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« Risposta #105 inserito:: Settembre 10, 2009, 10:56:06 am » |
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Il paese delle fiction
di Giorgio Bocca
Berlusconi ha trasformato tutto in favola, spettacolo, propaganda: dalla vita familiare integerrima, raccontata a 'Chi', all'economia, fino alla politica estera Storie mirabolanti del paese delle fiction. Se il capo del governo deve informare i cittadini su fatti e scandali della sua politica e della sua vita pubblica e privata, che fa? Va in Parlamento e si rivolge ai rappresentanti del popolo italiano? Oppure si presenta a una conferenza stampa, o si rivolge ai grandi quotidiani o alle televisioni?
No. Convoca un suo dipendente, il direttore del settimanale 'Chi', un giornale di gossip del tipo 'Sorrisi e Canzoni', e sul suo house organ, molto diffuso nella fascia della prima alfabetizzazione, si racconta come in una fiction: non il Barbablù che dicono i suoi nemici, ma un buon padre di famiglia amatissimo da figli e nipoti in attesa di cospicua eredità che sperano distribuita in un modo equo come ha precisato una delle figlie.
E che succede nel paese delle fiction? Che la detta pubblicazione viene considerata una gaffe di nababbo convinto che tutto gli sia permesso dalla ricchezza, una gaffe magari da ignorare? No, tutti i giornali e le televisioni italici riprendono ampiamente questo ultimo esempio di giornalismo 'verissimo', quanto a dire inventato o manipolato, perché nell'era del capitalismo globale tutto ciò che fa soldi va adottato e imitato.
Il verissimo della saga familiare berlusconiana non è una eccezione, un capriccio sultanesco, ma la norma. Tutto in economia, in politica nel regno di Silvio diventa fiction: una favola, uno spettacolo, una promozione, una propaganda, una scommessa in cui molti vivono beati e altrettanti attendono il momento del risveglio non si sa se comico o drammatico.
Quasi quasi gli italiani a questo verissimo si sono abituati a giudicare dalla accettazione supina di ogni notizia o favola utili al sultano. Ecco un breve elenco di come le intenzioni di Silvio si mutino in verità indiscutibili: il nostro premier usa con disinvoltura suprema le sue relazioni con i grandi della politica internazionale. L'amicizia (ma che genere di amicizia è mai possibile fra capi di governo?) con Putin lo autorizza a dire che la guerra tra Russia e Georgia è finita grazie ai suoi buoni uffici. Figuriamoci trattandosi di Stati pronti a sterminarsi a vicenda. Si mette la prima pietra del gasdotto fra la Russia, la Turchia e l'Europa, risultato di lunghe e difficili trattative tra Mosca e Ankara? Salta subito su il misirizzi italiano che si fa invitare all'inaugurazione per dire che il merito è suo. L'America di Obama esce dalla guerra fredda di Bush e va con il suo presidente al Cremlino? Come tacere che è stato Silvio il buon consigliere?
In politica interna la fiction regna sovrana fino ai più inverosimili futuribili. Adesso il signore di Arcore ha solennemente promesso che prima di morire sconfiggerà la Mafia - proposito ardito e generoso ma strabiliante dato che sotto il suo governo le mafie si sono estese all'intero paese, hanno le principali basi di operazione nel Milanese o nel dolce Veneto e che una notevole fetta della classe politica in Sicilia, in Calabria, in Campania e su su fino al Piemonte o alla Lombardia è infiltrata da mafiosi!
Attento Silvio! Forse qualcuno di noi ci crede ai tuoi miracolosi interventi fra le grandi potenze e i loro reggitori, ma debellare la Mafia! Mettere fine a un compromesso fra criminalità organizzata e politica che ha prodotto compromessi altrove inconcepibili: come il presidente della Corte di Cassazione che al principio del secolo riceveva in casa sua con tutti gli onori il capo della onorata società indicandolo in una pubblicazione giuridica alla pubblica riconoscenza.
(04 settembre 2009) da espresso.repubblica.it
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« Risposta #106 inserito:: Settembre 13, 2009, 09:53:22 pm » |
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Così è nato Il sultanato
di Giorgio Bocca
Attacchi ai magistrati. Sdoganamento dei fascisti. Giustificazione degli evasori. Così Berlusconi ha stravolto la democrazia, sotto gli occhi di una sinistra che non capiva o fingeva di non capire Villa CertosaCiò che colpisce nell'operaio di oggi, scrive Alfredo Reichlin, è il suo ritorno ad altre epoche, la sua solitudine. Il ritorno ad un tempo in cui il lavoro salariato rappresentava il lato servile della società, la manovalanza senza diritti di un'epoca in cui il mondo del lavoro era senza rappresentanza, relegato nel sottosuolo sociale. Qui, dice Reichlin, c'è la spiegazione della sconfitta della sinistra da cui non si può uscire se non si capisce quello che è accaduto. È accaduto che le classi dominanti, la borghesia mercadora e produttrice, ha capito che doveva attaccare lo Stato democratico 'fondato sul lavoro' della Costituzione, che doveva riprendere in mano tutti i poteri come li aveva avuti l'aristocrazia, più di quanti ne aveva avuti la borghesia nella rivoluzione industriale.
Il Berlusconi che si presenta alle platee moderate come 'uno dei vostri', ha capito d'istinto che bisognava riformare lo Stato, distruggere e attaccare tutte le garanzie liberali, anche quelle della nuova Repubblica democratica. È stata una decisione di 'pancia' prima ancora che di testa, l'infallibile decisione da animale da preda che la sinistra e i lavoratori italiani non hanno capito o hanno finto di non capire. Ogni scelta del nuovo sultanato mirava a quella ripresa totale del potere, seguiva quell'istinto, quella fame di potere, ma a molti sembrava assurdo, impossibile e scambiavano queste scelte reazionarie per un capriccio da padroncino, per una risposta ad un sopruso subito.
Attaccava la magistratura? La pubblica opinione non capiva che era un attacco alla democrazia, pensava che fosse soltanto il risarcimento dei presunti torti subiti dalla burocrazia di un italiano che si era fatto da sé e che non aveva paura dei potenti.
Sdoganava i fascisti preferendoli ai democratici? Era solo uno che andava contro i miti e i riti della sinistra. Perché un fascista non poteva essere un buon cittadino?
Diceva che le tasse erano eccessive e che lui capiva quelli che cercavano di non pagarle? L'italiano medio lo approvava: il peso delle tasse era davvero gravoso. Quando poi è arrivata l'ondata revisionista, il rovesciamento dei valori democratici, la riabilitazione dei fascisti di Salò alleati fino all'ultimo dei nazisti, l'operazione reazionaria ha calato la maschera, anche se oggi lo spazio che i giornali e la televisione premiano non è l'operazione di verità, ma quella di denigrazione e di falsità storica.
Negli ultimi vent'anni, non un tempo breve, l'osservatore onesto della nostra vita politica si è reso conto che la manovra reazionaria procedeva con larghezza di mezzi e tenacissima volontà di distruzione degli avversari alla costruzione della democrazia autoritaria. Certamente, come osserva Reichlin, la svolta reazionaria è solo in parte opera di Berlusconi e del suo partito: è una svolta mondiale. È l'illusione capitalistica di risolvere i problemi del mondo con il liberismo economico, cioè con l'avidità invece che con la razionalità.
