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Autore Discussione: MASSIMO FRANCO  (Letto 193085 volte)
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« Risposta #150 inserito:: Luglio 21, 2011, 05:50:47 pm »

La Nota

E il premier scopre che la maggioranza era solo numerica

Le speranze sul voto segreto si rivelano un boomerang.

E la Lega «strappa»


È andato al contrario di come sperava Silvio Berlusconi. Il «sì» del Parlamento all'arresto del deputato del Pdl, Alfonso Papa, probabilmente è stato favorito e non scongiurato dal ricorso al voto segreto. E invece di velare i contrasti nella maggioranza, ha finito per ufficializzarli. Da ieri, il centrodestra è spaccato; e non sui rifiuti a Napoli, ma su quella questione morale che per il premier rappresenta un tabù. Il presidente del Consiglio voleva esorcizzare un clima «da 1992», anno simbolo della fine della Prima Repubblica. E invece quel clima si è materializzato con il contributo decisivo del Carroccio; e forse perfino di qualche dissidente del Pdl.

Una Lega che ormai risponde più al ministro dell'Interno, Roberto Maroni, che a Umberto Bossi, assente in aula, si è smarcata in modo traumatico da Palazzo Chigi. E adesso fra berlusconiani e Carroccio cresce la consapevolezza che le prospettive dell'alleanza sono tutte da decifrare. Il premier ha preso atto della sconfitta battendo furiosamente i pugni sul tavolo; e aggiungendo che dopo il risultato di ieri è ancora più urgente rintuzzare l'offensiva della magistratura. Ma la realtà appare un po' diversa: più difficile per il governo, e più complicata da risolvere.

Berlusconi emerge ulteriormente indebolito da un appuntamento parlamentare che doveva confermare le sue doti di sopravvivenza. L'affanno della sua leadership è sottolineata dai sospetti che attraversano Pdl e Lega, e dalla perdita della sponda di Bossi. Sebbene nessuno sia in grado di prevederne le tappe, aumenta la possibilità che si arrivi ad una crisi di governo. Il paradosso è che la Camera ha autorizzato l'arresto di Papa; il Senato, l'ha negato per Alberto Tedesco, del Pd, che aveva chiesto di essere arrestato.

La tentazione di additare il Pd come un partito che salva un suo senatore mentre a Montecitorio fa arrestare un deputato avversario, è naturale. Eppure, le due votazioni appaiono diverse. Iniettano veleni dovunque, ma il contraccolpo politico del caso Papa va molto al di là dell'altro. Può creare qualche difficoltà al centrosinistra, chiamato a giustificarsi. Non bilancia, tuttavia, la sconfitta bruciante della coalizione berlusconiana; né attenua la sensazione che la rottura col Carroccio sia una novità destinata a cambiare il corso della legislatura. Sebbene nebulosi, i nuovi scenari diventano un esercizio obbligato.

Quando Berlusconi sbotta: «È una pazzia, sacrificano Papa per farmi cadere», dice una verità. E offre una lettura che suscita più di una perplessità su quanto è successo. Ma tradisce anche l'acuta, dolorosa consapevolezza che il governo è agli sgoccioli; che perfino dentro la maggioranza c'è chi è disposto a qualunque manovra pur di scalzarlo da Palazzo Chigi. Si tratta di una resa dei conti della quale le opposizioni sono coprotagoniste. Eppure nasce e si consuma proprio negli intestini di quella maggioranza numerica della quale Berlusconi si vantava tanto: senza capire o voler comprendere quanto la sua consistenza fosse politicamente fragile e friabile.

Massimo Franco

21 luglio 2011
da - http://www.corriere.it/politica/nota/11_luglio_21/e-il-premier-scopre-che-la-maggioranza-era-solo-numerica_1b1361b2-b35a-11e0-a9a1-2447d845620b.shtml
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« Risposta #151 inserito:: Agosto 01, 2011, 05:32:30 pm »

LA NOTA

Un ministro indebolito ma a tutti conviene rinviare all’autunno

Il martellamento dell’opposizione su Giulio Tremonti era prevedibile. I contorni dello scandalo che coinvolge il suo ex consigliere politico, Marco Milanese, espongono seriamente il ministro dell’Economia. E le spiegazioni che ha fornito finora sono state accolte con un misto di solidarietà d’ufficio e di perplessità dagli alleati; e con fastidio dagli avversari. L’eventualità di sue dimissioni, tuttavia, non sembra all’ordine del giorno. Un governo ammaccato ma deciso a non farsi travolgere da nulla cerca di rinviare qualunque problema all’autunno. E la nomina del Guardasigilli e del ministro delle Politiche comunitarie è stata presentata come la conferma della capacità di arrivare a fine legislatura, nel 2013. Il profilo di Tremonti, tuttavia, appare ridimensionato. La solidarietà offertagli da Umberto Bossi, capo della Lega, e dallo stesso presidente del Consiglio non cancella l’ombra di precarietà che prima si allungava sul governo ma salvava «il superministro»; e adesso, invece, si proietta anche su di lui. Insistendo sulla necessità che rimanga al suo posto, il nuovo ministro della Giustizia, Francesco Nitto Palma, ieri ha precisato: «Allo stato delle cose» ricordando che ha garantito la salvezza dei conti pubblici e che gode di credibilità a livello internazionale. Eppure, nel Pdl nessuno è pronto a scommettere su quanto potrà succedere nelle prossime settimane. Il timore è che una caduta di Tremonti possa provocare la crisi del governo; e questo Berlusconi vuole evitarlo a ogni costo. Non solo. Un ministro dell’Economia poco malleabile e perciò inviso a molti colleghi, oggi deve per necessità riconoscere il primato del presidente del Consiglio e condividere, non dettare le scelte economiche, come è stato accusato di fare in passato. E per Palazzo Chigi, si tratta di un vantaggio da sfruttare fino a quando sarà possibile. Ma gli stessi motivi che oggi suggeriscono al premier di difendere Tremonti, alla fine potrebbero indurlo a sacrificarlo. Se per l’andamento dei mercati o per le inchieste giudiziarie si capisse che il ministro dell’Economia non è più il biglietto da visita da sventolare davanti alle cancellerie europee, ma un problema, l’esito sarebbe inevitabile. Nel centrodestra, infatti, l’impressione è che il caso Milanese non abbia ancora sprigionato tutti i veleni di cui è capace: anche perché la richiesta d’arresto chiesta dalla magistratura per l’ex consigliere politico tremontiano sarà esaminata dal Parlamento soltanto a settembre; e nel frattempo continuano a filtrare documenti dal contenuto a dir poco imbarazzante, mentre la magistratura analizza fascicoli su alcuni giudici lambiti dalle frequentazioni con Milanese. Ieri, dopo la lettera al Corriere, Tremonti ha continuato a difendersi, declassando a «errori» e «stupidate» alcuni suoi comportamenti. E ha voluto sottolineare che prima di fare politica dichiarava al fisco dieci miliardi di lire all’anno; e dunque non aveva e non ha bisogno «di fregare i soldi agli italiani». Le opposizioni intravedono molte smagliature in questa linea difensiva. Soprattutto si chiedono perché non si sia rivolto alla magistratura, se davvero si sentiva spiato e minacciato. E sostengono che sta prendendo in giro il Paese e dunque si dovrebbe dimettere. D’altronde, individuano in lui il nuovo anello debole del centrodestra: un anello strategico, da spezzare nella speranza di far saltare la maggioranza berlusconiana. E sotto sotto, confidano nella volontà di ampi settori del centrodestra di vendicarsi di Tremonti. Sanno che alcuni compagni di partito e magari qualche leghista vorrebbero fargli scontare tutti in una volta le tensioni, le durezze e i contrasti inanellati in tre anni da guardiano dei conti pubblici. Eppure, proprio per questo i suoi avversari nel centrodestra sono costretti a fargli scudo: un po’ con irritazione, un po’ con malcelata soddisfazione per i suoi guai. E aspettano l’autunno come se fossero le Idi di marzo.

