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Autore Discussione: Crisi e credito: Confindustria suona l’allarme  (Letto 2276 volte)
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« inserito:: Ottobre 14, 2008, 08:33:39 am »

Finanza ed economia /1 Già programmato un vertice.

La difesa dell’Abi

Crisi e credito: Confindustria suona l’allarme

La base degli imprenditori è agitata: ci chiedono tassi tra il 6 e l’8%. Marcegaglia chiama i banchieri



Le prime telefonate erano arrivate già alla fine di agosto. Ma la scorsa settimana è stato un diluvio. Nelle associazioni territoriali di Confindustria hanno riempito pagine intere di proteste, malumori o semplicemente sfoghi. Quei fogli di appunti, provenienti dal Nord-est come dalla Calabria; dalla Lombardia, dalla Sardegna, dalla Puglia, sono finiti direttamente a Roma, sul tavolo di Emma Marcegaglia. La presidente, raccontano, li ha letti e riletti con crescente preoccupazione. Poi ha contattato i principali banchieri italiani, cominciando proprio con il manager più discusso del momento, Alessandro Profumo di Unicredit. A tutti ha inviato un messaggio molto semplice: dobbiamo vederci, così non si può andare avanti. In realtà l’appuntamento tra banchieri e industriali era già fissato da qualche settimana: «vertice» a Milano venerdì 17 ottobre. Ma ora l’ordine del giorno promette scintille. A questo punto è facile prevedere che lo scontro tra banche e imprese sarà la prima ricaduta «italiana» della crisi finanziaria mondiale. L’autunno sarà gelido. I segnali (vedere l’articolo qui a fianco di Sandro Trento) sono sempre più chiari. Un economista «pragmatico» come Innocenzo Cipolletta (presidente delle Ferrovie) offre questa sintesi: «La crisi finanziaria ha toccato subito la fascia medio-alta della popolazione: per i prodotti del nostro made in Italy ci sarà una frenata molto forte. Ma soffriranno anche le grandi imprese e tutti i produttori di beni durevoli, dall’auto agli elettrodomestici. Sarà inevitabile un effetto domino e sono a rischio immediato i lavoratori a termine con contratti in scadenza. Certo le autorità politiche e monetarie si sono mosse bene: l’Italia non cadrà in depressione, ma dovrà affrontare almeno un anno di recessione. Se ne riparlerà alla fine dell’estate 2009».
Come è inevitabile nei momenti di crisi i conflitti politico-economici saranno amplificati. Ma questa volta oltre alla contrapposizione tradizionale tra industria e sindacato (o meglio tra Confindustria e Cgil, tra Marcegaglia e Guglielmo Epifani) si va profilando un confronto tra industriali e banchieri di asprezza forse inaspettata.
La materia è delicata e anche imprenditori solitamente loquaci accettano di parlare del rapporto concreto con lo sportello di riferimento solo se viene garantito l’anonimato. La premessa riporta alle contromosse attuate dalle istituzioni, subito dopo la tempesta finanziaria. Il governo Berlusconi, seguendo il solco tedesco, ha deciso di garantire i depositi fino all’ultimo centesimo. La Banca centrale europea ha ridotto il tasso ufficiale al 3,75%. Il governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, infine, ha assicurato che «il sistema è solido». Forse i risparmiatori sono andati a dormire un po’ più tranquilli. Per gli industriali, invece, il sistema è vicino al corto circuito, numeri alla mano. Nel giro di due settimane, sostiene la «base» degli imprenditori, le banche si sono fatte più arcigne. Secondo Francoforte il denaro dovrebbe costare meno del 4%, ma i direttori di banca nel Padovano, piuttosto che nella Bergamasca chiedono un prezzo superiore al 6% per normali operazioni di cassa (e qualcuno lamenta addirittura un 9%). Nella media il tasso di interesse effettivo si collocherebbe intorno al 6-8%, cioè almeno due punti in più rispetto all’Euribor, il tasso interbancario pari al 5,3-5,4%. In sostanza le banche diffidano l’una dell’altra e si scambiano liquidità solo a costi elevati. Dopodiché rovesciano sulle imprese un ulteriore aggravio (lo «spread»), una specie di «tassa sulla crisi» (vedere anche gli articoli a pagina 16 e 17 nella sezione Piccole e medie imprese). Ma non è solo una questione di costi. Stando ai «foglietti» raccolti dalle organizzazioni territoriali non ci sarebbe più un istituto di credito disposto a finanziare un’operazione di una certa consistenza sul medio-lungo termine. Conseguenza: molte aziende hanno dovuto semplicemente accantonare i piani di investimento.
Davanti a questo quadro Corrado Faissola, il presidente dell’Abi (Associazione bancaria italiana), risponde con una dichiarazione scritta: «Le banche italiane sono impegnate nel sostenere le piccole e medie imprese. Al momento restrizioni del credito non ci sono state. Gli impieghi verso le imprese sono cresciuti dell’11,4% tra maggio e agosto di quest’anno e attualmente viaggiano con un tasso di crescita intorno al 10%. Per avere un termine di paragone, basti pensare che durante la fase di rallentamento economico del 2004-2005 questo valore era sceso al 5-6%. Condivido l’esigenza di continuare a sostenere le nostre imprese, soprattutto le medie e piccole che costituiscono la base del tessuto produttivo del Paese». Dall’altro fronte la replica ufficiale è affidata ad Andrea Moltrasio, imprenditore lombardo, vicepresidente di Confindustria con delega per l’Europa: «Fino all’inizio di agosto c’è stata addirittura una crescita del credito, ma poi le cose sono cambiate e oggi siamo in presenza di una contrazione, come ci segnalano i nostri associati. In prospettiva noi ci aspettiamo che la Bce diminuisca ulteriormente il tasso di interesse, ma vogliamo anche vedere come si muoverà il nostro sistema bancario, soprattutto nei confronti delle piccole e medie imprese. Questo settore ha accumulato un debito di 500 miliardi con le banche e circa 300 miliardi dovranno essere rifinanziati nei prossimi 6-9 mesi. Quello sarà il vero banco di prova». E sarà anche l’occasione per verificare come saranno cambiati gli equilibri tra il credito e l’impresa.

da corriere.it
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