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« Risposta #6 inserito:: Giugno 25, 2008, 05:40:20 pm » |
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Il Paese dei misteri
Roberto Cotroneo
Alla fine tutto imploderà come il collasso di una stella. E i misteri d’Italia diventeranno uno soltanto: gigantesco, indicibile, totalizzante. Una sorta di totem italiano davanti al quale ammettere la nostra sconfitta di cittadini, di italiani e di uomini. E li rivedremo tutti, come in una apocalisse criminale e ambigua come in un girone dantesco delle vittime dei misteri: Salvatore Giuliano e Gaspare Pisciotta, Enrico Mattei e Wilma Montesi; ci sarà Michele Sindona, e poi Roberto Calvi, e Aldo Moro, e i morti di Bologna, e i morti di Piazza Fontana, e il commissario Calabresi.
E l’elenco, troppo lungo, arriva fino a quella ragazzina con il nastrino in testa: quindici anni e una passione per la musica. Una famiglia semplice e umile. Si chiamava Emanuela Orlandi. Il papà scomparso nel 2004 era un dipendente del Vaticano. Lei una ragazzina come tante. Era nata il 14 gennaio del 1968, era astigmatica ma si vergognava di portare gli occhiali in pubblico, suonava il flauto, e il 22 giugno di venticinque anni fa, con ogni probabilità, sale su una Bmw verde tundra station wagon e scompare. Mai più trovata. Qualche ora prima telefona alla sorella più grande per dirle che le era stato offerto di promuovere prodotti di profumeria Avon, a un prezzo altissimo, 350 mila lire di allora, e non sapeva se accettare. La sorella le consiglia di lasciar perdere.
Cosa succede, e cosa sappiamo di questa storia? Di fatto, niente. Non sappiamo neppure se Emanuela Orlandi è viva o morta. Quest’anno compirebbe quarant’anni. Non sappiamo se fu un orrendo caso di pedofilia, poi strumentalizzato perché il padre era cittadino vaticano. O se invece fu un rapimento, o un ricatto nientemeno che al Papa. Non sappiamo perché viene chiamata in causa la banda della Magliana, e monsignor Paul Marcinkus, Roberto Calvi, ed Enrico De Pedis, detto Renatino, uno dei capi della banda della Magliana. Non sappiamo quanto sa di tutto questo l’attentatore del Papa, Ali Agca, e non sappiamo perché i Lupi Grigi, organizzazione terroristica turca, abbiano dichiarato di avere in mano la ragazza. Non sappiamo niente di quella Roma. Sappiamo solo che la Orlandi è scomparsa nel nulla, e in quel nulla è rimasta finché la signora Sabrina Minardi, compagna prima del calciatore Bruno Giordano, e poi, e per quasi dieci anni di Renatino, ovvero Enrico De Pedis, comincia a parlare. Ma come?
Intanto con una sincronia che lascia sbigottiti, lo fa esattamente 25 anni dopo il rapimento, e lo fa spiegando prima: mi sono imbottita per anni di cocaina e psicofarmaci, sto in una comunità di recupero, e talvolta mi confondo, ho sprazzi di eventi accaduti, e situazioni confuse. Come in un brutto romanzo Sabrina Minardi dice che la Orlandi è stata ammazzata, messa in un sacco e buttata in una betoniera a Torvajanica, località alle porte di Roma. Anzi dice che i sacchi erano due, c’era pure un bambino di 11 anni, figlio di un boss, ammazzato per vendetta, e buttato anche lui nella betoniera. Le date non corrispondono, il ragazzino viene ucciso dieci anni dopo il caso Orlandi, e non è possibile che i due eventi possano essere collegati assieme. Ma la Minardi è un fiume in piena: aggiunge particolari, dice di aver visto la Orlandi in un sotterraneo di un palazzo poco distante dalla stazione di Trastevere, un sotterraneo che arriva fino alle mura Vaticane, tanto è grande. Dice di essere stata a casa di Giulio Andreotti, con Renatino, e di ricordare la signora Livia, minuta e gentile. Ed è ovvio che gli psicofarmaci qui hanno il loro ruolo. Dice di aver visto Renatino arrivare con delle borse Luis Vuitton, quelle “con la cerniera sopra”, aprirle in casa e tirarne fuori banconote, e naturalmente cocaina, cocaina a fiumi. E che una volta contarono un miliardo in contanti per portarli personalmente a monsignor Marcinkus, il potente banchiere dello Ior, a casa sua.