Massimo Franco

30 luglio 2011
da - http://www.corriere.it/politica/nota.shtml
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« Risposta #152 inserito:: Settembre 01, 2011, 08:42:01 am »

LA NOTA

Dietro i ripensamenti le divisioni dell’alleanza

Le tensioni Palazzo Chigi-Tesoro contribuiscono alla confusione

Gli sbandamenti continui del governo di Silvio Berlusconi sulla manovra finanziaria sommano due coincidenze: una crisi economica di proporzioni inedite; e una maggioranza forte numericamente ma divisa e precaria dal punto di vista politico. La proposta e poi la disdetta di alcuni provvedimenti nel giro di poche ore; i vertici continui fra spezzoni della maggioranza; le intese smentite il giorno dopo; l’incertezza sulla presenza dei ministri alle riunioni, sono tutti sintomi di un centrodestra incapace di offrire all’Europa e all’opinione pubblica una soluzione. Ma non perché non voglia: la sensazione è che non possa, senza rischiare di spezzarsi. Una maggioranza come quella uscita dal voto del 2008 avrebbe avuto qualche possibilità in più di imporre un piano di «austerità» accettabile anche in un contesto così grave. Ma l’alleanza fra Pdl e Lega è uguale e insieme diversa da quella di allora. Berlusconi e Umberto Bossi, capo della Lega, sono virtuosi della sopravvivenza ma in crescente affanno. E le tensioni fra Palazzo Chigi e il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, pure in evidente difficoltà, contribuiscono alla confusione. L’attenzione preoccupata della Commissione Ue è il minimo che ci si possa attendere.

Perfino un uomo prudente come il presidente del Senato, Renato Schifani, ieri è stato costretto a richiamare la maggioranza al rispetto dei tempi della manovra. La norma, subito saltata, che prevedeva di escludere anni di università e servizio militare dal calcolo dei 40 anni di anzianità per andare in pensione, sarà sostituita. La domanda è con che cosa, per rastrellare quei miliardi di euro che appaiono e scompaiono; e soprattutto, se il centrodestra sarà in grado di accettare un nuovo compromesso.

Pier Ferdinando Casini, che pure non smette di offrire sponde alla maggioranza, dice di essere pronto al confronto. «Ma con chi dobbiamo confrontarci se non si sa cosa vogliono?». Si tratta di una domanda legittima del capo dell’Udc. Pd e Idv chiedono al premier e a Tremonti di dimettersi: se non altro per avere comunicato che il «vertice di Arcore» si era concluso positivamente. L’indecisione rappresenta il miglior alibi per opposizioni che forse non hanno ricette migliori, ma possono invocare l’«irresponsabilità » del governo.

Le modifiche che Pdl e Lega tentano di concordare dovrebbero essere presentate oggi. Ma le voci che descrivono un Tremonti «defilato» moltiplicano le incognite. E gli avvertimenti di sindaci anche del centrodestra perché non si tagli a spese degli enti locali, confermano che qualunque esito sarà contestato. È significativo che dopo l’annuncio di una legge costituzionale per abolire le Province, la decisione sia stata spiegata da alcuni leghisti per quello che è: una «battaglia silenziosa» per prendere tempo e, di fatto, lasciare tutto com’è. È una piccola metafora di quanto rischia di accadere.

Massimo Franco

01 settembre 2011
da - http://www.corriere.it/politica/nota.shtml
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« Risposta #153 inserito:: Settembre 02, 2011, 09:47:02 am »

Credibilità cercasi

È assai poco berlusconiano l’emendamento col quale ieri, per la terza volta in due settimane, il governo ritiene di avere trovato un compromesso sulla manovra finanziaria. Delineare un orizzonte di giri di vite fiscali, manette per i «grandi evasori», pubblicazione dei redditi da parte dei Comuni, rappresenta un rovesciamento della filosofia di Silvio Berlusconi. Si tratta di misure che appena tre anni fa venivano rimproverate ad una sinistra accusata di vampirismo tributario. Oggi Lega e Pdl sono costretti a farle proprie: al punto che non ci si può non chiedere se siamo davvero di fronte alla versione definitiva.

La credibilità dell’Italia presso la Banca centrale europea si gioca molto sulla chiarezza e la certezza delle sue scelte: esattamente quello che non è stato fatto negli ultimi giorni. È il solo modo per arginare il declino di una maggioranza ammaccata dalle divisioni interne; logorata dalle incomprensioni fra il presidente del Consiglio e il ministro dell’Economia Giulio Tremonti, richiamato ieri a Roma per una mediazione in extremis; e inseguita dalle ombre giudiziarie che riguardano Berlusconi. Qualunque leader che si rispetti sa di dover proporre misure impopolari.

La sensazione è che il governo si sia rassegnato a scegliere l’«impopolarità minore»: anche perché non aveva alternative. Dopo i pastrocchi sulle pensioni, serviva un segnale. Rimane da capire se basterà ai mercati, scongiurando il rischio di nuove manovre. E se consentirà a Berlusconi di andare un po’ oltre la logica della pura sopravvivenza. Qualcuno comincia a pensare che esiste una maledizione dei vertici internazionali, per lui. Si cominciò con l’avviso di garanzia recapitatogli a quello di Napoli, nel 1994. Ieri, il presidente del Consiglio è arrivato a Parigi per il summit sul futuro della Libia, preceduto dalla notizia di nuove intercettazioni telefoniche e arresti.

Rispetto a diciassette anni fa, Berlusconi non è accusato di nulla, anzi: è vittima di un’estorsione. Ma un premier ricattato porta a domandarsi: perché? Non che l’Italia sia particolarmente sensibile a certi temi: spesso l’indignazione è una merce avariata dalla faziosità politica e dal moralismo. Il meno che si possa dire, però, è che mentre lievitava una crisi finanziaria sottovalutata fino alla sua esplosione, Berlusconi sembrava distratto da altro. Si tratta di una constatazione obbligata e amara.

Conferma e dilata le incognite della manovra economica. Un Berlusconi logorato non prelude ad una crisi di governo, ma alla perdita parallela di credibilità internazionale dell’Italia. L’arresto dell’imprenditore Gianpaolo Tarantini e della moglie, accusati di ricattare il premier, e l’ordine di cattura per Valter Lavitola, ritenuto un suo informatore sulle questioni giudiziarie, consegnano il capo del governo all’ennesima, imbarazzante sovraesposizione. Per ora il premier è condannato a rimanere a Palazzo Chigi; e l’Italia, e forse anche un pezzo d’Europa, a sperare che non si crei un vuoto di potere. Nonostante gli stereotipi deteriori che Berlusconi alimenta.

