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Autore Discussione: Carcere, sciopero della fame per migliorare le condizioni «dietro le sbarre»  (Letto 3740 volte)
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« inserito:: Novembre 11, 2008, 04:39:00 pm »

Sprechi Il commissario: sto per dimettermi. Il sindaco: aspettiamo i fondi

Calabria, il carcere fantasma chiuso perché manca la strada

È costato 90 milioni. Per custodirlo vuoto altri 2,5 milioni l’anno
 
Una veduta del nuovo carcere di Reggio Calabria, ancora non aperto perché manca una strada d'accesso decente (A. Sapone)


REGGIO CALABRIA — Mentre la maggior parte delle carceri italiane è sul punto di esplodere a causa del sovraffollamento, a Reggio Calabria c’è un penitenziario nuovo e completamente vuoto, se si esclude il custode. Fatto e finito, pronto ad ospitare fino a 300 reclusi ma mai utilizzato. Terminato nel 2005 è costato, «più di 90 milioni di euro».

Ci sono i muri di cinta e le torrette di sorveglianza con l'impianto di aria condizionata; i blocchi detentivi a tre piani con le celle, da 2 a 6 detenuti, larghe «anche 30 metri quadri» dotate di tv a colori. Ci sono le telecamere a circuito chiuso dell'impianto di sorveglianza, le scrivanie e i computer negli uffici amministrativi. E allora, proprio quando il vecchio penitenziario reggino di San Pietro strabocca di esseri umani, perché non apre il nuovo carcere di contrada Arghillà? Manca la strada. La strada di accesso al carcere di Arghillà, periferia Nord di Reggio, non esiste. Meglio, esiste un tortuoso sentiero asfaltato che passa tra i vigneti della zona, un percorso ritenuto «non idoneo per il trasporto dei detenuti» dall’amministrazione penitenziaria. E per fare la strada vera e propria, l’allacciamento che dovrebbe collegare la struttura carceraria alla tangenziale e dunque allo svincolo della Salerno-Reggio Calabria, non ci sono i soldi.

In più, manca l’impianto di raccolta acque tant’è che, per la pioggia, nel 2002 una parte del terreno di 130 mila metri quadrati su cui sorge la casa di reclusione franò rischiando di travolgere Rosalì, la frazione sottostante. Quella del carcere di Arghillà a Reggio Calabria è una storia di denaro pubblico sprecato anche se la cosa non sembra turbare molte coscienze. «Una telenovela che non si sa quando finirà », commenta Paolo Quattrone Provveditore regionale della amministrazione penitenziaria; «Quest’opera è come un bambino non voluto», dice sconsolato Mario Nasone direttore dell’Ufficio esecuzione penale esterna di Reggio Calabria. «Sono demoralizzato dalla miopia della classe politica locale. Arghillà non è solo un carcere necessario ma, con i circa 200 posti di lavoro che creerebbe una volta in funzione, per Reggio rappresenterebbe una sorta di piccola Fiat», dice Nasone. La storia del penitenziario fantasma inizia nel 1988 quando l’allora sindaco Italo Falcomatà individuò l’area dove realizzare l’opera. Nel 1993 fu indetta la gara d'appalto vinta da un consorzio (CMC di Ravenna e Pizzarotti di Parma).

Lavori iniziati, fermati, proseguiti, rifermati da intoppi burocratici ma, faticosamente, il carcere di Arghillà ha preso forma e inghiottito finanziamenti. Per tentare di sbloccare la situazione il 1 dicembre 2006 è stato nominato Commissario straordinario per il completamento dei lavori il presidente dell’Autorità portuale di Gioia Tauro, Giovanni Grimaldi. Che ora minaccia le dimissioni: «Mancano ancora 20 milioni di euro per completare l’opera, il 30 ottobre ho scritto la quarta protesta. Sono pronto a dimettermi». Il sindaco di Reggio Calabria Giovanni Scopelliti (An) constata che il carcere è «una delle tante incompiute, ma la competenza è dei ministeri, Infrastrutture e Giustizia. So che il presidente Berlusconi è informato».

Scopelliti riassume così la storia della casa di reclusione: «Cambiano i governi e finanziamenti prendono altre strade. Dal primo Berlusconi Reggio ha ricevuto 250 milioni di euro, dal governo Prodi solo 2,5». Giusto la cifra annua che costa tenere inutilizzato Arghillà. Lo spiega Nino Botta sindacalista Cisl per l’edilizia e gli appalti pubblici: «Tra il ministero delle Infrastrutture e la CMC è in atto un contenzioso. L’azienda è ancora proprietaria del cantiere, mantiene sul posto qualche mezzo, un operaio come custode e ogni tanto manda un tecnico da Ravenna. Poi presenta il conto allo Stato. Dai miei calcoli, 2,5 milioni all’anno per non lavorare. E il carcere non apre».

Roberto Rizzo
11 novembre 2008

da corriere.it
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« Risposta #1 inserito:: Dicembre 02, 2008, 08:49:33 am »

Carcere, sciopero della fame per migliorare le condizioni «dietro le sbarre»

di Davide Madeddu


Hanno deciso di rifiutare il cibo sino alla fine dell’anno. È la protesta avviata il primo giorno di dicembre dai detenuti condannati all’ergastolo, che scontano una pena dietro le sbarre, con la campagna “Mai dire mai” contro l’ergastolo e le carceri di massima sicurezza. «Per il momento hanno aderito allo sciopero 800 persone - spiega Patrizio Gonnella, presidente nazionale di Antigone - ma il numero di coloro che hanno deciso di aderire è destinato a crescere». I numeri, secondo quanto annunciato dai promotori, dovrebbero arrivare sino a 1300.

Lo sciopero della fame non è che la seconda fase di una campagna di sensibilizzazione avviata dai detenuti del “fine pena mai” per avere «migliori condizioni di vita dietro le sbarre». La prima fase ha riguardato la raccolta di ricorsi da inviare alla Corte europea dei Diritti dell'Uomo. Nei ricorsi i detenuti chiedevano, tra le altre cose, «di pronunciarsi contro l'Italia per aver violato l'articolo 3 della Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà Fondamentali, quello che afferma che "nessuno può essere sottoposto a tortura nè a pene o trattamenti inumani o degradanti"».

In tutta Italia le persone condannate all’ergastolo sono, distribuite tra una cinquantina di istituti, circa 1300. Di questi 25 sono donne e si tratta di persone recluse in istituti di massima sicurezza. La maggior parte dei circa 200 detenuti sottoposti al carcere duro, sono condannati alla detenzione a vita.

La protesta degli ergastolani va avanti ormai da un anno e mezzo, da quando circa 300 di loro chiesero al Presidente della Repubblica di trasformare la loro pena di morte indiretta in una pena di morte a tutti gli effetti. Allo sciopero della fame collettivo, quello partito il primo giorno di dicembre seguirà quello definito a “staffetta” e itinerante. Ossia una protesta che partirà dalla Toscana e che finirà nelle carceri del Lazio il 16 marzo del 2009.


01 Dec 2008   
 
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