, rette da procedure più prossime al centralismo democratico leninista che alla democrazia rappresentativa, già lo si sapeva. La novità è che, ora, lo teorizzi formalmente l'Ufficio di presidenza di un partito «nuovo». A costo di ripetermi: Tafazzi for president?

26 luglio 2007
 
da corriere.it
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