(10 settembre 2009) da espresso.repubblica.it
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« Risposta #107 inserito:: Settembre 19, 2009, 12:09:07 am » |
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La cattiva maestra
di Giorgio Bocca
La televisione è una scuola così pervasiva da essere frequentata senza che nessuno ce lo ordini. E la sua capacità educativa non solo è nulla, ma è negativa Ogni giorno i cittadini dei paesi moderni, cioè di quelli che hanno accesso agli ultimi ritrovati della tecnica, frequentano una gigantesca scuola dell'obbligo, nel senso che è quasi impossibile rifiutarsi di frequentarla: la televisione. Una scuola senza aule e bidelli, casalinga, da seguire stando comodamente in poltrona con una birretta fresca a portata di mano. Senza orari obbligatori, ma di fatto frequentata da interi popoli per due o più ore al giorno. Decisiva per la cultura di un popolo perché insegna perentoriamente a tutti come parlare, come comportarsi, come gestire.
Che effetti ha avuto sul genere umano una scuola così pervasiva da essere universalmente frequentata senza che nessuno ce lo ordini? La prima constatazione è che la sua capacità educativa, la sua facoltà di correggere i difetti umani e di rafforzare le virtù non solo è nulla, ma negativa. Certamente non ha indotto i suoi frequentatori a non nominare il nome di Dio invano, a non desiderare la donna d'altri, a non uccidere, non rubare, non dare falsa testimonianza e a non cedere ai peccati della gola, della superbia e della vanità. Nel migliore dei casi i suoi interessati sostenitori, come il capo del governo italiano, la elogiano senza riserve per aver aperto al libero mercato e alle loro aziende gli sterminati pascoli della pubblicità, quanto a dire la prevalenza dell'imbonimento sulla corretta informazione.
Pur essendo difficile e forse impossibile dare voti a quell'enorme ammasso che è la cultura televisiva, possiamo dire che essa risulta pessima nel campo del linguaggio, dove il parlar curiale, colto, raffinato, elegante, è stato sostituito da una congerie volgare, idiomatica, dialettale, plebea, straniera, dal gigantesco swahili in cui s'intendono gli uomini che non sanno più parlare in una lingua nobile.
La scuola obbligatoria della televisione ha in comune con la modernità, con il progresso scientifico, di essere un processo variamente giudicabile, ma senza possibilità di pentimento, di correzione. Una volta scoperto e utilizzato il nuovo resta, nel bene come nel male, come ben sanno i contemporanei in perenne, angosciosa attesa che qualche pazzo faccia uso di quella scoperta demoniaca che è la bomba nucleare. Ma a parte la tragedia delle tragedie, l'apocalisse atomica, ci sono centinaia di innovazioni moderne che hanno cambiato la nostra vita in peggio. Non è forse evidente che la scrittura a mano, libera da ogni automatismo meccanico, da ogni memoria automatica era la migliore per la buona letteratura, che oggi un libro scritto con il computer ha un po' odor di computer? Che le scoperte conservative, imitative, ripetitive, fotografiche abbiano cambiato spesso in peggio le umane arti è evidente. E, per restare nel concreto, la distruzione del paesaggio voluto e imposto dalla modernità non è una condanna inevitabile del genere umano?
La grande scuola moderna della televisione, obbligatoria per milioni di uomini senza ordini superiori, è cosa buona o cattiva? Il fatto è che in pratica nessuno se lo chiede più, e che gli Stati nemici della televisione come lo fu il primo Israele si sono arresi.
La cosa più drammatica di questo tempo è la resa umana al cosiddetto progresso. Buono o cattivo lo accettiamo a scatola chiusa, la sua inarrestabilità produce orrore, ma anche rassegnazione. Ho visto questa estate due vallate alpine, la val Ferret e la val Veny, due stupende valli del Bianco sepolte sotto una lastra metallica di auto. Distrutte, violentate da masse umane felici dello scempio.
(17 settembre 2009) da espresso.repubblica.it
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« Risposta #108 inserito:: Settembre 22, 2009, 11:06:31 am » |
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La cattiva maestra
di Giorgio Bocca
La televisione è una scuola così pervasiva da essere frequentata senza che nessuno ce lo ordini. E la sua capacità educativa non solo è nulla, ma è negativa Ogni giorno i cittadini dei paesi moderni, cioè di quelli che hanno accesso agli ultimi ritrovati della tecnica, frequentano una gigantesca scuola dell'obbligo, nel senso che è quasi impossibile rifiutarsi di frequentarla: la televisione. Una scuola senza aule e bidelli, casalinga, da seguire stando comodamente in poltrona con una birretta fresca a portata di mano. Senza orari obbligatori, ma di fatto frequentata da interi popoli per due o più ore al giorno. Decisiva per la cultura di un popolo perché insegna perentoriamente a tutti come parlare, come comportarsi, come gestire.
Che effetti ha avuto sul genere umano una scuola così pervasiva da essere universalmente frequentata senza che nessuno ce lo ordini? La prima constatazione è che la sua capacità educativa, la sua facoltà di correggere i difetti umani e di rafforzare le virtù non solo è nulla, ma negativa. Certamente non ha indotto i suoi frequentatori a non nominare il nome di Dio invano, a non desiderare la donna d'altri, a non uccidere, non rubare, non dare falsa testimonianza e a non cedere ai peccati della gola, della superbia e della vanità. Nel migliore dei casi i suoi interessati sostenitori, come il capo del governo italiano, la elogiano senza riserve per aver aperto al libero mercato e alle loro aziende gli sterminati pascoli della pubblicità, quanto a dire la prevalenza dell'imbonimento sulla corretta informazione.
Pur essendo difficile e forse impossibile dare voti a quell'enorme ammasso che è la cultura televisiva, possiamo dire che essa risulta pessima nel campo del linguaggio, dove il parlar curiale, colto, raffinato, elegante, è stato sostituito da una congerie volgare, idiomatica, dialettale, plebea, straniera, dal gigantesco swahili in cui s'intendono gli uomini che non sanno più parlare in una lingua nobile.
La scuola obbligatoria della televisione ha in comune con la modernità, con il progresso scientifico, di essere un processo variamente giudicabile, ma senza possibilità di pentimento, di correzione. Una volta scoperto e utilizzato il nuovo resta, nel bene come nel male, come ben sanno i contemporanei in perenne, angosciosa attesa che qualche pazzo faccia uso di quella scoperta demoniaca che è la bomba nucleare. Ma a parte la tragedia delle tragedie, l'apocalisse atomica, ci sono centinaia di innovazioni moderne che hanno cambiato la nostra vita in peggio. Non è forse evidente che la scrittura a mano, libera da ogni automatismo meccanico, da ogni memoria automatica era la migliore per la buona letteratura, che oggi un libro scritto con il computer ha un po' odor di computer? Che le scoperte conservative, imitative, ripetitive, fotografiche abbiano cambiato spesso in peggio le umane arti è evidente. E, per restare nel concreto, la distruzione del paesaggio voluto e imposto dalla modernità non è una condanna inevitabile del genere umano?
La grande scuola moderna della televisione, obbligatoria per milioni di uomini senza ordini superiori, è cosa buona o cattiva? Il fatto è che in pratica nessuno se lo chiede più, e che gli Stati nemici della televisione come lo fu il primo Israele si sono arresi.
La cosa più drammatica di questo tempo è la resa umana al cosiddetto progresso. Buono o cattivo lo accettiamo a scatola chiusa, la sua inarrestabilità produce orrore, ma anche rassegnazione. Ho visto questa estate due vallate alpine, la val Ferret e la val Veny, due stupende valli del Bianco sepolte sotto una lastra metallica di auto. Distrutte, violentate da masse umane felici dello scempio.
