LA-U dell'OLIVO
Novembre 27, 2024, 12:18:36 pm *
Benvenuto! Accedi o registrati.

Accesso con nome utente, password e durata della sessione
Notizie:
 
   Home   Guida Ricerca Agenda Accedi Registrati  
Pagine: [1]
  Stampa  
Autore Discussione: TREMONTI  (Letto 10770 volte)
Admin
Utente non iscritto
« inserito:: Aprile 17, 2008, 03:14:45 pm »

Tremonti al Financial Times: «Non sono protezionista»

di Elysa Fazzino
 16 aprile 2008



«Mi dichiaro non colpevole di statalismo e protezionismo»: Giulio Tremonti, ministro dell'Economia in pectore, scrive al Financial Timesper respingere le accuse mosse dal quotidiano economico britannico. In un commento pubblicato il 9 aprile, «Tremonti e l'uovo del serpente», Tony Barber lo aveva invitato – citando Shakespeare – a uccidere nel guscio il serpente del protezionismo. «Barber mi mette sul banco degli imputati, replica Tremonti, «mi considera colpevole di due crimini contro il futuro dell'economia di libero mercato e la prosperità dell'Europa», protezionismo e statalismo.

Tremonti si dichiara «non colpevole» perché il primo è «un crimine impossibile» dopo il Trattato di Roma del 1957, la conclusione dell'Uruguay Round a Marrakech nel 1994 e la Wto (l'organizzazione del commercio mondiale). Il secondo crimine «non è più nel codice penale» dei paesi europei o degli Usa: dopo l'intervento dei governi in casi come Northern Rock e Bear Stearns «nessuno potrebbe dire che l'intervento statale, perfino nel santuario del capitalismo, l'alta finanza, sia un tentativo di uccidere l'economia di libero mercato».

«L'Unione europea – è il parere di Tremonti – dovrebbe adottare lo stesso tipo di politiche commerciali che gli Stati Uniti adottano con successo», adattandosi al mondo post-Marrakech. Tremonti sintetizza il suo pensiero in due punti: 1) «mercato se possibile, stato se necessario»; 2) «mercato basato sulle regole» invece di «libero scambio senza regole».

Le «tragiche parole di Shakespeare sono davvero troppo nel mio (umile) caso», scrive Tremonti, che suggerisce di descrivere così quanto si dice «erroneamente» delle sue posizion: «La calunnia è un venticello», dal Barbiere di Siviglia, «davvero non una tragedia».

Il Financial Times pubblica oggi sul suo sito vari commenti sui risultati delle elezioni italiane. «Questa volta Berlusconi deve fare dell'Italia il suo business» è il titolo di un'analisi di Paul Betts. Altrove il quotidiano scrive che, per quanto il Cavaliere si sia affermato in modo decisivo, «ciò non significa che manterrà la sua promessa di dare all'Italia le riforme di cui ha disperatamente bisogno». Un titolo sottolinea l'impegno a varare «rapide riforme», dichiarato dal futuro premier subito dopo la vittoria elettorale. Una notizia dai mercati finanziari: «La vittoria di Berlusconi rialza i costruttori»: salgono le quotazioni di chi fa infrastrutture.

E ora, le riforme

Ora che Berlusconi ha un'ampia maggioranza, farà le riforme? È la domanda che circola con insistenza nei commenti sui siti dei media esteri. Nei titoli ricorrono parole chiave delle prime dichiarazioni del futuro premier: Napoli, Alitalia, economia e immigrati. «L'Italia svolta a destra», titola sul suo sito il settimanale britannico Economist. Sempre critico nei confronti del Cavaliere, lo incalza sul web: «L'interrogativo», scrive «è se Berlusconi sfrutterà il solido mandato che ha ricevuto per introdurre le riforme di cui l'Italia ha seriamente bisogno. Ha promesso che lo farà. Ma in passato ha promesso tante cose che non ha mantenuto». Per la Bbc con questa maggioranza, il futuro premier avrà «i muscoli», ma «può fare i miracoli?». Un certo scetticismo trapela anche dall'analisi del settimanale statunitense Time: «Se questa volta fallisce nell'intento di fare le riforme economiche e politiche disperatamente necessarie, non avrà nessun altro cui dare la colpa che se stesso». L'economia ferma, l'Alitalia, la spazzatura: per problemi del genere la vecchia soluzione politica era «lo scaricabarile, puro e semplice», scrive il Time. «Ma questo nuovo governo sembra che sarà stabile, il che significa che i suoi leader dovranno prendersi le loro responsabilità. E questo è davvero qualcosa di nuovo sotto il sole di Roma». Sulla stessa falsariga l'editoriale del New York Times: «I primi due mandati di Berlusconi sono stati deludentemente deboli sulle riforme. L'Italia ha bisogno che lui faccia meglio questa volta».

La semplificazione del quadro politico dell'Italia, avviata verso il bipartitismo, è sottolineata come la novità sostanziale uscita dalle urne. Il Wall Street Journal parla di «minirivoluzione»: il voto ha «spazzato via numerosi partiti minuscoli che per decenni hanno complicato la politica italiana». Di conseguenza, il Cavaliere avrà «spazio di manovra per governare con una capacità di decidere» che non hanno avuto i governi passati. Per Le Monde, la buona notizia di queste elezioni è proprio che ora ci sono due grandi forze a destra e a sinistra, il che lascia intravedere il bipartitismo. La «cattiva notizia», sostiene un editoriale del quotidiano francese, è che Berlusconi dispone di un'ampia maggioranza che gli permette di governare per cinque anni: «A giudicare dalle performance passate, l'inquietudine è di rigore». Un titolo di cronaca dice che il Cavaliere «resta confuso sui suoi progetti per raddrizzare l'economia italiana». Un commento su Les Echos, «L'infernale equazione italiana» afferma che la semplificazione del gioco politico di per sé non scongiura «i rischi di paralisi nati da un sistema bicamerale in cui Senato e Camera hanno lo stesso peso». Prima di tutto – si legge sul quotidiano finanziario francese – il Cavaliere dovrà mantenere le promesse e disinnescare la trappola della riforma elettorale. «Berlusconi III è pronto a questo salto in avanti?». Ormai «deve passare ai fatti e fare approvare misure anche impopolari per essere credibile». «Il tempo delle spiritosaggini è finito», scrive l'Independent, domandandosi se il Cavaliere sia il «salvatore» che serve all'Italia. E il Times, che parla di «terremoto politico» e di «radicale semplificazione dell'aritmetica politica», chiama Berlusconi «Mr Clean and Sober»: la sua sfida sarà di dare all'Italia un governo moderno, pulito, sobrio e responsabile.

Durissimo l'attacco sul Guardian: in un commento al vetriolo, Bill Emmott non vede chance e scrive che il ritorno al potere del «mogol» italiano dovrebbe allarmare «chiunque abbia a cuore la democrazia». L'autore, che nel 2001 era direttore dell'Economist, racconta che Berlusconi lo aveva paragonato a Lenin quando la rivista fece un'approfondita inchiesta sulle sue finanze e sui suoi guai giudiziari. Secondo Emmott, il suo governo sarà «corporativo più che liberista», almeno a giudicare dalla sua promessa di bloccare la vendita di Alitalia ad Air France-Klm. All'orizzonte, vede aiuti di stato e un aumento del deficit pubblico, che lo metteranno in conflitto con l'Ue e gli altri governi europei.

Non è tenero neppure il popolare Daily Mail, che paragona il Cavaliere a "Citizen Kane" e titola sulla «guerra all'esercito del male» degli immigrati clandestini. Stesso titolo sul Telegraph, il quale fa un altro titolo sulla Lega Nord: «Silvio Berlusconi deve affidarsi a Umberto Bossi», diventato il "kingmaker" del Parlamento italiano. L'immigrazione è in rilievo anche sui siti spagnoli. «Berlusconi esalta la xenofobia» e «Bossi diventa l'uomo forte d'Italia», titola El Pais. In evidenza sul El Pais le frasi su Zapatero del Cavaliere, che giudica «troppo rosa» il nuovo governo spagnolo: battuta «machista», scrive il quotidiano spagnolo. Anche il sito di El Mundo riportala critica fatta da Berlusconi e la replica spagnola: la segretaria per le relazioni internazionali del Psoe invita a rispettare le decisioni dei presidenti di altri Paesi.


da ilsole24ore.com

  
 
« Ultima modifica: Gennaio 08, 2012, 04:40:25 pm da Admin » Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #1 inserito:: Aprile 21, 2008, 05:16:10 pm »

POLITICA

Tremonti: dialogo con Pd e sindacati per uscire dalla crisi

"Una legislatura costituente con il contributo dell'opposizione e degli enti locali"

"Contro il Paese non si governa faremo le riforme senza conflitti"

di MASSIMO GIANNINI

 

UNA legislatura "costituente". Una legislatura di "decantazione". Tra un Aspen a Parigi per discutere con Trichet della crisi dei mercati e un vertice a Villa San Martino per parlare con Berlusconi della squadra di governo, Giulio Tremonti delinea scenari "virtuosi" per la nuova fase politica che sta per cominciare. Il ministro del Tesoro in pectore ostenta molta prudenza, perché "la crisi finanziaria è molto grave", e perché gli effetti sull'economia reale e sulla finanza pubblica "saranno inevitabili".

Ma proprio per questo, il Professore che tra qualche giorno tornerà nella stanza dei bottoni di Via XX Settembre è il primo a sapere che la sfida delle riforme si potrà vincere solo "insieme", e non "contro" il Paese. "Una cosa è sicura - ragiona in queste ore Tremonti - sarà fondamentale fare la riforma costituzionale con il contributo dell'opposizione, sarà fondamentale trovare una piattaforma condivisa con Regioni e Comuni, e sarà ancora più fondamentale rimettere in moto l'economia con il consenso delle parti sociali...".

