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Autore Discussione: Il leader Cgil: «nuova alitalia, Si deve trattare su tutto»  (Letto 2839 volte)
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« inserito:: Settembre 02, 2008, 10:05:49 pm »

Il leader Cgil: «nuova alitalia, Si deve trattare su tutto»

Epifani: no al gioco "prendere o lasciare"

«Ai nuovi soci il governo offre convenienza cambiando le regole, riducendo organici e garanzie contrattuali»

 

ROMA — Dunque, ci siamo. Silvio Berlusconi ha detto quello che molti pensavano, e cioè che volente o nolente, stavolta il sindacato dovrà mandare giù il calice amaro. E se non è una manfrina, ne vedremo delle belle. La prova? «Non ingoiamo niente», avverte Guglielmo Epifani.

Si parte in salita...
«A chi dice prendere o lasciare dico: non esiste. È una trattativa vera appena iniziata. Non conosciamo il piano e come abbiamo sempre detto, vogliamo definire un profilo di una compagnia che non sia solo regionale ma con ambizioni internazionali».

Buona fortuna.
«Diversamente non avrebbe senso mettere soldi pubblici. Si deve ripartire dai punti su cui non si chiuse con Air France: qualità e quantità della flotta e dei collegamenti, soprattutto internazionali. E poi il perimetro aziendale, con una particolare attenzione all'occupazione a Roma, Napoli e Milano perché ci sono funzioni come manutenzione e motori che non possono restare fuori».

Non conosciamo il piano, ha detto. Non lo conoscete sul serio?
«Ogni tanto Corrado Passera ci ha detto qualcosa, informalmente. Ma questo da più di un anno. Perché da più di un anno lavorava a questa soluzione. L'aveva proposta anche durante il governo Prodi».

Perché non l'accettarono?
«Non lo so. Lui era convinto che si potesse risanare l'Alitalia integrandola con Air one».

E voi?
«Anche noi abbiamo sempre visto favorevolmente una integrazione. Perché una soluzione per l'Alitalia ha ripercussioni su Air one e per noi i lavoratori di Air one contano come quelli di Alitalia».

Di certo, il governo Prodi cercò imprenditori disposti a mettere una lira nell'Alitalia. E non li trovò. Invece Berlusconi sì. Come lo spiega?
«Una parte ha accettato forse perché ha altri interessi, penso soprattutto a quelli immobiliari. Altri sono legati ai regimi di concessione. Poi c'è chi ha un esplicito conflitto d'interessi, come Benetton, azionista di Aeroporti di Roma...».

Non crede nella sincerità di Roberto Colaninno?
«Colaninno mi pare il più sincero di tutti. Non fosse altro perché è il più esposto. In fondo è lui che ha da rimetterci di più, accollandosi il rischio della gestione».

A sinistra c'è chi considera lui e Passera addirittura dei traditori.
«La categoria dei traditori è sempre sbagliata, nei confronti di chiunque venga usata. Ciò detto, gli imprenditori italiani sono questi, e sono così. Bisogna prenderne atto, senza illusioni».

Che cosa vuol dire sono così?
«Attenti ai loro interessi».

Non che con Prodi fossero disattenti. Che cosa è cambiato da allora?
«Bisognerebbe chiedere a loro perché all'epoca molti dissero di no. Marco Tronchetti Provera, per esempio, mi pare non fosse entusiasta. Forse oggi le imprese tornano a essere filogovernative».

Una volta era la regola...
«Ma oggi c'è un governo che fa capire di voler essere interventista in economia. Perciò chi si aspetta qualche sostegno può immaginare di ricavarne vantaggi. In più, si propone loro un quadro di assoluta convenienza cambiando tutte le regole, riducendo organici e garanzie contrattuali».

Dica la verità, sotto sotto questa situazione non può essere un vantaggio anche per il sindacato?
«No. Noi vogliamo imprenditori che scommettono sul rilancio dell'azienda. Perché un imprenditore che lo fa per altri fini, con il variare delle condizioni può variare il suo interesse».

Teme che questo possa accadere?
«Vediamo. Non sono d'accordo con Colaninno quando dice: il quadro delle regole è questo, noi ne approfittiamo. Le regole non possono essere fatte ad hoc per ogni situazione. Se è così il mercato è senza leggi. I nostri imprenditori in questa fase sono attenti più al loro tornaconto che alle regole».

C'è chi direbbe: fanno soltanto il loro mestiere.
«Anche la presenza di Marcegaglia, cioè dell'azienda del presidente di Confindustria, nel momento in cui si fanno regole ad hoc si espone a questo problema. Ecco il punto debole, che avrà ricadute se e come come verrà fatto il patto di controllo dell'azienda».

Patto di controllo?
«Diversamente non capisco come si potrebbe governare un'azienda con un capitale così frammentato. Sarà necessario un nucleo stabile, che leghi fra di loro chi nutre un vero interesse nel rilancio dell' Alitalia. Il rischio è che si arrivi altrimenti all'ennesimo bizantino patto di sindacato senza una guida certa».

Le opinioni sono sacre.
«Ecco. Mi piacerebbe e sarebbe più corretto che chi ha secondi fini o conflitti d'interessi fosse ai margini del patto di controllo».

Alla fine non ho capito se questa operazione la convince oppure no.
«Nell'impresa di oggi contano le difficoltà del mercato e la determinazione degli azionisti. Qui la determinazione degli azionisti è da verificare per una parte di essi».

Veniamo alle difficoltà del mercato.
«Si è aperta una nuova stagione di aggregazioni. Questo implica la scelta di un vettore internazionale con cui si faccia un discorso chiaro».

