POCO LETTI (ARCHIVIO)

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Parte in Italia lo studio «Miracles»

Ipertensione, emicrania e rischio ictus

Un progetto per stabilire in che misura il tipico mal di testa e la pressione alta aumentano il pericolo di infarto cerebrale
 

MILANO – Ipertensione e emicrania, se associate, quale impatto hanno sul rischio ictus? È il quesito che si propone di risolvere il progetto «Miracles», il primo studio osservazionale multicentrico italiano.
Lo studio ha l'obiettivo successivo di paragonare, nelle popolazioni affette da ipertensione o da emicrania o da entrambe le patologie, i fattori di rischio per eventi cerebrovascolari.

Il progetto è coordinato da 10 centri ipertensione e da 10 centri cefalee, distribuiti su tutto il territorio nazionale, con il coinvolgimento di circa 500 medici di medicina generale, e si svolge sotto l'egida della Società italiana dell'ipertensione arteriosa (Siia) e della Società italiana per lo studio delle cefalee (Sisc), con il supporto della Solvay Pharma.

FATTORI DI RISCHIO - Numerosi studi hanno indagato l'associazione tra ipertensione arteriosa ed emicrania, evidenziando come l'ipertensione possa, ad esempio, incrementare la frequenza e la severità degli attacchi emicranici, contribuendo alla trasformazione di una episodica in una cefalea cronica quotidiana. Nonostante questi studi, è tuttora ancora controverso il rapporto tra emicrania ed ipertensione arteriosa, e rimane da chiarire l'associazione con il rischio ictus. Si sa invece con certezza che l'ipertensione rappresenta il principale e più importante preditore di ictus, poichè è coinvolta nell'insorgenza di 12,7 milioni di episodi di malattia nel mondo (186mila nuovi casi di ictus all'anno solo in Italia), pari al 70% del totale. Anche l'emicrania, però, che colpisce il 12% della popolazione, rappresenta un fattore emergente di rischio ictus. Sono infatti sempre più numerose le evidenze che indicano che le persone che soffrono di emicrania presentano un rischio superiore di andare incontro a un ictus cerebrale, in particolare di quello ischemico in donne di età inferiore a 45 anni, con fattori di rischio addizionali quali il fumo di sigaretta e l'uso di contraccettivi orali.

OBIETTIVI - l progetto Miracles rappresenta anche la prima occasione di collaborazione tra due importanti Società scientifiche, la Siia e la Sisc, che andrà ad incrementare la cooperazione tra i centri specialistici e i medici di medicina generale per la condivisione di criteri diagnostici e procedure terapeutiche. «Se lo studio Miracles metterà in evidenza l’effettiva esistenza della "comorbidità" di ipertensione ed emicrania, sarà possibile porre maggior enfasi sulla prevenzione dell’una nel paziente affetto dall’altra, e viceversa – spiega il professor Enrico Agabiti Rosei, Direttore della Clinica Medica dell’Università di Brescia e Presidente della Società Italiana dell’Ipertensione Arteriosa (SIIA) - Di ancor maggiore rilievo, se sulla scorta del Miracles dovessero sorgere studi atti ad indicare effettivamente nell’emicrania un fattore di rischio per ictus, la prevenzione di quest’ultimo diventerà particolarmente stringente nel paziente emicranico. Ciò permetterà di risparmiare non solo vite, ma anche sofferenze umane, che sono tali per il paziente e per i suoi familiari, ma rappresentano anche un ben triste costo per il sistema sanitario e per la società».

19 settembre 2007
 
da corriere.it

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Chi dà i numeri sulla Sanità?

Oliviero Beha


La Sanità in Italia è come le Miniere di Re Salomone: diamanti per alcuni, pochi, un profondissimo buco nero per i moltissimi altri. Se la metafora mineraria applicata alla cosa che più ci dovrebbe interessare («l’importante è la salute», no?) è valida sempre, è ancora più valida per la Sanità nel Lazio. Perché i diamanti e il buco sono più grossi, e perché una serie di elementi sotto gli occhi di tutti, ma proprio per questo forse sfuggenti o disattesi, spiegano immediatamente dal punto di vista meramente logistico come e quanto le dimensioni siano maggiori che nel resto del Paese.

