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Autore Discussione: La lista del Liechtenstein: da Bonsignore ai Ferruzzi  (Letto 4538 volte)
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« inserito:: Marzo 18, 2008, 03:35:52 pm »

Fisco Il record: nel conto del gruppo farmaceutico Mian 400 milioni


La lista del Liechtenstein: da Bonsignore ai Ferruzzi

All'eurodeputato trovati 5,5 milioni di euro

Sono 157 le posizioni sotto esame: ci sono anche il parlamentare Luigi Grillo e Carlo Sama, il delfino di Gardini

Vito Bonsignore. Eletto parlamentare europeo e ora passato nel Popolo della Libertà


ROMA — Nell'estate del 2005 fu uno dei protagonisti del caso delle scalate bancarie dei «furbetti». Perché Vito Bonsignore, europarlamentare dell'Udc ora passato nel Popolo della Libertà, era uno dei contropattisti Bnl. Adesso il suo nome compare nell'elenco degli italiani che hanno depositato soldi presso la banca Lgt di Vaduz, nel Liechtenstein.

È l'ormai famosa «black list» trasmessa dalle autorità tedesche che la Procura di Roma ha ordinato di sequestrare presso l'Agenzia delle Entrate. Oltre 400 nomi di personaggi più o meno famosi che hanno trasferito denaro nel paradiso fiscale. Molti appartengono allo stesso nucleo familiare e sono cointestatari di un unico conto corrente. Questo consente di ridurre a 157 i depositi da «esplorare». I manager di Tangentopoli Imprenditori, avvocati, commercialisti, politici, professori universitari, gente di spettacolo: come aveva anticipato il viceministro dell'Economia Vincenzo Visco, «c'è la fotografia dell'Italia» in quelle carte riservate che i servizi segreti della Germania hanno acquistato da un dipendente della banca e poi inviato alle agenzie fiscali di dieci Stati. Heinrich Kieber, l'ex archivista della Lgt, ha trafugato il dvd con 1.400 nomi di evasori di mezzo mondo e nel giugno scorso l'ha ceduto all'intelligence per 4,3 milioni di euro. Ora ha cambiato identità, ma questo — ha sostenuto nei giorni scorsi — «non basta a proteggermi, perché da quando è uscita fuori la storia la mia vita è in pericolo».

Dal passato italiano rispuntano i nomi di persone coinvolte nelle indagini su Tangentopoli. Come Carlo Sama, il delfino di Raul Gardini, che insieme ad altri esponenti della famiglia Ferruzzi ha portato nell'istituto di credito di Vaduz cinque milioni di euro. Ben altre cifre hanno trasferito su quei conti esteri i proprietari del gruppo farmaceutico che fa capo alla famiglia Mian: 400 milioni di euro. È il record, seguito da quello di un altro gruppo specializzato nella commercializzazione di medicinali che dovrà giustificare capitali per oltre 200 milioni di euro. I milioni dell'eurodeputato Accanto al nominativo di Bonsignore risulta un deposito di cinque milioni e mezzo di euro. E adesso l'europarlamentare, come tutti gli altri «soggetti fiscalmente residenti in Italia», dovrà chiarire come mai decise di trasferire una parte dei suoi beni in Liechtenstein.

Il saldo dei conti correnti «venduti» dal dipendente della banca Lgt si ferma al 2002. Non è specificato 
Carlo Sama, ex amministratore Montedison, è stato il delfino di Raul Gardini
l'ammontare dei depositi e dei prelevamenti, ma soltanto una cifra complessiva. Le verifiche della magistratura dovranno dunque accertare se in questi cinque anni i presunti evasori abbiano fatto rientrare i capitali o si siano avvalsi di condoni e scudi per evitare di dover fare adesso i conti con il fisco. Rocco Buttiglione aveva subito ammesso di aver depositato a Vaduz «poco più di 4.000 euro, compenso di una università del Principato». Luigi Grillo, parlamentare di Forza Italia grande amico dell'ex governatore di Bankitalia Antonio Fazio e del suo banchiere preferito Gianpiero Fiorani risulta invece intestatario di un conto da qualche centinaia di milioni di euro anche se lui nega categoricamente e dice di aver «semplicemente comprato un podere a Monterosso, in Liguria, da un imprenditore del Liechtenstein ». In campo c'è pure la procura nazionale Antimafia. Oltre al mancato pagamento delle tasse, la Guardia di Finanza è stata delegata a verificare anche even tuali ipotesi di riciclaggio. Gli investigatori dovranno accertare se tra i privati e le società inserite nella lista ci siano prestanome di esponenti della criminalità organizzata, ma anche personaggi che abbiano reinvestito soldi provenienti da affari illeciti o dal pagamento di tangenti.