Questo, secondo quello che Berlusconi considera il suo "genio dei numeri", dovrà essere il "metodo di governo" che caratterizza la nuova legislatura. Sembrano lontani i proclami trionfalistici e i propositi bellicosi del 1994 e del 2001, quando ancora "non si facevano prigionieri". Sembra esaurita la stagione del bipolarismo muscolare che da quindici anni paralizza il Paese. L'idea è che possa cominciare un ciclo di bipartitismo.... Sull'architettura istituzionale la maggioranza terrà aperto il dialogo con l'opposizione, e sulla politica economica non getterà alle ortiche la concertazione. Questo vuol dire fare la riforma costituzionale cercando di coinvolgere il centrosinistra.

Per Tremonti, Veltroni ha fatto una "buona campagna elettorale": il massimo possibile, nelle condizioni date, che vedono comunque anche nel Pd un "evidente deficit di strumentazione culturale nel comprendere quello che sta succedendo nella società italiana". Ma la sinistra riformista è pur sempre una realtà positiva e un elemento di innovazione nel Paese, e dunque il confronto è giusto e necessario.

Lo stesso discorso vale per gli amministratori locali, con i quali una "politica dell'ascolto" sarà essenziale, per arrivare a un federalismo fiscale che non sfasci l'unità nazionale. E a maggior ragione un analogo "soft landing" dalla pessima congiuntura dei prossimi mesi sarà opportuno nella gestione delle riduzioni fiscali e dei tagli di spesa, così come nella revisione degli assetti contrattuali: su ciascuno di questi nodi che il prossimo governo dovrà sciogliere servirà la ricerca di un accordo con i sindacati. "Per essere chiari - dice il Professore - nessuno di noi è ansioso di rifare battaglie epocali come quella sull'articolo 18...".

Ecco perché, sorprendendo molti osservatori, né il Pdl né la Lega hanno voluto cavalcare l'affondo del presidente uscente di Confindustria contro Cgil, Cisl e Uil. Al contrario: con una buona dose di realpolitik, l'intero centrodestra ha addirittura criticato i toni "troppo esasperati" della requisitoria di Montezemolo.

Non perché Epifani, Bonanni e Angeletti non abbiano in effetti qualche responsabilità, nel declino del Sistema-Italia di questi anni. Ma piuttosto perché, in questo momento così difficile sul piano internazionale e sul piano interno, nel quale la geografia della sinistra è stata completamente ridisegnata con la desertificazione della sua componente più radicale, "non c'è bisogno di infiammare i conflitti". Saranno gli stessi sindacati confederali, in piena crisi di rappresentanza politica e di consistenza numerica, ad avere interesse a non far saltare i tavoli del confronto.

Sulle ali del successo del suo libro "La paura e la speranza", che in campagna elettorale ha fornito una ridefinizione ideologica alla piattaforma culturale neo-populista del Cavaliere, Tremonti compie così l'ennesima metamorfosi. Non più solo Colbert, ora vira su Talleyrand. Ideologo della "nuova destra" non più mercatista, incarna adesso la "strategia dell'attenzione" che il Pdl sembra voler seguire nella legislatura che sta per cominciare.

In questa strategia del neo-ministro del Tesoro non c'è posto neanche per uno scontro frontale con la Banca d'Italia: "Guardate che io non ho mica voluto attaccare il governatore, con le mie parole sul piano anti-crisi del Financial Stability Forum. Sono amico ed ho stima di Draghi: figurarsi se in un momento del genere vado a cercare un conflitto personale con Via Nazionale". Quello che Tremonti ci tiene a chiarire, è che la sua critica ai "65 punti" per contrastare il Big Crash della finanza globale non configura in nessun modo un potenziale "conflitto istituzionale" tra il nuovo governo e la Banca d'Italia.

"Io - riflette il Profesore - resto convinto che la crisi sia molto grave, e che i suoi effetti negativi sono tutt'altro che esauriti. Penso quindi quello che pensano tutti: la ricetta indicata dallo Stability Forum, che non è "il piano Draghi" come qualcuno pensa, è un modo vecchio di rispondere a problemi del tutto nuovi. Lo stesso Trichet, all'Aspen, ha fatto un intervento molto duro e molto serio, e non a caso non ha mai citato quel documento. Qui c'è un problema di fondo che andrà chiarito: la Northern Rock è stata nazionalizzata, ci sono banche centrali che stanno comprando dalle banche commerciali pezzi di portafoglio marci e li stanno scambiando con titoli del debito pubblico buoni. Questi, in linea di massima, mi sembrano aiuti di Stato. Io non entro nel merito, ma vorrei sapere se sono legittimi o no. Ancora: abbiamo la moneta più forte del mondo e paghiamo il costo più alto sul mercato dei cambi. Vorrei sapere perché non emettiamo titoli europei, prestiti per finanziare infrastrutture o progetti energetici. Tutto qui".
Dunque, nessuna polemica con Draghi. Quanto alla battuta sull'aspirina, Tremonti taglia corto: "Lasciamo perdere, così mi fate querelare dalla Bayer...". È il nuovo Tremonti: non vuole più litigare con nessuno.


(21 aprile 2008)

da repubblica.it
« Ultima modifica: Maggio 09, 2013, 04:01:47 pm da Admin » Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #2 inserito:: Luglio 13, 2008, 06:13:33 pm »

Parla il ministro dell'eCONOMIA

Tremonti: il taglio delle tasse? Sarà il dividendo del federalismo

«Autunno caldo? Non ci sono soldi per nessuno, è scioperare contro la pioggia»

di MARIO SENSINI

 
 
ROMA - Il ministro dell'Economia Giulio Tremonti analizza la crisi in atto paragonandola con quella degli anni '70 e con quella del '29. «Quella degli anni '70 è stata una crisi diversa. Le ragioni di scambio sul petrolio si erano spostate con eguale violenza, ma i governi potevano compensare con deficit pubblico. Ed è in specie dai deficit degli anni '70 che ha origine la tragedia del debito italiano. Adesso, anche per questo, la via del deficit è preclusa. Un'altra crisi possibile è una crisi stile '29, originata in America e da qui diffusa per contagio al resto del mondo». Tremonti ne aveva parlato al «Corriere» nell'autunno del 2006. «In realtà la storia non si ripete mai per identità perfette, e anche questa crisi – dice con aria preoccupata — avrà la sua storia. La globalizzazione ci sta presentando il suo conto, il conto del petrolio e dei prezzi: i due canali dentro cui la ricchezza viene pompata da Occidente a Oriente o altrove, tranne che in Africa, così erodendo le nostre "antiche" basi di sviluppo industriale e di benessere sociale» aggiunge Tremonti, senza alcun dubbio sulle responsabilità.
«Le scelte forti, le scelte decisive, quelle ideologiche, economiche e politiche sono state fatte nel "decennio fatale", negli anni '90 quando il mondo è stato occupato dal blocco globalista, mercatista, monetarista e mondialista. Tutto il resto è venuto in automatico. Certamente il motore politico è stato avviato negli Usa dai democratici clintoniani, diversissimi da quel che è Barack Obama oggi. In Europa la destra, ma soprattutto la sinistra, ha fatto la sua parte, nel silenzio assordante dei sindacati. In Italia la partita è stata giocata integralmente dalla sinistra al governo. Chi c'era a Marrakech nel '94, quando si lancia il WTO? Chi c'era a Pechino nel 2001, a firmare e celebrare per l'Europa l'ingresso trionfale dell'Asia nel commercio mondiale?»

La classe politica di quegli anni si è trovata a gestire un processo quasi ineluttabile, difficilissimo e probabilmente pericoloso da fermare.
«Tutto poteva essere fatto, e nell'interesse di tutti, in un tempo più lungo. Non dieci, ma venti o trent'anni avrebbero fatto la differenza tra equilibrio e squilibrio, tra saggezza e follia. Non solo: nello stesso tempo la politica è arretrata. Il G7 è diventato l'ombra del G7, e l'Europa si è drammaticamente indebolita. Nel decennio fatale è stato messo in pista un circo fatto da illuminati e direttori d'orchestra, da politici idealisti o da superficiali senza ideali, da banchieri centrali e d'affari. Chi ha inventato la globalizzazione è stata l'élite dell'occidente, chi ne paga il conto oggi sono i più poveri, in Occidente e non solo. Quello che va in scena ora è un circo degli orrori a quattro piste: la crisi finanziaria, la crisi energetica, la crisi alimentare, la tempesta perfetta che può essere portata da una nuova guerra in Medio Oriente…».

Lei attribuisce la responsabilità delle difficoltà attuali soprattutto ad elementi esterni: la Cina, il petrolio, il Wto, l'Europa. Non c'è proprio niente che il governo nazionale può fare?
«Basta guardare i telegiornali per capire che quelli sono i fatti che stanno cambiando il mondo, l'Europa, l'Italia. Secondo l'Eurobarometro il 64% della popolazione europea ritiene che la globalizzazione, così com'è, non va bene, il 68% teme la povertà. Le cause della crisi sono globali, ma gli impatti sono locali. La soluzione deve essere globale e locale: l'una senza l'altra è sbagliata. Sul fronte esterno il governo italiano si sta impegnando nel G8 e in Europa per la presa di coscienza dei fattori di crisi globale. Il 2009 sarà l'anno del G8 italiano e questa potrà essere la base per lo sviluppo di un'iniziativa internazionale mirata a rifare Bretton Woods».