Ne cito solo alcuni, da un elenco nutrito, che distinguono il Lazio nel panorama «salomonico» nazionale. Intanto, la presenza di cinque policlinici universitari e sei facoltà di medicina che formano uno su quattro dei medici italiani. Poi l’evidenza della romanità: dove sono le più importanti istituzioni statali, diplomatiche, vaticane ecc.ecc., con il corollario di chi viene a Roma anche o solo perché con tale profluvie di istituzioni deve avere a che fare? Ancora: ogni anno si svolgono nella capitale circa 600 manifestazioni ed eventi di varia natura, con le conseguenze numerico-economiche del caso anche soltanto in fatto di costi per una decente rete di servizi di soccorso ed emergenza.

Questo solo per una rinfrescata impressionistica. Si dirà: non scriverai mica tutto ciò per giustificare la voragine nei conti pubblici dell’Assessorato competente, quello per intenderci dove spadroneggiava la cosiddetta Lady Asl oggi agli arresti domiciliari (da cui mi dicono continui a esercitare, o almeno tenti, un potere, un’influenza e maneggi politico-sanitario-lobbistico - loggistici con due g - di elevato spessore)?

Ah no, certo che no. L’eroico Storace socialmente di destra ha in effetti lasciato la Regione Lazio in mutande economiche e in calzini etici. Per la Sanità, la più ricca e quindi la più interessante e colpita tra le miniere salomoniche, lo sprofondo è di 9,6 miliardi di euro. L’incidenza del giro di Lady Asl, il deficit in questo caso di trasparenza, ma non solo di essa, in fatto di modalità e tempistica nel pagare i fornitori attraverso banche esotiche, una serie di inchieste a latere sono materia di impegno giudiziario non da ridere. Da piangere.

In questo paesaggio deformato arrivano sulle soglie della miniera dei nuovi minatori, che provano e riescono a quel che sembra a far luce sui filoni diamantiferi e sulle caverne sempre più interne della Sanità laziale. Non hanno solo le pile dei loro caschi, ma alle spalle il faro del governo Prodi. E questo articolo è per l’appunto di genere elettrico. È storia recente l’idea del ministero del Tesoro, supportato dalla presidenza del Consiglio davanti agli occhi spalancati del ministro della Sanità, di commissariare l’Assessorato di cui stiamo parlando. Idea che sta oggi sbiadendo di fronte alla realtà, diversa nei numeri da quella che ci viene presentata.

Per tornare a Re Salomone, il rischio è comunque che magari in buona fede i megariflettori del governo scambino per ulteriori buchi quelle che sono invece ricoperture dei medesimi, almeno in parte. I riflettori fanno sembrare tutto un profondissimo, interminabile buco nero, le lucine specifiche e mirate di un Marrazzo o di un Battaglia tendono invece a distinguere, evidenziare, correggere. Il che, se è come dico, rende insensato parlare semplicemente di problemi di comunicazione di un governo che non si accorgerebbe di quando le cose vanno meglio, oppure anche solo un po’ meno peggio. Clamoroso, no? Se sono sviste in buona fede, bisogna rivedere il sistema di illuminazione, se gatta ci cova allora saremmo come sempre punto e daccapo.

La questione appare invece più semplice e anche più beneaugurante. Erano 9,6 miliardi il cratere storaciano nel 2005? In due anni il deficit di esercizio cala di circa 1 miliardo. Il costo della produzione del Servizio sanitario regionale diminuisce tra il 2006 e il 2007 di 400 milioni, in realtà di più di 500 secondo i vecchi stilemi amministrativi giacché la Finanziaria 2007 ha introdotto giustamente un accantonamento di 130 milioni per futuri aumenti contrattuali. Il risultato economico migliora in un anno di 740 milioni.

Il 28 febbraio di quest’anno, dopo aver scoperchiato la pentola o illuminato tutta la miniera come mai in passato, naturalmente, viene concordato un cogente piano di rientro con il governo, a fronte di un’integrazione statale per la traforata Sanità laziale di 9,7 miliardi da rimborsare in trent’anni o prima a cadenze/scadenze obbligate. Lo so, sono tanti diamanti sempre di tasca nostra, ma rendono l’idea delle estrazioni fatte finora giocando sulla nostra pelle in tutti i sensi, dal letterale ahimé al figurato. Mettendo a fuoco il piano che deve negli anni coprire l’enorme falla pubblica, oggi rispetto alle previsioni si registra uno scostamento in peggio di 192 milioni che motivatamente la Regione intende coprire senza aumento di pressione fiscale né richieste di ulteriori finanziamenti.