(17 settembre 2009) da repubblica.it
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« Risposta #109 inserito:: Ottobre 09, 2009, 06:56:15 pm » |
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«Ci siamo liberati del fascismo, ci salveremo anche dal berlusconismo»
di Oreste Pivetta
Spero nel miracolo» risponde Giorgio Bocca a un amico partigiano, che gli chiede un confronto tra ieri e oggi, tra i vent'anni di Mussolini e i quindici di Silvio. Cioè: ci siamo liberati del fascismo, ci salveremo anche dal berlusconismo. E poi spiega: "Il popolo italiano ha già dimostrato altre volte una forza straordinaria e insperata... ". Prima di tutto dovrebbe rendersi conto del precipizio morale, della corruzione, della devastazione culturale. Più che Berlusconi c'è a spaventare l'esito diffuso della sua politica e della sua cultura. Parlano le immagini: "Basta guardare una fotografia: lui, il piccolo dittatore, vestito di nero, sempre circondato da cinque o sei energumeni vestiti di nero”.
Giorgio Bocca, partigiano e giornalista, a che punto siamo dopo la bocciatura del lodo Alfano? Che succederà? «Berlusconi rimarrà al governo, i suoi avvocati inventeranno mille cavilli perchè i suoi processi cadanoin prescrizione e se anche Berlusconi dovesse cadere resterà il berlusconismo, il male profondo di un paese che ha così poca dignità d'accettare la guida di un uomo corrotto che sta distruggendo la democrazia... ».
Come scrive Saramago nel suo «Quaderno» censurato dalla Einaudi e pubblicato dalla Bollati Boringhieri: «Nel caso concreto del popolo italiano... è dimostrato come l'inclinazione sentimentale che prova per Berlusconi, tre volte manifestata, sia indifferente a qualsiasi considerazione di ordine morale». Preciso, no? «Che gli italiani, figli di un fascismo mai completamente estirpato, siano corrotti lo si vede: quantamafia, quanta camorra, quante tangentopoli, quanto fisco evaso. Berlusconi ha avuto modo di dare una patente alla corruzione: con lui, sul suo esempio, non s'è più sentito il bisogno di celare, nascondere. Si può fare tutto alla luce del sole. Sentire quelli che si vantano perchè non pagano le tasse... Che cosa gliene importa della democrazia? ».
La malattia è profonda.Tanto più difficile rimediare. «Certo. Davvero occorre darsi tempo e sperare nel miracolo, appunto, o in quelle scosse profonde nella coscienza, cui abbiamo talvolta assistito».
Ti è già capitato di vivere momenti come questi? «Da giovane ho conosciuto il fascismo e la privazione di tutti i diritti ».
Berlusconi vanta i suoi sondaggi e il suo sessanta, settanta, ottanta per cento di preferenze tra gli elettori... «Anche Mussolini vantava un grande seguito popolare. Era un padre padrone, proprio come s’atteggia Berlusconi. Mussolini andava a mietere il grano, si mostrava a torso nudo e incantava le folle. Berlusconi va in televisione e inaugura le casette. Hitler era un mostro. Loro li definirei dittatori morbidi».
Come giudichi, a proposito, le reazioni di Berlusconi? «Privo di qualsiasi bussola politica. Come si fa a gridare che Napolitano è di sinistra, che Napolitano avrebbe dovuto pesare sulla Corte? Come si fa a dire che la Consulta è di sinistra? Una follia. Non è solo questione di rispetto di una sentenza, è anchemancanzadi senso della realtà: ma li conosce i giudici della Consulta, che in maggioranza se mai sono di destra per formazione, cultura, età...».
E il presidente Napolitano? «Cauto come sempre. Prudente. Vuol fare il Presidente. Di fronte alle nefandezze di Berlusconi avrei preferito sentire parole più forti. A un certo punto viene il momento di dire basta».
Oltre i giudici chi e che cosa dovrebbe temere di più Berlusconi? Fini? «Ma intanto deve temere quanti nel suo stesso schieramento si sonoconvinti che un individuo simile è pericoloso anche per la destra. Si è capito poi che Berlusconi non incanta più gli industriali, che preferirebbero un Tremonti».
E la Chiesa, dopo gli scandali con le escort? «La Chiesa lo tiene in piedi, perché sa di poterlo ricattare, sa di poter pretendere da lui in cambio soldi e leggi».
Non dimentichiamo la sinistra... «Pelandrona e inconcludente. Di fronte a quanto sta avvenendo non ci si può limitare a dire che Berlusconi deve continuare a governare».
Per fortuna, stiamo in Europa. «L’Europa è una garanzia.Non può consentire che nel suo cuore a un certo punto spunti un regime con i connotati del fascismo. Ma quello è pure capace di trascinarci fuori dall’Europa. Le tenterà tutte».
09 ottobre 2009 da unita.it
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« Risposta #110 inserito:: Ottobre 16, 2009, 11:14:10 pm » |
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Morire a Kabul
di Giorgio Bocca
Oggi si tace o si sorvola sull'uso dei droni, gli aerei senza pilota. I droni non colpiscono solo i terroristi, ma fanno strage di civili. Come Karzai ha spesso denunciato La morte dei sei paracadutisti italiani in Afghanistan ha destato grande commozione e ha riempito per giorni la nostra informazione. Ma sulle ragioni reali per cui sono morti, cioè sul perché noi partecipiamo all'occupazione armata dell'Afghanistan, il silenzio o l'elusione regnano sovrani. Per decisione della Nato, dicono i nostri governanti. Ma cosa è la Nato e che ruolo noi abbiamo nella Nato? In teoria è una spontanea alleanza di nazioni che vogliono difendere la loro libertà da aggressioni autoritarie. Nella pratica è un'alleanza militare in cui gli Stati Uniti hanno di fatto l'egemonia militare e tecnica grazie alla quale sono loro a prendere le decisioni più importanti. Non vincolanti ma quasi, come si evince dal fatto che non tutti i paesi della Nato partecipano alla guerra in Afghanistan, ma quelli che vi partecipano devono allinearsi alla propaganda e ai silenzi della potenza egemone.
Quali silenzi? Quali elusioni? Ai tempi dell'intervento armato in Serbia si tacque o si eluse sui feroci bombardamenti che colpirono anche i civili di Belgrado e interruppero per anni la libera navigazione del Danubio, oggi si tace o si sorvola sull'uso dei 'droni', gli aerei senza pilota che ripetono e in alcuni casi inaspriscono le rappresaglie sulle popolazioni che resero feroce la Seconda guerra mondiale. I droni non colpiscono solo i terroristi, ma fanno strage della popolazione civile, come il presidente Karzai ha spesso denunciato. Lo scopo è il medesimo per cui Stalin riempì di patrioti polacchi le fosse di Katy'n, Hitler bombardò Varsavia e anche gli Stati democratici ricorsero alla guerra totale: terrorizzare il nemico.
Ma fino a che punto il silenzio o la propaganda sono più utili di una reale conoscenza dei problemi? Fino a che punto le decisioni del Pentagono sono esenti da ogni critica etica o pratica che sia? Che ne sa l'opinione pubblica italiana dei droni? Perché ogni pubblica discussione su queste nuove armi è taciuta o sorvolata come un tradimento? I droni sono aerei senza pilota che possono decollare da piste fisse o mobili controllati a distanza da persone prossime ai campi di battaglia come lontane decine di migliaia di chilometri. Se il divario tecnologico tra i tedeschi e gli italiani era grande negli anni della guerra partigiana, osserva il professor Luigi Sertorio, quello fra gli americani e gli afgani oggi è enorme. I droni possono volare rasoterra o a quote altissime, al riparo da ogni contraerea, portare missili con esplosivi chimici o nucleari e il loro pilota può stare seduto al sicuro in un centro guida grazie al posizionamento satellitare. Senza rumore, senza prevedibilità, senza possibilità di risposta che non sia il terrorismo.