Per completare il lavoro serviranno settimane e intanto i magistrati romani hanno deciso di trasmettere gli atti a una decina di altre procure sparse in tutta Italia. Il criterio seguito è quello della competenza in base alla residenza delle persone o alla sede legale delle aziende inserite nell'elenco. Le sigle di «copertura» Ci sono nomi dell'industria e dell'imprenditoria, ma anche tanti «signor nessuno» che hanno occultato all'erario decine di milioni di euro. E ora rischiano di dover pagare una multa pesantissima. Le indagini stabiliranno se questi sconosciuti siano in realtà il paravento di chi ha utilizzato identità di «copert ura» per trasferire il denaro. Anche perché nella lista ci sono numerosi sigle alfanumeriche, alcune fondazioni, diversi «trust» dei quali non si conoscono ancora i reali beneficiari.

Dopo aver ricevuto l'elenco l'Agenzia delle Entrate ha effettuato le prime verifiche per stabilire se i nomi inseriti nell'elenco risultassero in regola con il pagamento delle tasse. Sono cominciate a filtrare indiscrezione sull'identità dei presunti evasori e alcuni politici hanno chiesto a Visco di rendere nota la lista completa «per evitare di influire sulla campagna elettorale». L'Agenzia avrebbe voluto proseguire i controlli ottenendo la delega all'indagine, ma la procura di Roma ha incaricato la Guardia di Finanza di effettuare il sequestro della documentazione arrivata dall'estero e di svolgere gli accertamenti. La protesta Due esponenti di Attac, l'organizzazione anti-globalizzazione, manifestano contro lo status di «paradiso fiscale» del Liechtenstein

Fiorenza Sarzanini
18 marzo 2008

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« Risposta #1 inserito:: Marzo 18, 2008, 09:03:55 pm »

18/3/2008 (7:9) - PERSONAGGIO

Don Vito, affari e politica dal divo Giulio a D’Alema
 
Carriera spericolata sotto la Mole

JACOPO IACOBONI

TORINO


Per capirne le risorse, Vito Bonsignore è uno che è riuscito a portare Andreotti in discoteca alle dieci di sera. Le scalate, D’Alema, le telefonate, sono venute dopo.

Accadde nel ’92 al Magic Club di Trofarello, Andreotti era venuto a sostenere la corsa del suo proconsole in Piemonte. I giovani della cintura torinese lo accolsero urlanti, «ti voteremo! viva la Dc!». Il divo Giulio fu visto incurvarsi, più del solito; accennare una smorfia; sussurrare memorabile «e no, regà, io so’ senatore a vita... ma chi vota Vito Bonsignore è come se votasse me». Prima del fedele andreottiano c’è stato il doroteo, e dal 2000 ci sarà il socio fondatore del Ccd (poi Udc) di Pier Ferdinando Casini, infine il neo-berlusconiano di questi ultimi tempi: ma l’andreottismo è una vocazione, non un’appartenenza del momento.

Per il Vito Bonsignore economico fanno invece fede la passione per gli affari (autostrade e banche), la capacità del self-made-man, talora i processi, una condanna a due anni - «ingiusta, il giorno più brutto della mia vita», per una tangente che avrebbe dovuto essere pagata per l’ospedale di Asti, e nel ‘92 lo fece dimettere da sottosegretario dc - e un’assoluzione dall’accusa di aver ricevuto 250 milioni di lire in una scatola di cioccolatini dall’ex presidente dell’Italstat Mario Alberto Zamorani. Disse Bonsignore al giudice: «A quel tempo sa, entravo in ufficio a Porta Susa il mattino e uscivo la sera. Ricevevo centinaia di persone, di amici»...

