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Autore Discussione: Alberto Ronchey Ma cos'è questa crisi  (Letto 2347 volte)
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« inserito:: Ottobre 24, 2008, 10:28:54 am »

LA CADUTA DEI MERCATI


Ma cos'è questa crisi


di Alberto Ronchey


Di fronte a questa crisi del sistema finanziario internazionale dopo il crac di Wall Street, l'opinione comune appare stordita, ma spesso discorde secondo pareri tecnici più o meno affidabili. Pessimisti e catastrofisti contro fatalisti o provvidenzialisti. Accuse convenzionali al capitalismo, anche se risulta bifronte, di mercato e di Stato. Qualcuno rievoca persino l'appello di Henry David Thoreau: Stop the machine. Quanto a lungo durerà? Come reagire? I fautori dell'interventismo statale sul momento prevalgono, mentre i governi comprano azioni per soccorrere numerose banche. I fiduciosi nelle inesauribili risorse del sovrano e libero mercato insistono sulle loro concezioni e temono la prospettiva d'uno statalismo non solo emergenziale, ma cronicizzato. Tutti deprecano però l'esosa megalomania dei gruppi manageriali protagonisti della finanza detta creativa nel maneggio del money game.

Dopo due decenni di «bolle speculative » ricorrenti a Wall Street, si pretendono in particolare dalle banche più controllo sui bilanci e più trasparenza non tanto e non solo nella gestione dei depositi, ma degli investimenti e dei crediti rischiosi. Pessima, quale non fu mai dal 1929, oggi è la fama di Wall Street secondo le impressioni concordi propagate anche sui blog e nelle guide post-crac. Impopolare al massimo è poi George W. Bush, negli Stati Uniti e fuori, per i debiti accumulati da Washington e per quei tremila miliardi di dollari spesi nella disgraziata guerra irachena, cause non secondarie della crisi. Come già in occasione d'altre turbolenze finanziarie di Wall Street e dintorni, reiterate più volte dal 1987, ritorna l'ipotesi d'una replica del Great Crush '29, seguito dalla più lunga e disastrosa depressione per l'intera economia. Altre analisi respingono l'ipotesi, poiché la struttura dell'economia è diversa oggi nella dimensione di commerci e consumi, come nella distribuzione dei redditi almeno all'interno delle società industriali.

Ma certo appare sempre insidioso e imprevedibile, malgrado qualsiasi nuova precauzione dei regolamenti borsistici, quel costume temerario che deriva da pulsioni forse insopprimibili nella psicologia degli affari, tra l'avidità e il panico. Anzi, ora le conseguenze del fenomeno risultano peggiori con l'automatismo del program trading computerizzato, acceleratore che massimizza le tendenze al rialzo e al ribasso, mentre non pochi possessori del «gran denaro» comprano e vendono senza sapere di cosa propriamente si tratti, suggestionati da una temporanea quotazione o da consulenti avventurosi. Sbagliare perdendo denaro, s'intende, può accadere anche a modesti risparmiatori guidati male da qualche servizio bancario. Ma qui si tratta d'un persistente vizio finanziario, caratterizzato sempre più spesso dall'inclinazione all'azzardo. Per tutti rimane il danno rovinoso innescato dalla finanza detta creativa, dai suoi artifici tecnici e dai suoi più spericolati clienti, che ora grava sull'economia internazionale. Sull'argomento viene ricordata proprio in questi giorni una celebre massima di John Galbraith: «È bene che ogni tanto i soldi vengano separati dagli imbecilli». Ma pagano i tanti che imbecilli non sono.

24 ottobre 2008

da corriere.it
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