Massimo Franco

02 settembre 2011 07:51© RIPRODUZIONE RISERVATA
da - http://www.corriere.it/editoriali/11_settembre_02/franco-credibilita-cercasi-editoriale_dedcf5ea-d51f-11e0-b96a-5869f8404a57.shtml
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« Risposta #154 inserito:: Settembre 07, 2011, 05:24:22 pm »

La Nota

Un governo indebolito dalle tensioni interne e dal tempo perduto

Decisiva la spinta del Quirinale per rispondere subito ai mercati


Si va verso il «sì» alla manovra oggi in Senato, ricorrendo alla quarantanovesima richiesta di fiducia.
Ma la sensazione amara di avere perso inutilmente molto, troppo tempo, è difficile da cancellare. La spinta decisiva a aumentare l'Iva, l'Imposta sul valore aggiunto, dal 20 al 21 per cento è arrivata sotto la pressione di mercati sempre più scettici sulla credibilità del governo italiano; e di un presidente della Repubblica che ha quasi intimato al governo di «rafforzare l'efficacia e la credibilità» della manovra per arginare una deriva finanziaria tuttora non scongiurata.

I miliardi di euro bruciati in giorni di ripensamenti sono un atto di accusa contro la maggioranza. Per quanto la crisi tocchi l'intera zona dell'euro e investa gli Usa, la peculiarità dell'Italia è di aggravarla con la confusione politica. Le tensioni fra Silvio Berlusconi e il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, i veti della Lega, il pasticcio sulla riforma delle pensioni hanno prodotto un cortocircuito.
Il governo ne esce più indebolito di un mese fa, quando la BCE ha cominciato a comperare titoli di Stato per arginare l'aggressione da parte degli speculatori internazionali. Perfino la disastrata Spagna ieri si è ritenuta autorizzata a dare lezioni di serietà.
«Siamo molto preoccupati perché alcuni Paesi sono in una brutta situazione e non stanno rispettando i loro obiettivi: la Grecia e l'Italia, che si è rimangiata in pochi giorni il suo piano di aggiustamento», ha dichiarato il portavoce José Blanco. D'altronde, anche le decisioni di ieri sono state contrastate.

Tremonti si è opposto a lungo all'Iva al 21 per cento. Ne aveva spiegato le ragioni, a cominciare dai timori per l'inflazione.
Il fatto che Berlusconi l'abbia imposta dice quanto sia ridimensionato il ministro. Ma dice anche che erano necessari provvedimenti tali da garantire un gettito valutabile subito dai mercati. In più, lo scandalo che ha colpito il braccio destro di Tremonti, Marco Milanese, e che sarà discusso in Parlamento fra una settimana, ha ristretto i suoi margini. Ritenere che l'ultima versione della manovra significhi un recupero per i titoli pubblici italiani non è scontato.

La tassa per chi guadagna più di 300 mila euro l'anno ha un valore soprattutto simbolico, e comunque non tocca l'evasione fiscale.
Quanto alla legge costituzionale per abolire le Province, appare ancora più aleatoria negli effetti, visti i tempi biblici prevedibili per l'approvazione. Resta la richiesta di fiducia, motivata da Palazzo Chigi con «la gravità del contesto internazionale», per approvare finalmente la manovra: un buon motivo fornito a gran parte dell'opposizione per aderire allo sciopero solitario della Cgil, e additare l'ennesimo rifiuto del centrodestra a discutere.

Massimo Franco

07 settembre 2011

da - http://www.corriere.it/politica/nota/11_settembre_07/un-governo-indebolito-dalle-tensioni-interne-e-dal-tempo-perduto-massimo-franco_45ed1bc4-d90e-11e0-91da-5052c8bbe100.shtml
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« Risposta #155 inserito:: Settembre 13, 2011, 10:57:05 am »

La Nota

La tappa a Bruxelles non basta al Cavaliere preso tra due fuochi

Polemiche al Parlamento Ue, mentre non si ferma la bufera giudiziaria


Silvio Berlusconi non riesce a sfuggire alla tenaglia fra crisi economica e problemi giudiziari. Il modo in cui sta cercando di non farsi stritolare lo costringe ad acrobazie sempre più arrischiate. Il suo arrivo oggi a Bruxelles e Strasburgo per incontrare i vertici della Commissione e del Parlamento europeo è stato accompagnato da un alone di illazioni e polemiche. La decisione di chiedere un incontro con José Manuel Barroso, avanzata giovedì scorso, ha moltiplicato i sospetti di un sotterfugio per non essere interrogato dai magistrati: quelli che indagano sul ricatto al quale il presidente del Consiglio sarebbe stato sottoposto da chi è accusato di avergli procurato incontri femminili.

Ma mentre il premier difende il suo viaggio-lampo per spiegare all'Ue una manovra economica contrastata e oscillante, l'opposizione lo accusa di essere lui stesso un fattore di instabilità. Il Pdl continua a difenderlo, apparentemente in formazione compatta.
E rifiuta l'ipotesi di un passo indietro, sostenendo che aiuterebbe ancora di più gli speculatori internazionali. Ma la pressione aumenta, se non altro perché i mercati continuano a colpire l'euro; e nel contesto europeo l'Italia perde colpi. Gli scandali sono soltanto il versante aggiuntivo, sebbene ugualmente dannoso, di un affanno finanziario alimentato dalla scarsa credibilità del governo.

Ieri Berlusconi ha fatto mandare al capo della Procura di Napoli, che doveva sentirlo a palazzo Chigi, un promemoria per giustificare la sua assenza da Roma. «Ho ritenuto di andare a Bruxelles e Strasburgo», ha precisato, «per spiegare, carte alla mano, la manovra».
Per lui, lo scandalo dei rapporti con le persone che lo avrebbero ricattato sarebbe «un'assurdità». Resta fermo alla tesi secondo la quale avrebbe solo «aiutato una famiglia in difficoltà». Ma il Pd lo accusa di mettere in imbarazzo l'Europa. I sarcasmi e la freddezza con i quali è atteso a Bruxelles sono indizi preoccupanti. Il problema più insidioso, però, è il mancato incontro col procuratore Giovandomenico Lepore.
La possibilità che gli impedimenti del premier si ripetano lascia aperto il fronte con la magistratura. Nella settimana in cui le misure economiche dovrebbero essere approvate in via definitiva, forse giovedì, il governo è inseguito dalle questioni giudiziarie.
Si trova a fare i conti con le inchieste che riguardano Berlusconi, e con quella nella quale è coinvolto l'ex braccio destro del ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, Marco Milanese. Il deputato del Pdl, per il quale è stato chiesto l'arresto, oggi cercherà di difendersi nella giunta parlamentare. Ma l'arrivo di nuove carte sul ruolo di rilievo affidatogli nei rapporti con la Guardia di Finanza complica anche la posizione del ministro dell'Economia.

