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« Risposta #1 inserito:: Maggio 08, 2008, 06:51:39 pm » |
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Dietro le quinte
«I posti li ho decisi tutti io E ora svezzerò le bambine»
La strategia di Silvio con gli alleati
ROMA — A Umberto Bossi e Gianfranco Fini, a un certo punto della formazione del governo, ha fatto un discorsetto che è risuonato così, e che non ammetteva repliche: «Non ho nessuna voglia di fare delle mediazioni o delle trattative con voi. Fatemi dei nomi, vi accontenterò, ma dove vanno le persone lo decido io. Voi potete anche indicare Tizio e Caio. Le destinazioni, i portafogli dei dicasteri, li decide il sottoscritto». Silvio Berlusconi ha ansia di decidere, e di governare. L'ansia che gli deriva dalla forza dei numeri, dalle esperienze del passato (che lo hanno costretto spesso a rinunciare, o a non decidere nulla, se non dopo infinite ed estenuanti mediazioni), forse anche dall'età. L'ansia è anche farlo in solitudine, a costo di scontentare tutti, anche i suoi più stretti collaboratori. Le ultime tre settimane di trattative sul governo dimostrano questo: il Cavaliere ascolta sempre i consigli, ma ha preso il gusto di decidere da solo. È consapevole della sua forza.
Se un tempo gli veniva l'orticaria per i dettagli della «politica politicante», come la chiama lui, oggi, apparentemente, sta benissimo: a quei dettagli ha rinunciato. L'accelerazione sulla formazione del governo, ieri sera, ne è un segno. La parola «decisionismo» fa capolino a Palazzo Grazioli, nello staff del presidente, poche ore prima della salita al Quirinale. «Sarà uno dei tratti distintivi del nuovo esecutivo», riferisce il presidente del Senato, Renato Schifani, che negli ultimi giorni dal portone di Palazzo Grazioli ha fatto entra ed esci. Le cronache hanno raccontato, esaltando dettagli, di presunti scontri fra Berlusconi e An, o ancora con la Lega; di infinite resistenze degli alleati su questo o quel nome. Peccato che Berlusconi durante il weekend abbia dedicato alle caselle del totogoverno lo stesso tempo che ha dedicato ai suoi affari privati, deciso che il Welfare non sarebbe andato ad An un minuto dopo la vittoria di Alemanno a Roma. «Ora ho 100 giorni per non deludere le aspettative degli italiani e cinque anni per cambiare il Paese», questo è lo stato d'animo con cui si predispone a varcare per la quarta volta la soglia di Palazzo Chigi e lo fa pensando alla Thatcher o a Schröder, a quegli statisti che hanno governato per almeno due legislature e che solo nella seconda hanno lasciato il segno, attuato le riforme che avevano in testa. E quando si pensa da statista è difficile che si possano replicare alcune incertezze, le indecisioni del neofita della politica, persino i complessi che il Cavaliere ha portato con sé, e subìto, dal giorno della sua discesa in campo.
La cifra della metamorfosi di Berlusconi, che piaccia o meno, reale o apparenza di queste prime settimane, sta persino nei dettagli: Gianni Letta resta insostituibile, è il suo primo collaboratore, sarà il motore del governo; eppure Berlusconi lo segue al Quirinale, per due volte in pochi giorni, quasi accontentandolo, con la consapevolezza che le parole del presidente della Repubblica sono talvolta anche i pensieri di Letta e che si può trascorrere qualche ora ad ascoltare questa e quella esigenza, «tanto poi decido io». È accaduto con Angelino Alfano, neo ministro della Giustizia, una laurea in Legge, senza esperienze di governo, fedelissimo del Cavaliere. Fosse stato per altri il Guardasigilli sarebbe stato il molto più «istituzionale» Marcello Pera. È accaduto con «le bambine», come affettuosamente, quasi da padre, il Cavaliere chiama talvolta Mara Carfagna, o Stefania Prestigiacomo. Donne giovani, fin troppo per alcuni, che lui ha voluto fortissimamente non solo nell'esecutivo, ma anche in Consiglio dei ministri, persino con tanto di portafoglio nel caso della bionda siciliana.
«Le bambine da svezzare, da proteggere », come ha raccomandato a chi lavorerà con loro, dimostrano che l'estetica può contare più delle competenze (comprese quelle dei tecnici «sacrificati» all'ultimo momen-to), ma anche che la testa di Berlusconi ascolta tutti, ma decide in solitudine. Può sembrare un'ovvietà, ma non lo è stato sino a ieri, non lo è stato nel corso della penultima legislatura. E uno dei tratti di questo decisionismo è fare crescere una nuova generazione di politici, anche contro ogni logica della politica romana, delle triangolazioni dei Palazzi, dei suggerimenti dei consiglieri più anziani. «Non è mai accaduto che il presidente del Consiglio ricevesse il mandato con la lista dei ministri in mano », osservano nello staff del Cavaliere. La velocità, rimarcata anche dal capo dello Stato, fa coppia con l'ansia di decidere. E di governare.
Marco Galluzzo 08 maggio 2008
da corriere.it
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