In Italia avete appena varato una Finanziaria triennale anticipata. In sostanza la blindatura dei conti. E poi?
«L'Italia va riformata e rilanciata. La riforma decisiva, ineludibile come dice il presidente della Repubblica, si chiama federalismo fiscale, mentre il rilancio può passare attraverso l'economia sociale di mercato. Sul primo fronte siamo relativamente ottimisti. La sinistra potrà avere ed avrà un ruolo istituzionale fondamentale nel disegno riformatore costituzionale e, dentro questo, nel disegno del federalismo fiscale. L'economia sociale di mercato sta nel nostro programma elettorale: è una prospettiva che si apre. Sappiamo bene che è un esperimento tanto necessario quanto complesso. In Europa i governi non "fanno" l'economia, ma devono e possono fare la piattaforma su cui l'economia si sviluppa. E' per questo che la manovra è basta su due pilastri. Quello del consolidamento triennale del bilancio pubblico e quello dello sviluppo. Finora l'attenzione si è concentrata solo sul primo. Ma, in realtà, c'è anche ed ugualmente importante il secondo. Dal nucleare alle infrastrutture, all'uso attivo della Cassa Depositi, alla riprogrammazione centralizzata dei fondi europei per il Sud, dal piano casa ai nuovi strumenti di investimento nella ricerca, dalla riforma del processo civile alla liberalizzazione dei servizi locali, fino alla semplificazione legislativa e burocratica. In questi termini l'Italia ha già iniziato a trasformare in legge la sua Agenda di Lisbona ».

Però, per far quadrare i conti, è stata tagliata anche la spesa per le infrastrutture.
«Non è vero, e al Sud stanno per arrivare 100 miliardi di investimenti. Il vero problema non è avere, ma usare i capitali. L'Autostrada del Sole, la più grande opera moderna di unificazione del Paese, è stata costruita senza una lira di fondi pubblici, ma con una fortissima regia "pubblica"».

Invita tutti nella stanza dei bottoni?
«Questa è una formula vecchia, ma efficace. Esperienze, tempi, metodi, indirizzi e controlli possono essere messi in campo da forze esterne al governo e alla politica, ma che pure sono parte essenziale del Paese: parti sociali, sistema industriale, bancario, fondazioni, società civile. In tempi straordinari è un dovere chiedere ed aspettarsi l'impegno di tutti nell'interesse generale. A una realtà nuova si deve rispondere con una formula nuova».

Perché le imprese e i sindacati, vista l'aria di crisi che tira, dovrebbero assumersi il peso delle scelte?
«Quello che si chiede non è di condividere le responsabilità, che sono e restano del governo, ma di esprimere e far valere in positivo le proprie ragioni e le proprie esperienze».

Piuttosto, Veltroni minaccia manifestazioni autunnali.
«Piazza per piazza è più bravo Di Pietro e lo si vede nei sondaggi. Fare uno sciopero contro il petrolio e il carovita quando i soldi non ci sono per nessuno è come scioperare contro la pioggia. In ogni caso è grottesco che i sinistri artefici della globalizzazione mondialista guidino le vittime contro le loro stesse colpe, convinti di fregare il popolo, convinti che la verità non venga fuori e gli si ritorca contro».

Pierluigi Bersani, ministro ombra dell'Economia, sospetta che il deficit di quest'anno sia sovrastimato. E non solo da sinistra il governo viene continuamente riportato alla promessa elettorale di riduzione delle tasse…
«Con la crescita che è andata verso lo zero e il deficit in salita, i soldi non ci sono per nessuno, neanche per il governo. Io ho solo il dovere di mettere in sicurezza il bene pubblico superiore che è il bilancio dello Stato e, dentro questo, il risparmio delle famiglie. Quando va in crisi il mercato l'ultima e superiore istanza è lo Stato. Non cederemo agli illusionisti dei tesoretti — magari ci fossero — o ai cattivi maestri del deficismo. L'impegno preso nel 2007 dalla Repubblica è quello europeo e intendiamo rispettarlo».

E il taglio delle tasse a quando?
«In sessanta giorni abbiamo detassato la casa e gli straordinari. La riduzione delle tasse verrà come dividendo del federalismo fiscale — meno spese e meno tasse - e con una crescita socialmente concertata. Da qui potrà uscire nuova ricchezza che dovrà essere destinata alla prioritaria riduzione del carico fiscale sul lavoro dipendente, le pensioni e le famiglie. Non possiamo dividere una torta che non c'è, ma sperare di creare tutti insieme un maggior prodotto e una maggior giustizia. Sappiamo bene che nel paese c'è sofferenza, ma anche che questa potrebbe crescere e non ridursi con una spesa pubblica non coperta, che porterebbe al disastro i conti».

Ieri anche il Portogallo ha adottato la sua Robin Hood Tax. Qui molti ne contestano l'efficacia, giudicandola d'effetto, ma di poca sostanza.
«Si dice che sia un'imposta inutile, perché tanto i petrolieri la traslerebbero sui prezzi. In questi termini l'unica imposta giusta sarebbe quella sugli operai, che non la possono traslare. Fa effetto che l'anno scorso sia stato ritenuto giusto il raddoppio dell'Iva sul riscaldamento per le famiglie, perché tanto non potevano traslare la tassa, e invece ora si ritenga ingiusta l'imposizione sugli extraprofitti dei petrolieri. Gli effetti sui prezzi saranno bloccati dalle autorità di controllo. E comunque è meglio prendere quattro miliardi lì che doverli tagliare alla spesa sociale e alla sanità».


13 luglio 2008

da corriere.it
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #3 inserito:: Luglio 14, 2008, 11:09:17 am »

14/7/2008
 
Tremonti, il pareggio non basta
 
 
 
 
 
GIORGIO LA MALFA
 
Le prime decisioni del Governo in materia di finanza pubblica meritano un sostegno senza riserve. È stata giusta la decisione di Tremonti di confermare immediatamente l'impegno europeo di realizzare il pareggio del bilancio dello Stato nel 2011 e di anticipare il più possibile, senza aspettare l'autunno, l'avvio della manovra finanziaria. Le proteste per i tagli alla spesa decisi dal ministero dell'Economia, per quanto possano apparire giustificate se prese una per una, non possono essere accolte. Dopo oltre 30 anni consecutivi di deficit che hanno prodotto un debito pubblico che da solo rappresenta oltre un quarto del debito pubblico complessivo dei 27 paesi membri dell'Unione Europea, il pareggio del bilancio segnerà un cambiamento nella considerazione internazionale dell'Italia di cui il Paese si gioverà in molti campi. Su tutto questo non si discute.

Ma le difficoltà stanno davanti a noi. Il problema è che, se si vuole affrontare seriamente il problema della crescita economica italiana, i tagli richiesti per realizzare il traguardo del pareggio del bilancio non esauriscono gli interventi sulla spesa pubblica. Essi sono solo l'inizio: bisognerà incidere e in misura ancora più consistente sulla spesa corrente. In questo senso quella che è stata delineata in queste settimane è soltanto la prima metà della politica economica del Governo. L'altra metà, indispensabile, andrà delineata alla ripresa autunnale, discussa in Parlamento e poi messa con decisione in cantiere.

L'economia italiana è ferma da 15 anni. Una tabella del Dpef informa che, allo stato degli atti, la crescita prevista per il Reddito Nazionale nel prossimo quinquennio sarà di poco superiore all'1% l'anno. È evidente che non possiamo permetterci di continuare così. Bisogna tener presente che, se il reddito cresce del 4 o del 5%, è probabile che anche i meno fortunati registrino un qualche miglioramento del tenore di vita, ma se l'economia cresce all'1% è sostanzialmente inevitabile che qualcuno debba constatare un peggioramento assoluto delle proprie condizioni effettive, come già sta avvenendo. Inoltre, se non si alza la soglia della crescita, qualunque politica sociale diviene più difficile.

Poiché l'ortodossia della Bce farà sì che nessun aiuto verrà dalla politica monetaria, il Governo ha solo un modo per favorire la ripresa dello sviluppo ed è la riduzione della pressione fiscale, oggi al 43% e destinata, nei calcoli del Pdef, a restare a quel livello almeno fino al 2013. La seconda parte della politica del Governo è dunque la riduzione della pressione fiscale, ovviamente senza modificare l'obiettivo del pareggio del bilancio. Di quanto va ridotta la pressione fiscale? La risposta è: il più possibile, ma in ogni caso, se si vuole uno stimolo alla crescita degli investimenti e dei consumi, non può trattarsi di ritocchi lievi. Bisogna immaginare una riduzione che porti la pressione dall'attuale 43% a qualcosa che sia dell'ordine del 35%. Questo comporta una riduzione dell'incidenza della spesa corrente dal 44-45% del Pil al 36-37%, un intervento di proporzioni notevoli, mai tentato finora in Italia. Dunque, gli interventi volti al pareggio del bilancio non esauriscono ciò che si deve fare in tema di finanza pubblica: sono anzi, quantitativamente, la parte meno consistente.

Per quanto sia difficile immaginare altri interventi sulla spesa, viste le proteste ogni volta che si mette mano al problema, è proprio questo l'intervento da progettare. Sono propositi irrealizzabili? Altri paesi europei, come la Danimarca, l'Irlanda e la Svezia, hanno realizzato interventi sulla spesa pubblica di questo ordine di grandezza. Non hanno distrutto, per questo, le loro conquiste sociali e le loro economie funzionano meglio. Per l'Italia, si tratta di prendere i grandi settori di spesa - pubblico impiego, previdenza, sanità, trasferimenti agli enti locali - e proporsi di ridurre la loro incidenza sul Pil di circa 2 punti percentuali l'anno. Se questi interventi vengono affrontati all'ultimo momento, sotto l'urgenza di una crisi inattesa di bilancio, è chiaro che i tagli sono approssimativi e destinati a incidere sul livello dei servizi pubblici. Se predisposti e studiati con anticipo, essi probabilmente serviranno a spendere meno, ma a far funzionare di più i servizi. Come del resto avviene in qualunque programma di risanamento delle imprese, dove si parte dal taglio dei costi e si finisce col migliorare il prodotto.

