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Autore Discussione: ELEZIONI  (Letto 10952 volte)
Arlecchino
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« inserito:: Maggio 29, 2007, 10:02:33 pm »

Chiamparino: «Lontani dalle domande del Nord»
Andrea Carugati


Sindaco Chiamparino, qual è il significato di questo voto?
«A me pare ci sia la conferma di un trend che da tempo vede queste realtà del Nord a maggioranza di centrodestra. Certamente un governo con troppe voci e con la prevalenza, almeno in apparenza, di quelle voci che dicono sempre dei no ha influito ma c’è una questione di fondo: queste realtà sentono poco vicine le persone di centrosinistra».

Cosa significa, in concreto, non sottovalutare?
«Nei panni del centrosinistra, del governo e anche di chi deve costruire il Pd farei uno sforzo che va persino oltre quello che ci dicono questi dati. Questa provincia padana esprime una realtà produttiva e sociale che dobbiamo rappresentare di più».

Al governo cosa dicono questi risultati?
«Deve recuperare una univocità di intenti e di messaggio. Dopo la crisi hanno approvato un dodecalogo, mi pare sia già finito in un cassetto. Al mattino sui giornali su ogni cosa si trovano dieci opinioni diverse: questo è letale. Soprattutto se avviene su questioni particolarmente rilevanti».

Le prime cose da fare per recuperare al Nord?
«Penso alle infrastrutture e al fisco: nelle aree più densamente abitate muoversi è il lavoro più duro. E sulla Tav la percezione che arriva è quella di una maggioranza incerta che non sa cosa fare. Sul fisco, nonostante il cuneo fiscale, è passata l’idea che non si sia fatto a sufficienza. Poi bisogna lavorare affinché queste aree, che non trovano sufficienti spazi di rappresentanza nel centrosinistra come è strutturato oggi, li possano trovare in un cambiamento del sistema politico, ad esempio in un Pd che nasca con una esplicita base federalista».

Finora i partiti dell’Unione sono stati federalisti?
«Assolutamente no. Questi partiti sono figli del centralismo e restano tali: ci si può girare intorno ma nella loro struttura antropologica c’è il centralismo».

Anche se a volte ci sono leader del Nord...
«Non è un problema di leadership, ma una questione strutturale».

Lei lo ha detto nei giorni scorsi che il Pd stava trascurando il Nord: ad esempio nella composizione del comitato promotore.
«Per carità, non perdiamo certo perché in quel comitato ci sono poche persone del Nord. È vero il contrario: è la composizione di quel comitato che riflette una distanza da certe realtà del nord. Questo è il problema e su questo terreno dobbiamo recuperare nelle prossime fasi di costruzione del Pd».

Pensa che un partito fortemente federale, come lo ipotizza Cacciari, possa essere una soluzione?
«È la strada per aprire spazi, il modo per offrire a queste aree che hanno un rapporto critico con il centrosinistra degli spazi in cui si possano rappresentare, individuare dei leader. Non è la sola strada da percorrere, ma è importante».

La lista del Nord per la costituente del Pd, da lei proposta, trae forza da questo voto?
«Se fare o no una lista dipenderà da molte cose, anche da quali saranno le altre liste in campo. Non c’è nessuna conseguenza meccanica, ma è importante che questa possibilità ci sia. Io credo che alla fine la lista si farà: sarebbe un modo per scombinare un po’gli schieramenti codificati tra Ds e Margherita».

Gli altri interlocutori che lei ha citato nei giorni scorsi, da Illy a Mercedes Bresso, si sono detti favorevoli alla sua proposta di una lista del Nord?
«Trovo un grande consenso sull’idea che si possa fare, poi bisognerà discutere di contenuti. Il punto su cui il consenso è unanime è l’ipotesi di una base federale dell’assemblea costituente: e cioè liste che possono presentarsi solo in un certo numero di regioni e collegi. Liste locali: nè localistiche nè centralistiche. Sto ricevendo molte telefonate di persone che mi dicono “è ora di fare qualcosa”. E se si apre una speranza poi bisogna stare attenti a non disilludere».

Come valuta la ripresa della Lega Nord?
«Vedo quello che è successo a Verona. Ma in Piemonte questo fenomeno non c’è, il contributo della Lega è marginale. A Cuneo, dove la Lega ha sempre avuto uno spazio, il sindaco uscente del centrosinistra vince bene. Insomma, bisogna stare attenti a non mescolare realtà diverse. A non fare di tutta l’erba un fascio».

Pubblicato il: 29.05.07
Modificato il: 29.05.07 alle ore 9.05   
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« Risposta #1 inserito:: Maggio 29, 2007, 10:03:36 pm »

Sollievo e timori

Antonio Padellaro


Il sollievo che si coglie nelle prime reazioni dei partiti dell’Unione spiega il risultato delle amministrative di ieri forse meglio di ogni altra analisi sul voto. Il centrosinistra ha pareggiato pur giocando fuori casa, come ha calcisticamente notato l’ulivista Soro. Cioè, nel momento più difficile per la maggioranza di centrosinistra. Cioè, dopo una legge finanziaria sicuramente impopolare e dopo un primo anno di governo difficile ma onestamente non esaltante. Perciò non ci sarà nessuna spallata per far cadere Prodi per il semplice motivo che la spallata è un’idiozia che Berlusconi seguita a ripetere per fomentare i fans e occupare i titoli dei tg. Lo sa anche lui che non si è mai visto un governo cadere per effetto di un test amministrativo che coinvolge un quarto del corpo elettorale Ma dire che è andata meglio del previsto come abbiamo ascoltato nelle prime dichiarazioni del centrosinistra non è una grande consolazione se la previsione era da brivido. Di positivo c’è che la sostanziale tenuta della coalizione consentirà adesso ai leader di riflettere serenamente e senza inutili nervosismi sulle buone ma soprattutto sulle cattive notizie che si possono leggere, se uno le sa leggere, su quei dieci milioni di schede elettorali.

Cominciamo da Genova, certo per la vittoria meritata di Marta Vincenzi ma anche per le dure parole e i giusti timori che la candidata diessina ha subito voluto esternare. Primo timore: l’assenteismo che ha penalizzato principalmente il centrosinistra; nel capoluogo ligure come nel resto d’Italia.

Secondo timore: che il grande distacco con la Cdl si sia ridotto non per ritrovata fiducia nei confronti del centrodestra che non c’è ma per delusione «verso il centrosinistra che sta governando Paese, Regione, Provincia e Comune». Terzo timore: che la delusione sia dovuta alle mancate promesse di cambiamento da parte del centrosinistra e che il segnale di astensione dica guardate, potremmo non darvi più credito se continuate così. Un’analisi che sottoscriviamo in pieno. Un messaggio che da oggi stesso dovrebbe essere all’esame dei leader di governo.

