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Autore Discussione: TRENT'ANNI FA IL RAPIMENTO DI ALDO MORO  (Letto 6711 volte)
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« inserito:: Marzo 08, 2008, 12:17:14 pm »

CRONACA

Sulla lapide di via Fani non si legge dei br. Chi ha ucciso quegli uomini e perché?

Non è scritto. Come se non potesse essere ancora scritto

Trent'anni dopo il rapimento Moro i luoghi della memoria perduta

I morti sono sottoterra. Gli assassini sono liberi

E noi non siamo riusciti a fare i conti col nostro passato

di GIUSEPPE D'AVANZO


 ROMA - Dicono che da quel giorno, in via Mario Fani all'incrocio con via Stresa, ci sia l'ombra lunga di una maledizione. Dicono che niente va come dovrebbe. I commerci s'inceppano. Gli alberi sfioriscono. Sull'angolo della strada c'era un salice, trent'anni fa - era il 16 marzo del 1978, quando le Brigate Rosse sequestrano Aldo Moro. Il salice disseccò d'improvviso qualche mese dopo la strage e nessuna accorta cura poté impedirne la morte. Dicono che fu il primo segno della malasorte. Non c'è più il fioraio, Antonio Spiriticchio. Non c'è più il chiosco dei giornali dei Pistolesi. La stazione di servizio si è trasformata in un lavaggio fai-da-te. Sugli angoli delle due strade che s'incrociano, appiccicati alla meno peggio ai cartelli stradali, decine di messaggi propongono "affari" immobiliari. Pare che chi ci abita faccia le valigie, appena può. Il bar che allora si chiamava "Olivetti" è diventato un ristorante, "La Camilluccia". È chiuso, con i tavoli abbandonati all'aperto sotto la pioggia alle nove del mattino - l'ora in cui le Brigate Rosse si mossero. Dicono che ci sia una maledizione e deve essere storiella metropolitana perché se si attraversa la strada verso via Stresa c'è ancora la siepe di pitosforo dove gli assassini attesero, nascosti. Il pitosforo è cresciuto e i tronchi ben potati sono ormai larghi come tre dita. C'è una gran calma. Il traffico è leggero e ordinato, attenuato dal recente sottopasso tra il Foro Italico e la Pineta Sacchetti.

LE IMMAGINI

Anche quel giorno il traffico non era intenso. Il piccolo corteo di auto (una 130, un'Alfetta) scendeva veloce dalla collina quando la 128 di Mario Moretti con una targa del Corpo diplomatico frenò di botto all'incrocio. Fu allora che gli altri, con gli impermeabili blu, i berretti da piloti dell'Alitalia, uscirono da dietro la siepe con le pistole e gli M12. Spararono 91 proiettili contro i cinque uomini della scorta di Moro, il maresciallo Oreste Leonardi, i brigadieri Domenico Ricci e Francesco Zizzi, gli agenti di polizia Giulio Rivera e Raffaele Iozzino - il solo che riuscì a replicare con due colpi. Furono annientati in una manciata di secondi.

* * *
Non è la maledizione quel che abita in via Fani, queste sono sciocchezze. Quel che mette a disagio, se ci si guarda intorno, è la memoria. Un'ingombrante memoria, in questo colle di Roma, non aiuta quel po' di storia identitaria che abbiamo messo insieme negli ultimi trent'anni. L'immagine del passato è ancora lì incorrotta come per il ricordo dell'assassinio di JFK o dell'11 settembre. Non c'è chi non ricordi dov'era e con chi in quel momento, che cosa disse e fece in quel momento preciso quando seppe che cosa era accaduto a Roma. Non c'è chi non abbia ancora negli occhi - al punto da poterne sentire ancora l'ansia - i parabrezza frantumati, i fori neri nell'auto bianca, il corpo di Iozzino a braccia larghe coperto da un lenzuolo bianco e la macchia di sangue sull'asfalto - densa, scura - un caricatore vuoto accanto al marciapiede nel piano sequenza di 3 minuti e 12 secondi dell'operatore del Tg che accompagna la voce ansimante di Paolo Frajese. Quel che non va è la storia, non la memoria. La storia, dopo trent'anni, dovrebbe essere ferma, fissa in un ordine temporale chiuso e ordinato, immobile, ragionevolmente condivisa alle nostre spalle e dovrebbe essere deficit della memoria farsi abitualmente ondivaga, flessibile, soggettiva, un po' falsaria. Per il "caso Moro" quest'equilibrio è capovolto: la memoria è solida, resistente, "condivisa"; la storia è fragile, contraddittoria, incerta, ancora precaria, quasi impedita dalla memoria. Dalla memoria dei brigatisti che scrivono, parlano, raccontano tra silenzi e omertà; la memoria di chi era al potere in quei giorni e ancora ha voce oggi: più che parlare spiegando, dissimula, confonde reticente e ancora oggi nasconde che cosa è stato.

