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Autore Discussione: Vincenzo Vasile. Scalfaro: grave delegittimare la piazza  (Letto 3952 volte)
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« inserito:: Ottobre 23, 2008, 11:57:33 pm »

Scalfaro: grave delegittimare la piazza

Vincenzo Vasile


Gli hanno chiesto, eccome, di salire sul palco del Circo Massimo. Ma Oscar Luigi Scalfaro il 25 ottobre non ci sarà. Non si trincera dietro ai soliti «precedenti impegni». Parla apertamente delle ragioni di «opportunità» legate al suo personale ruolo di ex capo dello Stato, che l’hanno portato a declinare l’invito. Eppure, sulle ragioni di «legittimità», anzi sul meccanismo - dice - «naturale» che porta in piazza i democratici, ha cose da dire assai interessanti. E altrettanto urticanti. Nel suo studio di palazzo Giustiniani - alle spalle di quel Senato, dove fino a qualche mese fa dall’attuale maggioranza gli fu persino contestato assieme agli altri senatori a vita il diritto al voto in appoggio al governo Prodi - questo novantenne «nonno della Repubblica» conversa con giovanile brillantezza.
E risponde a chi presenta la manifestazione come un atto di rottura irrimediabile del confronto tra maggioranza e opposizione: parte ovviamente dal passato. Come si conviene a chi di dialettica politica, di scontri, di dialoghi, di compromessi e rotture ne ha visti a iosa scorrere nelle cronache, svolgendo un ruolo di prima fila. Nella politica e nelle istituzioni.

Presidente, uno come lei, che ne ha viste tante, che cosa ha da dire sul diritto dell’opposizione a manifestare?
«Quelli del mio tempo hanno provato la dialettica politica nel senso più ampio che sia pensabile. Era appena finita la dittatura. Era la prima volta che si respirava un’aria così piena di libertà. Ci fu un fatto umano per noi formativo: la dialettica in piazza. Ricordo i comizi nelle città, e anche nelle piazze dei paesini aggrappati alle montagne. Ed era evidente la forte differenza tra le concezioni del mondo, tra le filosofie politiche, dei due maggiori partiti di popolo, i democristiani e i comunisti. Però, attenzione. Essendo del Nord - Novara, Vercelli, Torino, Aosta - ho sempre distinto tra chi, pur essendo in posizione dialettica, era stato insieme nella lotta clandestina, e chi non c’era stato. Infatti, all’Assemblea Costituente il dialogo fu più facile con quelli che avevamo conosciuto nella stagione drammatica da cui eravamo appena usciti, un periodo in cui era pericoloso conoscersi e discutere».

Torniamo a oggi.
«Mi hanno invitato a salire sul palco il 25 ottobre. Per un rapporto di lealtà che ritengo doveroso, ho risposto che non è pensabile che io, che sono stato capo dello Stato, mi possa inserire, in queste forme, in una battaglia politica. Non ho alcun dubbio di avere il diritto di dire il mio pensiero, dato che sono un cittadino libero, ci mancherebbe altro. Però, mi è parso che accettare l’invito sarebbe stato una stonatura. Ma lei mi chiede un’altra cosa: è legittima quella manifestazione?… ».

Soprattutto, che sia legittima lo negano il presidente del Consiglio, e tanti della maggioranza…
«Non mi pare una tesi accettabile in regime democratico, quella secondo cui, se l’opposizione non fa ciò che è gradito alla maggioranza, allora si rompe un dialogo. Finché esisteranno maggioranza e opposizione, la possibilità di dialogare è da tenere aperta. Primo, perché ci sono problemi che riguardano la collettività, l’intera popolazione. Problemi dello Stato, rapporti di natura internazionale. Secondo, perché una posizione dialettica si può esprimere in vario modo. Ora, se la manifestazione del 25 fosse una manifestazione totalmente odiosa - direi così: umanamente parlando - nei confronti degli esponenti della maggioranza, è chiaro che sarebbe ben difficile presentarla come l’espressione di un desiderio di dialogo. Ma all’atto dell’invito a questa manifestazione mi è stato spiegato che saranno ospitate persone per esprimere una pluralità di voci, non limitandosi alla presenza esclusiva di esponenti di partiti. E finché si discute - come mi pare si stia facendo, da parte dell’opposizione - su taluna e talaltra impostazione delle politiche di governo, su questo piano economico che non va, su questa riforma scolastica che non sembra opportuna, ciò è niente altro che normale, naturale attività di opposizione. Quel che a mio avviso non è giusto fare è continuare ad accusare l’opposizione di non essere idonea al dialogo, aggiungendo che: “Siccome dobbiamo governare, andremo avanti da soli, avendo la maggioranza alla Camera e al Senato”…».