È difficile dire se il Governo se la sentirà di mettere in cantiere un programma di questa portata di riorganizzazione dello Stato e delle sue funzioni. Può spingerlo in questa direzione l'impegno ad affrontare il tema del cosiddetto federalismo fiscale: se si vuole lasciare alle Regioni una parte delle risorse che oggi lo Stato raccoglie e con cui finanzia la propria spesa, sarà indispensabile rivedere profondamente compiti e funzioni dello Stato e quelle degli enti locali. Il Governo ha una maggioranza ampia in Parlamento e un forte consenso nel Paese. È nelle condizioni di formulare e realizzare un programma di legislatura che muti il volto dell'Italia. Si vedrà in autunno se avrà il coraggio di farlo.

www.fulm.org
 
da lastampa.it
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #4 inserito:: Luglio 31, 2008, 03:03:50 pm »

Tremonti, giacobino alla rovescia

Michele Ciliberto


Il governo Berlusconi, in queste settimane, sta dando una prova di ostinazione della quale occorre prendere atto.
Sarebbe però sbagliato, a mio giudizio, sottovalutare la compresenza nel governo di linee molto diverse l’una dall’altra, potenzialmente contraddittorie e perfino dissolvitrici dell’attuale assetto governativo. Vale la pena, in questa prospettiva, di commentare brevemente l’intervista di Giulio Tremonti apparsa su Libero, domenica 27 luglio.

Si tratta, infatti, di un testo importante, perché esprime in forma piena e articolata il punto di vista dell’attuale ministro dell’Economia.

Ciò a cui occorre mettere mano - questo è il centro del ragionamento di Tremonti - è una riforma radicale dello Stato: «Lo Stato - dice il ministro - deve tornare a fare solo l’essenziale. Deve ritirarsi nel suo perimetro di competenze storiche». Ed è precisamente in questo quadro strategico che si pone la manovra finanziaria in corso di approvazione alle Camere. «In una fase in tutto e per tutto non ordinaria», essa si pone l’obiettivo di «rilanciare l’economia e di rifare lo Stato», in modi e forme radicali: «non c’è mai stato come questa volta - insiste Tremonti - un cambiamento tanto radicale, su una pluralità di fronti e concentrato in così breve tempo».

Non è il caso,in questa sede, di verificare se quello che dice il ministro corrisponda a verità: conta sottolineare la nettezza e il vigore del suo ragionamento. Quello che Tremonti ha in mente è una riforma organica dello Stato e dell’amministrazione pubblica italiana che si pone in antitesi diretta con quella che è stata la politica dell’Italia nell’“epoca democristiana” (uso io questo termine, per comodità): rigore economico, controllo della spesa, lotta al clientelismo, polemica frontale contro «tutte le ipotesi “deficiste”, tutti gli inviti ad accendere maggiore spesa pubblica finanziata con coperture fittizie o, peggio, inesistenti».

La lotta contro i “deficisti” (un lemma nuovo, se non m’inganno) - e le conseguenze delle loro politiche economiche (da ultimo l’estendersi delle pensioni di invalidità al Sud come al Nord) - è un leitmotiv di tutta l’intervista; né è difficile capire con chi se la prende il ministro. In termini schematici: se la prende con il compromesso tra “capitale” e “lavoro” realizzato in Italia,sul piano politico, dalla Democrazia Dristiana da un lato, dal Partito comunista dall’altro (procedo anche qui in modo sommario). Per Tremonti, è necessario mutare totalmente strada, puntando su nuove politiche europee e nazionali e su nuovi strumenti economici a cominciare da quel «gigante finora addormentato», che è la Cassa depositi e prestiti. Ma, in primo luogo, bisogna lavorare a una nuova definizione della figura e del ruolo dello Stato, il quale deve essere il vero dominus della vita economica del Paese, dell’uso delle risorse,delle politiche di spesa: «Occorre decidere al centro - dice Tremonti - per andare sul grande,non dalla periferia perdendosi nel piccolo come sinora è avvenuto». Stabilite le linee generali, poi è opportuno «sentire la voce delle Regioni come di tutti coloro che operano nel settore delle infrastutture» e questo sarà, appunto, fatto, dopo aver concentrato tutti i Fondi europei di sviluppo presso il Cipe. È un ragionamento complesso, quello svolto da Tremonti ma i nuclei centrali appaiono netti: neo-centralismo, federalismo, privatizzazioni, conservatorismo compassionevole...

Sarebbe sbagliato non riconoscerlo: si tratta di un disegno di «modernizzazione, già sperimentato per altro in europa, da altre forze di destra», imperniato però in primo luogo - ed è questo il punto da sottolineare - su un neo-centralismo dello Stato, al quale vengono affidate le funzioni di direzione economica fondamentali, mentre le politiche sul territorio sono assegnate, nei gangli centrali, alle Regioni, rilanciando il federalismo, il quale ha il compito di «raddrizzare la pianta storta dello Stato, caricato di troppe cose da fare e di troppi debiti». Per come viene presentato - va sottolineato anche questo - è un disegno di modernizzazione essenzialmente dall’alto, di tipo “giacobino” (come del resto dimostra, in modo esemplare, proprio la vicenda della manovra finanziaria). Nè, di per sé, è un fatto sorprendente: il “giacobinismo”, in modi ovviamente diversi, è un tratto tipico degli intellettuali italiani di matrice laica, permanentemente protesi a “riformare” ab imis fundamentis società e Stato. E Giulio Tremonti, come si sa, “nasce” come intellettuale, quale professore di Diritto tributario all’Università di Pavia né, pur essendo sceso in politica, ha mai rinunziato alla sua attività di saggista, di professore...

I “giacobini” però - e Tremonti lo sa bene - senza “consenso” sono destinati al fallimento. Nella sua intervista discorre perciò a più riprese di “spirito repubblicano”, cioè della necessità di coinvolgere larghe forze politiche e sociali nel suo progetto, arrivando addirittura a sostenere che chi non dialoga con il governo «va contro l’Italia». Sono battute un po’ eccessive, ma non vanno ascritte, a mio giudizio, solo al genere letterario dell’intervista. Tremonti sa bene da dove gli viene il “consenso”, ma per diretta esperienza è altrettanto consapevole che Berlusconi è, al tempo stesso, la forza e la debolezza del suo disegno di modernizzazione. In effetti, è grazie al Popolo della libertà che Tremonti è riuscito a varare una manovra economica assai dura su una “pluralità di fronti”, spossessando di fatto tutti gli altri ministri e senza prestare ascolto a nessuna voce di protesta, qualunque fosse la sua autorevolezza. Ma, come dimostra tutta la sua vicenda imprenditoriale e politica, Berlusconi è figlio diretto della storia che Tremonti vorrebbe chiudere una volta per sempre; e, se mira a qualcosa, pensa a ricostituire un moderno partito “interclassista” che estenda ed rafforzi con nuove forme di “consenso” l’interclassismo di matrice democratico-cristiana. Per Berlusconi, il “consenso” politico e sociale delle corporazioni che fanno capo al suo partito è il primum obiettivo della sua azione di governo,decifrabile come una forma di “dispotismo dolce” mediaticamente imposto, il contrario preciso del “giacobinismo”; né è difficile prevedere le tensioni,e anche le contraddizioni, che si apriranno nel governo, quando le misure di Tremonti cominceranno a toccare pezzi del blocco sociale che si raccoglie intorno al Popolo della libertà, nel quale sono confluiti - sulla base di interessi corporativi precisi - forze e ceti che facevano capo alla Dc e allo stesso Partito Socialista. A quel livello, le politiche compassionevoli di Tremonti - compresa la social card - non serviranno a niente; si riveleranno per quello che sono:un espediente buono solo per chi - a differenza dei “deficisti” - non è in grado di far sentire la sua voce. Le tensioni non si apriranno però solo su questo terreno: nonostante le tante dichiarazioni di accordo e di empatia, il neo-centralismo di Tremonti è destinato a cozzare anche con le politiche della Lega, la quale ha una idea del federalismo - e della funzione dello stato centrale - assai diversa da quella del ministro dell’Economia. È difficile che la Lega continui ad accettare che i fondi europei siano concentrati nel Cipe o che le stesse Regioni si rassegnino ad essere convocate dal ministro, con gesto napoleonico, quando gli sembrerà più opportuno. Anche qui, al fondo ci sono due concezioni strategiche assai diverse. Non sono invece rilevanti,a mio giudizio, i contrasti - posto che ci siano - con Alleanza Nazionale, che non è più, ormai, un attore politico autonomo, effettivo.

Su tutto questo le opposizioni al governo avranno, penso, ampia materia di intervento. Ma il discorso è più complesso, e va fatto con chiarezza. Tremonti dà risposte conservatrici a una serie di problemi reali, con cui le forze riformatrici devono confrontarsi, senza complessi, come hanno già cominciato a fare col governo Prodi. L’esigenza di una riforma dello Stato e dell’amministrazione pubblica è centrale; ed altrettanto decisiva è la battaglia per un diverso uso delle risorse, per definire nuovi criteri di spesa e di intervento pubblico, in dura contrapposizione con le politiche di tipo clientelare che hanno afflitto - e rovinato - il nostro Paese (con tutto quello che ciò comporta sul piano dei rapporti con il sindacato). Il federalismo è una esigenza reale e va soddisfatta, senza, naturalmente, cadere in forme di neocentralismo dello stato. Il primato del merito - nel pieno riconoscimento del dettato costituzionale - è decisivo in una moderna democrazia, e deve essere la bandiera delle forze che vogliono riformare l’Italia. Valorizzare il merito non significa, certo, privilegiare la strada della privatizzazione, come si fa nel decreto del 25 giugno: l’università pubblica va salvaguardata come principio di libertà e di eguaglianza. Ma proprio per questo occorre anche sapere intervenire drasticamente nei guasti che cattive politiche di governo e perverse pratiche accademiche hanno introdotto in questo ganglio centrale della vita scientifica e civile del Paese. Se si ha a cuore il futuro dell’università pubblica, è necessario battersi per una sua riforma radicale, mettendo fine alle degenerazione di questi ultimi decenni. Altrimenti si fa una battaglia, pur importante, ma di retroguardia.