Non sorprende l'insistenza delle opposizioni nel chiedere «un passo indietro» da parte del presidente del Consiglio. Né meravigliano i colloqui, l'ultimo ieri a Monza, eletta dalla Lega a «capitale» della mitica Padania, fra Umberto Bossi e lo stesso Tremonti.
La sorte di Milanese è appesa infatti in buona parte all'atteggiamento che assumerà il Carroccio quando il Parlamento si pronuncerà sul suo arresto. A colpire, semmai, osserva il centrosinistra, è che l'incontro fra i due ministri sia stato dedicato all'organizzazione di alcuni seminari sul fisco, mentre le Borse vivevano un'altra giornata di passione. La via d'uscita non si vede ancora. Si percepisce solo un lento ma inesorabile logoramento del centrodestra. Sarebbe imprudente, tuttavia, pensare che le dimissioni di Berlusconi possano da sole migliorare la situazione: se non sono pronte soluzioni alternative credibili, è difficile capire perfino quale sia il male minore.

Massimo Franco

13 settembre 2011
da - http://www.corriere.it/politica/nota/11_settembre_13/la-nota-massimo-franco_3a2fb376-ddcf-11e0-aa0f-d391be7b57bb.shtml
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« Risposta #156 inserito:: Settembre 15, 2011, 10:30:51 am »

PENSARE PRIMA AL PAESE

Una situazione insostenibile

Dire che la situazione rimane in bilico, a questo punto, non basta più. Ieri, in qualche misura, il governo ha fatto un salto di qualità in negativo: al punto che c’è da chiedersi quanto possa andare avanti senza provocare danni seri all’Italia. La maggioranza è riuscita nel miracolo di approvare la manovra economica richiesta dalla Banca centrale europea senza quasi poterla rivendicare. E il risultato è passato in secondo piano non tanto perché i numeri parlamentari sono stati meno trionfali del passato.

A farlo scivolare nell’ombra è stato piuttosto lo scontro pubblico fra Palazzo Chigi e la Procura di Napoli sull’interrogatorio di Silvio Berlusconi; e quello invisibile, ma inquietante, fra il Quirinale e un presidente del Consiglio che per qualche ora ha accarezzato l’ipotesi di un decreto per impedire d’autorità la pubblicazione delle intercettazioni: anche se la presidenza della Repubblica tace, e Palazzo Chigi smentisce. I tafferugli provocati da un manipolo di estremisti dei Cobas davanti al Parlamento, dispersi dalle forze dell’ordine, aggiungono un tocco sinistro alla giornata. Lasciano capire che qualcuno comincia a soffiare in modo irresponsabile su una situazione ai limiti della sostenibilità.

Quelle scene di assedio alla Camera dei deputati dovrebbero imporre a tutte le forze politiche una condanna senza riserve e calcoli strumentali. Ma rimane l’immagine di un centrodestra incapace di dimostrare l’affidabilità e la serietà che l’opinione pubblica e i mercati finanziari pretendono. Dopo avere costruito una trincea ideologica intorno all’articolo 8 sulla flessibilità del mercato del lavoro, ieri il governo si è impegnato a modificarlo, accogliendo un ordine del giorno dell’opposizione. E sono riemerse ipotesi di condono fiscale ed edilizio per mano di un partito che si definisce, ironia della sorte, dei «Responsabili».

Provvedimenti tanto necessari quanto controversi nel prevedere più tasse che tagli alla spesa, sono stati approvati in una cornice di confusione e di tensione. E hanno offerto un’occasione ghiotta non solo agli speculatori ma anche alle agenzie di rating che potrebbero declassare finanziariamente l’Italia, già nei prossimi giorni. Sono scenari che il ripiegamento del governo su se stesso e sui problemi personali e giudiziari del presidente del Consiglio non scongiura, ma dilata. Si può comprendere il nervosismo di Berlusconi per lo stillicidio delle intercettazioni sul ricatto che ha subìto.

Ma pensare di schivare l’interrogatorio con i magistrati che vogliono conoscere la sua verità, finisce per insinuare un sospetto sulla linea di difesa del premier: tanto più se spunta la tentazione di ricorrere a soluzioni già percorse nel passato, e saggiamente abbandonate come forzature inaccettabili. Forse, più lucidità e riflessione, e meno precipitazione, consentirebbero alla coalizione berlusconiana di non commettere altri errori; e di non moltiplicare i fronti di guerra senza avere una percezione esatta della propria forza, e soprattutto della propria debolezza. Anche perché in questi giorni la fragilità del governo si riflette drammaticamente sull’Italia e sulla sua economia. E può determinare conseguenze pesanti delle quali la maggioranza dovrà dare conto anche all’elettorato.

Massimo Franco

15 settembre 2011 07:52© RIPRODUZIONE RISERVATA
da - http://www.corriere.it/editoriali/11_settembre_15/franco-una-situazione-insostenibile_3ec6ae5a-df58-11e0-b2a5-386afc6bc08a.shtml
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« Risposta #157 inserito:: Settembre 16, 2011, 11:58:46 am »

La Nota

La valanga giudiziaria e le tensioni nel Carroccio aumentano le incognite

Scontro totale fra premier e magistratura dopo le ultime intercettazioni

Sebbene sia l'unica cosa che conta davvero, la manovra economica sembra oscurata: travolta dalla valanga di intercettazioni e di veleni che scorrono fra il presidente del Consiglio e la magistratura. L'interrogatorio di Silvio Berlusconi come presunta vittima di un ricatto sui suoi incontri con ragazze da parte di Gianpaolo Tarantini e Valter Lavitola, non ci sarà. Il premier lo rifiuta perché i magistrati della Procura di Napoli non si sono accontentati della sua memoria difensiva; e dunque si ritiene perseguitato. Non solo. La sua imputazione decisa ieri dalla magistratura di Milano per il caso Unipol e la notizia che sarebbero state registrate oltre 100 mila telefonate, acuisce i sospetti e la rabbia del capo del governo.

Che effetto tutto questo possa avere sulla credibilità dell'Italia è prevedibile: negativo. Per capire l'eventuale impatto sui titoli di Stato italiani, invece, sarà necessario aspettare. Ieri il Financial Times rilanciava l'ipotesi di un prossimo declassamento dell'Italia. Eppure, non andrebbe considerato troppo «significativo», essendo frutto del «nervosismo dei mercati». Per ora i contraccolpi di quanto avviene si scaricano nel recinto della maggioranza: scosse contraddittorie ma continue.

Così, Berlusconi continua a prosciugare il Fli di Gianfranco Fini, provando a portargli via tre deputati. Ma ritorna l'incognita dell'alleanza con la Lega. Un articolo pepato di Panorama sulla moglie di Umberto Bossi è stato definito «una carognata» dai ministri Roberto Maroni e Roberto Calderoli, che ne hanno chiesto conto al premier come editore del settimanale. E questa tensione a pochi giorni dal voto parlamentare sull'arresto di Marco Milanese, ex braccio destro di Giulio Tremonti, aumenta le incognite sulla tenuta del centrodestra. Se qualcuno ottenesse lo scrutinio segreto, la prospettiva che l'ex consigliere del ministro dell'Economia finisca in prigione diventerebbe probabile.

E di rimbalzo si farebbe complicata anche la posizione di Tremonti. Ma forse, il problema più spinoso sono gli equilibri dentro la Lega e la leadership declinante di Bossi. Gli attacchi alla famiglia del capo dei lumbard vanno letti più come il prodotto delle faide in atto nel Carroccio, a cominciare dalla lotta per la successione, che come una manovra berlusconiana. Mai come in questa fase il presidente del Consiglio ha bisogno che il suo principale alleato tenga in mano il partito: una capacità non più così scontata. Se smotta la sponda rappresentata da Bossi, la fine del governo sarebbe inevitabile.