Pensare che era arrivato dalla Sicilia, Bronte, col diploma di geometra, «la laurea l’ho presa studiando di notte», e ha costruito il suo impero (la sua Gefip arriverà a possedere il 2,8% di Bnl, e 69 milioni di attivo nel 2006) partendo da un impiego alla Satap, la società della Torino Piacenza; prima dipendente, poi direttore generale, quindi nemico del patron Gavio. Marcellino nel 2000 per toglierselo di torno come socio ingombrante pagò 287 miliardi di lire, di lì Bonsignore avviò la costruzione del terzo polo autostradale italiano, assieme a Banca Carige (dell’amico Giovanni Berneschi) ed Efibanca, controllata dalla Popolare di Lodi.

Certo amici e nemici possono variare, ma senza sciocche rigidità. Da Paolo Cirino Pomicino ad Alessandro Sodano, cugino del cardinale Angelo, a Salvatore Ligresti, nato a pochi chilometri da lui, Paternò, a Cesare Previti - il cui figlio Stefano è socio di Katia Bonsignore, avvocato anche lei - l’affetto che lo circonda può essere grande. Del maestro divo Giulio, Vito ha conservato la duttilità mentale che lo fa colloquiare con Silvio e con D’Alema. Bonsignore ha appena mollato l’Udc per sostenere il Pdl, dovrebbe correre di nuovo per il Parlamento europeo (a Strasburgo entrò nel 2004 per la rinuncia di Marco Follini). E quando nel maggio del 2006 si pensò che D’Alema potesse salire al Colle, Vito si lamentò col ministro degli Esteri, «se vai al Quirinale come farò a venirti a trovare?». Lo sventurato rispose: «Ti invito!».

Ecco. Nella famigerata chiacchierata D’Alema-Consorte, 14 luglio 2005, nel pieno della scalata a Bnl, il ministro dice al presidente Unipol che Vito «è interessato, se vi serve, resta». Unipol nell’agosto 2006 comprerà dai «contropattisti» il 27% di Bnl. E chi erano, costoro? Caltagirone, Stefano Ricucci, Danilo Coppola, Giuseppe Statuto, i fratelli Lonati, Giulio Grazioli (il conte, sì, quello del palazzo di Berlusconi) e Vito Bonsignore. Osserverà l’avvocato di Consorte che «quella di Bonsignore è una grande stupidata fiscale, non c’è nessuna contropartita»; ma a sinistra sarà l’inizio della fine (dei Ds). Un altro gip - processo Bpl Antonveneta - scriverà che «Fiorani ha riferito dettagliatamente degli appoggi politici che avevano supportato l’operazione Antonveneta». E chi erano gli sponsor? Per il gip, «Grillo, Tarolli, Vito Bonsignore, Aldo Brancher».

Poi sulle scalate è sceso il sipario. Vito continua la politica, gli affari, i pochi hobby. Ama Omero, «penso a lui quando sento odore di Odissea», gli spaghetti al pomodoro, le spremute d’arancia. È ricco, cinque milioni in Liechtenstein sono una bazzecola; ma generoso: nel ’92 finanziò le vetrate della chiesa del Sacro Cuore nella natia Bronte, dove immortale stele accoglie il turista: «Vito Bonsignore munifico donò in anno Domini 1992».
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« Risposta #2 inserito:: Marzo 18, 2008, 09:06:31 pm »

18/3/2008 (6:53) - IL CASO

Conti a Vaduz, spunta Bonsignore
 
Nella banche del Liechtenstein

L'europarlamentare aveva 5,5 milioni di euro.

Nell’inchiesta anche Carlo Sama.