Dice un mare di cose Sabrina Minardi. E non si tratta di crederle o di non crederle, si tratta di capire lo spleen orrendo di questo Paese. Dove poi alla fine niente torna, perché si va a sbattere contro un muro di morti ammazzati, di politici rapiti e assassinati, e talvolta anche liberati, di terroristi ambigui, di aerei civili che cadono senza ancora un perché, di stragi più disgustose delle più disgustose delle stragi, di servizi deviati, di giornalisti sibillini come Pecorelli ammazzati, di bande che agivano indisturbate con un potere assoluto, e poi di golpisti, e di fascisti, e di banchieri impiccati, e di monsignori banchieri su cui ci sarebbe troppo da dire. In un Paese dove le ipotesi di complotto, i misteri, occupano pagine pagine di siti internet dedicate solo a questo, tutto confluisce là, nel viso sorridente e allegro, solare, di una ragazzina di quindici anni: Emanuela Orlandi. Nei suoi occhi che da 25 anni sono solo una fotografia in bianco e nero, quella dei manifesti che la famiglia ha fatto affiggere per tutta Roma.
Possibile che lo Ior, il Banco Ambrosiano, l’attentato a papa Giovanni Paolo II, l’omicidio di Calvi, i fatti e fattacci della più feroce e potente banda criminale, quella della Magliana, e Marcinkus, e Ali Agca, e chissà quanti altri, possano confluire lì, in quella ragazzina? È una suggestione enorme, una macchina genera complotti a ripetizione, o qualcosa di più? È una storia che si può spiegare semplicemente? Un caso di pedofilia finito con un omicidio, su cui possono essere state costruite leggende, proprio perché la ragazza era cittadina vaticana? Lo stesso caso di Mirella Gregori, rapita 40 giorni prima di Emanuela, sempre a Roma, e mai più ritrovata. Ali Agca disse che entrambe le ragazze erano in mano ai Lupi Grigi. La mamma di Mirella, 13i anni fa, durante una visita del Papa in una parrocchia romana, disse di riconoscere tra gli agenti di scorta di Giovanni Paolo II un uomo che andava spesso a prendere la figlia a casa.
Suggestioni, leggende, o verità. E cosa ce ne facciamo delle verità, in un Paese senza verità da sempre? Un Paese che ha mantenuto del medioevo l’oscurità delle trame, il gusto dell’oscuro, delle massonerie segretissime, del gioco dei poteri. Dopo che viene rapita, a casa Orlandi, un signore con accento americano chiama 16 volte. Tutte e sedici le volte da cabine telefoniche. L’uomo chiede che sia liberato Ali Agca, e fa ascoltare alla famiglia Orlandi un nastro con la voce della figlia. Chiama molte volte. E non viene identificato. Soltanto che dell’Americano esiste un indentikit, scritto nientemeno che dall’allora vicecapo del Sisde Vincenzo Parisi. In una nota rimasta riservata fino al 1995 si dice che la voce del telefonista corrisponderebbe a quella di monsignor Paul Marcinkus: gli specialisti del Sisde, analizzando i messaggi e le telefonate pervenute alla famiglia, conclusero che riguardavano «una persona con una conoscenza approfondita della lingua latina, migliore di quella italiana (che probabilmente era stata appresa successivamente al latino), probabilmente di cultura anglosassone e con un elevato livello culturale e una conoscenza del mondo ecclesiastico e del Vaticano, oltre alla conoscenza approfondita di diverse zone di Roma (dove probabilmente aveva abitato)».
E Renatino? E la Roma criminale e de’ core, testaccina e trasteverina, che racconta la Minardi? Come si fonda con i Lupi Grigi, con i complotti internazionali? Sabrina Minardi, parla di sotterranei sconfinati, e racconta che ogni volta che aveva bisogno di viaggiare Roberto Calvi metteva a disposizione il suo aereo privato. La Minardi, bizzosa, isterica, cocainomane, che spendeva anche cento milioni di allora in uno shopping romano, tutto in contanti, viaggiava con l’aereo privato del Banco Ambrosiano. Una spavalderia oltre ogni buon senso. E a lei che secondo un’altra voce, forse una leggenda, arriva un agente del Sisde, dopo il rapimento Orlandi. Emanuela sembra sia stata fatta salire su di una Bmw color verde tundra, un colore raro per quegli anni.