L'impressione, invece, è che ormai nessuno dei leader del centrodestra controlli per intero il suo esercito. Le dinamiche che si sono messe in moto privilegiano le contestazioni. Basta registrare le proteste contro la manovra economica da parte di alcuni sindaci leghisti, o i piani più o meno vistosi di esponenti del Pdl per arrivare a un governo senza più Berlusconi a palazzo Chigi. Si tratta di un dissenso destinato a non arrivare alla rottura fino al momento in cui, per un incidente o per qualche imprevisto, il governo dovesse cadere. Solo a quel punto esploderà. Anche se Berlusconi non cederà fino all'ultimo, asserragliato a palazzo Chigi: costi quello che costi.

Massimo Franco

16 settembre 2011
da - http://www.corriere.it/politica/nota/11_settembre_16/nota_c487061e-e027-11e0-aaa7-146d82aec0f3.shtml
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« Risposta #158 inserito:: Settembre 22, 2011, 04:58:17 pm »

PARALISI POLITICA, IMMAGINE ESTERA

Un pericoloso isolamento

Si può anche concedere che Barack Obama sia stato sgarbato con l’Italia. Ringraziare davanti all’Assemblea delle Nazioni unite Lega araba, Egitto, Tunisia, Francia, Danimarca, Norvegia e Gran Bretagna per il ruolo svolto in Libia contro il regime di Gheddafi, dimenticando il governo di Roma, è un’amnesia singolare. Ma sottolineare l’omissione di un presidente degli Stati Uniti che vive lui stesso un momento di seria difficoltà non basta a eludere una domanda di fondo: perché l’inquilino della Casa Bianca non sente il bisogno di dire grazie anche a un’Italia immersa nel Mediterraneo?

Trovare una risposta confortante non è facile. Riesce impossibile sfuggire alla sensazione di un isolamento crescente del nostro Paese, che tende a essere trattato come il comodo capro espiatorio dei problemi dell’Occidente; e in particolare dell’Europa. Non ci si può non chiedere se un simile atteggiamento sia favorito anche dagli errori del governo di Silvio Berlusconi: dalle oscillazioni sull’operazione in Libia a quelle sulla manovra economica, fino alla tesi autoconsolatoria di un complotto anti-italiano. La verità è che dopo la perdita di ruolo che la Guerra fredda regalava all’Italia, certi atteggiamenti non le sono più consentiti.

E in una fase come l’attuale diventano imperdonabili. Quando si accredita un nostro ruolo in politica estera superiore alla realtà dei rapporti di forza, alla lunga il risveglio è brusco. Molto meglio guardare in faccia l’isolamento e individuarne l’origine; e smetterla di fingere che esista ancora una maggioranza politica e di fare piani per l’eternità: perfino nel centrodestra ormai c’è chi misura l’eternità del governo in termini di mesi ma anche di giorni. Il convulso tramonto del berlusconismo e l’involuzione della Lega non sono meno vistosi solo perché per Pdl e Carroccio non esistono alternative alla loro alleanza.

Purtroppo è vero che l’opposizione non offre molto. E l’evocazione lugubre di Antonio Di Pietro, secondo il quale se Berlusconi non getta la spugna «ci scappa il morto », non contribuisce ad alzarne le quotazioni: lo ammette anche il Pd, spaventato da un suo alleato che semina i germi di una guerra civile strisciante. Ma questo non basta a cancellare il sospetto che, comunque vada oggi la votazione segreta del Parlamento sull’arresto di Marco Milanese, ex braccio destro del ministro dell’Economia Giulio Tremonti, il governo sta concludendo la sua traiettoria.

Lo scontro virulento fra Palazzo Chigi e magistratura contribuisce a offrire all’opinione pubblica italiana e internazionale l’immagine di un’Italia immobilizzata e sfigurata dalle proprie faide interne. Somiglia a una sorta di conflitto tribale, nel quale l’istinto di sopravvivenza del centrodestra finisce per apparire insieme una risorsa e un limite: quasi un alibi per scansare i veri problemi. Protrarre nel tempo una situazione così tesa mentre la crisi finanziaria morde i risparmi, tuttavia, è rischioso. Più la conclusione sarà rinviata, più il «dopo» segnerà una rottura. E, alla fine, la realtà potrebbe prendersi una rivincita traumatica per tutti.

Massimo Franco

22 settembre 2011 07:52
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« Risposta #159 inserito:: Settembre 24, 2011, 11:51:45 am »

La Nota

Resistere a oltranza per contrastare i pm e snobbare i mercati

Il governo ignora Standard & Poor's e si prepara allo scontro con i pm


Il governo non dice che andrà avanti come se niente fosse, ma l'atteggiamento continua ad essere quello di minimizzare: minimizzare e resistere. La tendenza è scaricare sulla crisi finanziaria europea, sull'opposizione e sui giornali il declassamento dell'Italia deciso l'altra sera da una delle agenzie che controllano l'affidabilità finanziaria di una nazione, Standard & Poor's ; e a liquidare come ennesimo incidente di percorso le cinque bocciature del governo alla Camera. I resoconti della riunione fra Giulio Tremonti e una Confindustria ormai tentata di chiedere le dimissioni del governo, raccontano un ministro dell'Economia sbrigativo nel rifiuto di misure «dettate dall'emotività», perché a suo avviso la tenuta dell'euro ormai dipende dalla Germania; e tagliente contro le critiche degli imprenditori. Ma c'è un'incognita giudiziaria che si aggiunge a quella dell'economia.

Domani il Parlamento deciderà se autorizzare o no l'arresto di Marco Milanese, il deputato del Pdl ex braccio destro proprio di Tremonti. Ed è inutile dire che la richiesta del voto segreto da parte di quasi tutta l'opposizione aumenta la possibilità di un esito sfavorevole alla coalizione. Una Lega divisa e di nuovo secessionista, alla quale ieri il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, ha rimproverato di essere «fuori dalla storia e dalla realtà», non è in grado di garantire nessuno. E sebbene il ministro dell'Interno, Roberto Maroni prometta fedeltà e lealtà a Umberto Bossi, non è scontato che il suo gruppo voti «no» all'arresto. Ma soprattutto non si sa come si comporteranno alcuni esponenti del Pdl.

Quando il ministro Ignazio La Russa avverte che l'affossamento di Milanese non metterebbe automaticamente nei guai anche Tremonti, lascia capire che i timori nella maggioranza sono profondi: il titolare dell'Economia ha qualche nemico. Il tentativo del centrodestra è quello di additare la magistratura come un potere ostile a Silvio Berlusconi: soprattutto dopo che ieri la Procura di Napoli ha deciso di trasmettere gli atti ai colleghi di Roma, ai quali spetta la competenza di indagare sul presunto ricatto al premier; e dopo che di recente i giudici di Milano hanno deciso di ridurre il numero dei testimoni nel processo Mills, dove Berlusconi invece è imputato, per anticipare al massimo la sentenza.