Rallegriamoci pure per i successi colti dall’Unione in città difficili come Agrigento (la prima volta), l’Aquila (strappata alla destra) e Taranto (dove si va al ballottaggio con il centrosinistra però diviso). Risultati, tuttavia, che non bastano a compensare la vera e propria frana che ha investito i partiti di governo in Piemonte e nel Lombardo-Veneto. A Verona, Alessandria, Asti, Monza l’Unione perde i sindaci che aveva. E sono batoste. Alla provincia di Vicenza c’è poi la Caporetto del centrosinistra il cui candidato raccoglie un misero 18 per cento. Solo a Cuneo il sindaco uscente dell’Unione vince bene ma purtroppo è l’eccezione.

Anche qui il messaggio è chiarissimo e preoccupante. Lo spiega bene nell’intervista che pubblichiamo il sindaco di Torino Chiamparino: quando si esce dalle aree metropolitane, al Nord c’è una distanza che il centrosinistra non riesce a colmare. Se è stato sempre così da più di dieci anni (con sola la parentesi del 2002) ci sono evidentemente ragioni di debolezza strutturale non solo nell’azione di governo ma nella credibilità stessa della coalizione. Nella parte più ricca e produttiva del paese, la sinistra viene vissuta esclusivamente come portatrice di nuove tasse oltre che di mentalità statalista e antiimprenditoriale. Sarà ingiusto, sarà sbagliato, ma è così. Per non parlare delle infrastrutture. Delle grandi strade di comunicazione che mancano. Dei famosi passanti (vedi Mestre) sempre promessi e mai realizzati. Della Tav, al centro di interminabili discussioni con le popolazioni locali mentre il governo non sa ancora che pesci prendere. La questione sicurezza, infine, che si risolve con interventi mirati ed efficaci. E non cercando di scimmiottare Sarkozy. Tutte sfide che dovrebbero essere raccolte dal nuovo Partito Democratico che sta nascendo dalle radici dell’Ulivo. Quanto forti e quanto da rafforzare lo vedremo oggi sulla base dei voti raccolti da Ds e Margherita.

L’ex Cdl ha poco da cantare vittoria. L’Unione ha i suoi problemi ma la destra appare sempre più un’accozzaglia di sigle tenute insieme dall’essere opposizione. Ha ragione però Roberto Maroni quando sottolinea il successo dei candidati leghisti nelle roccaforti padane come il valore aggiunto che consente a Berlusconi di gridare vittoria. Sindaci leghisti, come quello di Verona, dalla faccia truce e dai proclami intolleranti che non promettono niente di buono per il futuro della nostra democrazia. Un motivo in più perché l’Unione corra ai ripari aggiustando un’immagine che, ammettiamolo, oggi appare meno forte rispetto a un anno fa.

Pubblicato il: 29.05.07
Modificato il: 29.05.07 alle ore 9.06   
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« Risposta #2 inserito:: Maggio 30, 2007, 05:33:29 pm »

Il giorno dopo lo schiaffo del Nord «Chi ora accelera crea difficoltà al governo»

Il premier e il nuovo assetto dell'Ulivo: verrà dopo «Il Nord a disagio ci sfida. Abbasseremo le tasse»


ROMA - Tormenti elettorali, ma non solo. Il giorno dopo lo schiaffo del Nord, Prodi è costretto ad affrontare anche i nodi del Partito democratico. E lo fa con decisione, respingendo la proposta avanzata da Rutelli di anticipare la scelta di chi guiderà il nuovo soggetto. «Facciamo il nostro percorso — dice il Professore ragionando con i suoi — il problema della leadership verrà dopo. Chi vuole accelerare rischia di mettere in difficoltà l'attuale leader e il governo». Non cambia, quindi, il calendario per Prodi: le primarie il 14 ottobre dovranno servire a eleggere i componenti dell'assemblea costituente. Per il timoniere bisognerà aspettare il 2008. Altra questione, il voto amministrativo.

È stato un weekend da dimenticare per il Professore.

Che incassa la botta e non la nasconde: «È chiaro che non sono soddisfatto». Prende atto della protesta del Nord: «C'è un disagio evidente nei confronti della politica». Sforzandosi di convertirla in sfida positiva: «Abbiamo delle idee in cantiere, il Settentrione è una priorità, sono tranquillo». Consapevole che una spia rossa si è accesa, Prodi però non sconfessa le scelte del suo esecutivo, convinto di poter essere premiato sul medio periodo. Rispedisce al mittente l'idea delle dimissioni («Il governo va avanti»), liquidando con toni aspri l'offensiva delle opposizioni: «Dimissioni? Nelle passate elezioni locali, Berlusconi ha sempre preso delle stangate da olio santo. Eppure ho sempre detto che doveva governare fino alla fine: i cittadini lo hanno mandato via, vedremo tra 4 anni cosa succede...».

Il Prodi del dopo-amministrative parla soprattutto agli alleati, delusi, divisi e spaventati dal responso delle urne. «Si tratta di un risultato assolutamente atteso» assicura, nel senso che non era questo il traguardo dal quale potevano giungere allori: «Un premier serio si aspetta il raccolto dopo 5 anni non dopo il primo». Era impensabile essere premiati dopo «una Finanziaria così dura» e i sondaggi avevano fotografato il malessere di larga parte dell'opinione pubblica: «Quando si governa seriamente, si scontentano i cittadini. Non mi interessa un'effimera popolarità...». Intanto però dal Nord giunge un segnale che assomiglia molto a un avviso di sfratto. Prodi assicura di aver recepito il messaggio, a partire dalla questione tasse: «Cominceremo subito il cammino di riduzione della pressione fiscale, ma prima occorre avere un equilibrio dei conti pubblici perché non voglio che il Paese vada in malora». Ma il Nord pretende anche altro. E il Professore, con il tono di chi ha capito che il tempo sta per scadere, promette interventi su opere pubbliche («Dopo un vuoto finanziario di anni»), sulla sicurezza, attraverso il piano-Amato, e «qualche altra cosetta che a giorni vi dirò»

Francesco Alberti
30 maggio 2007
 
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« Risposta #3 inserito:: Maggio 30, 2007, 05:34:09 pm »

Amministrative e partiti Ds e Dl meglio da soli.

Arretra Rifondazione

L'Ulivo crolla a Genova: meno della Quercia nel 2002

Nel centrodestra sono in crescita Lega e Forza Italia 

 
ROMA — Nella Cdl avanzano Forza Italia e Lega, nell'Unione arretra l'Ulivo e quindi il futuro Partito Democratico. A sinistra reggono o crescono i partiti più piccoli, come Verdi, Pdci, Udeur e, soprattutto, l'Italia dei Valori. Mentre Rifondazione comunista indietreggia. E a destra An e Udc nel complesso confermano il loro peso, registrando un progresso in alcune città e un calo in altre.