Ma questo è solo un esempio; a me preme, anzitutto, sottolineare che quello che abbiamo di fronte è un percorso assai più mobile e dinamico di quanto si potrebbe pensare. Sta al Partito Democratico usare le possibilità che la situazione gli offre: tanto più lo farà quanto più svilupperà un’azione limpidamente riformatrice.


Pubblicato il: 31.07.08
Modificato il: 31.07.08 alle ore 10.12   
© l'Unità.
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #5 inserito:: Febbraio 16, 2009, 05:01:45 pm »

Tremonti: «Perché concordo con Prodi»
 
 
ROMA (16 febbraio) -

Gentile direttore, ho letto con grande interesse l’articolo di Romano Prodi pubblicato ieri sul Messaggero sotto il titolo “Il semaforo verde di Roma a una nuova Bretton Woods”. Romano Prodi pubblica sul suo giornale articoli sempre di grande interesse, questo è di grandissimo interesse e, se posso aggiungere, è anche un articolo che esprime la “cifra” della grande politica.

Una “cifra” che somma due addendi essenziali. La visione e la cultura istituzionale: la capacità di mettere insieme materiali apparentemente eterogenei, economici e giuridici, facendone sintesi politica.

Bretton Woods fu all’inizio una lunghissima conferenza. Da questa derivò un sistema di princìpi. Solo alla fine tutto questo fu formalizzato in un trattato internazionale multilaterale. Quattro mesi sono un termine oggettivamente troppo breve per fare tutto questo, ma spero, speriamo sufficientemente lungo per disegnare la mappa del percorso.

Un percorso che non serve tanto o solo per uscire dalla crisi, da questa crisi, ma anche e soprattutto per evitare che la fine di “questa crisi ne prepari una nuova” (Romano Prodi, Messaggero del 31 dicembre 2008 titolo “Per non passare da una crisi all’altra serve un leone non un gattino”).

Concordo, e ringrazio di cuore. 

da ilmessaggero.it
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #6 inserito:: Aprile 19, 2009, 04:38:08 pm »

Election day: «va contro lo spirito della costituzione»

Tremonti: «Crisi? Nessuno ci pensa più È finita la paura del crollo delle Borse»

Il ministro: «Nessuna tassa per il terremoto, spostiamo delle voci di spesa. Il referendum? Era meglio non farlo»
 

MILANO - «Nessuno pensa più a un crollo globale della finanza, la gente ha tirato un respiro di sollievo». Il ministro dell'Economia Giulio Tremonti, ospite a In mezz'ora di Lucia Annunziata, parla di crisi, terremoto, referendum. «Siamo ancora in una situazione incognita, ma sicuramente è finita la paura dell'apocalisse, che sta rallentando la caduta del commercio mondiale. La paura di un crollo delle Borse e della finanza mondiale mi sembra finita. C'è una prospettiva in cui la speranza si sostituisce alla paura» ha concluso citando Obama.

REFERENDUM - Altro argomento, l'election day. Per Tremonti accorpare la data delle elezioni europee e quella del referendum sarebbe stato «contro lo spirito e la logica della Costituzione» e comunque, ha detto, «il referendum era meglio non farlo». «Se c'è un meccanismo per risparmiare sul referendum non è certo violando la legge, se mai si può pensare di spostare la data sul giorno del ballottaggio delle amministrative». Quanto ai costi, andrebbero «messi a carico di chi ha inventato il referendum: i referendari sembrano sempre più una setta che fa delle cose che agli italiani interessano sempre meno». Alla domanda dell'Annunziata se ci sia stato uno scontro con la Lega risponde: «Non c'è stato questo livello di tensione».

TERREMOTO - Tremonti ha poi confermato che non ci saranno nuove tasse per sostenere la ricostruzione dell'Abruzzo, dopo l'annuncio del premier Berlusconi. «Non metteremo le mani nelle tasche dei cittadini, non ce ne è bisogno» ha detto. Gli aiuti ai terremotati, spiega il ministro, verranno finanziati con rimodulazioni della spesa pubblica. «Molte voci di spesa possono essere spostate da altre causali a questa più importante, l'assistenza a chi è stato colpito dal terremoto». Le risorse pubbliche «bastano e avanzano per ricostruire nei prossimi anni, il problema non è tanto finanziario quanto umano» ha aggiunto, parlando poi dell'«impressionante sforzo messo in campo dalla Protezione civile».

FONDI FAS - «Chi ha di più, se vuole, potrà dare di più - ha aggiunto parlando della ricostruzione -. Studieremo eventualmente i modi per una deduzione più ampia in questi casi di quella prevista normalmente». E ancora: nel bilancio statale «ci sono tante voci di spesa non utili o molte che possono essere spostate da altre causali a una che al momento è la più importante: l'assistenza a chi è stato colpito». Poi sull'ipotesi che si faccia leva per la ricostruzione anche sui fondi Fas (fondi aree sottoutilizzate), Tremonti ha ribadito: nel bilancio statale «esistono molte voci: Anas, legge obiettivo, fondi europei. La presidenza del Consiglio saggiamente ha messo da parte una quantità elevata di fondi che non sono solo i fondi Fas». Rinviare il Ponte di Messina destinando i soldi alla ricostruzione dell'Abruzzo? «Se c'è un problema per l'Abruzzo oggi non è quello di trovare i soldi».

EVASIONE - Ultimo argomento, l'evasione fiscale. «C'è sempre stata ma non è aumentata adesso - ha detto Tremonti -. C'è un'oggettiva caduta delle entrate ma è molto minore in Italia rispetto ad altri Paesi europei», soprattutto per quanto riguarda l'Iva. Sull'evasione in particolare, il ministro ha citato le dichiarazioni 2007, diffuse qualche giorno fa: «C'era il centrosinistra e quelle dichiarazioni sono oggettivamente scandalose. L'evasione c'era e c'è ancora. L'unico modo per combatterla è mettere in campo i Comuni e fare il federalismo fiscale».


19 aprile 2009
da corriere.it
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #7 inserito:: Aprile 22, 2009, 12:57:14 pm »

La lettera

Einaudi e l’eccezione della patrimoniale

di GIULIO TREMONTI


Caro Direttore,
ho letto e con grande interesse l’articolo pubblicato ieri sul Corriere sotto il titolo: «Il fisco italiano? Nasce con una patrimoniale». In particolare si legge nell’articolo che: «Il fisco italiano è nato sotto il segno di un’imposta patrimoniale». «Quasi 150 anni fa, agli albori dello Stato italiano, era una patrimoniale il prelievo fiscale più importante: l’imposta fondiaria, racconta Massimo Baldini, docente di Economia all’Università di Modena».

Non ne sono del tutto convinto.

È vero che l'imposta fondiaria è stata una delle grandi imposte che hanno finanziato l'«unificazione» dello Stato italiano, ma non mi risulta che fosse un'imposta patrimoniale. Al proposito e per tutti si legga Einaudi, Corso di scienza delle finanze, Torino 1916, pagina 360, dove l'imposta fondiaria viene inclusa nella Parte seconda, destinata appunto alle: «Imposte italiane sui redditi»! Un'imposta che insisteva sul reddito dunque, e non sul patrimonio, se pure su di un reddito a sua volta fondato su di un fattore produttivo «capitale», come si diceva allora. Nello stesso senso, ancora Einaudi, Il sistema tributario italiano, Torino 1939, pagina 54 (cfr. tabella allegata). Ancora nello stesso senso Einaudi, La terra e l'imposta, Torino 1942, pagine 15 e 16. Come concludere? Nel sistema fiscale italiano l'imposta patrimoniale non è mai stata la regola, ma semmai l'eccezione (se pure un'eccezione importante, come ad esempio nella vecchia imposta sulle società); non è mai stata l'imposta principale, ma semmai solo una forma di imposizione residuale; non ne è stata il principio e - ad occhio e croce ­non ne sarà neppure la fine.


22 aprile 2009
da corriere.it
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #8 inserito:: Giugno 28, 2009, 05:13:01 pm »

Intervistato da Lucia Annunziata nella trasmissione «In mezz'ora»

Tremonti: «Niente governi tecnici Dureremo tutta la legislatura»

«Andrò in Cina per parlare della crisi. Berlusconi? Guardare dal buco della serratura danneggia l'Italia»
 

ROMA - Il Governo Berlusconi «finisce tutta la legislatura, con un crescendo di forze che corrisponde ad un crescendo di debolezza dell’opposizione», secondo il ministro dell’Economia Giulio Tremonti, intervistato da Lucia Annunziata a «In mezz’ora» (Rai3). «Si possono fare tutti gli scenari, ma l’unico scenario non di cartapesta è che questo governo è fortissimo», ha detto il titolare di via XX Settembre in riferimento alle tesi di alcuni giornali stranieri circa un complotto interno alla maggioranza che farebbe cadere l’esecutivo per passare la mano a un governo tecnico. «Se non c’hai il Parlamento non sei forte, se c’hai il Parlamento sei forte. Nel Parlamento italiano c’è una voglia di sostegno al governo enorme. Governi tecnici? Lei può anche trovare un tecnico, ma lo manda al Parlamento e avrà un tempo di vita non superiore a quello di uno Yomo. Questo Parlamento e questo Governo sono fortissimi l’uno con l’altro».