Si può riattraversare la strada ora. Dalla siepe di pitosforo verso l'angolo dove furono bloccate le auto. Sul muro tufaceo c'è una lapide, protetta da un vetro, che ricorda i custodi di Moro. "In questo luogo cinque uomini, fedeli allo Stato e alla democrazia, sono stati uccisi con fredda ferocia mentre adempivano al loro dovere". Non si legge di Aldo Moro, come se quegli uomini non fossero morti per il presidente della Dc. Non si legge dei terroristi delle Brigate rosse, come se non fossero, loro, gli assassini. Sottratte le ragioni e i responsabili, chi ha ucciso quegli uomini e perché? Non c'è scritto. Come se non potesse essere ancora scritto. Come se fosse ancora troppo azzardato scolpirlo nella pietra. Come se ancora non se ne potesse fare "storia". Come se fossimo tutti d'accordo a consegnarci a una sorta di "smemoratezza patteggiata".

* * *
Aldo Moro fu ucciso in via Camillo Montalcini, 8. Al primo piano, interno 1, fu interrogato e "processato" per 54 giorni, prigioniero in un cubicolo largo poco più un metro e lungo quattro, ricavato con una parete di cartongesso nel salone doppio che dava su un piccolo giardino. La mattina del 9 maggio i suoi carcerieri lo fecero vestire con gli stessi abiti di marzo. Lo costrinsero in una cesta. Due rampe di scale. Il garage. Nel box, la Renault 4 amaranto era parcheggiata con il muso verso l'esterno. Entrarono. Lo sistemarono nel bagagliaio. Il corpo di traverso appoggiato sul fianco sinistro. Gli coprirono il volto con il lembo di una coperta di colore rosso bordò. Mario Moretti e Germano Maccari gli spararono con una Walter Ppk silenziata, che si inceppò subito, e due raffiche definitive di una Skorpion. Non c'è alcuna traccia di quest'orrore in via Montalcini. La via è deserta. Nemmeno al capolinea degli autobus più avanti c'è anima viva. La "prigione" ha le serrande abbassate come se l'appartamento fosse abbandonato e senza vita e ci si occupasse soltanto del piccolo giardino che appare ben curato. Nel condominio nessuno risponde al citofono. Sono tutti al lavoro. Pare che si venga qui soltanto per dormire. In strada, due manovali rumeni. Chiedere di Moro? Sul muro, non una targa né una lapide né alcun segno. Anche qui, non c'è traccia della "storia" in questa strada anonima e appartata della Portuense dove Anna Laura Braghetti e Germano Maccari vigilarono sul presidente della Dc e Mario Moretti lo interrogò. Un luogo introvabile in quei giorni. Invisibile, quasi misterioso nonostante le perquisizioni, gli accertamenti, i posti di blocco, le "battute". Ogni giorno per cinquantaquattro giorni ci furono in Italia 1294 posti di blocco (157 nella capitale), 1881 pattugliamenti (444 a Roma), 637 perquisizioni (173 a Roma). Furono controllati in quel periodo 6 milioni e mezzo di italiani e tuttavia per lo meno una ventina di brigatisti riuscirono con successo ad attraversare la capitale in lungo e in largo in quei giorni; a telefonare alla famiglia e agli amici del presidente della Dc da piazza Colonna, da via Giulio Cesare, dalla controllatissima Stazione Termini; a incontrarsi in piazza Barberini, all'angolo di via Veneto per decidere finalmente se uccidere o liberare il "prigioniero"; a cenare più volte a Trastevere con i leader dell'Autonomia sollecitati dal partito socialista a tentare una trattativa; a stampare volantini nella tipografia al 31 di via Pio Foà; a consegnarli nella Galleria Esedra, di fronte al Grand Hotel, in piazza Risorgimento, in piazzetta Augusto Imperatore, addirittura "nel quadrilatero del Palazzo" dentro il cestino della carta straccia di quella piazza del Gesù dove la sede della Democrazia era diventata l'epicentro della tragedia per gli uomini della Democrazia Cristiana - Zaccagnini, Anselmi, Misasi, Galloni, Pisanu, Bodrato, Taviani. Vi si riunivano in "costante contatto" con Cossiga (ministro dell'Interno), Andreotti (presidente del Consiglio), Fanfani (presidente del Senato), Leone (presidente della Repubblica) per decidere, come sostiene a ragione Giovanni Moro, di non decidere: evitarono ogni dialogo e trattativa con i sequestratori e si preclusero, nello stesso tempo, ogni possibilità di rintracciare davvero la prigione di Moro o gli appartamenti abitati dai terroristi (via Gradoli, via Chiabrera, Borgo Pio). Come, al contrario, si fece prima e dopo quel 16 marzo del 1978 per il giudice Mario Sossi, il generale James Lee Dozier, l'assessore regionale Ciro Cirillo.