Stiamo parlando, è bene ricordarlo, di circa un quarto dell'elettorato, ma i dati di queste amministrative influiranno non poco sulle future scelte dei singoli partiti e delle diverse alleanze. Stando ai numeri elaborati da Forza Italia, là dove si è votato (non sono quindi cifre nazionali), il centrodestra avanza in modo sostanzioso, incassando il 57,72% alle provinciali contro il 38,28 dell'Unione e il 50,59% alle comunali contro il 46,08. Lo slancio della Cdl è avvenuto soprattutto al Nord, dove sia il partito di Silvio Berlusconi che quello di Umberto Bossi crescono un po' ovunque. Da segnalare, in particolare, la performance della Lega a Verona, dove tra la lista Tosi (il neoeletto sindaco leghista) e la lista vera e propria si arriva al 28,2%. Cinque anni fa aveva il 6,1%.

Nelle province del Nord Forza Italia è il primo partito e la Lega il secondo, alleanza che si conferma vincente. An è davanti a tutti a Lecce e Reggio Calabria. Ma per avere un quadro che renda con più obiettività il rapporto di forze esistente tra i partiti occorre guardare i dati delle provinciali, dove le liste civiche hanno un impatto minore. Dal confronto tra i numeri emerge subito un dato che riguarda il futuro Partito Democratico. In tutte le sette province dove si è votato la lista unitaria dell'Ulivo è andata peggio di quanto siano andati cinque anni fa i Ds e la Margherita messi insieme. E non di poco. In alcuni casi il solo voto diessino di allora era addirittura superiore all'attuale dell'Ulivo. È il caso della provincia di Genova dove Ds e Margherita prendono insieme il 30,2% mentre nel 2002 la Quercia aveva il 30,8 e i dl il 9. Oppure di La Spezia, dove l'Ulivo ha il 32,7% mentre la Quercia aveva il 33,5 e i diellini il 9,1.

Fenomeno confermato al Comune di Genova, con la lista ulivista che prende il 34,3% contro il 44,4% incassato nel 2002 (35,1 i Ds e 9,2 la Margherita). Persino nella rossa Ancona si passa dal 41,2% di cinque anni fa (26,6 ds più il 14,6 dl) contro l'attuale 30,1%. La stessa cosa accade, con percentuali diverse, a Varese, Vercelli, Vicenza e Como. Certo, si potrebbe fare anche un discorso su candidati più o meno azzeccati. Ma gli avversari del futuro Pd portano avanti la controprova dell'Aquila, dove i due partiti si sono presentati da soli: i Ds sono cresciuti dello 0,6% e la Margherita è calata solo dello 0,9%. Un altro dato significativo è rappresentato dal calo di Rifondazione comunista. Nelle sette province interessate dal voto avanza dello 0,2% solo a Vercelli mentre indietreggia in tutte le altre. Solo per fare due esempi: a Genova passa dal 7,9 al 5,8% e a Varese dal 6 al 3,6.

Roberto Zuccolini
30 maggio 2007
 
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« Risposta #4 inserito:: Maggio 30, 2007, 05:34:53 pm »

E Santagata: «Romano si candida»

Rutelli: subito il leader del Pd «Voto deludente.

Sugli statali si poteva firmare prima».

Il ministro prodiano: il Professore o corre o fa il nonno

 
ROMA - Cercasi leader disperatamente. Ora anche Francesco Rutelli cambia passo, propone di eleggere il 14 ottobre non solo la Costituente ma anche il capo del Pd e, dopo aver denunciato il deficit di «decisione» e «qualità di comunicazione» che ha paralizzato l'azione di Prodi, imprime una «vigorosa accelerazione» all'unità dei riformisti.

«Guardo con favore alla sollecitazione di Dario Franceschini» fa sua la road map del capogruppo dell'Ulivo.

Un'accelerazione che ha il via libera dei deputati ds e dl e che potrebbe costringere Prodi a raccogliere il guanto di sfida. «Se si fanno le primarie — svela la tentazione del premier Giulio Santagata — Prodi correrà. O sta a casa a fare il nonno o si candida».

Quasi un processo al governo, quello che Rutelli interpreta davanti alla Direzione del suo partito. Una lunga e severa relazione che prende le mosse dalla lettura impietosa di un risultato «insoddisfacente» per il Pd, soprattutto al Nord. Quanti errori ha inanellato l'esecutivo... Un mese e più a discutere del «tesoretto», elenca Rutelli, troppi temi aperti e troppi «ripensamenti», una Finanziaria che è stata «comunicata e percepita in maniera confusa», e poi, errore capitale, la firma a urne ormai chiuse del contratto con gli statali. E ora bisogna riflettere.

L'astensione? «Clamoroso il differenziale di circa 15 punti tra partecipazione al voto nelle Province e quello nei Comuni».

L'antipolitica? «Il governo non deve cavalcarne l'onda, ma deve governare bene». La priorità è tagliare l'Ici. «Il governo batta un colpo, dando un primo segnale di riduzione della pressione fiscale», scrive al primo punto della sua agenda programmatica. L'analisi del voto spacca l'Unione, mette gli uni contro gli altri, lacera il già fragile tessuto della coalizione di Prodi. La sinistra se la prende col Pd, Mastella e Boselli vogliono fare il «tagliando» al governo, Diliberto vuole un vertice o non voterà il Dpef, Mussi parla di «débacle»...

Dalla Margherita, Franceschini chiede a Prodi «più coraggio» e Antonello Soro sogna un esecutivo «collegiale e coeso». Ma è la Quercia il partito più scosso. «Un voto che sarebbe errato sottovalutare e che sollecita il governo a uno scatto sulle riforme» scandisce il segretario, presenti D'Alema e Veltroni. Il sindaco dirà la sua solo stasera, al vertice del Pd: «Il risultato deve essere affrontato con serietà e realismo. Ci vuole una riflessione molto seria, che va fatta collettivamente». E quando Fassino riunisce i segretari regionali Ds dà sfogo alla sua irritazione. «L'avevo detto che serviva un cambio di passo, non mi hanno ascoltato...».

M.Gu.
30 maggio 2007

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« Risposta #5 inserito:: Maggio 30, 2007, 05:35:45 pm »

30/5/2007 (7:13)

L'Unione accerchia Prodi
 
Dopo la sconfitta, affondo di Rutelli: subito il leader del Pd.

I Ds: cambio di passo. Il premier pronto a correre per le primarie

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

Ds e Margherita in rotta di collisione con Prodi.