E questo è un argomento che fa presa, a quanto pare, nell’opinione pubblica…
«La maggioranza ha il dovere di governare, ma non a ogni costo, non anche a costo di annullare il metodo del dialogo, caricandone la responsabilità sempre e solo sull’opposizione. Il dialogo è il metodo che abbiamo vissuto, e qui torno al mio tempo, all’epoca dell’Assemblea Costituente. Che voleva dire: sedersi a un tavolo e affrontare i temi».

Eppure, furono anche tempi di dura contrapposizione…
«Non fu una cosa facile. Se si pensa ai contrasti ideologici tra cattolici e comunisti. Se si pensa alle distanze enormi che c’erano tra noi. E per noi cattolici fu ancora più difficile, forse, il dialogo con il mondo liberale; con i comunisti c’era una possibilità di ritrovarsi sui temi della giustizia sociale. Io mi ostino a parlare - come ho fatto l’altra giorno al convegno della rivista dei gesuiti, Civiltà cattolica - di alcuni fatti che non vengono spesso citati. Allora mi fece grande impressione lo scarto tra la valutazione della persona umana nella dittatura e nella democrazia che stava nascendo. Infatti, il fascismo arrivò a sostenere che la persona non era neppure idonea a essere titolare di diritti umani. La relazione che Giorgio La Pira svolse nella sottocommissione dei 75 è la pagina più bella e più chiara che sia stata scritta. Dire, come convenimmo: "Mettiamo la persona umana al centro della Costituzione”, significò dare ad essa un’impostazione fondamentale. Fu un patto del popolo italiano con se stesso, come fondamento di libertà, di vita, di pace, e come fondamento del patto con gli altri popoli. E il modo in cui ci arrivammo fu una grande lezione di civiltà».

Lei, dunque, presidente, rivolge un appello a riprendere lo spirito costituente a forze che in verità per biografia politica erano assenti, come Forza Italia e la Lega, o contrapposte, come gli eredi del fascismo, a quella stagione? Non si tratta di una missione impossibile?
«So bene che ognuno è figlio del suo tempo, che quella esperienza, come ogni momento del passato, è irripetibile. Però, non si potrà negare che un invito a discutere sia opportuno, anzi necessario. Lo ripeto sempre, anche per ragioni pratiche: invece che andare avanti da soli, è un successo maggiore per chi governa, specialmente per le leggi che toccano intimamente l’ordinamento dello Stato, come ho sempre detto anche dal Quirinale, ricercare una larga maggioranza. Siccome nessuno può pensare di rimanere al governo nei secoli, se si è partiti con il piede sbagliato, con una imposizione, chi verrà dopo certamente farà l’opposto. E questo non serve a nessuno: il popolo italiano si troverà a passare da un eccesso all’altro. Io sono il primo firmatario di una proposta di legge che fu presentata nella scorsa legislatura, e adesso è stata riproposta. Si tratta di modificare le procedure previste dall’articolo 138 per revisionare la nostra carta costituzionale. Il capo dello Stato ha detto parole chiare, non si tocchino i principi: nessuna modifica - noi proponiamo - può essere fatta senza una maggioranza qualificata, e cioè senza coinvolgere il più possibile le forze dell’opposizione. E mi chiedo se non sia opportuno che da queste giornate possa uscire anche una spinta, che serva sia alla maggioranza sia all’opposizione. E se si fa un passo in direzione della modifica della carta costituzionale, senza toccare i principi fondamentali, ci sia una grande volontà di servire tutti assieme il popolo italiano. Perché se si volesse continuare su una posizione di rottura si raccoglierebbero solo danni per il nostro popolo».