SERVE UN PO' MENO TV, MENO SHOW - Il ministro dell'Economia poi ha commentato quanto detto dal presidente del Consiglio sulle istituzioni economiche e sui media che alimentano la paura della crisi: «Un po' di calma, un po' meno televisione, un po' meno show sarebbe utile per tutti. I bollettini statistici ufficiali vanno sempre pubblicati. È che un po' si esagera durante la crisi, di questi tempi, non facendo del bene, ma facendo del male alle famiglie, a chi ci ascolta». Il premier «ha detto solo di stare attenti», non di non dare pubblicità a chi fa allarmismo, ha precisato Tremonti.

L'INFORMAZIONE RAI - Da «editore» della Rai, il ministro ha detto: «Io penso che la Rai fa della buona informazione, mediamente fa buona informazione e quel che conta è la media. Penso che siamo un grande paese libero e la Rai lavora bene». Alla richiesta di chiarimenti sulla frase di Berlusconi sulla pubblicità, Tremonti ha risposto spiegando che il premier «Non ha detto di non dare pubblicità, ha detto di stare attenti. Ad esempio, un ministro europeo aveva spiegato che «è inutile che noi diamo degli stimulus, tipo incentivi alla famiglia per cambiare l'auto, e poi quella famiglia accende la tele e trova stimoli contrari».

LE FESTE A VILLA CERTOSA - «Guardare dal buco della serratura danneggia l'Italia. C'è un gruppo di persone che, così facendo, finisce per danneggiare l'Italia. Perché invece di indagare su certe cose, non si indaga sulla Sacra corona unita?». Così ha risposto a Lucia Annunziata sulle vicende legate ai festini del Premier. Alla domanda su chi sia questo gruppo di persone, Tremonti glissa: «Lo sa bene anche Lei».

LA CINA - Poi il ministro ha confermato che andrà in Cina, invitato dai vertici del Partito Comunista, a parlare delle «conseguenze politiche della crisi globale»: «È una cosa che mi interessa e mi onora molto - ha detto Tremonti -. In una sede politica si parla di politica, naturalmente con la massima libertà di opinione. Devo ancora definire quando ci potrò andare».

PENSIONI - Questione pensioni e adeguamento alla sentenza della Corte di Lussemburgo: «Questo è un punto su cui dobbiamo discutere nei prossimi giorni. Stiamo studiando e considerando il meccanismo delle pensioni che in Europa e dall'Europa è considerato uno dei più solidi. Se faremo la riforma non sarà per prendere i soldi agli operai e darli a chissà chi. Se si farà la riforma i soldi del lavoro restano nel lavoro».

28 giugno 2009
da corriere.it
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #9 inserito:: Settembre 03, 2009, 05:25:09 pm »

LA POLEMICA

Ministro Tremonti non ci ridurrà al silenzio

Con questo intervento 16 economisti rispondono agli attacchi del ministro Tremonti.


CARO DIRETTORE,

sin da quando ha riassunto responsabilità di governo, nel 2008, il ministro Giulio Tremonti ha intrapreso un processo agli economisti. Accusatore e giudice al tempo stesso, ha emesso successivi verdetti di condanna, la pena consistendo nell'obbligo al silenzio per almeno due anni, in specie su questioni di politica economica. La motivazione pare essere la seguente: non avere gli economisti previsto la crisi e aver anzi accettato o addirittura esaltato le degenerazioni che la provocarono. Per un'opportuna opera di rieducazione viene suggerita la lettura dei libri del ministro.

Nessuno di noi è disposto a stare zitto. Un compito importante della nostra professione, in Italia e altrove, consiste nel sottoporre a valutazione ragionata la politica economica dell'esecutivo. Lo abbiamo fatto con i governi passati, continueremo a farlo e ci pare preoccupante che oggi in Italia sia tanto difficile avere un confronto pubblico pacato sulla politica economica in tempi di crisi: sulla Legge Finanziaria 2010, sull'efficacia dei provvedimenti che il governo ha finora adottato e sulla loro sorte.

Non abbiamo difficoltà a riconoscere che questa crisi pone una sfida alla nostra professione (di cui alcuni di noi hanno anche scritto): non certo per non averne previsto il quando e il come, quanto per non aver pienamente percepito le cause e le conseguenze di un'anomala crescita del credito e dell'esposizione al rischio e per avere trascurato i problemi di stabilità finanziaria. Il disagio degli economisti, comunque, non può essere certo maggiore di quello di governanti, banchieri centrali e vigilanti, soprattutto di oltre Atlantico, i quali ancor meno seppero prevedere e prevenire. Semmai, quando si cerchino eccezioni alla disattenzione generale, le si trovano proprio fra gli economisti, tra cui quelli della Banca dei Regolamenti Internazionali e non pochi accademici.

Ma tanto non può certo bastare al Ministro, il quale afferma che egli sì aveva previsto tutto, e da tempo. Notiamo che l'affermazione reiterata negli anni che presto o tardi vi sarà una crisi non rappresenta una previsione, ma una scommessa a esito sicuro. Nel suo ultimo libro Tremonti discute delle miserie dell'Europa, della sua paralisi politica, dei costi della globalizzazione. La breve analisi della crisi finanziaria, già in atto da nove mesi, pur se efficace e corretta, non si distanzia da altre che in quei mesi venivano pubblicate. Nella parte propositiva si tratta di questioni generali, mai tuttavia toccando i temi della riforma del sistema finanziario.

Ma soprattutto ci chiediamo se la capacità di previsione di cui egli è fiero abbia ispirato la sua azione di governo. Una ricerca in questa direzione dà risultati deludenti. Non troviamo traccia di gravi preoccupazioni sulla stabilità finanziaria globale nei documenti ufficiali firmati dal Ministro; né rinveniamo espressioni di preoccupazione manifestate nei consessi internazionali a cui egli partecipò prima della crisi. Di più: alcuni provvedimenti assunti nell'estate del 2008 (quando, anche prima di Lehman, gli Stati Uniti e, sola in Europa, l'Italia erano già in recessione) paiono poco comprensibili in una realtà in cui l'occupazione si riduceva, aumentava la cassa integrazione e i bilanci delle banche esibivano crescenti sofferenze.

Ma questo dibattito riguarda ormai il passato, né conviene continuarlo. Di altro vorremmo discutere con lui, se, restituendoci il diritto di parola, egli accettasse di farlo: delle vicende dell'economia italiana e dei suoi mali oscuri; delle ragioni che lo inducono a ritenere che noi usciremo meglio degli altri dalla crisi, pur essendoci entrati assai prima e in condizioni peggiori. Vorremmo conoscere la sua opinione su una stagnazione, indipendente dal ciclo politico, che ormai dura da quindici anni, rammentando che negli anni in cui il Ministro ha avuto la responsabilità della politica economica (2001-2005, quando il suo primo documento di programmazione prometteva "un nuovo miracolo economico", e 2008) la crescita italiana ha esibito un divario negativo di oltre 5 punti rispetto alla crescita europea. In definitiva, vorremmo comprendere come egli si proponga di trasformare in realtà le sue speranze sul futuro del paese.

Giorgio Basevi
Pierpaolo Benigno
Franco Bruni
Tito Boeri
Carlo Carraro
Carlo Favero
Francesco Giavazzi
Luigi Guiso
Tullio Jappelli
Marco Onado
Marco Pagano
Fausto Panunzi
Michele Polo
Lucrezia Reichlin
Pietro Reichlin
Luigi Spaventa

(3 settembre 2009)
da repubblica.it
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #10 inserito:: Settembre 08, 2009, 11:01:57 pm »

DIETRO LO SCONTRO DI POTERE


Il ministro e i banchieri

Ogni volta che Giu­lio Tremonti attac­ca i banchieri se­gna un goal. I ban­chieri formano il ceto che negli ultimi anni è stato por­tato a modello di virtù capi­talistica.
E la tecnofinanza, che hanno inventato con l’aiuto di alcuni Nobel, è sta­ta considerata più ricca di fu­turo dell’industria. La crisi dimostra che quel modello non va.
Quando dà voce a quella parte d’Italia che non ha mai smesso di considera­re la manifattura un giaci­mento di cultura imprendi­toriale e di moralità del lavo­ro, Tremonti svolge un’utile opera pedagogica. Ma quan­do imputa alle banche di te­nere più agli azionisti che al­la comunità perché, non avendo ancora sottoscritto i Tremonti bond, non conce­dono abbastanza credito al­le imprese, il ministro del­l’Economia risulta meno convincente.

La sua accusa presuppo­ne che le banche siano un’in­frastruttura del Paese e non società a scopo di lucro. Co­sì non è da quando, nei pri­mi anni Novanta, le aziende di credito sono state privatiz­zate. Certo, l’aiuto diretto e le garanzie che gli Stati han­no fornito alle banche — in Italia infinitamente meno che altrove — rendono tali imprese passibili di una vigi­lanza che sarebbe inutile e dannosa per altre, libere di fallire. Ma da qui a fare delle banche strumenti di politica economica del governo il passo è lungo. E nemmeno Tremonti ha mai detto di vo­lerlo compiere.

L’adeguatezza del credito è questione più concreta. I bilanci bancari italiani non sono più floridi. Le semestra­li presentano utili sostanzial­mente dimezzati, dopo che nel 2008 il ritorno sul capita­le era già sceso in media dal 12,8 al 4,8%. Secondo uno studio riservato di Promete­ia, nel giro dei prossimi tre anni sono attese perdite su crediti per 50 miliardi. Ad­dossarsi un simile peso non è da poco. Le memorie del Banco di Napoli e del Banco di Sicilia, che il credito non lo negavano a nessuno, im­plorano prudenza.