I talebani, il terrorismo, sono un fenomeno misterioso con effetti demoniaci, ma sono anche simili ai droni: non si manifestano e non vengono allo scoperto. Il terrorismo è folle, ma non disumano, nel senso che è opera degli uomini e non degli alieni. E per capirlo non basta maledirlo, bisogna cercare le cause da ogni parte, anche dalla nostra, per esempio della scienza e della tecnica che fabbricano i droni.
"L'America", ha detto il presidente Obama, "è stanca della guerra". Non solo l'America. Ai nostri produttori, ai nostri scienziati, ai nostri politici il professor Luigi Sertorio fa questo augurio: che li assista finalmente l'angelo dell'intelligenza. Ma come si può pensare, come pensano i sostenitori della guerra a oltranza contro i nostri diversi, che dopo averli massacrati si prenderanno cura nel futuro della nostra civiltà?
(15 ottobre 2009) da espresso.repubblica.it
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« Risposta #111 inserito:: Novembre 04, 2009, 11:19:26 am » |
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Il padrone in redazione
di Giorgio Bocca
La libertà di stampa è un bene comune necessario, uno specchio in cui vedere come realmente siamo, a quali tentazioni siamo esposti Da noi si discute della libertà di stampa come di un bene assoluto, di un diritto insopprimibile che scende sugli uomini 'per grazia di Dio' come la sovranità. Ma in realtà è tutt'altra cosa: una conquista civile sofferta e a continuo rischio, un bene frutto del progresso, ma dal progresso fortemente condizionato e insidiato.
Come? Dagli interessi economici, per cominciare. Ho iniziato la mia vita di giornalista a Torino dove i quotidiani concorrenti erano 'La Stampa' e 'La Gazzetta del Popolo'. Alla 'Stampa', di proprietà della Fiat, era proibito dare notizia che un operaio di Mirafiori era morto sul lavoro, al massimo si poteva dire che era deceduto 'nel trasporto all'ospedale'.
Alla 'Gazzetta del Popolo' la proprietà era la SIP, Società Idroelettrica Piemontese, per cui si taceva sui folgorati dall'elettricità industriale ed era meglio non occuparsi troppo di quella naturale dei fulmini. Gli uffici stampa delle due aziende madri sovraintendevano al culto aziendale: alla 'Stampa' Tota Robiolo diceva commossa ai giornalisti convocati per una conferenza della direzione 'a cinque dita', dei cinque direttori generali: "Signori silenzio, qui si fa l'Italia".
Alla 'Gazzetta' l'inaugurazione di una centrale o anche solo di una condotta d'acqua era celebrata come una vittoria, e dell'amministratore delegato Attilio Pacces si parlava con la reverenza per un padreterno.
Poi ci sono i condizionamenti politici. Al 'Giorno', proprietà dell'Eni di Enrico Mattei, i condizionamenti politici erano complessi: i giornalisti dovevano sapere che Mattei era un democristiano di sinistra ex partigiano nemico dei petrolieri americani, ma il vicepresidente Cefis, pure lui ex partigiano, era di destra, disponibile a un accordo con le 'sette sorelle'. E che per tenere i piedi in questo duumvirato si era arrivati alla convivenza di due direttori: Pietra e Della Giovanna.
Ma il condizionamento dei condizionamenti, dopo gli anni del miracolo economico, fu un altro, quello della pubblicità che finì per essere più importante dei politici e dei padroni del vapore, perché tutti dovevano riconoscere che senza i soldi della pubblicità non avrebbero campato.
Che altro? Molto altro: le chiese e i loro dogmi, le patrie che 'a torto o a ragione' vanno difese, le mode, le forze misteriose per cui 'dalle ghiande può nascere una quercia'. E allora che dire? Che non c'è scampo, che la libertà di stampa è un'utopia? C'è chi pensa che questa via di scampo esiste e che l'abbia indicata Indro Montanelli quando scrisse "ogni giornalista deve sapere che il suo vero, unico padrone è il lettore". Che a parte la retorica ha una sua verità, perché uno che fa il giornalista, che desidera diventare giornalista, è mosso dalla curiosità di sapere cosa sta accadendo attorno a lui, di scoprire ciò che è coperto dagli interessi personali o di gruppo, di muoversi a occhi aperti in questa giungla che è la vita. E questa voglia di sapere, di conoscere, non è qualcosa di regalato dal buon Dio, da sempre esistito.
Per generazioni, per millenni gli uomini comuni hanno accettato di vivere sotto la cappa delle sacralità del trono e dell'altare, ma dalla Riforma, dalle rivoluzioni borghesi, dall'Enciclopedia qualcosa è cambiata nel profondo, per tutti la libertà di stampa è un bene comune necessario, uno specchio in cui vedere come realmente siamo, a quali tentazioni siamo esposti. Questo credo di averlo capito nella mia lunga vita di giornalista: che chi lo fa è mosso da una gran voglia di capire e di raccontare come vanno realmente le cose di questo mondo. E se non glielo permettono se ne duole, e se tradisce la sua onesta voglia se ne vergogna.
(29 ottobre 2009) da espresso.repubblica.it
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« Risposta #112 inserito:: Novembre 09, 2009, 03:07:02 pm » |
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La mafia non è una favola
di Giorgio Bocca
Sono stato additato come nemico della patria per aver scritto che tra Stato e criminalità organizzata si sono create zone di tolleranza se non di coesistenza. Ma ho solo cercato di capire cosa stava accadendo in Italia Mi è capitato di recente di incorrere nelle ire e nei sarcasmi della maggioranza di destra al potere per aver scritto che fra lo Stato e la criminalità organizzata delle mafie si erano create, di fatto, zone di tolleranza se non di coesistenza. E la stampa della maggioranza scrisse che ero un nemico della patria o vittima del sonno della ragione, cioè uno che delirava. Il più educato, Fabrizio Cicchitto, disse che: "Da saggista che era, Bocca si è trasformato in romanziere, inventa collusioni fra la mafia e lo Stato". Ma romanziere non lo sono mai stato, ho solo cercato di capire che cosa stesse accadendo in questa strana società che è l'italiana.
Cominciai nell'anno Settanta con un'inchiesta sulla mafia dei giardini, cioè sul rifornimento idrico della campagna palermitana controllata dalla mafia. Andai per prima cosa alla caserma dei carabinieri e incontrai l'allora maggiore Carlo Alberto Dalla Chiesa, uomo serio, concreto ma non privo d'ironia. Mi disse: "Ma davvero vuole sapere cosa è la mafia dei giardini? Ma crede davvero che ci sia la mafia?". Lui sapeva benissimo che la mafia c'era, e prevedeva persino che dalla mafia sarebbe stato ucciso, voleva solo mettermi in guardia dalla grande menzogna del potere in Italia che da sempre nasconde i suoi rapporti con la criminalità organizzata dicendo che non esistono. La stessa cosa, in linguaggio mafioso, la diceva in quei giorni il boss Gerlando Alberti al giudice che lo interrogava: "La mafia? Ma cosa è questa mafia di cui lei mi parla, una marca di formaggio?".