Lei parte da una diagnosi molto preoccupata, ancor più pesante in uno scenario di crisi economica…
«È un vero terremoto, il rischio che paghino i deboli è fatale. Mi sconcerta una cosa: quando, un anno e mezzo fa, fu annunciato il disastro degli Stati uniti abbiamo ascoltato un coro di quelli che scrivono gli articoli di fondo dei grandi giornali: “Questo a noi non ci tocca”. Passato un anno e mezzo ci dicono che non solo ci tocca, ma qualcuno osserva che ancora il peggio non è venuto. Ho il dovere di accordare la buona fede, ma mi vien da chiedere quale sia la preparazione di chi detta legge nel mondo economico se ci troviamo con queste enormi scoperte ritardate. E butto lì un interrogativo: in questi terremoti, dove il più debole ci rimette sempre le ossa, quanto ha giocato questa strana e perseverante situazione per cui il salto, il divario, tra il più ricco e il più povero è sempre più grave? Quanto ha pesato questa ingiustizia di fondo? Finché il mondo avrà dei ricchi troppo ricchi e la povertà ridotta a miseria e alla distruzione, è impossibile che tutto ciò non determini terremoti anche peggiori. E il popolo italiano ha diritto di avere un mondo politico che affronti i problemi, ne discuta e confronti le soluzioni, e li risolva».

Pubblicato il: 23.10.08
Modificato il: 23.10.08 alle ore 8.55   
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« Risposta #1 inserito:: Ottobre 24, 2008, 12:03:25 am »

23/10/2008 - IL SABATO DEL PD. PERCHE' SI
 
Un passo decisivo
 
 
RICCARDO BARENGHI
 

C’è poco da fare, vecchi partiti cambiano nome, altri si fondono, altri scompaiono dal Parlamento, simboli storici sono cancellati, ma qualcosa a sinistra non cambia mai.

La voglia, il bisogno primario ma vitale della piazza. Ci sarà, anzi c’è già stato, chi lo definisce un vecchio rito, un’inutile sfilata, un’adunata di reduci, ma la manifestazione di sabato prossimo ha invece la sua utilità, eccome. E non solo per il leader del Pd, Walter Veltroni, che l’ha voluta e confermata nonostante molti (anche nel suo partito) gli consigliassero di annullarla, considerata anche la drammatica crisi finanziaria che ha colpito il mondo. Certo, a lui serve come il pane, più gente ci sarà e più la sua leadership sarà forte, più difficile da attaccare o sostituire. Ma soprattutto gli serve per ritrovare quel popolo che si era sentito trascurato da lui e che gli aveva ricambiato il sentimento, allontanandosi sempre di più da una politica che non capiva più, ondivaga, contraddittoria, poco aggressiva con l’avversario, sostanzialmente ininfluente.

Dopo la sconfitta di aprile, ma anche durante la campagna elettorale, quel popolo non ha capito dove il suo partito volesse andare, cosa volesse dire, quale proposta politica portasse avanti. Ha assistito perplesso al balletto infinito sul dialogo con Berlusconi, è rimasto sconcertato dall’improvvisa svolta di Veltroni quando ha annunciato la campagna per «salvare l’Italia» con manifestazione annessa. Gli sono sembrate iniziative contraddittorie con tutto quello che il suo leader aveva detto fino a quel momento, estemporanee, alla fine più propagandistiche che sostanziali.

Poi però qualcosa è cambiato in queste settimane autunnali, intanto perché Veltroni si è reso conto che il dialogo con Berlusconi era impossibile, visto che i provvedimenti di legge che il governo ha varato uno dopo l’altro sono risultati indigeribili per la sua parte politica, l’offensiva sulla scuola, quella contro gli immigrati, quella sull’ambiente e così via. E soprattutto perché qualcosa si è mosso a prescindere dalle direttive di partito, come gli studenti, i professori e i genitori che protestano da giorni anticipando così il corteo di dopodomani. Infine ci si è messo lo stesso premier con la sua uscita di ieri sulla polizia nelle scuole ad aiutare la mobilitazione di sabato. C’è da scommettere che molta gente andrà in piazza proprio per reazione alle minacce di Berlusconi, anche grazie a lui quella piazza sarà stracolma.

Tuttavia la domanda di fondo resta: a cosa serve questa manifestazione? Serve innanzitutto a chi ci sarà, e a tutti quelli che da casa parteciperanno in spirito, per rendersi conto fisicamente che sono ancora vivi (politicamente s’intende). Non è poco visti i tempi che corrono, le sconfitte subite, il clima di scoramento generale che ha colpito questi milioni di italiani. Ovviamente non basta, è solo un primo passo ma comunque decisivo: senza di esso non ne potrebbero seguire altri, altrettanto decisivi. E non certo perché si pensi ancora a una sorta di bagno nella folla che tutto purifica e rigenera. Ma semplicemente perché la nuova politica dell’opposizione (se nuova politica sarà) ha bisogno di capire cosa pensa, cosa vuole, soprattutto chi è la sua gente, quella che non ha votato per Berlusconi e che credibilmente mai lo voterà.