Il governo, che da mesi in­calza, ha avuto un atteggia­mento non sempre preveg­gente. Prima ha trattato le banche come se grondasse­ro quattrini, infliggendo lo­ro, con la Robin Tax, un sa­lasso stimabile in 1,4 miliar­di l’anno. Nell’autunno della Lehman, ne ha parlato come di aziende sull’orlo del falli­mento. In origine, i Tremon­ti bond sono stati concepiti come una ciambella di salva­taggio. Il loro annuncio ha concorso a ristabilire un cli­ma di fiducia. Che, tornan­do, ne ha svuotata la funzio­ne.
Questi strumenti di capi­tale rifioriscono ora come volano per aumentare il cre­dito. Ma il loro costo è diven­tato molto alto con i tassi a breve che sono vicini allo ze­ro e consentono alle banche di finanziarsi altrimenti. E di evitare di doverli converti­re in azioni, con la conse­guenza di trovarsi lo Stato in casa, se non riuscissero a rimborsarli il 30 giugno 2013.

Probabilmente, sarebbe più efficace consentire alle banche di fare pulizia au­mentando l’esenzione fisca­le sugli accantonamenti a fondi rischi, ridotta ormai al­lo 0,30% degli impieghi. Ma i banchieri dovrebbero meri­tarselo non tanto aumentan­do la quantità del credito, la cui domanda cala durante le recessioni, ma liberando le imprese dall’incubo del rim­borso a scadenza ravvicina­ta. Con il consolidamento dei debiti ormai diffuso, ma anche con nuovi strumenti — a metà strada tra il capita­le di rischio e il credito ordi­nario — validi anche per quando tornerà il sereno. I risparmiatori, che la politica monetaria penalizza, e le im­prese, che restano l’architra­ve di tutto, hanno ragione a chiedere di più.

Massimo Mucchetti
08 settembre 2009© RIPRODUZIONE RISERVATA
da corriere.it
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #11 inserito:: Gennaio 14, 2010, 11:22:52 pm »

13 gennaio 2010
Ma la Cina è “la nuova Enron” o un vero tesoro?

Tremonti alle prese con il Dragone, tra attestati di stima e dubbi epocali

“La Cina ha elaborato il piano più completo di reazione alla recente crisi, sia per intensità sia per tempistica”. Così il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, ieri, a un seminario organizzato da Formiche, rivista curata da Paolo Messa, e dalla Fondazione Respublica, di cui Tremonti è presidente del comitato scientifico, ha keynesianamente parlato (e bene) dell’economia cinese presentando il libro “Il risveglio del Dragone - Moneta, Banche e Finanza in Cina” degli economisti Michele Bagella e Rosario Bonavoglia. Tremonti ha parlato davanti all’ambasciatore cinese, Yuxi Sun, e a un parterre di imprenditori che da tempo hanno scommesso sulla Cina, come il vicepresidente di Confindustria, Alberto Bombassei, e prof che da tempo la studiano, come Paolo Savona, soprattutto per gli squilibri valutari provocati dalla sottovalutazione della moneta cinese. Se non vogliamo definirlo un chiodo fisso, diciamo che per Tremonti la Cina è una sorvegliata speciale. Un rapporto intenso, quello tra il ministro e Pechino, nel quale le carezze si sono alternate agli scapaccioni, le minacce alle blandizie.

Per parlare tremontianamente, la paura alla speranza. Andando in ordine cronologico inverso, troviamo un Tremonti intervenire il 19 novembre scorso alla scuola del Partito comunista cinese, invitato dal vicerettore dell’ateneo, Ling Jingtian. Un atto di accusa contro il capitalismo di Wall Street, responsabile della crisi, e una messa in guardia rispetto a una delle ultime trasmutazioni della crisi: “Quando abbiamo concesso aiuti pubblici alle banche, l’idea era che esse trasferissero la liquidità alle imprese. E invece una parte enorme di questo denaro è rimasto dentro le stesse banche, che oggi con quei soldi stanno facendo profitti contraendo prestiti all’1 per cento e reinvestendo in strumenti finanziari che fruttano il 5 o il 6”. Nulla di tutto questo è avvenuto nel paese del dragone. Infatti la banca centrale martedì ha aumentato di mezzo punto la riserva obbligatoria (il denaro che gli istituti di credito devono tenere inattivo) per evitare che il credito facile crei una nuova bolla. Rischio evidenziato ieri sul New York Times da Thomas Friedman: “La Cina è la nuova Enron?”, s’è chiesto il columnist vincitore di vari premi Pulitzer.

Due mesi fa il ministro espresse ai dirigenti di Pechino “l’ammirazione dei governi occidentali per il modo in cui avete gestito la crisi globale, come tempi veloci e come articolazione del programma, tra investimenti pubblici e sostegno alla domanda privata”. Il tutto accompagnato da un invito a Cao Xiqing, direttore generale della Cic, la China Investment Corporation, il fondo sovrano dotato di 200 miliardi di dollari, a investire in Italia. Una sensibile virata per l’autore de “La paura e la speranza”, il saggio del marzo 2008 anti-globalizzazione e mercatismo selvaggi, centrato sull’analisi dell’espansionismo economico cinese? Il ministro-saggista rimarcava l’errore – attribuito in primo luogo a Romano Prodi e Renato Ruggiero – di aver spalancato alle Cina le porte del World Trade Organization “gratis, senza porre nessun paletto, non dico un dazio, ma neppure l’obbligo a rispettare standard ambientali”. E che nel 2006 ripeteva: “La Cina ci sta mangiando vivi”. Previsione peraltro azzeccata.

Metamorfosi, si disse allora, del Tremonti globalizzatore e fautore della famosa finanza creativa: due etichette che l’interessato ha sempre respinto. Casomai, riferisce chi conosce il ministro da decenni, Tremonti aveva avuto qualche simpatia per Mao e i suoi era stato in gioventù, da socialista eccentrico e antisovietico, più estroso dei Reviglio-boys. Ora, giura chi lavora con lui, non ha cambiato idea sul “pericolo giallo”. Ma invidia l’unicum di quella che si avvia a diventare la prima potenza mondiale: il dominio della politica su un’economia libera di fare ciò che vuole in tutto il mondo, ma non in patria. Dove i governanti non subiscono la fascinazione di un Obama, al quale intimano anzi di rimettere ordine nel bilancio pubblico, visto che la gran parte dei bond americani sono in mano loro. Un paese, soprattutto, dove i banchieri obbediscono ai ministri. Cioè alla politica. Lo ha ribadito ieri Tremonti: il mondo della globalizzazione cerca un nuovo equilibrio, e questo equilibrio, seppur difficile da trovare, non può che essere “politico”, anche sul cambio e sui commerci, perché – sotiene il ministro – la tecnica, cioè i trattati, e il mercato, cioè l’illusione dell’autoregolamentazione dell’economia, non bastano: come dire Bretton Woods non può tornare, la politica magari.

© 2009 - FOGLIO QUOTIDIANO
da ilfoglio.it
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #12 inserito:: Gennaio 06, 2011, 05:39:43 pm »

L'esponente del governo torna a parlare di Eurobond come soluzione ai debiti nazionali

Tremonti: «Salvate banche e speculatori»

J'accuse del ministro dell'Economia: «La crisi non è finita, siamo quasi tornati al punto di partenza»


MILANO - Alcuni Paesi «hanno salvato le banche e con esse la speculazione», il risultato «è che siamo tornati quasi al punto di partenza». Lo ha sottolineato il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, a margine del convegno «Nuovo mondo, nuovo capitalismo» a cui ha preso parte a Parigi. Il titolare del dicastero di via XX Settembre ha però precisato che «non è il caso dell'Italia dove per fortuna il denaro pubblico non è stato usato, o solo in minima parte e in via di restituzione, per le banche».

LA CRISI NON E' FINITA - Nel suo intervento ufficiale al convegno Tremonti aveva sottolineato che «la crisi non è finita». «Adesso diciamo che tutto va bene - ha fatto notare -. Ma siamo sicuri? È come vivere in un videogame: vedi un mostro, lo combatti, lo vinci, sei rilassato. E invece ne compare un altro, più forte del primo». Di qui il dubbio che le cose non stiano andando poi così bene. In realtà, ha continuato Tremonti, si sta verificando una situazione per cui viene attaccato dai mercati finanziari un paese dopo l'altro, «come accadde fra Orazi e Curiazi».

GLI EUROBOND - Tremonti ha poi rilanciato la proposta di emettere eurobond in sostituzione parziale del debito pubblico nazionale dei paesi europei. «Non si tratta di una questione tecnica, ma politica», ha detto nel suo intervento al convegno . Quanto alle preoccupazioni emerse nel dibattito sull'eurobond, Tremonti ha ricordato che «nessun paese in Europa sta facendo 'deficit spending', anzi tutti stanno facendo l'opposto».

LA CITAZIONE DI CHURCHILL - Il ministro dell'Economia aveva concluso il suo intervento citando l'ex premier britannico Winston Churchill: «La crisi ha trovato i governi impreparati - ha detto Tremonti - e la sua conseguenza è stata un cambiamento radicale della situazione. Se guardiamo alla mappa geopolitica del mondo, l'interazione e la competitività sono fra blocchi continentali: è la fine dell'era degli Stati nazionali». Per questo, Tremonti ha concluso il suo intervento con la citazione del discorso del premier britannico alla fine della guerra, nel 1946: «let the Europe arise», lasciamo che l'Europa risorga.