Quando Totò Riina, il boss dei boss, venne arrestato, mi chiesi, come tutti in Italia, come mai avesse potuto abitare con la famiglia e dirigere l'Onorata Società stando in una villetta di Palermo. E quando seppi che sua moglie aveva partorito due volte nel maggiore ospedale di Palermo chiesi sul giornale come mai il primario non sapesse chi era, dato che a Palermo e a Corleone lo sapevano tutti. Per risposta mi arrivò una telefonata di un medico dell'ospedale con minaccia di morte. Mi chiesi anche in quei tempi lontani perché mai la riserva di caccia di Michele Greco, grande boss mafioso a Bagheria, fosse frequentata da poliziotti e funzionari dello Stato, e poi in quasi mezzo secolo di giornalismo le molte altre domande senza risposta, non solo su Andreotti amico e protettore di Salvo Lima, un amico degli amici, ma anche sui socialisti e liberali e persino i radicali che avevano cercato e gradito i voti della mafia sino a recenti elezioni regionali, dove in 61 circoscrizioni su 61 hanno vinto gli amici dei mafiosi, come il 30 per cento degli eletti nel consiglio regionale.
Insomma, cercai di capire, di raccontare che la mafia non era una brutta favola inventata dai cattivi nordisti, ma un'organizzazione con un giro d'affari ogni anno di 100 mila miliardi di vecchie lire, oggi più che triplicato se si aggiungono i buoni affari della 'ndrangheta e della camorra. Senza aggiungere che oggi non è più necessario, come facevo io con la mia Topolino Fiat, scendere da Milano a Palermo, Calabria compresa quando non c'era ancora l'autostrada, basta andare in un sobborgo milanese, nord o sud Milano non fa differenza, o nei ristoranti con specialità di pesce per trovare i capi e i picciotti che minacciano, ricattano e uccidono. E speriamo che nessuno riproponga una bella inchiesta parlamentare sulla mafia. Ce n'è già stata una e Leonardo Sciascia che era un intenditore scrisse: "La mafia si è permessa una commissione parlamentare d'inchiesta", per dire che era destinata al fallimento in un paese dove la mafia è complice se non padrona.
(05 novembre 2009) da espresso.repubblica.it
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« Risposta #113 inserito:: Novembre 13, 2009, 03:18:12 pm » |
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Fascisti e opportunisti
Di Giorgio Bocca
La destra reazionaria è piena di ex socialisti alla Bombacci, è astiosa, ha voglia di diffamazione, disprezza la ragione pacata, gli intellettuali e gli studiosi di storia. Poi ci sono quelli che dicono di voler essere neutrali Berlusconi a Porta a portaSono anni ormai che ci chiediamo se il fascismo ritornerà, ma tranquilli amici, un po' è già tornato; non il fascismo del ventennio, ma quello di sempre, autobiografia della nazione, frutto spontaneo del nostro autoritarismo anarcoide, del nostro piacere di servire, della retorica patriottarda. Sono già tornate le parole del patriottismo e del nazionalismo retorico e gli annessi riti funebri: chi muore per sventura o per dovere viene chiamato eroe, chi insiste a vedere i nostri difetti antitaliano, e se non basta sovversivo, colpevole di opporsi, ironia della storia, a quanti vogliono sovvertire la democrazia.
Se il fascismo di regime chiamava pantofolai o panciafichisti i borghesi di normale buon senso, questi che ci ritroviamo vedono complottisti e sabotatori in chiunque si opponga al nuovo sultanato. È tornato il populismo a due tempi, di elogio e di disprezzo, di tipo mussoliniano in cui gli elogi senza limiti agli italiani "popolo di santi, eroi, navigatori" e persino di migratori, si alternavano alla "povera razza italiana che non cambierà non dico in diciotto, ma neppure in centottanta anni".
Tornerà il fascismo? Tranquilli, un po' è già tornato. La destra reazionaria è già piena di ex socialisti alla Bombacci, che pensano che un posto alla greppia valga il voltagabbana, e come tutti i transfughi sono i più entusiasti del nuovo duce e i più rancorosi con i vecchi compagni. La formazione in atto del nuovo regime la capisci dall'astio, dalla voglia di diffamazione, dal desiderio incontenibile di mettere a tacere chi si oppone al nuovo ordine. Nel rinnovato ma eterno fascismo c'è anche il disprezzo per la ragione pacata sostituita dalla ragione di chi urla più forte, la cagnara che imperversa ogni sera nei dibattiti televisivi dove i sostenitori del sultano si piazzano nelle prime file e su istruzioni del padrone urlano come cagnacci rabbiosi, impediscono agli altri di parlare. E riconosci i favoriti del sultano che con le loro voci riescono a coprire anche un rombo di cannone. Gli urli, la violenza verbale annuncio di quella fisica, e poi l'assoluta indifferenza alla logica, alla grammatica, alla sintassi, alla storia, a un minimo di buona educazione.
Un guitto del giornalismo può tranquillamente accusarvi di non aver capito niente del terrorismo citando non i tuoi libri sul tema, ma una cronaca del suo incerto esordio. Non è solo la democrazia che questo nuovo fascismo allo stato naturale ed eterno vuole affondare, ma anche la normale convivenza, la normale educazione. Le élite della cultura vengono retrocesse alla vanità snobistica, gli studiosi di storia e di politica irrisi dai propagandisti, la stampa internazionale presentata come una canea invidiosa delle nostre glorie e dei nostri successi. Chiunque dissenta o si opponga è travolto da una marea di contumelie e di accuse infamanti che non risparmiano più nemmeno gli alleati di classe, i signori dell'industria e della finanza, anche loro investiti dal rancore del piccolo duce brianzolo, che sembra un ricorso storico di quello del ventennio che nel crepuscolo di Salò voleva "seminare di mine sociali la Pianura padana", in odio ai grandi capitalisti che lo avevano abbandonato, l'infido Agnelli e il grigio Pirelli, come li chiamavano.
E non mancano i sempiterni 'pesci in barile', quelli che se la cavano dicendo di voler rimanere neutrali in questo scontro di opposti eserciti.
Ma questa non è una guerra di conquista, è un'elementare difesa della democrazia.
(12 novembre 2009) da espresso.repubblica.it
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« Risposta #114 inserito:: Novembre 26, 2009, 03:59:58 pm » |
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Tira un certo venticello
di Giorgio Bocca
La calunnia è diventata una pratica da sbirri a prova di buon senso e di ragione: chi accusa rovesciando le parti pretende dall'accusato giustificazioni e scuse.
La calunnia è un venticello del melodramma è diventata, con l'attuale governo, pratica normale di diffamazione dei nemici o presunti tali. E chi la pratica così si giustifica: "Mi danno tre milioni di euro d'ingaggio". 'La calunnia è un venticello' del melodramma si è trasformata in una marea che travolge gli oppositori o temuti tali, annunciata dalla stampa di regime con titoli a tutta pagina come fosse scoppiata una nuova guerra mondiale. Fra i più recenti: "La moralista Ida Borsellino ha comprato una casa da un mafioso", "Un giornalista di 'Repubblica' spia dei servizi cecoslovacchi", il procuratore aggiunto di Milano Francesco Greco "tiene sotto tiro l'economia italiana" perché chiede il fallimento delle aziende fallite. Ragion per cui anche lui è un antitaliano sabotatore.