Perché motivatamente? Perché Istat alla mano i residenti in regione sono 188.530 in più,che valgono come finanziamento ulteriore 297 milioni annui di cui 100 già anticipati. Non c’è bisogno di essere Odifreddi per un calcolo al volo. 192 di sforamento, 197 di credito sottoscritto dai numeri, la Regione almeno in quanto a Sanità è in pari con il piano e dovrebbe aver dato segnali rassicuranti, o almeno tali da testimoniare una correzione di rotta e un diverso/opposto cammino rispetto allo storacismo.

Non entro qui nei numeri positivi sostanziali, secondo i dati ufficiali, di «questa» sanità laziale: in mezzo alla bufera sanitaria naturalmente non solo laziale, qui crescono le percentuali di prestazioni, trapianti, raccolta sangue ecc., si aprono nuovi ospedali ed altri sono programmati, le liste d’attesa stanno diminuendo anche se a ritmi ancora inaccettabili. Inaccettabili? Beh, la faccenda prende un’altra piega se consideriamo che tra sanità pubblica e sanità privata si giocano partite inconfessabili davvero da miniere di Re Salomone. Perché inconfessabili? E se sono inconfessabili,come faccio a dirvelo o a scrivervelo?

Torniamo a noi, e alle cifre. Qual è dunque l’origine del contendere, perché da settimane si è insistito su commissariamenti ed emergenze a oltranza, voglio dire oltre quella della realtà salomonica che si commenta da sé? Mah. Il Direttore della Programmazione presso il ministero Turco sa benissimo quali siano i numeri. Altrettanto credo valga per l’occhiuto Direttore del Dipartimento Ragioneria Generale dello Stato presso il ministero Padoa-Schioppa. Dico rispettivamente di Filippo Palombo e di Francesco Massicci.

Eppure secondo il Tesoro il debito ulteriore sarebbe stato alla fine dell’estate di 358 milioni in più, il che avrebbe modificato il presente ragionamento dalle fondamenta, mentre oggi dopo un’altra occhiatina alla miniera pare solo di 98. Qualcuno sbaglia i conti. Chi? E se hanno ragione alla Regione Lazio, non sarebbe una buona notizia mineraria mentre crollano altre gallerie per gli scavi precedenti? Possibile questa renitenza a dare segnali positivi per l’opinione pubblica mentre la sfiducia scrolla come foglie il sentire comune dagli alberi istituzionali?

www.olivierobeha.it

Pubblicato il: 21.11.07
Modificato il: 21.11.07 alle ore 9.17   
© l'Unità.

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TECNOLOGIA & SCIENZA

Intervento dell'oncologo sul diritto fondamentale del malato a non soffrire

"Non si può trasferire l'angoscia legata a una parola alla necessità di usare questa medicina"

Veronesi riabilita il ricorso alla morfina "Potente antidolorifico da usare più spesso"


VERONA - Bisogna riabilitare la morfina e le sue qualità di antidolorifico. E' l'appello rivolto oggi dal professor Umberto Veronesi, parlando a Verona nel corso di una lettura magistrale alla quarta edizione degli Stati Generali del malato oncologico organizzata dalla Lega italiana per la lotta contro i tumori (Lilt).

"Non si può trasferire l'angoscia legata alla parola morfina alla necessità di usare questa medicina per liberare una persona dal dolore", ha sottolineato il medico. Uno dei principali diritti del malato, ha ricordato Veronesi, è quello di non soffrire. Un punto fermo che non vale solo per le malattie più gravi, ma anche per quelle più banali. La morfina, ha osservato ancora il professore, è un potente antidolorifico che "deve essere usato anche per una distorsione alla caviglia", uscendo dal concetto che l'immaginario collettivo ha di questa medicina solo perché "ne è stato fatto un uso improprio da chi vuole uscire dalla realtà".