Redazione online
06 gennaio 2011© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/economia/11_gennaio_06/tremonti-crisi-non-finita_1052cf5e-1988-11e0-b4e1-00144f02aabc.shtml
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #13 inserito:: Aprile 13, 2011, 06:32:30 pm »

CRISI

Tremonti al governo: "Rigore necessario" Stop al programma di sviluppo nucleare

Il consiglio dei ministri approva il Documento di programmazione e il Piano per le riforme.

Il titolare dell'economia avverte: "Basta con i messaggi che creano illusioni: senza stabilità dei conti non ci sarà crescita".

Il Pd sul Pnr: "Un pacco per Bruxelles, manovra pesante in vista"


ROMA - "L'unico messaggio responsabile e nell'interesse del Paese è che non esistono i presupposti per una crescita duratura ed equa senza stabilità dei conti pubblici". Il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, ha messo le mani avanti nella premessa al Documento economico finanzario (Def) ed al Piano nazionale delle riforme (Pnr) che il consiglio dei ministri ha approvato nella pausa della seduta alla Camera sul disegno di legge per il processo breve. Il Def contiene anche le previsioni del quadro macroeconomico fino al 2014 1, mentre il Pnr è solo un documento di indirizzo che non prevede misure concrete immediate. Una parte dei suoi contenuti, ha detto Tremonti, "può essere oggetto di un provvedimento legislativo. Ci stiamo ragionando".

Nel Def si premette che i processi di riforma della governance "sono tutti allineati sul principio della prudenza e del rigore fiscale": "Non vi sono più spazi per incertezze - si legge - . La politica di rigore fiscale non è temporanea, non è la conseguenza imposta da una congiuntura economica negativa, ma è invece la politica necessaria e senza alternative per gli anni a venire". Secondo Tremonti, "devono essere quindi logica e impegno comune, tanto della politica quanto delle parti sociali a non avere e/o dare illusioni attraverso messaggi contraddittori supponendo una presunta alternativa tra rigore e crescita".

Il Piano delle riforme, secondo quanto premesso nel Def, prevede 9 aree di intervento per superare i "colli di bottiglia" ovvero le 'strozzature' che impediscono la crescita: "occupazione, federalismo, consolidamento della finanza pubblica, lavoro e pensioni, mercato dei prodotti, concorrenza ed efficienza amministrativa, energia e ambiente, innovazione e capitale umano, infrastrutture e sviluppo, sostegno alle imprese".

Tra l'altro, nel capitolo sulla politica energetica, è annunciata formalmente la momentanea rinuncia alla scelta nucleare. La tragedia del Giappone, è spiegato, "ha indotto il governo italiano a non procedere, per il momento, all'attuazione del programma nucleare fino a che le iniziative già avviate" a livello Ue non diano "piene garanzie sotto il profilo della sicurezza".

Secondo la relazione del ministro, "l'Italia ha messo in atto un numero consistente di azioni con lo scopo di trasporre a livello nazionale le misure prioritarie indicate dalla Commissione nell'Annual Growth Survey e procedere efficacemente verso il raggiungimento dei target nazionali discendenti dalla Strategia Europa 2020", mentre "le riforme adottate appaiono perfettamente rispondenti agli obiettivi del rinnovato coordinamento delle politiche economiche derivante dal Patto Euro Plus".

Il Pd boccia senza appello il Piano nazionale di riforme del governo: "Dalle anticipazioni - ha detto il segretario, Pierluigi Bersani - posso dire che le indicazioni assomigliano ad acqua fresca, un elenco di titoli da cui non viene fuori niente". Sulle riforme, aggiunge Bersani, serve una discussione parlamentare: "Questa cosa - aggiunge - non può passare inviando un pacco a Bruxelles. Se la pensano così si sbagliano di grosso e ci faremo sentire". Secondo Stefano Fassina, responsabile economico del partito, le stesse previsioni del quadro macroeconomico del Tesoro lasciano preludere a "una manovra nel corso del 2011" e a misure "significative, nell'ordine di 7-8 miliardi di euro, mezzo punto di Pil".

(13 aprile 2011) © Riproduzione riservata
da - repubblica.it/economia/2011/04/13/news
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #14 inserito:: Giugno 12, 2011, 05:38:05 pm »

FISCO

Tremonti: "Ho la riforma in testa ma gli 80 miliardi chi me li dà?"

Dalla festa della Cisl il ministro dell'Economia replica al collega Maroni che ne aveva criticato la prudenza: "Ho una proposta ottima sul fisco, il problema sono i soldi. Tassare di più le rendite finanziarie? Possiamo discuterne, ma escluso il risparmio delle famiglie"


LEVICO TERME - "Alla fine ho avuto il coraggio di venire qua, dipende da voi, lo capirò dopo se ho fatto fatto bene o male". Dalla festa nazionale della Cisl, a Levico Terme, Giulio Tremonti ritorna con l'ironia sulla polemica per la riforma fiscale, nata dalla contrapposizione fra la sua "prudenza" e il "coraggio" richiesto invece dal ministro dell'Interno, Roberto Maroni: "Non sono tormentato e dirò tutto quello che penso - ha detto Tremonti - ci sono cose in cui dimostri più coraggio se le dici rispetto a se le taci. Ieri ho avuto l'imprudenza di usare il termine prudenza: era riferito al mondo; si vede che oggi non bisogna più usarlo". Il ministro del Tesoro ha poi detto che "la speculazione è causa di instabilità, o si dà una vera regolata alla finanza, cosa che non c'è stata, o si inventa un nuovo driver di crescita". "Ci manca un driver così - è la sua idea - manca al mondo Occidentale e se manca al mondo occidentale manca al mondo".

Quanto alla riforma del fisco, Tremonti ha annunciato che saranno resi pubblici prima del 18 giugno i lavori dei gruppi di studio attivati: "Voglio fare la riforma fiscale e ho le idee assolutamente chiare, da almeno un anno -ha detto Tremonti - . Ne ho una ottima, non è un problema di posizione personale, il problema è dove trovare i meccanismi finanziari. Potrei dire: datemi 80 miliardi, ma è una cifra forse eccessiva. Io ho le idee assolutamente chiare su cosa è giusto per il fisco, su quali aliquota intervenire, ma non si può andare al bar e dire 'da bere per tutti', e poi chi paga? Voi. Io sono tentato di dire, vi faccio la riforma e voi mi trovate 80 miliardi".

Ma qual è la riforma che ha in mente Giulio Tremonti? Il ministro ha detto che c'é "molto spazio per agire su alcune voci", aprendo anche all'ipotesi, caldeggiata soprattutto dalle opposizioni, di intervenire sulle rendite finanziarie ed escludendo invece ritocchi sull'Iva: "In tempi e con andamenti diversi - ha detto - si può prendere in considerazione un aumento, ma in questo momento è difficile perché si potrebbe innescare una tendenza all'aumento dei prezzi". Invece, secondo il ministro, l'evasione fiscale può "ancora dare molto" perché "è un enorme serbatoio e si è visto" dai 35 miliardi recuperati, che hanno consentito "di mettere in sicurezza il sistema dell'assistenza e della previdenza sociale". "Ora - ha aggiunto - si può pensare a un dividendo da evasione fiscale per i lavoratori e i giovani". Per quanto riguarda le rendite finanziarie, invece, Tremonti ha detto che "si può fare un ragionamento, ma non sono disposto a tassare il risparmio delle famiglie".

Tremonti ha detto poi di essere d'accordo ai tagli non lineari, spiegando che tutti i ministri sono favorevoli purché si tratti dei ministeri altrui. Infine, ha affermato, serve una "logica comune tra delega fiscale e assistenziale" e "la delega fiscale non può essere solo tale ma anche assistenziale": "In questo paese - ha aggiunto il ministro - si detraggono molte cose, come palestre e finestre, con 471 regimi fiscali di favore per un totale di 150 miliardi: si può ridurre e detrarre, ma non si può avere tutto, il cotto e il crudo. Se riduco l'aliquota, poi non puoi più detrarre un sacco di cose. Quella di allargare la base imponibile e ridurre le aliquote è una scelta sussidiaria di libertà, è un sistema totalmente liberale".

Il ministro delle Finanze ha così rilanciato la palla nel campo della Lega, replicando alle critiche al governo che Roberto Maroni 1 aveva espresso a margine dello stesso evento di Levico terme. Sollecitando coraggio invece che prudenza, il ministro dell'Interno aveva anche una riforma fiscale, vera e "contemporanea" alla manovra, "non una cosa buttata lì per coprire la manovra". "Se chiediamo sacrifici agli italiani - aveva detto Maroni - dobbiamo far capire loro che servono per evitare la bancarotta, ma dare anche una prospettiva".

A elogiare Giulio Tremonti ci ha pensato il segretario della Cisl, Raffaele Bonanni: "Tremonti ha avuto coraggio - ha detto Bonanni - , l'anno scorso prima di fare manovre che dovevano indicare strade molto complicate per gli italiani, ha ascoltato non solo la voce del sindacato che si prende le proprie responsabilità, non ha tagliato il welfare, ma soprattutto ha recuperato i 35 miliardi di evasione fiscale per effetto del redditometro e delle fatturazioni elettroniche che ha avuto coraggio di mettere in piedi. E' andato controcorrente e secondo corrente che i sindacati hanno voluto indicare". Bonanni ha detto poi che per accelerare la crescita "tutte le parti sociali devono indirizzarsi verso un solo motivo". E ha concluso: "Andiamo cercando politici che abbiano coraggio".

(12 giugno 2011) © Riproduzione riservata
da - repubblica.it/economia/2011/06/12/news/
Registrato
Pagine: [1]
  Stampa  
 
Vai a:  

Powered by MySQL Powered by PHP Powered by SMF 1.1.21 | SMF © 2015, Simple Machines XHTML 1.0 valido! CSS valido!