Tutti coloro che nei 73 anni di vita del premier sono entrati in collisione con la sua irresistibile ascesa si ritrovano legati alla colonna infame, colpevoli di aver in qualche modo disturbato il suo ego espansissimo da lui medesimo descritto: "Non so cosa è il carisma, ma credo di averlo, sono nel cuore degli italiani". Nel ricevimento a Venezia dell'emiro del Qatar ha ricordato come fosse roba sua "qualche dato storico e culturale della nazione, chiese, musei, siti archeologici e l'amore dei connazionali. Il carisma l'ho sempre avuto, sono sempre stato adorato da tutti quelli che lavorano con me, parlamentari, collaboratori, quanti mi conoscono. Quando vado in giro è imbarazzante l'attenzione, l'affezione nei miei confronti. Certo sono consapevole del fatto che la gente può cambiare, ci vuole poco. Per ora prendo atto del fatto di essere nel cuore di molti italiani che me lo manifestano in ogni occasione. Non ho fatto alcuna gaffe, nemmeno una, sono tutte inventate dai giornali".
Anche quelle di cui è testimone il mondo, di cui ha riso il mondo? Prova di amore e di consenso anche le gigantesche guardie del corpo che gli fanno corona ovunque vada? Anche loro con i loro petti a prova di pallottola?
'La calunnia è un venticello' del melodramma è diventata una pratica da sbirri a prova di buon senso e di ragione, in cui chi accusa rovesciando le parti pretende dall'accusato giustificazioni e scuse. Negli archivi di servizi cecoslovacchi non meglio definiti si trovano delle carte in cui un giornalista italiano viene indicato come informatore senza che risulti alcuna informazione? Peggio per lui se i cecoslovacchi non l'hanno registrata, la confessi lui adesso a trenta o quarant'anni di distanza, spieghi lui perché il tentativo di usarlo di un agente provocatore viene usato oggi in modo diffamatorio, e se non può inventarselo si aggiusti; noi lo leghiamo comunque alla colonna infame.
Stiamo tornando alla barbarie, ha detto il priore di Bose Enzo Bianchi. Una barbarie da Inquisizione in cui il nemico eretico deve fornire le prove delle colpe che non ha commesso, deve riconoscersi sabotatore e traditore della patria. Ci sono persone afflitte da una gigantesca autostima, da un'evidente megalomania, da un amore di sé spropositato, convinti di fare il bene degli altri mentre lo espongono a rischi mortali.
Nel 1940, alla vigilia dell'entrata in guerra, l'industria militare italiana era in grado di produrre 300 aerei da combattimento l'anno, la Germania 600, l'Unione Sovietica mille, gli Stati Uniti da soli 4 mila. Ma al superego di Mussolini le nude cifre non interessano, conta solo la furbizia italica con cui mettere tutti nel sacco.
A Silvio il gigantesco debito pubblico e i numeri veri dell'Italia non interessano. "Ghe pensi mi", dice.
(20 novembre 2009) da espresso.repubblica.it
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« Risposta #115 inserito:: Novembre 28, 2009, 03:50:24 pm » |
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Onorevoli garçonnière
di Giorgio Bocca
È un mondo ignobile di corrotti, spie e sgherri contro cui gli onesti non hanno scampo e possono solo sperare che nessuno si accorga di loro Il capo del governo italiano, fra i massimi custodi della Costituzione democratica, a prova della sua umana bontà di fondo confessa di aver avvisato il quasi comunista Piero Marrazzo, presidente della Regione Lazio, di stare attento che c'era in giro un filmino hard su suoi rapporti con le brasiliane transessuali. Lo aveva saputo da sua figlia dirigente della Fininvest e della Mondadori a cui il filmino era stato offerto dai ricattatori. Tradotto in italiano normale: il capo del governo democratico fra i massimi custodi della Costituzione avvisa un presidente di regione corrotto e corruttore di stare in guardia per coprire la sua condotta, se non penalmente punibile certo scorretta secondo l'etica politica. E subito in suo soccorso intervengono illustri parlamentari e giornalisti di cui sono notorie le avventure erotiche poco commendevoli scoperte in passato dalla polizia. Quanto a dire: le violazioni al comune senso della morale, le escursioni nel campo del proibito, del vizioso, dell'illegale sono ormai la normalità per il ceto dirigente della Repubblica democratica italiana e dell'Occidente ricco ed egemone.
Come viene confermato dal principe di Monaco che assolda uno spione della Cia per sorvegliare i suoi cortigiani infedeli, e dalla proliferazione di agenti segreti e spioni che per conto di Stati o di aziende penetrano i segreti dei cittadini invisi al governo o quelli dei concorrenti.
Insomma un mondo ignobile di corrotti e di spie, di sgherri e di lenoni contro cui gli onesti superstiti non hanno scampo e possono fidare unicamente nella speranza che nessuno si accorga di loro.
Che succede? La specie degli onesti si è estinta e quella dei furbi e malvagi ha invaso la terra intera come la gramigna? Forse è il momento di riflettere sulla cosiddetta modernità, sui suoi pregi ma anche sulle sue insidie e condizionamenti.
Cominciamo dai mezzi d'informazione e di spionaggio. È innegabile che oggi spie e pescatori nel torbido hanno a loro disposizione un arsenale tecnico irresistibile: telefoni che girano filmini, teleobbiettivi che fotografano a chilometri di distanza, microspie a cui non sfugge un sospiro, ragion per cui ogni avanzo di galera, ogni balordo - e il mondo ne è pieno - può trasformarsi in un agente segreto che fa passare un giornale per spia, ogni fotoreporter fallito può diventare un ricattatore, ogni transessuale brasiliano può entrare nella vita segreta di un potente, nella garçonnière di Marrazzo come di un erede Agnelli.
Nella modernità lo spionaggio da una necessità dello Stato si trasforma in una normalità delle relazioni economiche, tutte le grandi aziende arruolano noti spioni per avere informazioni sui loro concorrenti, aziende come la Telecom o la Pirelli e persino squadre di calcio come l'Inter hanno alle loro dipendenze qualche servizio d'informazione. I quali ricorrono alle armi e ai trucchi tradizionali degli spioni, le belle cortigiane come i prestanti transessuali, fra il denaro facile, la polizia corrotta e l'inevitabile polverina bianca della cocaina.
Ma non basta. A fornire una giustifcazione sociale e ideologica al marciume generale vengono mobilitati gli analisti e gli psicologi i quali su tutti i mezzi d'informazione spiegano dottamente che gli uomini arrivati al potere spesso senza merito sono consci del loro ingiusto privilegio e prima o poi non resistono alla voglia di autodistruggersi, come a una superiore e invincibile vendetta della morale sul libertinaggio senza limiti. E altre eleganti spiegazioni che il potere non ha limiti tranne la sua incontinenza.
(26 novembre 2009) da espresso.repubblica.it
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« Risposta #116 inserito:: Dicembre 09, 2009, 04:47:41 pm » |
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Ossessioni da sultano
di Giorgio Bocca
Berlusconi si crede il migliore e il più fortunato. Di qui il bisogno di essere amato, l'incubo di essere tradito dai suoi, le manie sugli abiti e gli odori, e la fobia per i comunisti.
Fedele Confalonieri, amministratore delegato delle televisioni di Berlusconi e suo 'fratello', non di sangue ma di una vita, in una recente intervista ha così descritto la democrazia autoritaria: "La democrazia ha dei freni che a Silvio danno fastidio, Silvio è un uomo del fare, non gli piace trattare. Ma non è un dittatore, come dicono i suoi nemici. (...) Se si fosse limitato alla televisione oggi avrebbe più del 90 per cento dei consensi. Ma lui ha voluto giocare in prima persona. E ha spaccato in due il Paese".