Il premier non minimizza i risultati della Amministrative ma neanche ne fa un dramma. Gli alleati invece si sono presi una grande paura. «Sarebbe sbagliato - ha spiegato Piero Fassino al comitato politico della Quercia - sottovalutare il voto. Il governo e il centrosinistra sono sollecitati a uno scatto. E’ necessario rispondere alle attese di modernizzazione e riforme». Ma Ds e Margherita hanno un problema in più che si chiama Partito Democratico che rischia di essere risucchiato negativamente dall’immagine del premier e dai contrasti della coalizione che al Nord è stata umiliata. «Sottovalutare il messaggio che viene da questa parte del Paese sarebbe un grave errore», annota Dario Franceschini che rilancia con forza la necessità di una leadership nuova e forte del Pd in coincidenza con l’elezione dell’Assemblea costituente d’ottobre. Prodi considera questa idea una sua deminutio e un ulteriore indebolimento dell’esecutivo. Stasera, alla riunione del Comitato dei 45 si discuterà anche di questo e di come reagire alla batosta elettorale.

Il punto centrale tuttavia rimane l’azione del governo, perché da questa passa il vero recupero di consenso. Francesco Rutelli è stato il più esplicito e il più critico. Chiedendo di eleggere già a ottobre il leader del Pd: «Serve una leadership piena che non sia il frutto di un’intesa tra i gruppi dirigenti dei partiti fondatori». Attaccando il ritardo di certe decisioni, a cominciare dall’Ici: «E’ sacrosanta l’indicazione di destinare l’extra-gettito nella direzione degli armonizzatori sociali e alle pensioni più basse, ma è altrettanto importante che il governo batta un colpo dando un primo segnale di riduzione della pressione fiscale. Ecco perché sosteniamo l’intervento sulla casa che tocca i ceti medio-bassi e che è subito percepita dalle famiglie». Per Rutelli poi è stato «un errore» chiudere il contratto degli statali a urne chiuse: «Da tempo avevamo chiesto di risolvere questa controversia prima delle elezioni». Le sue accuse hanno un chiaro indirizzo: Prodi e Padoa-Schioppa.

Decidere e comunicare, cambiare passo, «altrimenti ne prenderemo atto», spiega minaccioso il deputato veneto della Margherita Fistarol. «Tra qualche settimana avremo le partite Iva del Nord - aggiunge Fistarol - inferocite per l’adeguamento degli studi di settore. Ecco, dalle mie parti non capiscono perché devono pagare più tasse se poi a Roma litighiamo sul tesoretto». Insomma i due alleati maggiori di Prodi non ci stanno ad aspettare la fine della legislatura, come ha detto ieri il premier, per fare un bilancio dell’azione del governo. Per Ds e Margherita se il toro non viene preso subito per le corna, travolgerà tutti e tutto. Anche il Partito democratico le cui sorti Fassino e Rutelli vogliono distinguere da quelle dell’esecutivo. Nei vertici della Quercia e dei Dl si è acceso l’allarme rosso: per questo non è più possibile aspettare il 2008 per avere alla guida del Pd un leader saldo in sella. «Scegliere subito il leader del Pd è ormai l’orientamento prevalente», osserva Antonello Soro. Alla stessa conclusione sono arrivati i big Ds. Veltroni, Bersani e D’Alema non hanno dubbi, più prudente invece Fassino: non è convinto dell’opportunità di aprire ora un dibattito sulla guida del Pd.

Resiste a questa ipotesi Prodi che vede come fumo negli occhi lo sdoppiamento della leadership del partito da quello della premiership. «Credo - spiega sempre Soro - che siamo maturi i tempi per una coabitazione tra leader del partito e leader del governo. La situazione delicata ce lo impone». Nomi non ne sono stati fatti alle riunioni dei Ds e dei Dl dove è chiara l’idea che il leader del Pd non sarà il candidato a Palazzo Chigi. Questo dovrà essere deciso nel 2010, un anno prima delle elezioni politiche, sempre che a quella data il governo Prodi arrivi. Sì, perché a margine degli incontri di ieri non veniva esclusa l’ipotesi di una crisi di governo. «Anche perché - diceva un ministro della Margherita - Prodi purtroppo è molto, molto debole». C’è un punto su cui i due partiti non sono d’accordo. La Margherita vorrebbe che il segretario venga scelto con delle vere e proprie primarie, mentre la Quercia sostiene che questo indebolirebbe troppo Prodi e propone di far eleggere il leader dai delegati dell’assemblea costituente. Ma di fare presto ormai parlano tutti, anche il nuovo arrivato Marco Follini: «A questo punto l’accelerazione sul Pd ci sta tutta».


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« Risposta #6 inserito:: Maggio 30, 2007, 05:36:14 pm »

Dopo voto, Romano Prodi: «La priorità è guarire il Paese»

Napolitano: «Politici, più moralità»


«È chiaro che non sono soddisfatto», ma l'esito delle amministrative era «un risultato atteso», perché «un premier serio non si aspetta i risultati dopo il primo anno, ma a fine legislatura». Romano Prodi tira le somme all'indomani del voto, ma difende l'operato del suo governo: la priorità «è guarire il Paese» e per farlo occorrono «sacrifici». Del resto, «non mi interessa una effimera popolarità» afferma, e soprattutto «non voglio avere la responsabilità» di sfasciare l'Italia. Certo, riconosce Prodi, dal voto delle amministrative si evidenzia «una difficoltà del Nord», che «per noi è una priorità, ci lancia una bella sfida ed io sono tranquillo». Quanto alla richiesta di dimissioni arrivata da Silvio Berlusconi, Prodi la rispedisce al mittente: «lui avrebbe dovuto darle per quattro volte nella sua legislatura».

Ma sull´analisi del voto ci sono opinioni diverse nella maggioranza: mentre per l'ala radicale dell'Unione viene premiata la sinistra e dato uno smacco al Pd, per Ds e Dl si evidenzia proprio la necessità di accelerare sulla nascita del Pd. Dice infatti Fassino: «È un voto che sarebbe errato sottovalutare e che sollecita governo e centrosinistra a uno scatto. E serve uno scatto nella costruzione del Pd». Dello stesso avviso Rutelli: «Non c'è stato alcun premio alla sinistra radicale. Certo il risultato dell'Ulivo è stato insoddisfacente», ma il voto dice che bisogna «imprimere una vigorosa accelerazione» sulla costruzione del Pd e sulla scelta del suo leader.

Per il segretario del Prc, Franco Giordano, «non si può più andare avanti così, c'è bisogno di un salto di qualità e l'Italia ha bisogno di una sinistra alternativa mentre il Pd viene colpito al primo vaglio elettorale». Ancora più duro il leader di Sd Fabio Mussi: «È stata una debacle per il Pd, e se vale come una consolazione le liste e i candidati che hanno un chiaro profilo di sinistra hanno avuto in tutta Italia dei buoni risultati». E il segretario del Pdci Diliberto avverte: «Serve un vertice di maggioranza, non voteremo un Dpef a scatola chiusa». Il leader dei Verdi Pecoraro Scanio rincara la dose: «L'area arcobaleno, che ha parlato di programmi e temi concreti e non di contenitori, esce rafforzata da questo voto. Si deve riflettere su questo dato e bisogna evitare tentazioni egemoniche da parte del Pd».