Sostenere che il governo è debolissimo, come fa il presidente della Camera, Gianfranco Fini, non basta a fotografare una situazione drammatica, e alimenta le polemiche. E la constatazione di Pier Ferdinando Casini, leader dell'Udc, secondo il quale la maggioranza è «inaiutabile», non modifica l'atteggiamento di un centrodestra deciso a non gettare la spugna. L'ipotesi che dentro il Pdl qualcuno riesca a indurre il presidente del Consiglio a dimettersi, come spera anche il Pd, ormai è solo di scuola. Maroni ripete che l'alleanza fra Lega e Pdl porterà il Paese fino al termine della legislatura, nel 2013. «Non ci sono alternative». Ma la domanda è come; e soprattutto in quali condizioni l'Italia si ritroverà se dovesse continuare il martellamento parallelo delle inchieste giudiziarie e della crisi finanziaria.

La notizia fornita ieri dai virtuosi di statistiche, quella che il governo è stato battuto per l'ottantottesima volta in Parlamento, fa pensare. Verrebbe da dire che è ancora lì, nonostante tutto: fragilissimo eppure infrangibile. Ora, però, il contesto nazionale e internazionale sono diversi: rendono meno rumorosi quei tonfi, ma più precarie le prospettive. Il problema non sembra più la tenuta della maggioranza, ma l'effetto che può avere sui mercati finanziari. È un vantaggio o un danno? Berlusconi è ostinato ad andare avanti. Vuole contrastare «le Procure» e prepararsi a una futuribile fase di crescita: per questo domani riunirà gli alleati. Il suo obiettivo è arrivare a Natale, per impedire altri governi. Ma il 25 dicembre appare lontano.

Massimo Franco

21 settembre 2011
da - http://www.corriere.it/politica/nota.shtml
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« Risposta #160 inserito:: Ottobre 01, 2011, 04:48:31 pm »

LA NOTA

Un Colle interventista addita l’involuzione di un partito in crisi

Le reazioni infuriate della Lega e l’imbarazzo del governo

Parole così sferzanti nei confronti della Lega non si ricordavano da tempo. Ma se il presidente della Repubblica ha deciso di pronunciarle, significa che qualcosa è cambiato non tanto in Giorgio Napolitano ma nel movimento di Umberto Bossi. È finita quell’«evoluzione positiva» che il capo dello Stato aveva assecondato a partire dal 2006: l’abbandono dei progetti visionari e velleitari del professor Gianfranco Miglio, ideologo della secessione del Nord padano dall’Italia. E si cominciano invece a notare i segni di un’involuzione. Un Carroccio reduce dalla sconfitta elettorale alle amministrative di maggio sbanda, lacerato fra l’identità di partito ministeriale e di lotta. E torna ai vecchi miti. Ma il Quirinale indovina anche un cambiamento più profondo, nel Paese: le perplessità nei confronti di una legge elettorale che non accorcia ma dilata le distanze fra la classe politica e chi la vota. E ne chiede una nuova.

Così, in un solo giorno Napolitano ha infranto due tabù. Il primo è un altolà che sembra fatto per riportare Bossi sulla strada di un leghismo responsabile; per impedirgli di inseguire una deriva destinata a rendere il principale alleato di Silvio Berlusconi una forza che va contro «il corso della storia». D’altronde, per un Quirinale che negli ultimi anni ha coltivato un dialogo rispettoso e costante con la Lega, il rinculo di Bossi su posizioni passatiste e di rottura dell’unità d’Italia è inaccettabile. L’ammonimento a rispettare la Costituzione e a non accarezzare operazioni che a Sud si chiamavano separatiste, è accompagnato da una durezza che somiglia ad uno schiaffo.

Non esiste una via democratica alla secessione, avverte il presidente della Repubblica, come non esiste «il popolo padano». «Sono grida che si levano dai prati con scarsa conoscenza della Costituzione», ironizza a proposito dell’ultimo raduno a Pontida. E lascia capire che se «dalle grida, dalla propaganda, dallo sventolio di bandiere si passasse ad atti preparatori di qualcosa di simile alla secessione, tutto cambierebbe». Napolitano ricorda quando alla fine della Seconda guerra mondiale lo Stato italiano in embrione arrestò il separatista Andrea Finocchiaro Aprile, che vagheggiava l’indipendenza della Sicilia. È un accostamento che assimila tentazioni vissute nel Mezzogiorno come al Nord.

E colpisce una Lega già in difficoltà: contestata dai militanti per l’appiattimento sul governo; divisa sul dopo- Bossi; e senza una strategia per il futuro. Al punto che c’è da chiedersi quali effetti l’esternazione del capo dello Stato avrà sulla maggioranza. Il silenzio di Berlusconi dimostra tutto l’imbarazzo di Palazzo Chigi, che non può applaudire Napolitano senza rischiare la lite col Carroccio. E le reazioni infuriate e grevi che rimbalzano su Radio Padania e in qualche commento dei vertici leghisti contro il Quirinale confermano un partito con i nervi scoperti; e spiazzato dall’attacco diretto che un Napolitano all’apice della popolarità sferra su un tema popolare come l’unità d’Italia. Ma è altrettanto insidioso l’appello presidenziale ad una riforma del sistema elettorale. Si tratta del secondo tabù che il capo dello Stato rompe.

Consigliare una nuova legge perché l’attuale «ha interrotto un rapporto che esisteva fra elettore ed eletto», intercetta un’insoddisfazione diffusa. Dà ragione a quanti vedono deputati e senatori oggi di fatto designati dalle segreterie di partito e non scelti dagli elettori. «Non voglio idoleggiare sistemi elettorali del passato», si schermisce Napolitano, «ma solo dire che prima c’era un collegamento più diretto». Sembra un invito al Parlamento a rimediare, prima che a primavera si celebri un referendum promosso con una forte caratura antipolitica; e una implicita rivalutazione dei sistemi del passato, compreso quello delle preferenze, cancellato dal referendum del 1993 e demonizzato come un simbolo della Prima Repubblica. In una fase in cui anche la Seconda Repubblica mostra tutte le sue rughe, non ci sono più ricette esclusive.

Massimo Franco

01 ottobre 2011
da - http://www.corriere.it/politica/nota.shtml
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« Risposta #161 inserito:: Ottobre 06, 2011, 05:02:45 pm »

LA NOTA

Un Colle interventista addita l’involuzione di un partito in crisi

Le reazioni infuriate della Lega e l’imbarazzo del governo

Parole così sferzanti nei confronti della Lega non si ricordavano da tempo. Ma se il presidente della Repubblica ha deciso di pronunciarle, significa che qualcosa è cambiato non tanto in Giorgio Napolitano ma nel movimento di Umberto Bossi. È finita quell’«evoluzione positiva» che il capo dello Stato aveva assecondato a partire dal 2006: l’abbandono dei progetti visionari e velleitari del professor Gianfranco Miglio, ideologo della secessione del Nord padano dall’Italia. E si cominciano invece a notare i segni di un’involuzione. Un Carroccio reduce dalla sconfitta elettorale alle amministrative di maggio sbanda, lacerato fra l’identità di partito ministeriale e di lotta. E torna ai vecchi miti. Ma il Quirinale indovina anche un cambiamento più profondo, nel Paese: le perplessità nei confronti di una legge elettorale che non accorcia ma dilata le distanze fra la classe politica e chi la vota. E ne chiede una nuova.