Vediamo di capire in modo più esteso in cosa consiste questo sultanato? Consiste principalmente nel fatto che un essere umano nasce con l'idea di essere il migliore, il più audace, il più fortunato del mondo. È una follia? Sì, ma è anche la forza vitale del capo o di chi si crede tale come Silvio, di chi si sente dalla nascita, dall'oratorio, dalle scuole elementari un homme fatale.
"Era pieno di sé", dice Confalonieri, "si sentiva migliore di quelli che vedeva attorno a sé. Lui ha un naturale superiority complex. Si potrebbe dire che è un po' bauscia. Ma ha dimostrato che è bravo, che può permettersi queste cose". In altre parole: è talmente preso di ammirazione per se stesso che ne fa un'ossessione. Ed è questa ossessione che gli dà forza e tenacia strabilianti: fa cinque comizi al giorno, vola dal Brennero a Capo Passero per emergere scattante dal tetro gruppo di guardaspalle che lo circondano perennemente, stessa ossessione di un altro italiano, quel duce che spesso aveva l'incubo di essere defenestrato dai suoi adoratori. Ossessivo in tutto, a cominciare dagli abiti e dai cattivi odori che lo terrorizzano, per cui distribuisce ai deputati del Popolo della libertà uno spray al mentolo accompagnato da un biglietto: "Egregio onorevole, certo di farle cosa gradita la prego di accettare questo piccolo omaggio fresco e profumato e di usarlo al fine di rendere sempre più piacevoli gli incontri. Firmato: un cittadino che crede nel benessere".
Ossessivo sul lavoro. Lo ricordo nei primi anni di Canale 5. Il suo collaboratore prediletto era un allenatore di pallacanestro che lo seguiva negli studi armato di un cronometro pronto a rimproverare chiunque peccasse di lentezza.
Come è possibile che un uomo dominato dall'ambizione e dalla voglia di potere possa non solo essere obbedito ma anche amato? Ma come dice il suo fraterno amico è nato così e vive in un'alternanza continua fra la voglia di comandare e quella di piacere. Passa la sua vita tra un ottimismo senza limiti e repentine cadute, nei sospetti di tradimento e di agguati. Dominante in lui il timore che "un eletto dal popolo possa essere soppiantato da un non eletto", come il governatore della Banca d'Italia, Draghi.
Ma l'ossessione delle ossessioni è quella dei comunisti. Nella sua bonomia lombarda il fratello amico da una vita Confalonieri ha detto a Claudio Sabelli Fioretti che lo intervistava: "Silvio ha gli infrarossi nel cervello, è un genio, vede quello che tu non vedi. I comunisti non c'erano più ma c'era ancora la paura del comunismo. Ottima capacità di marketing ma anche di politica. La paura del comunismo è stato un ottimo argomento di vendita".
Vogliamo aggiungerci la vocazione populista che ha in comune con Bossi: "Noi ascoltiamo la gente", dicono, "noi sappiamo cosa piace alla gente". È il loro modo di fare politica. Non sembra un progresso da quando Immanuel Kant diceva "il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me".
Ma come sultano Kant non valeva un bottone.
(03 dicembre 2009) da espresso.repubblica.it
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« Risposta #117 inserito:: Dicembre 13, 2009, 11:09:44 am » |
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Noi pecore matte
di Giorgio Bocca
La crisi non è del capitalismo, dei suoi meccanismi impazziti, delle sue false ideologie ma di noi uomini che non abbiamo ancora imparato l'arte di vivere in società Ma cosa è questa crisi? Quando l'abbiamo preparata con le nostre mani ci siamo rifiutati di capirla, di evitarla, avanti verso il precipizio come pecore matte. Adesso che nella crisi ci siamo fino al collo, al mattino diciamo che ormai è alle spalle, e alla sera che siamo entrati in una nuova bolla di debiti.
Il capo del nostro governo, signore della pubblicità e della televisione, ottimista per vocazione e per mestiere ripete di continuo l'avvertimento di Roosevelt agli americani degli anni Trenta: "L'unica cosa di cui dobbiamo avere paura è la paura". Ma come ci ha ricordato don Abbondio "il coraggio, se uno non lo ha, non se lo può dare". La sola cosa che riusciamo a capire è che la crisi del capitalismo è irrazionale, come lo siamo noi uomini col nostro confuso bagaglio d'istinti e di razionalità. Di fronte alla crisi prevedibile ma non prevista qualche miliardario americano si è sparato nel giardino di casa o nel garage, non per aver perso i mezzi per una vita agiata, ma il potere. Questi Ceo, questi boss duri e spietati nelle battaglie per i soldi ma fragili di fronte alla cattiva fortuna!
Crolla il Pil, abbiamo detto nei giorni peggiori. La ripresa sarà lenta e rischiosa, diciamo oggi. E magari nello stesso giorno il nostro governo dice che siamo i primi in Europa a risalire la china, e la Banca europea che siamo gli ultimi.
Di cosa abbiamo paura? Paura della miseria? Delle sette piaghe che afflissero l'Egitto? Della glaciazione o dell'incendio del mondo? No, paura della nostra follia, di noi che al seguito dei nostri banchieri abbiamo voluto guadagnare prima cento e poi mille e poi come il re Mida trasformare in oro tutto ciò che toccavamo, anche la carta straccia dei titoli spazzatura. La crisi c'è ancora, diciamo, ma il peggio è passato. E chi governa ci esorta a non avere paura. Ma come non aver paura, se viviamo in attesa e nel terrore di quella fregatura della fregatura creata dal buon Dio per il genere umano e per tutte le specie viventi che è la morte, fregatura così inaccettabile che abbiamo dovuto inventare i miti della reincarnazione o della resurrezione per non impazzire?
Come facciamo a non aver paura se continuiamo a moltiplicarci a miliardi su una Terra sempre più povera, se è fallita anche la speranza di giustizia del socialismo, se le guerre continuano a insanguinare il nostro pianeta? Abbiamo capito che la crisi, questa e le precedenti, è una perdita di ricchezza relativa, e dai più fortunati sopportabile, e che, dicono gli ottimisti, forse è una grande occasione per correggere gli errori del sistema economico che chiamiamo capitalismo.
Il capitalismo? Uno dei tanti ismi, dei tanti nominalismi che compongono la nostra cultura? Ma no, la crisi non è del capitalismo, dei suoi meccanismi impazziti, delle sue false ideologie, della sua teorica inevitabilità, ma di noi uomini, di noi pecore matte, che non abbiamo ancora imparato l'arte di vivere in società, di dominare i nostri desideri infantili, le nostre angosce esistenziali.
Parliamo ancora con terrore della grande crisi del '29, ma quali lezioni ne abbiamo tratto? Poche e tardive. Qualche intervento degli Stati per salvare banche e aziende dalla bancarotta, ma lasciando libera la speculazione di riprodurre altre bolle. Nel giorno in cui abbiamo festeggiato la Madre Terra, sui giornali si leggeva che un centinaio di specie era arrivata all'estinzione e sappiamo che la colonizzazione umana dello spazio rimane fantascienza, chimera consolatrice. Restiamo affidati ai sogni e alla follia della vita che noi folli consideriamo il massimo dei beni.