Per il leader Idv Antonio Di Pietro «piaccia o no, il risultato ha una valenza politica», mentre il segretario dell'Udeur, Clemente Mastella, chiosa: le elezioni amministrative dimostrano che il Pd è un «partito che non c'è». Infine, anche il socialista Boselli chiede un vertice «perché la macchina non ha funzionato a cominciare da quello che avrebbe dovuto rappresentarne il motore principale costituito dal nascente Pd», e Angius sferzante: «Il nascente Pd indebolisce l'Unione».

Il centrodestra continua a cantare vittoria. Addirittura secondo il leghista Roberto Calderoli il risultato delle urne «ha svelato l'inganno del 9 aprile dell'anno scorso». Bisogna staccare la spina al governo, invoca Maurizio Gasparri. Perciò non è escluso che il Cavaliere vada davvero al Quirinale. A caldo Silvio Berlusconi ha contestato che si possa dire che il centrodestra ha vinto solo al Nord, come titolano la maggior parte dei quotidiani del dopo elezioni. La Cdl, per lui, e soprattutto Forza Italia, hanno vinto ovunque.

Pubblicato il: 29.05.07
Modificato il: 29.05.07 alle ore 21.22   
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« Risposta #7 inserito:: Maggio 30, 2007, 05:36:45 pm »

Pd, Rutelli: «Anticipare a giugno la scelta del leader»


«Accelerare la scelta del leader». Così Francesco Rutelli nella relazione alla direzione della Margherita, convocata per un'analisi del voto. Per Rutelli il risultato delle amministrative spinge Ds e Margherita «a imprimere una vigorosa accelerazione» sui tempi della costruzione del Partito democratico e sulla scelta del leader del Pd».

Secondo quanto riferiscono alcuni dei partecipanti alla riunione, Rutelli ha sottolineato che «un leader serve subito, già dall'assemblea costituente» e che «aspettare fino al 2008 sarebbe troppo rischioso». A suo avviso, infatti, non si può «rimanere sul bagnasciuga» perché occorre garantire una guida al nuovo partito.

Il vice premier ha rivendicato la validità della sua proposta di qualche tempo fa di anticipare la costituente a giugno e ha dato atto a Franceschini di avere ragione nel proporre un'accelerazione sulla leadership. Una posizione - tutta interna agli apparati - già espressa, all'inizio di maggio, dal vice premier e diversa rispetto a quella di Fassino e di Prodi. Quest'ultimo aveva detto: «Io penso a una grande assemblea costituente a metà ottobre, nella quale si eleggeranno ben 200, 500 o mille membri con il principio "una testa, un voto"».

Rutelli sembra dunque voler riproporre la sua idea di far scegliere il capo del Pd dagli apparati e propone di nuovo di anticipare l'assemblea costituente a giugno. «Ma non sarà una minaccia per il governo», ha assicurato.

Pubblicato il: 29.05.07
Modificato il: 29.05.07 alle ore 21.23   
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« Risposta #8 inserito:: Maggio 30, 2007, 05:37:22 pm »

Berlusconi, il voto e la democrazia

La forza dei numeri

di Piero Ostellino


Questa tornata di elezioni amministrative e il successo del centrodestra sgombrano definitivamente il campo da tutte le illazioni che, negli ultimi tempi, erano emerse intorno ai Palazzi della politica e sulla natura delle inquietudini della società civile. L'intervista di Massimo D'Alema al Corriere, nella quale il vice- presidente del Consiglio e ministro degli Esteri aveva parlato di «crisi della politica», era stata interpretata come un tentativo non solo di stornare l'attenzione dalle difficoltà del governo, ma soprattutto come una sorta di auto-candidatura alla successione di Romano Prodi alla guida del Paese.

La sconfitta del centrosinistra fa ora apparire intempestivi, per non dire incauti, quei giudizi sulle intenzioni attribuite al presidente dei Ds. Analogamente, il discorso del presidente di Confindustria, Luca Cordero di Montezemolo, era stato accolto, oltre che come un’anticipazione della sua personale «discesa in campo» analoga a quella di Berlusconi nel 1993-94, anche come una obliqua congiura del mondo economico-finanziario nella prospettiva di un governo «tecnocratico » e neo-centrista che, in qualche modo, facesse giustizia di politici inefficienti e di un sistema bipolare male in arnese. Il successo del centrodestra e la sconfitta del centrosinistra ripristinano il principio dell'alternanza che presiede anche a un bipolarismo come il nostro.

I media avevano riferito dell'una, dell'altro e delle interpretazioni che ne erano seguite, finendo essi stessi col diventare oggetto di una maliziosa curiosità che trascendeva la loro funzione istituzionale — che è quella, appunto, di dare le notizie — e attribuiva loro poteri e disegni di natura politica che non potrebbero coltivare, e tanto meno manifestare, anche se lo volessero, senza cadere nel ridicolo. La puntuale registrazione, da parte di tutti i media, dell'esito elettorale e i giudizi da essi pressoché unanimemente espressi cancellano ogni dubbio. La verità è che, con il successo del centrodestra, ha vinto la democrazia, esattamente come avrebbe vinto la democrazia se a vincere fosse stato il centrosinistra. Gli interpreti dei Palazzi della politica, quelli del mondo economico-finanziario e degli stessi media, nell'ipotesi che essi si avventurassero su un terreno che non è loro proprio, possono dire quello che vogliono e abbandonarsi alle più spericolate speculazioni, ma resta il fatto che, alla resa dello spoglio delle schede elettorali, in democrazia, contano i numeri, i voti.

Conta, per usare, un’espressione abusata, ma corretta, «la gente».

Che piaccia o no, Silvio Berlusconi è nuovamente e saldamente in sella dopo essere stato sconfitto solo un anno fa alle elezioni politiche semplicemente perché la maggioranza della «gente», nei comuni e nelle province dove si è votato, non solo al Nord, ma anche in larga parte del Sud, ha eletto i candidati del centrodestra. Si dice che, nei regimi illiberali e antidemocratici, l'autocrate che non piace al popolo si ingegna di cambiare il popolo, magari chiudendolo in un lager. In democrazia non è fortunatamente possibile.

Suscita, perciò, qualche legittima perplessità anche il dibattito che di tanto in tanto affiora dentro il centrodestra sulla futura leadership della coalizione. Mentre sarebbe piuttosto interessante che, invece di pestare l'acqua nel mortaio della leadership, il centrodestra, con Berlusconi in testa, provasse a elaborare, e farci conoscere, una «certa idea dell'Italia» nella quale vorrebbe farci vivere.