Così, in un solo giorno Napolitano ha infranto due tabù. Il primo è un altolà che sembra fatto per riportare Bossi sulla strada di un leghismo responsabile; per impedirgli di inseguire una deriva destinata a rendere il principale alleato di Silvio Berlusconi una forza che va contro «il corso della storia». D’altronde, per un Quirinale che negli ultimi anni ha coltivato un dialogo rispettoso e costante con la Lega, il rinculo di Bossi su posizioni passatiste e di rottura dell’unità d’Italia è inaccettabile. L’ammonimento a rispettare la Costituzione e a non accarezzare operazioni che a Sud si chiamavano separatiste, è accompagnato da una durezza che somiglia ad uno schiaffo.

Non esiste una via democratica alla secessione, avverte il presidente della Repubblica, come non esiste «il popolo padano». «Sono grida che si levano dai prati con scarsa conoscenza della Costituzione», ironizza a proposito dell’ultimo raduno a Pontida. E lascia capire che se «dalle grida, dalla propaganda, dallo sventolio di bandiere si passasse ad atti preparatori di qualcosa di simile alla secessione, tutto cambierebbe». Napolitano ricorda quando alla fine della Seconda guerra mondiale lo Stato italiano in embrione arrestò il separatista Andrea Finocchiaro Aprile, che vagheggiava l’indipendenza della Sicilia. È un accostamento che assimila tentazioni vissute nel Mezzogiorno come al Nord.

E colpisce una Lega già in difficoltà: contestata dai militanti per l’appiattimento sul governo; divisa sul dopo- Bossi; e senza una strategia per il futuro. Al punto che c’è da chiedersi quali effetti l’esternazione del capo dello Stato avrà sulla maggioranza. Il silenzio di Berlusconi dimostra tutto l’imbarazzo di Palazzo Chigi, che non può applaudire Napolitano senza rischiare la lite col Carroccio. E le reazioni infuriate e grevi che rimbalzano su Radio Padania e in qualche commento dei vertici leghisti contro il Quirinale confermano un partito con i nervi scoperti; e spiazzato dall’attacco diretto che un Napolitano all’apice della popolarità sferra su un tema popolare come l’unità d’Italia. Ma è altrettanto insidioso l’appello presidenziale ad una riforma del sistema elettorale. Si tratta del secondo tabù che il capo dello Stato rompe.

Consigliare una nuova legge perché l’attuale «ha interrotto un rapporto che esisteva fra elettore ed eletto», intercetta un’insoddisfazione diffusa. Dà ragione a quanti vedono deputati e senatori oggi di fatto designati dalle segreterie di partito e non scelti dagli elettori. «Non voglio idoleggiare sistemi elettorali del passato», si schermisce Napolitano, «ma solo dire che prima c’era un collegamento più diretto». Sembra un invito al Parlamento a rimediare, prima che a primavera si celebri un referendum promosso con una forte caratura antipolitica; e una implicita rivalutazione dei sistemi del passato, compreso quello delle preferenze, cancellato dal referendum del 1993 e demonizzato come un simbolo della Prima Repubblica. In una fase in cui anche la Seconda Repubblica mostra tutte le sue rughe, non ci sono più ricette esclusive.

Massimo Franco

01 ottobre 2011
da - http://www.corriere.it/politica/nota.shtml
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« Risposta #162 inserito:: Ottobre 12, 2011, 11:07:53 am »

Governo battuto sul rendiconto generale

L'implosione

   
Il tonfo è stato imprevisto. Ma i contraccolpi a catena confermano che la situazione della maggioranza è compromessa da tempo. Le trincee scavate negli ultimi giorni da Silvio Berlusconi per resistere si sono polverizzate al primo colpo venuto, si badi bene, dall'interno del centrodestra e non dai suoi avversari. Adesso, niente intercettazioni e niente condono, annuncia la Lega: i due ganci ai quali il presidente del Consiglio si aggrappava per blindarsi e rilanciare sono dunque caduti. Non è detto che si vada alla crisi, nonostante la richiesta legittima delle opposizioni. Ma esiste il rischio concreto di una paralisi istituzionale.

Non sarà facile rimediare alla bocciatura in Parlamento della legge sul Rendiconto generale dello Stato. Il tentativo di riformularla e approvarla quanto prima dopo che ieri è stata respinta per un voto e per le assenze di ministri e parlamentari di Pdl e Carroccio, è disperato; e la tesi dell'incidente e non del complotto suona verosimile. Ma per paradosso questa è un'aggravante, non un'attenuante: significa che una crisi può «accadere» in ogni momento, e portare perfino al voto anticipato. Né Berlusconi, né Umberto Bossi hanno capito la posta in gioco; e comunque, non sono stati in grado di controllare le proprie truppe parlamentari. Non bastasse, un intoppo del genere non ha precedenti.

Si annuncia così un groviglio giuridico che risucchierà il centrodestra in un labirinto di norme, in apparenza senza uscita. Come minimo, il governo dovrà verificare se gode ancora della fiducia del Parlamento. Ed è stato sconfitto proprio nel momento in cui Berlusconi tenta di accreditare un Esecutivo solido, capace di arrivare al 2013: una coalizione senza alternative, continua a ripetere e a far dire agli alleati. Ma riletta sullo sfondo di quanto è successo, questa verità minaccia di essere un ulteriore handicap per un'Italia sorvegliata speciale dell'Europa e dei mercati finanziari. Il segnale trasmesso ieri è di precarietà e incertezza: l'habitat naturale degli attacchi speculativi, e un contributo a corrodere la credibilità residua della maggioranza.

È questo contesto sfilacciato a conferire all'incidente dimensioni destabilizzanti. La Lega che annuncia il «no» alla legge sulle intercettazioni e boccia il condono, smonta l'ottimismo d'ufficio del premier. Se anche si riuscirà a venire a capo del pasticcio creatosi col capitombolo parlamentare di ieri, cosa tutt'altro che sicura, rimane intatta la questione politica: una maggioranza inutilmente straripante di numeri. Il suo guaio continua ad essere quello di credere ad una realtà virtuale scissa dal logoramento, quasi dalla macerazione che la coalizione berlusconiana sta soffrendo. Ormai è evidente che la sua implosione è più rapida e devastante di qualunque complotto. Eppure, il premier si ostina pericolosamente a ignorarla.

Massimo Franco

12 ottobre 2011 09:10© RIPRODUZIONE RISERVATA
da - http://www.corriere.it/editoriali/11_ottobre_12/l-implosione-massimo-franco_707d55e4-f492-11e0-a9a5-9e683f522ea7.shtml
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« Risposta #163 inserito:: Ottobre 12, 2011, 11:09:19 am »

LA NOTA

Il tandem del Nord complica la strategia della sopravvivenza

Resistere: alla magistratura, agli alleati tentati dalla rottura, a Giulio Tremonti e perfino a Germania e Francia che tentano di mettere ai margini l’Italia. Il tono è di chi intima ai nemici, tanti ormai: noi siamo qui, e non cederemo di un millimetro. Silvio Berlusconi è intenzionato a perseguire una strategia del muro di gomma contro il quale dovrebbero rimbalzare tutte le manovre per farlo cadere. La decisione del Guardasigilli, Francesco Nitto Palma, di inviare ispettori alla Procura di Napoli per indagare sulle inchieste che riguardano il capo del governo, risponde alle sollecitazioni del Pdl.