(10 dicembre 2009) da espresso.repubblica.it
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« Risposta #118 inserito:: Dicembre 17, 2009, 08:14:57 pm » |
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Clooney What else?
di Giorgio Bocca
Molti italiani non conoscono la loro lingua ma in tv e nei giornali si moltiplicano espressioni inglesi e francesi. Non per essere capiti ma ammirati o invidiati George ClooneyDalla lettura dei giornali italiani e dall'ascolto delle televisioni risulta che chi non conosce la lingua inglese o francese non capisce una notevole parte di ciò che vi è scritto e detto. In pratica non c'è un articolo o una notizia che non contenga parole straniere, spessissimo presenti nei titoli e negli annunci. Si aggiunga il fatto, documentato da una trasmissione popolare come il 'Grande Fratello', che molti dei lettori e degli spettatori non conoscono neanche la lingua italiana, e nemmeno i protagonisti della politica italiana, pensano che il presidente della Repubblica sia Berlusconi, e che la capitale dell'Inghilterra sia L'Ondra, con l'apostrofo.
Che effetto ha questo imbarbarimento della lingua? Che alcuni italiani, i leghisti per dire, tornano ai dialetti o li rimpiangono, e molti non sono più padroni né dei dialetti né della lingua, e hanno ridotto il loro vocabolario - vedi le interviste ai campioni dello sport, specie calcatori e ciclisti - a una decina di frasi fatte e di pseudo concetti ripetuti all'infinito, del tipo: 'la forza del gruppo', 'siamo concentrati', 'dobbiamo ancora lavorare'. Al che giustamente dal pubblico partono voci d'irrisione come: ma andate a lavorare.
Alcune delle parole straniere a forza di essere usate sono diventate comprensibili a tutti? Nessuno lo sa di preciso. Può darsi lo siano le più note come killer, mister, premier, manager, ma visto le risposte dei partecipanti al 'Grande Fratello' potremmo avere delle sorprese e scoprire che il mare dell'ignoranza è più vasto del globo terrestre. La cosa più curiosa è che siano diventate di comune uso giornalistico e televisivo parole straniere certamente incomprensibili dalla maggioranza degli italiani, imposte al grande pubblico dalla vanità dei comunicatori, che alla voglia di essere capiti antepongono quella di essere ammirati o invidiati come appartenenti alla classe dirigente, che sa le parole che la populace ignora. Ad esempio che senso ha negli annunci di svendite stagionali o di viaggi economici usare le parole low cost?
Intendiamoci. La lingua usata dai giornali, dalla radio e dalla televisione non può essere in ogni caso una lingua popolare comprensibile da tutti. Lo spiegò agli operai torinesi Antonio Gramsci quando scrisse che anche il giornale che aveva fondato, 'L'Unità' giornale comunista dei lavoratori, non poteva usare in ogni argomento una lingua chiara a tutti, che c'erano argomenti che esigevano una lingua dotta, specialistica. Ma questo non dovrebbe valere per gli argomenti comuni, normali, questa è una violenza che l'ideologia dominante dell'economia globale, del mercato regolatore del genere umano impone anche dove non serve.
Che l'attore George Clooney venga usato per publicizzare una macchinetta da caffè si capisce: è un attore famoso, simpatico; ma che nella didascalia sotto la sua immagine venga scritto 'Nespresso what else?' è puro snobismo di pubblicitari.
La definizione di progresso resta ardua e forse impossibile. Di certo vi è che la vita media si è allungata e che alcune malattie ieri incurabili oggi curabili lo sono, ma la morte resta una punizione divina incomprensibile nonostante i promessi paradisi. Il contemporaneo è meglio o peggio del passato? L'imbarbarimento della lingua dà una risposta parziale: il contemporaneo e il futuro prevedibile sono più comodi ma più brutti del passato. La ricerca del bello che nel passato era dominante nella classe dirigente e nell'ammirazione dei sudditi pare sostituito dal binomio denaro-potere.
(16 dicembre 2009) da espresso.repubblica.it
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« Risposta #119 inserito:: Dicembre 29, 2009, 03:30:49 pm » |
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Quei delitti accettabili
di Giorgio Bocca
I morti sul lavoro,i danni alla salute prodotti dall'industria,le truffe con falsi e abusi: per gli italiani hanno un puro interesse statistico, perché li considerano normali I delitti che appassionano gli italiani sono quelli senza ragione: il nulla che si fa crimine, come a Garlasco in Lombardia, dove un mattino qualcuno, un amico o un parente della vittima, o uno sconosciuto, suona alla porta di una studentessa che gli apre e la massacra, non si sa bene con quale arma, e anche questo accresce il pubblico interesse. I delitti assurdi, incomprensibili, gratuiti sono la norma, si ha l'impressione di vivere in un tempo in cui il casuale, il privo di senso dominano, come se anche nella nostra civile società arrivasse l'amok, il vento della follia delle società primitive. Non passa giorno che i media dell'informazione manchino la notizia di uno stupro, il più irragionevole dei delitti, il più incredibile, se è vero come riferiscono i media che la violenza si è prolungata oltre ogni fisica possibilità. Come se fosse tornata la paura dei tempi di guerra, quando in Italia arrivarono dall'Africa i marocchini arruolati dalla Francia che non rispettavano neppure le settantenni. Oggi al loro posto i rumeni, o 'quelli dell'Est'. Lo stupro, delitto ancestrale ben noto ai condottieri del tempo antico, che accordavano ai soldati vittoriosi il permesso di saccheggio e di stupro.
Poi ci sono gli altri delitti, per i quali gli italiani hanno un puro interesse statistico, ne tengono la contabilità, ma li considerano normali, tutto sommato accettabili. I delitti dell'industria che ogni anno mette in vendita prodotti con decine di migliaia di sostanze chimiche certamente dannose alla salute o di cui s'ignorano gli effetti: metalli pesanti, mercurio, diossina, vernici velenose. E i morti sul lavoro, di cui ogni anno si dice con soddisfazione che sono diminuiti perché sono passati da duemilacinquecento a duemilacinquanta.
C'è una solidale ipocrisia fra ricchi e poveri in tema di morti sul lavoro: i primi premeditatamente espongono a rischio di morte chi lavora per farli ricchi, i secondi accettano il rischio per uscire dalla miseria. Si aggiungano i delitti senza ragione o con una ragione inaccettabile, i vandalismi di quanti spaccano le vetrine dei negozi, le panchine dei parchi, imbrattano i muri, tagliano gli alberi, avvelenano le sorgenti, devastano i treni.
Ogni giorno le cronache dei media ci ripetono che siamo una specie balorda e autolesionista. La ripetizione del male, della sua stupidità, della sua inutilità non ci stanca mai, anzi, la cerchiamo con paziente applicazione e ingegnosità. Ogni giorno si ha notizia che i nostri concittadini, magari amici o conoscenti, si sono associati per frodare il prossimo. Truffe complicatissime con abile alterazione di registri e di bollette, con mirabile fabbricazione di falsi e di abusi. Non un lavoro da poco e penoso, ma un lavoro che piace, che appassiona, che convince a reiterare i delitti.
La delinquenza non è un'occupazione penosa, si lega a un desiderio antico, infantile di 'farla franca', come il gioco dei quattro cantoni o del dottore per assaggiare il proibito. E più si sale nella scala della delinquenza, più si rivela il suo infantilismo: i terribili mafiosi o camorristi che si fabbricano il covo segreto dietro un muro posticcio con un cunicolo di fuga che mai li salvano dall'arresto, ma che rinnovano un loro desiderio puerile.
Sulla collina di Reggio Calabria c'erano, e probabilmente ci sono ancora, decine di ville fortilizio con muri di cinta, allarmi televisivi, feritoie, camere blindate, riserve alimentari. E ci si stupisce se i politici populisti, che lodano la società dei furbi e disonesti e maledicono i giustizialisti, cioè quelli che vogliono la giustizia, hanno successo?
(22 dicembre 2009) da espresso.repubblica.it
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