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Autore Discussione: I marines di Wall Street "Noi non molliamo mai"  (Letto 2239 volte)
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« inserito:: Settembre 18, 2008, 11:23:14 pm »

18/9/2008 - I BROKER TORNANO SUL RING DOPO IL KO DEL LISTINO USA
 
I marines di Wall Street "Noi non molliamo mai"
 
 
CORRISPONDENTE DA NEW YORK
 

Scarpe da ginnastica invece dei mocassini neri e almeno una camicia di riserva, dentro lo zaino o portata a spalla, ancora appesa alla stampella della tintoria. E’ l’abbigliamento di brokers e traders che alle 8 del mattino entrano alla spicciolata nel New York Stock Exchange dall’ingresso su Broad Street a svelare quanto nel cuore finanziario d’America si debba correre e sudare di più dopo il lunedì nero segnato dalla bancarotta di Lehman Brothers.

«Lunedì è stata una giornata che ci aspettavano dura, ma si è rivelata terribile» dice Gordon Charlop, managing director di Rosenblatt Securities con il numero di operatore «400» appuntato sulla giacca nera. Nel breve tempo che passa dall’apertura del parterre di Wall Street all’inizio delle contrattazioni, alle 9 e mezza, gli operatori si raccontano, aprendo una finestra su cosa sta avvenendo nelle viscere del sistema finanziario scosso dai subprime. «E’difficile non pensare ai molti colleghi che hanno perso il posto di lavoro, devono vendere le case e trovare i soldi per la scuola dei figli - dice Robert Hardy, managing director di LaBranche & Co. - ma noi non siamo fatti per mollare, siamo qui per mandare la Borsa in alto, ogni singolo giorno». Il tono, dai toni quasi patriottici, si ritrova nelle grandi bandiere a stelle e strisce appese alle pareti, in quelle più piccole affisse sui singoli stand e sugli stendardi neri con la sigla «Mia-Pow» dei prigionieri di guerra e dispersi in azione dei quali si aspetta il ritorno a casa. «A chi fa il nostro lavoro - aggiunge Charlop - troppe emozioni non sono consentite, dobbiamo tenere la mente ben fissa sul valore reale, sulla consistenza, senza cedere alle distrazioni, sono gli azionisti che posso tremare, non noi». La calma fredda degli operatori stride con quanto avviene attorno, riflettendo il terremoto in atto. A pochi passi c’è il box 2634 dove si negoziano elettronicamente i titoli della decaduta Lehman. Voci basse, pochi operatori ma le transazioni, comunque continuano. Ad una decina di metri il doppio box di Goldman Sachs con i brokers finora salvatisi dal diluvio: è qui che molti degli ex di Lehman vorrebbero atterrare per evitare la disoccupazione. Fra i possibili futuri colleghi ci sono solo occhiate fugaci. Le due mini-aree sono separate da un abisso: in quella Lehman foglietti di carta scritti a mano attaccati con puntine alle pareti raffigurano la precarietà, in quella Goldman Sachs un megaschermo digitale trasmette immagini di allenamenti in arti marziali, simbolo di sicurezza e potenza. Quando il ceo di Emeritus Corporation suona la campanella dando inizio alle contrattazioni tutto il resto sfuma in secondo piano. Il lunedì nero è passato remoto e ciò che conta è solo quanto avviene in tempo reale. L’indice Dow Jones va subito giù. Arthur Cashin, veterano di Ubs Financial molto rispettato da colleghi e concorrenti, scuote il capo: «Colpa dei russi, la chiusura a tempo indeterminato dei mercati è una mazzata, la crisi è globale, arriveranno altre notizie negative da fuori, l’America non è isolata».

Le speranze di una ripresa degli indici legate al salvataggio federale di Aig non iniziano neanche a materializzarsi. E’ un giovane broker rossiccio si origine siciliana, che non vuole dare il nome, a spiegare il perché: «Un eccesso di impegno dello Stato nel sistema finanziario non è una cosa buona, non piace guardando nel lungo termine». Cashin va oltre: «Il salvataggio di Aig conta fino a un certo punto, ciò che ci preoccupa è se la crisi passa da Wall Street a Main Street, se la gente inizia a ritirare i soldi da investimenti nei quali non ha più fiducia». L’incubo degli operatori è che gli americani impauriti dalla crisi mettano i dollari sotto il mattone, per Wall Street sarebbe lo stallo. Più passano i minuti più il Dow Jones va in picchiata, i piccoli monitor sintonizzati sui canali economici di Fox e Msnbc rilanciano l’«allarme Russia» e nel capannello di operatori in giacche nera, blu e verde il timore che si affaccia è «la discesa sotto quota 10400».

I calcoli finanziari, basati sull’andamento dell’indice Standard&Poor, fanno supporre che «se restiamo sopra 10400 c’è la base per il lento recupero, se scendiamo sotto sarà un alto forte balzo all’indietro dalle conseguenza difficili da prevedere» ammonisce l’operatore numero 358.

 
da lastampa.it
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