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Danni a salute ed economia Così perderemo posti di lavoro
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Discussione: Danni a salute ed economia Così perderemo posti di lavoro (Letto 2151 volte)
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Danni a salute ed economia Così perderemo posti di lavoro
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inserito::
Ottobre 19, 2008, 04:30:17 pm »
Danni a salute ed economia
Così perderemo posti di lavoro
Pietro Greco
Che queste emergenze sono distribuite lungo una precisa scala gerarchica - una è più emergenza dell’altra - e che sono emergenze in conflitto: per risolvere l’una, occorre trascurare o, addirittura, aggravare l’altra. Non è così.
In primo luogo le emergenze non sono solo due - la crisi economica avvitata intorno alla crisi finanziaria e la crisi ambientale avvitata intorno ai cambiamenti del clima. Sono tre. È in atto anche una crisi energetica, avvitata intorno al «picco del petrolio». La produzione del combustibile fossile ha ormai raggiunto, infatti, un massimo relativo. Nei prossimi anni la disponibilità è destinata a diminuire (a meno che non vengo attivate altre e molto più costose fonti).
Queste tre crisi non sono indipendenti l’una dall’altra, ma strettamente intrecciate tra loro. L’una determina l’altra, in un gioco inestricabile di azioni e retroazioni. La crisi ambientale è determinata anche dalla crescita dei consumi spinta verso l’alto dal credito creativo. Il prezzo del petrolio è determinato, anche, da giochi speculativi cui non è estranea la finanza. L’uso del petrolio (oltre che del carbone e del gas naturale) è correlato ai cambiamenti climatici. In altri termini è corretto dire: «Economia, energia e ambiente sono l’emergenza».
Non c’è alcuna gerarchia tra loro. Nessuna distribuzione di priorità. Sono tutte egualmente urgenti. La crisi del petrolio si risolve affrontando la crisi ambientale e proponendo un nuovo paradigma energetico propulsore di un diverso modello di sviluppo economico. I cambiamenti climatici accelerati dall’uomo possono essere, in parte, neutralizzati sia attraverso lo sviluppo urgente di nuove fonti alternative rinnovabili e «carbon free», senza carbonio, sia attraverso nuovi stili di vita che risparmiano energia, sia, infine, attraverso un nuovo tipo di sviluppo non centrato sui consumi individuali di beni materiali ma sempre più centrato sullo sviluppo di beni pubblici sempre più immateriali. La crisi dell’economia, infine, si risolve sia prendendo atto che non può esistere la dittatura del libero mercato - il libero mercato è uno strumento non un fine; va regolato e indirizzato, perché è cieco e talvolta va a sbattere contro solidissime mura - sia che si può costruire un futuro più sostenibile fondato sull’innovazione e lo sviluppo di un’economia della conoscenza che abbia per fine l’equità sociale e la sostenibilità ambientale.
Le tre emergenze, infatti, non sono contrapposte le une alle altre. Non necessariamente almeno. La crisi ambientale, avvitatasi intorno ai cambiamenti del clima, richiede una grande capacità di innovazione e apre nuove possibilità economiche. L’Unione europea calcola che il pacchetto 20-20-20 (20% di risparmio energetico, 20% di energia da fonti rinnovabili, 20% di tagli alle emissioni di gas serra) entro il 2020 determinerà sia la creazione di nuovi posti di lavoro sia l’ammodernamento delle strutture produttive europee, che si ritroveranno all’avanguardia e non in retroguardia nell’economia del futuro.
La Germania, per esempio, sta interpretando la lotta ai cambiamenti climatici e riducendo le proprie emissioni di gas serra come un’occasione per diventare leader mondiale nel settore dell’energia solare. E la Spagna ha assunto il medesimo approccio e punta a diventare leader nell’eolico, oltre che nello stesso solare. L’Italia non ha ridotto le proprie emissioni di gas serra come prevede il protocollo di Kyoto - anzi le ha aumentate, esponendosi alle salate multe dell’Unione - anche perché non ha saputo sviluppare l’innovazione tecnologica nel campo delle energie rinnovabili: ci sono più pannelli solari nella piccola Austria e pale eoliche nella piccola Danimarca che da noi.
Nel 2020 saranno competitive le economie che avranno saputo prima di altre cambiare il «paradigma energetico» fondato sul petrolio e sugli altri combustibili fossili; che avranno innovato nel settore delle energie da fonti rinnovabili; che svilupperanno nuove tecnologie (per esempio, quelle centrate su un nuovo vettore energetico, come l’idrogeno); che svilupperanno un’economia sempre più fondata sulla conoscenza (e questa economia sarà socialmente sostenibile se la conoscenza sarà considerata un bene pubblico globale, invece che un bene appropriabile).
D’altra parte che la posizione di Schifani e del governo italiano non sia particolarmente proiettata verso il futuro, ma guardi pericolosamente all’economia e alle tecnologie del passato, lo dimostra il fatto che si ritrovi alla testa dei paesi dell’Unione con i sistemi produttivi più arretrati (la Polonia e gli altri paesi dell’est) e contro i paesi con i sistemi produttivi più avanzati.
Pubblicato il: 19.10.08
Modificato il: 19.10.08 alle ore 14.52
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