* * *

La Renault 4 targata N56786 con il corpo di Aldo Moro, nascosto alla vista dalla coperta nel portabagagli, si muove intorno alle sette del mattino lungo le strade secondarie della Magliana, Monteverde, Trastevere. Poi, il ponte sul Tevere e il Ghetto. Piazza Mattei. Piazza Paganica. Botteghe Oscure deserta. L'auto volta a destra in via Michelangelo Caetani. La parcheggiano tra i civici 8 e 9 accostata allo stretto marciapiede di porfido, il muso rivolto verso via Funari.

Via Caetani è una strada breve, austera, umida, buia. Ci si passa in fretta. C'è una sola macchia di colore nel grigio della pietra. È di fronte al palazzo che ospita l'Istituto di storia moderna, la Discoteca di Stato, il Centro studi americani. La macchia di fronte a Palazzo Caetani è di un giallo sbiadito lungo poco più di due metri, alto tre. Al centro, la lapide ricorda: "Cinquantaquattro giorni dopo il suo barbaro rapimento, venne ritrovato in questo luogo, la mattina del 9 maggio 1978, il corpo crivellato di proiettili di Aldo Moro. Il suo sacrificio freddamente voluto con disumana ferocia da chi tentava inutilmente d'impedire l'attuazione di un programma coraggioso e lungimirante a beneficio dell'intero popolo italiano resterà quale monito e insegnamento a tutti i cittadini per un rinnovato impegno di unità nazionale nella giustizia, nella pace, nel progresso sociale".

Anche qui nessun accenno ai cinque uomini che, prima di Moro, sacrificarono la loro vita. Nessun riferimento, nessuna allusione alle Brigate rosse. Come se la strage di via Fani e l'assassinio di Moro non appartenessero alla stessa tragica parabola. Come se chi venisse dopo di noi non dovesse conoscere i responsabili e la ragione di quelle barbarie, la loro contiguità nella morte. Anzi, la ragione di quella tragedia è come nascosta, reinventata. Dicono che via Caetani sia stata una "scelta simbolica" per le Brigate rosse. Dicono che la strada è giusto nel mezzo tra il palazzo di via Botteghe Oscure, dov'era la direzione del Partito comunista, e palazzo Cenci Bolognetti che ospitava, a piazza del Gesù, gli uffici della direzione della Democrazia cristiana. Dicono che quell'uomo mostrato agli occhi del Paese come un fagotto gettato in fretta in un'auto doveva dire agli italiani quanto fosse impossibile e nefasto il patto politico del "compromesso storico". Nella costruzione di questa memoria - di questo bisogno di memoria - c'è una manipolazione, uno scarto anche toponomastico. Via Caetani non è nel mezzo tra Botteghe Oscure e Piazza del Gesù. È lontano un centinaio di metri dal palazzo rosso. È in un'altra direzione rispetto al palazzo bianco. La "nuova" collocazione di quella strada buia nel cuore di Roma scolpisce nella memoria collettiva una rappresentazione sapientemente alterata della morte di Aldo Moro. Liquida con una scelta perentoria ogni necessità di storia ("Tutto è così chiaro"). Ne confonde le logiche. Ne occulta le responsabilità. Rende di "geometrica potenza" la lucidità politica dell'assalto allo Stato delle Brigate rosse. Esalta la "fermezza" delle istituzioni pubbliche e delle forze politiche, anche quando è stata soltanto un espediente strumentale o ipocrita. Rende possibile una quieta "comunione nella dimenticanza" protetta da una memoria collettiva che lascia senza risposte assennate le questioni essenziali. Se le Brigate rosse o chi, attraverso loro, tirava dall'esterno o dall'interno i fili di una cospirazione voleva liberarsi dello scomodo Moro per impedire l'accesso dei comunisti nell'area di governo, perché rapirlo e non ucciderlo subito, lì a via Fani, con la sua scorta? È proprio vero che i comunisti avrebbero votato la fiducia al IV governo Andreotti, nonostante le perplessità sui nomi dei ministri? O al contrario fu il sequestro di Moro che li costrinse a metter da parte i molti dubbi che avrebbero dovuto sciogliere proprio quella mattina del 16 marzo? Quale influenza ebbe - non sul sequestro del presidente della Dc, ma negli ambigui 54 giorni che seguirono - quell'"area occulta del potere" che, negli italiani anni settanta, era particolarmente affollata di logge massoniche, servizi segreti "deviati", affaristi, neofascisti, mafiosi, grand commis, prelati, imprenditori e, sull'altro fronte, di sindacalisti, giornalisti, politici, intellettuali legati alla sinistra extraparlamentare e "rivoluzionaria"?