Non siamo così ingenui o nostalgici dei tempi che furono da pensare che un programma politico di opposizione (e magari di governo in un futuro lontano) si possa scrivere in piazza, però è sicuro che senza la piazza – intesa in senso lato - nessuna opposizione è possibile oggi e nessun governo domani. È un concetto che forse non vale per la destra, che possiede altri mezzi per coinvolgere ed esercitare la propria egemonia culturale sul suo popolo, ma continua a valere per la sinistra malgrado tutte le sue evoluzioni, cambiamenti, svolte e controsvolte. Lo sanno le persone che dopodomani sfileranno in corteo, e proprio per questo pensano che sia giusto andarci: pensano cioè di non essere solo utili comparse ma diretti protagonisti. E lo sa anche Veltroni, altrimenti perché uno come lui che ha cercato in tutti i modi di modernizzare la sua politica, abbandonando gli schemi e i riti sempre più ripetitivi della sinistra, adesso ha deciso di ri-scommettere sulla cara, vecchia piazza?
 
da lastampa.it
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« Risposta #2 inserito:: Ottobre 24, 2008, 12:05:35 am »

23/10/2008
 
Manifesto oppure no

Tormenti democratici
 
 
 
JACOPO IACOBONI
 
Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente?

Manifestare o no, eterno problema di un democratico. Veltroni sfida uccellacci e uccellini, «perché gufate tanto contro questa manifestazione?», ha detto alla radio ad Antonio Caprarica. Anche il Cavaliere ha manifestato di recente e nessuno ha mai detto niente. Il fatto è che un bizzoso cortocircuito ha ormai saldato la piazza di sabato alle occupazioni degli studenti in tutta Italia, non sono neanche più due proteste ma un solo, gigantesco happening, più o meno organizzato. Con dentro di tutto, i dalemiani e i girotondini d’una volta, la Guzzanti e la Melandri, l’Università e l’Italia dei Valori. «Stiamo assolutamente con gli studenti e i professori», dice il segretario del Pd. Però gli eventi si sovrappongono, sfasano; e si sfogliano margherite. Da Venezia a Napoli, nel Pd si esita se andare o no al Circo Massimo.

Massimo Cacciari è stato tranchant, «la piazza la lascio ai demagoghi», sarebbe «un errore madornale andarci». Il Pd veneto è compatto, come no. Andrea Martella, ministro ombra del Pd: «No, non me l’aspettavo l’intervento a gamba tesa di Cacciari. Io vado». Gianfranco Bettin, ex prosindaco a Venezia: «Non è detto che serva il corteo, e se va male rischia di fare più male al partito che bene».

Il guaio è che con gli studenti negli atenei rischia di essere quella, la protesta glamour, che evoca ricordi e accende paragoni. E allora.
Achille Variati, sindaco democratico di Vicenza, non andrà a Roma. Flavio Zanonato, sindaco sceriffo di Padova, sì. Antonio Bassolino non sarà in piazza sabato, «devo collaborare col premier». E con Veltroni? «Sono un uomo delle istituzioni». Come Mercedes Bresso, che però aderisce, sia pure «da militante». O Rosa Russo Iervolino, che a Roma verrà col treno, ha detto. Poi però l’assessore della giunta bassoliniana all’Istruzione si fa beccare sulle barricate. Ed è di quelli che sbarcheranno tra tre giorni a Roma.

Meno male per Antonio che c’è Claudio Velardi, assessore e magari aspirante sindaco: al rifiuto di firmare per la manifestazione lui s’è unito. In compenso vedrete stretto attorno a Veltroni, incredibile e nonostante diversi mugugni, Il nuovo Riformista. Antonio Polito, il direttore: siamo stati i primi a criticare il Pd, ma in piazza ci si va. Si troveranno accanto a Nanni Moretti, quello degli odiati girotondi, cittadino qualunque tra la folla. Ah, nonostante grandi insistenze Umberto Eco e Roberto Saviano non hanno ancora promesso di venire. Ma ci sarà Catherine Spaak.

 
da lastampa.it
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