30 maggio 2007
 
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« Risposta #9 inserito:: Maggio 30, 2007, 05:39:22 pm »

I furbetti di palazzo vogliono silurare Prodi per la seconda volta.

ciaoooooooooooooo



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Pd, Ds e Margherita: serve una guida politica accanto Prodi

Simone Collini


Né il Governo, nè il Partito democratico possono continuare così. Lo dicono i vertici di Ds e Margherita all'indomani del voto, che sarà pure amministrativo ma segnala una difficoltà nel rapporto col Paese che non può essere sottovalutata. Serve uno «scatto» sia nell'azione di governo che nella costruzione del Pd, dice Piero Fassino, bisogna «rispondere alle attese di modernizzazione e riforme» con «determinazione e tempestività». E bisogna correggere la rotta a un governo che finora non ha brillato per «capacità di decisione e qualità della comunicazione» anche per Francesco Rutelli, che giudica inoltre necessario «accelerare i tempi della leadership del Pd». Un argomento che si impone nel dibattito post-voto suscitando qualche fastidio a Palazzo Chigi, e che verrà riproposto alla riunione del Comitato promotore per il Pd convocato per lunedì sera.

Il leader della Margherita sostiene sia giunto il momento di dotare il nascente partito di «una leadership piena», che sia in grado di «mettere in pista idee, proposte ed energie per corrispondere tempestivamente e meglio a quanto ci chiedono i cittadini». Anche per i Ds «non si può rimanere in mezzo al guado» e serve una guida politica a tempo pieno per il Pd, ma Fassino giudica rischioso far eleggere il leader con le primarie del 14 ottobre. Il ragionamento è che indicare una personalità, quale che sia, con il voto di un milione e più persone (è la cifra a cui si punta per l'elezione dell'Assemblea costituente) rischia di indebolire Prodi. La soluzione su cui stanno ragionando al Botteghino è di far designare dalla Costituente un segretario che «affianchi» Prodi, inevitabilmente impegnato nell'azione di governo. Che tanto per i Ds quanto per la Margherita ora va rilanciata.

Fassino e Rutelli riuniscono gli organismi dirigenti dei loro partiti quando ormai è chiaro il quadro completo del voto. L'umore attorno a entrambi i tavoli è tutt'altro che buono. Si prende atto di un esito elettorale deludente e sia al Botteghino che al Nazareno si giudica ora necessario il massimo impegno per ottenere buoni risultati ai ballottaggi. Ma soprattutto si ritiene a questo punto indispensabile «una agenda chiara delle priorità» del governo, che dovrà poi essere «concretizzata» in tempi certi. E si deve ora anche, perché no?, puntare ad ottenere consensi tra gli elettori. Sintomatica l'uscita di Rutelli aprendo i lavori della Direzione diellina: «Bene l'accordo sui dipendenti pubblici, ma non si poteva ottenere prima delle elezioni invece che a urne chiuse?».

Il problema di «selezionare gli obiettivi» e di «prendere le decisioni necessarie» al loro raggiungimento è una questione che Fassino solleva di fronte alla Presidenza del comitato politico, e che in serata ribadisce con i segretari regionali: «Già dopo la Finanziaria avevo detto che serviva un cambio di passo...». Insieme a Massimo D'Alema, Walter Veltroni, Pierluigi Bersani e a tutti gli altri dirigenti il leader della Quercia ribadisce che «sarebbe errato sottovalutare» il risultato di un voto che è un chiaro «campanello d'allarme», per la maggioranza ma non solo. Il calo dell'affluenza alle urne è per i Ds un segnale da leggere su più livelli. Da una parte è questo calo il principale responsabile delle basse percentuali ottenute da un po' tutte le forze del centrosinistra. E questo vuol dire, come fa notare Bersani, che non c'è stata una «migrazione» di voti verso il centrodestra ma «una disaffezione del nostro elettorato» su cui si può e si deve lavorare. Ma dall'altro lato vuol anche dire che se non si corregge la rotta si rischia di dare fiato all'antipolitica, che come dimostra il voto di domenica e lunedì premia il centrodestra (e in particolare la Lega), non il centrosinistra. «La disaffezione dei cittadini verso la politica matura quando i tempi delle decisioni sono più lunghi dei tempi della società», sottolinea Fassino facendo sempre riferimento alla necessità di mostrare una maggiore capacità decisionale: «O la politica si adegua o la crisi crescerà». E decisioni vanno prese per la Quercia innanzitutto sul terreno della sicurezza e delle infrastrutture, vanno prese per favorire una riduzione della pressione fiscale e una semplificazione burocratica.

Non diversa è l'«agenda di priorità» prospettata dalla Margherita. Siccome chi sta al governo parla agli elettori con «la qualità dei risultati» e siccome in questi dodici mesi «sono stati aperti troppi temi, spesso troppo a lungo, e troppo frequenti sono stati i ripensamenti», a questo punto è arrivato il momento per Rutelli di concentrare l'azione di governo su pochi, precisi punti: «È importante che il governo batta un colpo dando il primo segnale di riduzione della pressione fiscale», dice nella relazione alla Direzione della Margherita, «dobbiamo saper leggere bene i segnali che nei giorni scorsi hanno sottolineato il tema della insopportabile crescita della pressione fiscale». È di nuovo sull'Ici che punta il dito Rutelli, che per quanto riguarda gli altri obiettivi su cui il governo deve concentrarsi mette il via libera alla Tav Torino-Lione e la messa in campo di misure che garantiscano la certezza della pena.

Tutte questioni che verranno discusse al vertice del Comitato promotore del Pd convocato per questa sera. Era stato Veltroni, all'incontro di mercoledì scorso, a proporre di riunire oggi i 45 per esaminare il voto amministrativo. «La questione settentrionale non è che una variante di un problema nazionale di rapporto con il paese», dice il sindaco di Roma intervenendo alla riunione al Botteghino, «il risultato delle amministrative merita una riflessione molto seria, molto approfondita e molto realistica».


Pubblicato il: 30.05.07
Modificato il: 30.05.07 alle ore 8.31   
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« Risposta #10 inserito:: Maggio 30, 2007, 10:56:15 pm »

Maurizio Migliavacca: «Sicurezza e tesoretto, abbiamo disorientato gli elettori»

Andrea Carugati


Mettere un «punto fermo» alla discussione sulla leadership del Pd, «perché sarebbe deleterio trascinare questa discussione per mesi». Maurizio Migliavacca, coordinatore dei Ds, risponde così a chi, come Rutelli, ieri ha rilanciato sulla proposta di accelerare. «Io credo che vada eletta l’assemblea costituente e che spetti a questo organismo sovrano individuare chi dirigerà il partito. C’è effettivamente bisogno di un leader che dia voce al Pd, se ci sono altre ipotesi su come e quando eleggerlo discutiamone nel comitato promotore. Purché non si parli solo di organigrammi».

Onorevole Migliavacca, che giudizio dà del responso delle urne?

«È un risultato da non sottovalutare. Ma non c’è stata alcuna spallata, i risultati non chiedono al governo di andarsene: la sconfitta di Berlusconi nelle amministrative del 2002, quando si è votato nelle stesse città e province, fu nettamente peggiore. Ma stavolta l’astensionismo ha penalizzato soprattutto noi: questo voto chiede al governo di rimboccarsi le maniche e rilanciare il suo profilo riformatore».