L'oncologo si è quindi soffermato sul diritto del paziente a rifiutare l'accanimento terapeutico "che provoca più sofferenze della malattia stessa". "Siamo in un paese democratico - ha proseguito Veronesi - e libertà è anche rifiutare le cure". La medicina, ha ricordato, è "in pieno ripensamento" e il medico deve anche "avere l'umiltà di chiedere al paziente le sue volontà e assecondarle fino a che è possibile". Una premessa che Veronesi nel ribadire l'esigenza di redigere il testamento biologico per salvaguardare la persona quando non è più in grado di esprimere la propria volontà.

(22 novembre 2007)

da repubblica.it

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Cronache

Censurata la «mancanza di informazioni». Londra taglia i fondi

È provato: «L'omeopatia è inutile»

«Solo un placebo, effetti collaterali inattesi».

Nuova ricerca di Lancet. I farmacologi: basta aiuti

 
ROMA — Efficace come un placebo. Finta medicina. O, se preferite, acqua fresca. Stangata di Lancet, la prestigiosa rivista di scienza, sull'omeopatia. Un articolo firmato sull'ultimo numero da Ben Goldacre, autore di un commento affilato anche sul quotidiano britannico Guardian, stronca la più gettonata delle terapie alternative citando cinque ampie revisioni degli studi condotti negli ultimi anni.

Tutti, sostiene, portano alla stessa conclusione: «Non sono stati evidenziati vantaggi significativi rispetto ai placebo». Non basta. Goldacre insiste nel colpire duramente denunciando gli «inattesi effetti collaterali» e la mancanza di informazione adeguata. Seguono, sempre su Lancet, due servizi sull'ondata antiomeopatica nel Regno Unito, dove il governo ha tagliato i fondi pubblici ad alcuni centri che prescrivono le cure dolci, e sul buon vento che soffia in India dove il mercato sta crescendo del 25% all'anno, sostenuto da 100 milioni di pazienti.

Alle insinuazioni replicano i Laboratoires Boiron, una delle maggiori aziende del settore, che cita i risultati di sperimentazioni condotte secondo le regole corrette dal punto di vista metodologico. Vengono rivendicati gli «effetti benefici degli interventi con omeopatia». «L'ennesimo attacco scientificamente ingiustificabile» è annoverato fra le attitudini sfavorevoli «al progresso nella conoscenza. L'omeopatia è una vera e propria chance per la medicina di domani — argomenta Boiron — ma non ce la fa da sola, ha bisogno di condividere il percorso con gli scienziati, mondo accademico e realtà ospedaliera».

Polemiche anche in Italia dopo la divulgazione del documento della società italiana di farmacologia, la Sif, nell'ultimo numero della Newsletter. Bocciate oltre all'omeopatia («la forza delle evidenze che scaturisce dagli studi pubblicati è bassa e vengono in genere riportati risultati negativi»), agopuntura («efficacia moderata come nel caso delle patologie infiammatorie croniche»), medicina tradizionale cinese («su di essa esistono limitatissime informazioni, carenza aggravata dalle difficoltà legate alla lingua») e fitoterapia. Meno duro il giudizio sulle erbe: «Da anni molti medici in Italia le usano e hanno maggiore familiarità. Le prove di efficacia però non sono sempre entusiasmanti e se prescritte con troppa disinvoltura possono portare qualche guaio». Achille Caputi, presidente della Sif, spiega le ragioni dei farmacologi: «Per il servizio sanitario è un momento di estreme difficoltà economiche e non vediamo perché bisognerebbe rimborsare cure che non funzionano, come vorrebbe la proposta di legge in discussione al Parlamento».

 Sono circa 200 i centri ospedalieri e Asl che rimborsano le altre terapie (salvo versamento di ticket e prodotti a carico del paziente), grazie all'autonomia di spesa delle Regioni. La popolarità delle terapie alternative in Italia è per la prima volta in calo secondo l'ultima indagine Istat, 60 mila famiglie intervistate nel 2005. Gli italiani che almeno una volta hanno combattuto raffreddore, influenza e dolori intestinali o reumatici sono 7 milioni e 900 mila, un milione in meno rispetto al '99. Il motivo? Maggiore prudenza dopo gli articoli scientifici non rassicuranti.

Margherita De Bac
28 novembre 2007


da corriere.it

Admin:
Qui "depositerò" gli articoli non letti o poco letti.

ciaooooooooo

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