C'era: Air France-Klm.
«Quella finiva per essere un'acquisizione. Perché Iberia può fare una fusione con British e Alitalia deve essere acquisita da Air France?».

Indovino: forse perché Alitalia è fallita e Iberia invece no?
«Ma il mercato italiano è interessante. E se si può evitare di essere solo acquisiti... perché non c'è dubbio che ci siano degli interessi della comunità nazionale. Prendiamo i Paesi del G8, in tutti c'è una compagnia nazionale sovrana nel loro Paese. Vorrà dire qualcosa?».

Forse che l'Italia stessa sta a fatica nel G8?
«Probabilmente, se dovessimo prendere a riferimento il trasporto aereo, nel G8 saremmo certamente un'anomalia. Lo sa che cosa mi è toccato vedere su un volo della Delta, che è una compagnia alleata dell'Alitalia? Ti danno un foglietto sul quale vengono decantati i vini tedeschi, argentini... e niente sui vini italiani».

E si stupisce? Forse il problema non è soltanto l'Alitalia.
«Vuole che non lo sappia? Una volta, quando il giovane Barack Obama studiava e non aveva una lira, girava con una Fiat. Era di seconda o terza mano, ma girava con una Fiat per le strade degli Stati Uniti. Trovate adesso una Fiat in America, se siete capaci».




Sergio Rizzo
02 settembre 2008

da corriere.it
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #1 inserito:: Settembre 05, 2008, 10:52:07 am »

5/9/2008
 
Sul piano Alitalia vola il dubbio   
 
È lecito essere scettici sulla attendibilità del progetto: i costi per lo Stato sono troppo elevati e manca un vero azionista di riferimento
 
 
STEFANO PASSIGLI
 
Annunciando di aver mantenuto l’impegno» di evitare il fallimento di Alitalia, il premier ha anche affermato che la soluzione «non peserà sulle tasche dei cittadini». Alla luce delle ulteriori promesse del governo che «i piccoli risparmiatori non soffriranno», e che i lavoratori in esubero «non verranno lasciati a terra», è lecito nutrire dubbi sulla attendibilità del piano.

1) In primo luogo è evidente che i previsti 4-5 mila maggiori esuberi rispetto alla proposta di Air France, cui si assicura la concessione di 7 anni di ammortizzatori sociali, si tradurranno in un ingente costo a carico dello Stato. A ciò si deve aggiungere, oltre al prestito ponte di 300 milioni, il costo dell’indennizzo ai piccoli risparmiatori, e la necessità di dotare di liquidità la «bad company» per far fronte ai contenziosi con i creditori insoddisfatti: il precedente della liquidazione dell’Efim non autorizza ottimismi.

2) Il costo che lo Stato si assume avrebbe giustificato il rilancio di una grande compagnia di bandiera. Ma la nuova «Alitalietta» non avrà queste caratteristiche: meno aerei (circa 40 in meno della proposta Air France), meno rotte, nessun hub, e quindi focus sul medio e corto raggio con drastico ridimensionamento delle rotte intercontinentali. Una compagnia, insomma, ripiegata sul mercato interno, ove - eliminati i vincoli antitrust - cercare di vivere di tariffe elevate al riparo della concorrenza. Una soluzione di sapore autarchico.

3) Per raggiungere questa precaria soluzione il governo si è piegato a innovazioni normative che violano consolidati principi giuridici. Introducendo limiti all’istituto della revocatoria; sancendo di fatto una disparità tra creditori; teorizzando un diverso trattamento dei risparmiatori arbitrariamente distinti tra «grandi» e «piccoli»; esonerando l’operazione dalla normativa antitrust; ricorrendo a forme atipiche di aiuto di Stato, il governo ha profondamente alterato il nostro quadro normativo e abbandonato i principi dell’economia di mercato nella quale professa di credere.

4) Al di là delle apparenze, la compagine azionaria appare debole: insufficiente l’investimento complessivo (1 miliardo rispetto ai circa 2,5 di Air France), ma soprattutto troppo bassa la quota di ciascuno degli investitori, indice preoccupante di una loro scarsa fiducia nell’operazione. Quali motivi hanno allora convinto i sedici «cavalieri bianchi»? Alcuni sono concessionari dello Stato che fissa le loro tariffe; altri sono sottoposti a controlli e autorizzazioni pubbliche, o titolari di importanti contratti con lo Stato. Si può rifiutare a un premier-imprenditore un solidale chip di partecipazione richiesto in nome dell’interesse generale quando a questo possano spingere anche interessi particolari? Alla debolezza della costruzione societaria si accompagna così anche il sospetto di conflitti di interesse.

5) Nella compagine azionaria manca inoltre un «azionista di riferimento». Anche se taluni hanno storie di straordinario successo imprenditoriale, non è irrilevante che i sedici cavalieri bianchi abbiano preteso l’assicurazione che nella compagine entrasse un grande vettore internazionale che, anche se azionista di minoranza (ma di maggioranza relativa), dovendo integrare flotta, rotte, personale e strategie commerciali e finanziarie sarà il vero dominus della società. Cacciata dalla porta, Air France o chi per lei rientrerà dalla finestra, pagando molto meno una compagnia priva di debiti e dei propri esuberi. Ma allo Stato tutto questo sarà costato una somma ingente, ai lavoratori mobilità e prepensionamenti in misura superiore alla precedente offerta francese, alla compagnia meno aerei, meno rotte e la rinuncia ad un hub proprio.

Il trionfalismo del governo è dunque del tutto fuori luogo in presenza di una situazione che non è esagerato definire di autentico disastro economico.
 
da lastampa.it
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