È stato un voto locale o influenzato da un quadro nazionale?

«Ci sono entrambi gli aspetti. Ma quando perdi il Comune da Gorizia a Verona, da Monza a Alessandria c’è anche un segno politico più generale di insoddisfazione verso il centrosinistra».

Come intendete rispondere?

«Bisogna correggere alcune politiche di governo. Penso soprattutto alla sicurezza: dobbiamo intervenire anche sul funzionamento della giustizia perché si è fatta strada l’idea che ci sia nei fatti una sorta di impunità. Poi dobbiamo rispondere con una politica di redistribuzione al senso di vulnerabilità che inquieta anche parti della classi medie. La discussione sul cosiddetto tesoretto è l’esempio di un messaggio contraddittorio che disorienta gli elettori e danneggia il governo: servono scelte precise che rispondano a questo senso di vulnerabilità. Infine il fisco: nessun passo indietro sul rigore e la lotta all’evasione fiscale, ma c’è bisogno di una semplificazione. E ancora: c’è una insofferenza, soprattutto al Nord, rispetto ai tempi della politica e al funzionamento del sistema pubblico. La destra cavalca l’antistatalismo, a noi spetta rilanciare le riforme istituzionali, a partire da federalismo e riforma elettorale».

C’è chi dice che il Pd sia il vero sconfitto di questa tornata elettorale.

«Non è stata la prima prova elettorale del Pd: è un progetto che vive ancora una fase di passaggio. Questo voto conferma la necessità politica del nuovo partito e chiede una accelerazione, soprattutto per quanto riguarda la sua identità, il suo profilo sui grandi temi, la capacità di farli vivere nella società».

A proposito di sicurezza: rifarebbe tra i primi provvedimenti della legislatura l’indulto?

«Questo provvedimento ha aumentato l’inquietudine e l’allarme sul tema della sicurezza. L’errore è stato non accompagnarlo subito e incisivamente con misure sul funzionamento della giustizia e sulle politiche di sicurezza».

Da dove nasce la percezione di una politica che non decide?

«Il problema è la coesione della maggioranza: serve un’agenda condivisa delle priorità e poi su questa bisogna andare avanti senza esitazioni».

Pochi mesi fa è stato approvato un dodecalogo. Che fine ha fatto?

«Il tema è ancora quello: serve un’agenda più chiara, più incisiva e deve essere supportata da una volontà di decisione e poi da una adeguata comunicazione al Paese, che si basi soprattutto sui fatti».

Per fare questa agenda saranno necessari nuovi vertici?

«Per carità, evitiamo verifiche e altri riti della vecchia politica. Ci sono dei ruoli istituzionali, si esercitino».

C’è un problema di leadership nella maggioranza?

«Ci vuole più da parte di tutti più responsabilità e capacità di decisione».

Ma non potevate chiudere prima il contratto degli statali?

«Sarebbe stato meglio».

Pubblicato il: 30.05.07
Modificato il: 30.05.07 alle ore 9.00   
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« Risposta #11 inserito:: Maggio 30, 2007, 11:04:45 pm »

Sconfitta collettiva

Gianfranco Pasquino


Prevedere le sconfitte elettorali e non fare niente per evitarle ovvero, quantomeno, ridimensionarle, non depone a favore di nessuno dei dirigenti del centrosinistra. Cercare di minimizzarle, mi pare, poi, un’operazione tanto ipocrita quanto controproducente. Certo, il Nord geografico include anche la Liguria e l’Emilia-Romagna (e dal ballottaggio di Parma potrebbe venire una gradevole sorpresa)... Ma fare spallucce dicendo che il Nord rappresenta un problema «non da oggi» per il centro-sinistra non riduce le proporzioni della sconfitta e non avvia in nessun modo a soluzione il problema. Neppure cercare i capri espiatori o, peggio, le bacchette magiche serve a salvare le coscienze e ancora meno a recuperare i voti.

Tutti gli studiosi sanno, e persino qualche politico ha imparato, che nei comportamenti elettorali, che includono anche la decisione di non andare a votare, entrano una pluralità di motivazioni. Pertanto, qualcuno degli elettori del centro-sinistra ha mostrato la sua disaffezione standosene a casa. È recuperabile mostrando loro che il governo di centro-sinistra sa prendere decisioni e attuare politiche. Qualcuno ha ritenuto che uno schieramento come quello del centro-sinistra dovrebbe contenere e ridurre i privilegi, ma, di fronte alla documentazione dei costi della politica, è stato preso, non soltanto dallo sconforto, ma anche dall’irritazione e ha deciso di dare una lezione ai troppi compiaciuti politici di mestiere che si ergono a casta. Qualcuno, infine, fra i molti che, probabilmente, oscillano fra centro-sinistra e centro-destra, ha deciso che su tematiche importanti, come la sicurezza, l’immigrazione, le tasse (la distribuzione del cosiddetto tesoretto), il centro-sinistra non ha le idee chiare e neppure le proposte giuste. Per quanto l’assunto democratico che l’elettore ha sempre ragione debba essere condiviso e tenuto fermo (altrimenti dovremmo affidarci, di volta in volta, ai cardinali, ai generali e agli imprenditori, e non ai professori che si fanno allegramente «prendere a prestito» dalla politica), questo assunto non suggerisce affatto che gli elettori abbiano posizioni giuste in tutte le materie né posseggano tutte le informazioni necessarie.

Tuttavia, una volta attribuita agli elettori una parte di responsabilità per la loro carente informazione, tutta la rimanente e preponderante responsabilità va assegnata ai politici, nel nostro caso ai politici e ai professori di centro-sinistra che stanno governando e che non si sono curati abbastanza di interagire con l’elettorato, tutto e non soltanto il «loro» poiché di elettori «sicuri» ne sono rimasti piuttosto pochi. Non mi soffermerò qui sul sufficientemente criticato atteggiamento complessivo di saccenza che troppi politici e non-politici di centro-sinistra emanano, abbastanza spesso senza accompagnarlo con reale competenza. Non c’è dubbio, però, che molti elettori, anche di sinistra, si sentono «snobbati» dai loro rappresentanti e, magari inconsciamente, trasmettono la loro delusione a parenti, amici, colleghi che finiscono per abbandonare ogni tentazione di, per dirla con Totò, «buttarsi a sinistra». Il peggio viene quando, invece di ascoltare una riflessione seriamente autocritica, gli elettori vengono messi di fronte a numerosissimi tentativi di scaricabarile. Questi tentativi prendono forma di un abbondante flusso di dichiarazioni che attribuiscono la sconfitta a qualche capro espiatorio che, rovesciato, diventerebbe bacchetta magica.