Lui comincia a indagare, per carrozzieri, finché non ne trova uno che gli racconta di aver riparato un deflettore di una Bmw verde tundra giardinetta. Rotto forse per un pugno dato da dentro? L’aveva portata a riparare una donna, che aveva lasciato anche un indirizzo e un numero di telefono. L’indirizzo di un residence. L’uomo ci va, e si fa chiamare la donna che reagisce violentemente alle sue domande, e prende persino il numero di targa dell’automobile con cui l’agente si era recato al residence. Giusto il tempo per tornare in ufficio, e l’uomo fu invitato dai superiori a non importunare più personaggi altolocati. Chi era quella donna? La Minardi? E quanto è vera questa storia? Ieri il Vaticano ha definito infamanti le accuse verso Marcinkus, che è morto e non si può difendere. E forse anche questa finirà nel nulla. Come il caso Moro, trent’anni fa, come la strage di Bologna, come l’assassinio di Roberto Calvi, come tutti i misteri che arrivano a noi, uno dietro l’altro come una collana di ingiustizie. Al punto da lasciarti la sensazione che siamo anche noi un po’ allucinati da troppe storie, troppo importanti, troppo oscure per essere chiare. Finiti dentro un romanzo gotico, un Codice da Vinci senza speranza, di un Paese di veleni e crudeltà. E ti illudi che non è vero niente. Che il caso Orlandi non è altro che uno stupro e poi un omicidio forse neppure voluto, che il caso Moro fu come lo raccontano Moretti e compagni, che tutti gli altri misteri non sono che fantasie, e che la banda della Magliana non era altro che una accolita di criminali finiti quasi tutti male, morti ammazzati.
Ma poi se ti fai una passeggiata per Roma, può accaderti di passare per piazza Sant’Apollinare, dietro piazza Navona, dove stava la scuola di musica di Emanuela Orlandi, e dove c’è la chiesa di Sant’Apollinare, da poco restaurata. È tutto un complesso di proprietà dell’Opus Dei, dove c’è anche la Pontificia Università di Santa Croce. La Basilica di Sant’Apollinare è una basilica minore, vanta un paio di candelabri del Valadier, e poco d’altro. Naturalmente è territorio vaticano, naturalmente si apre solo per le messe. In quella chiesa c’è una cripta, che da otto anni non è visitabile.
Nella cripta è tumulato Enrico De Pedis, detto Renatino, capo della Banda della Magliana, mandante ed esecutore di un numero enorme di omicidi, prima di essere ucciso da due sicari in via del Pellegrino, dietro Campo de' Fiori, il 2 febbraio 1990. Il 6 marzo 1990, a 32 giorni dalla morte, il rettore della basilica, monsignor Piero Vergari scrisse la seguente lettera: «Si attesta che il signor Enrico De Pedis nato in Roma-Trastevere il 15 maggio 1954 e deceduto in Roma il 2 febbraio 1990, è stato un grande benefattore dei poveri che frequentano la basilica ed ha aiutato concretamente a tante iniziative di bene che sono state patrocinate in questi ultimi tempi, sia di carattere religioso che sociale. Ha dato particolari contributi per aiutare i giovani, interessandosi per la loro formazione cristiana e umana». Il 10 marzo 1990, l’allora Vicario della diocesi di Roma, nonché presidente della Conferenza Episcopale Italiana, il cardinale Ugo Poletti, rilasciava il nulla osta alla sepoltura di De Pedis nella basilica di Sant’Apollinare. Il 24 aprile la salma di De Pedis venne tumulata e le chiavi del cancello vennero consegnate alla vedova, che è l’unica persona autorizzata a entrare nella cripta. L’incubo continua, e tutto si riapre, perché poi alla fine, i misteri in questo Paese, sono veri. A cominciare da questa povera ragazza, rapita 25 anni fa, e terminale ultimo di un orrore senza fine che probabilmente non verrà mai chiarito. Lei non è mai stata tumulata in nessuna chiesa, lei è scomparsa nel nulla, in quel nulla di misteri di un Paese senza vergogna.
Pubblicato il: 25.06.08 Modificato il: 25.06.08 alle ore 9.19 © l'Unità.
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