Più due industrie farmaceutiche

GUIDO RUOTOLO
ROMA


Vito Bonsignore, 5,5 milioni di euro, Carlo Sama e società riconducibili alla famiglia Ferruzzi, 5 milioni, imprenditori del Centro-Nord, gruppi farmaceutici italiani, come quello della famiglia Mian, con conti da 200 a 400 milioni di euro, e poi esponenti del mondo dello spettacolo, manager, professionisti, commercialisti, docenti universitari. «Uno spaccato molto interessante - per dirla con il viceministro Vincenzo Visco - di una certa società italiana». Evasori (dixit sempre Visco) «da molti milioni a poche centinaia di migliaia di euro».

Filtrano i primi nomi di quella «lista nera» degli italiani che hanno depositato i loro «risparmi» o i loro «bottini» nel Liechtenstein - uno dei paradisi fiscali meta incessante di pellegrinaggio di incalliti evasori fiscali o di riciclatori di professione -, e sui quali indagano (indagheranno) una decina di procure della Repubblica di mezza Italia. Proprio ieri, da piazzale Clodio, dove i pm Pierfilippo Laviani e Mario Dovinola ipotizzano il reato di «omessa dichiarazione e dichiarazione infedele», in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, è trapelata la notizia che nelle prossime ore la lista dei quattrocento intestatari di conti a Vaduz (ma i nomi individuali in realtà sono quasi 160) sarà spacchettata: trenta le posizioni sulle quali indagherà Roma, le altre saranno approfondite da una decina di procure del Centro-Nord. Dunque, i primi nomi della «lista nera» arrivata quasi due mesi fa all’Agenzia delle Entrate da Londra. Quella italiana è una parte di quella lista di 1.400 nomi che i servizi segreti tedeschi comprarono tre anni fa da un impiegato - Heinrich Kieber - della “Leichtenstein Group Lgt”, la banca della famiglia regnante e nei confronti del quale le autorità di Vaduz hanno spiccato mandato di cattura internazionale.

Quando la notizia dell’esistenza di questa lista italiana è diventata di dominio pubblico, in attesa di scoprire quanti esponenti politici fossero coinvolti, quasi in tempo reale l’ex ministro e presidente dell’Udc, Rocco Buttiglione, si autodenunciò: «Sono stato professore e co-rettore presso una prestigiosa istituzione culturale nel Liechtenstein, percependo dei denari dalla International Academy of Philosophy che ho allocato in un conto». Secondo le pochissime indiscrezioni trapelate, i politici coinvolti sarebbero stati complessivamente quattro. Rocco Buttiglione, appunto, il forzista Luigi Grillo, che però ha smentito: «Non sono mai stato in Liechtenstein e non ho alcun conto corrente in istituti di credito di quello Stato. E’ vero però che ho comprato due anni fa un podere nella zona di Monterosso (località nelle Cinque Terre, ndr) da un imprenditore del Liechtenstein. Un'operazione fatta tramite una banca, con un regolare contratto d'acquisto». E adesso spunta il nome dell’europarlamentare ex Udc Vito Bonsignore, di recente coinvolto nelle inchieste sulle scalate bancarie Bnl e Antonveneta.

Nomi al vaglio degli 007 del fisco, degli inquirenti che si occupano di reati di riciclaggio o di evasione fiscale. «Nella lista - spiegavano nei giorni scorsi magistrati romani - ci sono anche personaggi coinvolti nella stagione di Mani Pulite». Carlo Sama e il gruppo Ferruzzi, la maxitangente Enimont. Sama saldò i conti con la giustizia e dieci anni dopo, con sua moglie Alessandra Ferruzzi, ha creato «FerSam», la holding lussemburghese attraverso la quale controlla proprietà terriere per 36 mila ettari tra Argentina e Paraguay. Finora, della «lista nera» dei titolari italiani dei conti in Liechtenstein si sapeva ben poco. Diverse fonti investigative e inquirenti confermano che l’elenco dei presunti evasori fiscali italiani è una fotografia datata 2002. Insomma, il dipendente della banca di Vaduz avrebbe trafugato l’elenco dei saldi di quei conti correnti del 2002. E, dunque, molte posizioni, se si dovessero rivelare positive, rischiano la prescrizione.


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