Il fastidio col quale quello degli Esteri, Franco Frattini, reagisce al «direttorio di fatto» tra Germania e Francia, riflette la frustrazione di Palazzo Chigi di fronte a un’emarginazione rispetto alle scelte dell’Ue. E gli attacchi del capogruppo del Pdl alla Camera, Cicchitto, contro il ministro dell’Economia «Savonarola», confermano non tanto che Tremonti è a rischio, ma che il decreto sullo sviluppo è in alto mare. Il risultato è che il bunker del premier appare sempre più assediato; ma anche che la sua determinazione aumenta, alimentata dalla disperazione. Il centrodestra non sembra credere allo strappo di Giuseppe Pisanu, Claudio Scajola e la loro pattuglia parlamentare; e comunque ritiene di essere in grado di arginarlo, renderlo inoffensivo. Non teme neanche l’offensiva dei centristi di Pier Ferdinando Casini, che pongono come condizione per entrare nella maggioranza l’uscita di scena di Berlusconi: condizione «impraticabile », secondo il segretario del Pdl, Angelino Alfano. La conclusione, a sentire la cerchia del Cavaliere, è che si va avanti senza scosse fino al termine della legislatura. Ma tutti sanno che le scosse sono appena cominciate: nel partito di maggioranza e nella Lega. E una via d’uscita non c’è: comunque, non è quella indolore accarezzata a Palazzo Chigi.

I colloqui ostentati fra Umberto Bossi e Tremonti trasmettono plasticamente l’immagine di un ministro dell’Economia che si fa forte dei rapporti col Carroccio per frustrare i piani di crescita berlusconiani. È come se lo incontrasse per smontare con lui le ipotesi costruite a tavolino dal presidente del Consiglio. Non basta che il Pdl continui ad attaccare Tremonti. Il problema non sta nel rapporto pessimo fra lui e Berlusconi; il problema è come ufficializzare l’incompatibilità senza rompere con un Bossi peraltro incapace, ormai, di garantire la compattezza del suo stesso movimento. L’esito dell’incontro di ieri a Milano è stato un «no» sonoro all’ipotesi di un condono che il Pdl e Berlusconi vogliono, e Tremonti ostacola, tirando dalla propria parte il Senatur. Dire che il decreto sviluppo si può fare «a costo zero» significa l’ennesimo schiaffo a Palazzo Chigi. È questo «tandem del Nord» fra Bossi e Tremonti a rendere più evidenti la precarietà del centrodestra e della legislatura; e velleitaria la pretesa di andare avanti come se niente fosse. È un pantano nel quale il premier sa muoversi: blandendo i dissidenti; sondando le loro ambizioni; prendendo tempo. Nella sua visione, ogni giorno guadagnato dal governo è una piccola vittoria sugli avversari.

Ma in parallelo l’Unione europea tende a consolidare un asse Merkel-Sarkozy che sconta la perdita di peso dell’Italia. E soprattutto la espone ad altri attacchi finanziari speculativi. Casini pungola, senza crederci troppo, i vertici del Pdl. «Se Alfano non fa l’avvocato difensore di Berlusconi, ma guarda in faccia la realtà, vedrà disoccupati che aumentano, famiglie che non ce la fanno, mentre il governo rinvia il decreto sviluppo che ha promesso un mese fa. Questa paralisi », dice, «l’Italia non se la può permettere». Eppure la subisce, come conseguenza di una politica del giorno per giorno che si ostina al muro contro muro con la magistratura; e ripropone in extremis una legge per impedire la pubblicazione delle intercettazioni che riguardano la vita privata di Berlusconi. Senza una strategia, e probabilmente senza più la speranza di averne una, tranne quella di durare ancora un po’.

Massimo Franco

11 ottobre 2011

da - http://www.corriere.it/politica/nota.shtml
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« Risposta #164 inserito:: Ottobre 17, 2011, 05:14:58 pm »

Il governo ottiene la fiducia alla Camera

Limbo Insidioso


La forza con la quale Silvio Berlusconi rivendica la vittoria parlamentare di ieri forse dipende anche dalla consapevolezza che non otterrà più la fiducia da una parte dei propri parlamentari. È comprensibile che il centrodestra voglia dare un'impressione di operosità, e c'è da sperare davvero che faccia qualcosa per tamponare la crisi economica. Ma l'infornata di incarichi sottoministeriali appena decisa da Palazzo Chigi appare il contrario di quanto serve all'Italia. Siamo entrati nella fase finale della legislatura. Adesso, la preoccupazione principale dovrebbe essere quella di limitare i danni.

Di qui all'inizio del 2012, quando è probabile l'apertura di una crisi e il Quirinale potrebbe essere costretto a sciogliere le Camere, si profila un limbo insidioso. Due mesi e mezzo sono nulla. Ma si rivelano un periodo lungo quando un Paese, già esposto ad una crisi finanziaria globale, è sovraesposto da un surplus di debolezza e incertezza nazionali. Non solo. L'aria di smobilitazione che viene dalla maggioranza e l'aggressività delle opposizioni lasciano prevedere settimane nelle quali sarà difficile parlare di unità e di sforzi comuni. Il lascito di una legislatura che sembrava dovesse essere trionfale per il centrodestra, si avvia così ad una conclusione sconcertante.

Il Pdl rischia di trasformarsi in un partito balcanizzato, quasi frantumato in gruppi di potere personale che cercano di capire quale sia la posizione più vantaggiosa da assumere in vista del dopo Berlusconi. La Lega vive il dramma del declino della leadership di Umberto Bossi. E offre per la prima volta l'immagine di un'oligarchia che marca il fondatore del Carroccio soprattutto per condizionare la lotta di successione. Non è nemmeno chiaro chi sarà, in caso di elezioni, il candidato a Palazzo Chigi. L'attuale presidente del Consiglio contribuisce a questa confusione, lasciando lievitare le voci sul suo ritiro, senza però ufficializzarlo.

Nel centrosinistra la confusione non è minore. L'unico comandamento condiviso, come al solito, è la determinazione a sloggiare Berlusconi: a costo di collezionare brutte figure. Anche ieri l'opposizione si è illusa che mancasse il numero legale, e il premier l'ha spuntata. Per il resto è divisa. Fautori e avversari di un «governo di transizione» si sono affrontati per settimane. L'ipotesi si è rivelata impossibile, come accade spesso quando finisce non un governo ma una stagione politica. E l'alternativa non ha un contorno chiaro. Fra cartello delle sinistre e offerte all'Udc, non si sa quale alleanza sfiderà il centrodestra; e dunque chi la guiderà.

Il vuoto e la confusione con i quali l'Italia sarà costretta a fare i conti fino a dicembre danno qualche brivido. C'è solo da sperare che si capisca quanto sia impopolare andare al voto col vecchio sistema elettorale, dopo la richiesta di cambiarlo per referendum, sottoscritta da oltre un milione di persone; e che si riconosca e si assecondi il ruolo di un Quirinale che finora è riuscito miracolosamente a schivare gli strattoni, mantenere un profilo imparziale e farsi rispettare da tutti. Probabilmente non basta, ma può essere un modo per evitare che nei prossimi mesi l'Italia si faccia del male, diventando un facile bersaglio internazionale.

Massimo Franco

15 ottobre 2011 09:24© RIPRODUZIONE RISERVATA
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