No, non credo che si possa provare che se il centro-sinistra avesse spostato il suo asse più verso sinistra le elezioni amministrative sarebbero andate meglio. Non penso neanche che l’elettorato avrebbe votato per il centro-sinistra se già fosse esistito il Partito Democratico e, ancora meno, che la soluzione consista nell’accelerarlo. Credo, invece, che, finito il flusso delle dichiarazioni, bisognerebbe ripensare come farlo il Partito Democratico. Con buona pace del sindaco Sergio Chiamparino, che continua ad avere tutta la mia stima, non posso credere che gli elettori di Verona, ma neppure quelli di Asti, Alessandria, Vercelli, non hanno votato a sinistra per protesta contro la sua esclusione dal Comitato Promotore del Pd, anche se il segnale mandato non includendolo è stato molto negativo e sarebbe stato meglio che lui ci fosse. In definitiva, sono colpevolista, anzi, giustizialista.

Tutti i dirigenti dell’Unione, del centro-sinistra, del Partito Democratico debbono essere considerati collettivamente responsabili quando perdono le elezioni. Qualcuno un po’ di più, in particolare, tutti coloro che prendono opportunistiche distanze dalle politiche del governo. Tuttavia, quello che, non soltanto, preoccupa, ma, personalmente, mi irrita è che, superato questo tornante, dopo i ballottaggi, l’Unione riprenderà a presentare il ventaglio delle sue articolate e rissose posizioni. Invece, bisognerebbe tornare a fare politica, esattamente quello che, nella maggioranza delle regioni del Nord, dopo le promesse di qualche anno fa di Fassino (e Bersani, la Margherita sembra non curarsene neppure), di insediare un organismo specifico a Milano, è clamorosamente mancato. Se Filippo Penati vince nella provincia di Milano, se Sergio Chiamparino vince e rivince a Torino, se Mercedes Bresso vince in Piemonte, se Massimo Cacciari torna a vincere a Venezia, se Riccardo Illy vince in Friuli, è soltanto per fattori occasionali, oppure perché sanno con le loro promesse, con i loro comportamenti, con le loro politiche convincere e conquistare consenso? Non sarebbe, dunque, opportuno che la Sinistra Democratica (Mussi, Salvi, Angius) e il Partito Democratico riflettessero, senza considerarsi né concorrenti né nemici, e suggerissero, con ragionevole urgenza, qualche seria innovazione alla politica del centro-sinistra?

Pubblicato il: 30.05.07
Modificato il: 30.05.07 alle ore 8.58   
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« Risposta #12 inserito:: Luglio 30, 2007, 04:59:51 pm »

La lettera del segretario dei Ds

Quando i giornali diventano giocatori   


Caro direttore,

una pagina intera del Corriere della Sera, firmata da Ernesto Galli della Loggia, per replicare a una mia citazione di Luigi Einaudi è forse troppo. Soprattutto perché l'autore si profonde nella difesa d'ufficio di una libertà di pensiero del Corriere che io non ho mai messo in discussione. E mi è altrettanto noto quanto il Corriere della Sera di Luigi Albertini sia stato uno straordinario esempio di giornalismo ispirato da etica civile e senso dello Stato. Nel citare Einaudi — e, si rassicuri Galli della Loggia, la citazione non mi è stata suggerita, ma l'ho tratta personalmente dalla lettura dell'intero carteggio Albertini- Einaudi — io non ho affatto auspicato il silenzio dei giornali.

Al contrario, se anche «difendere la verità e il buon senso espone a farsi gridare addosso » — come scriveva lo statista piemontese — io penso che il silenzio non sia mai la scelta giusta. Vale per i giornali; vale anche per gli uomini politici. È proprio per questo che in queste settimane ho reagito ad un modo di rappresentare la vicenda Unipol-BNL che travalica abbondantemente il diritto di cronaca e il dovere di informazione, assecondando invece e talora sollecitando una pulsione distruttiva largamente diffusa nell'opinione pubblica, quasi un desiderio vendicativo di travolgere la politica, liquidare una classe dirigente, demolire la credibilità politica e morale delle persone. E per farlo, non solo si reiterano all'infinito le stesse notizie, ogni volta presentate con il clamore di una inesistente novità, ma si accreditano anche tesi a dir poco ardite e in ogni caso false, come ad esempio un parallelismo tra la stagione di tangentopoli e le vicende di oggi.

Quando il semplice esame dei fatti indica che nella vicenda Unipol-BNL, nessun politico è chiamato in causa per tangenti, o per corruzione, o per concussione, o per un solo reato analogo a quelli di tangentopoli. Ci sono conversazioni telefoniche che si possono giudicare opportune o no, ma non giustificano la canea che da due anni avvelena la vita politica del Paese. Né, mi consentirà l'amico Panebianco, è accettabile la tesi (il Corriere venerdì 27 luglio) secondo cui poiché nell'inchiesta su tangentopoli vi furono anche asprezze giustizialiste e ingiustizie su alcuni politici indagati, è bene che di ciò, a prescindere da qualsiasi accertamento di effettiva responsabilità, soffrano anche i politici di oggi, in una sorta di pena del taglione tanto barbara quanto cinica. Sappiamo bene come nella società di oggi i giornali non esauriscano la loro funzione solo nell'informare e nel commentare i fatti, ma siano organica parte del sistema politico istituzionale: promuovono campagne, orientano la formazione delle leadership, influiscono sulle priorità dell'agenda politica, condizionano i comportamenti delle forze politiche.

Insomma, i giornali sono un «competitore» nel sistema politico. Non so fino a che punto ciò sia veramente compatibile con la missione di una stampa libera e indipendente. Ma a maggior ragione si richiede a ciascuno di esercitare la propria incomprimibile libertà nella responsabilità, con la consapevolezza che un'azione di delegittimazione della politica non rende affatto più forte la democrazia. Apre le porte a derive populistiche e plebiscitarie e — come scriveva appunto Einaudi in quella lettera — «alla demagogia degli adulatori delle masse, del popolo e via dicendo». Mi auguro che il Corriere della Sera di oggi, proprio memore della lezione di Albertini e Einaudi, veda questi pericoli e non li voglia assecondare.
Piero Fassino
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Ci fa naturalmente piacere che l'onorevole Fassino non auspichi il «silenzio dei giornali», secondo quanto, invece, tutti gli osservatori avevano creduto di capire dalle sue parole a proposito dello scambio epistolare Albertini-Einaudi. Confessiamo però che ci lascia alquanto perplessi — per le molte e gravi conseguenze che potrebbero derivarne — la sua idea che i giornali siano «organica parte del sistema politico-istituzionale», e addirittura «un competitore nel sistema politico». Non è questa l'idea che ne abbiamo noi, per cui i giornali sono in primo luogo organi d'informazione e poi portavoce di questo o quel settore dell'opinione pubblica, dei suoi punti di vista e delle sue domande. I quali vengono ogni mattina confermati o smentiti, premiati o puniti, dai loro veri padroni che sono i lettori.
30 luglio 2007
 
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