* * *
Eleonora Moro non abita più in via del Forte Trionfale, 79. Cinque anni fa, anche lei, è andata via. L'uomo che ripulisce il breve viale di accesso non l'ha mai conosciuta né vista.

* * *
Non c'è più la Democrazia cristiana. Non c'è più il Partito comunista. Non ci sono più quelle Brigate rosse. Quel mondo è scomparso. I morti sono sottoterra. Gli assassini sono liberi. Dopo trent'anni, abbiamo soltanto la nostra memoria a confondere ogni differenza. Può essere la conclusione, provvisoria. Non siamo riusciti a fare i conti con la nostra storia, con un assassinio che ha chiuso alle nostre spalle, come un cancello di pietra, i primi tre decenni della Repubblica. Questa collettiva impotenza ci consente soltanto i ricordi che ci fanno più comodo, che ci appaiono - al momento - più utili.

Se così deve essere, il miglior ricordo è ancora oggi soltanto nelle parole che, nell'ora dell'addio, Aldo Moro scrisse a "Norina". "Bacia e carezza per me tutti, volto per volto, occhi per occhi, capelli per capelli. A ciascuno una mia immensa tenerezza che passa per le tue mani. Sii forte, mia dolcissima, in questa prova assurda e incomprensibile. Sono le vie del Signore. Vorrei capire, con i miei piccoli occhi mortali come ci si vedrà dopo. Se ci fosse luce, sarebbe bellissimo".

(8 marzo 2008)

da repubblica.it
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« Risposta #1 inserito:: Marzo 09, 2008, 09:13:07 am »

9/3/2008 (7:39) - IL CASO

"Ho manipolato le Br per far uccidere Moro"
 
Dopo 30 anni le rivelazioni del «negoziatore» Usa

FRANCESCO GRIGNETTI
ROMA


«Ho mantenuto il silenzio fino ad oggi. Ho atteso trent’anni per rivelare questa storia. Spero sia utile. Mi rincresce per la morte di Aldo Moro; chiedo perdono alla sua famiglia e sono dispiaciuto per lui, credo che saremmo andati d’accordo, ma abbiamo dovuto strumentalizzare le Brigate Rosse per farlo uccidere. Le Br si erano spinte troppo in là». Chi parla è Steve Pieczenick. Un uomo misterioso, che volò in Italia nei giorni del sequestro Moro, inviato dall’amministrazione americana ad «aiutare» gli italiani. Pieczenick non ha mai parlato di quello che fece in quei giorni. Dice addirittura di essersi impegnato con il governo italiano di allora a non divulgare mai i segreti di cui è stato a conoscenza. Ed è un fatto che né la magistratura, né le varie commissioni parlamentari sono mai riuscite a interrogarlo. Finalmente però l’uomo del silenzio ha parlato con un giornalista, il francese Emmanuel Amara, che ha scritto un libro («Abbiamo ucciso Aldo Moro», Cooper edizioni) sul caso.

Le rivelazioni sono sconvolgenti. Pieczenick, che è uno psichiatra e un esperto di antiterrorismo, avrebbe avuto un ruolo ben più fondamentale in quei giorni. E che ruolo. «Ho manipolato le Br», dice. E l’effetto finale di questa manipolazione fu l’omicidio di Moro.

Il «negoziatore» Pieczenick arriva a Roma nel marzo 1978 su mandato dell’amministrazione Carter per dare una mano a Francesco Cossiga. E’ convinto che l’obiettivo sia quello di salvare la vita allo statista. Ben presto si rende conto che la situazione è molto diversa da quanto si pensi a Washington e che l’Italia è un paese in bilico, a un passo dalla crisi di nervi e dalla destabilizzazione finale.

Da come maltratta l’ambasciatore e il capostazione della Cia si capisce che Pieczenick è molto più di un consulente. E’ un proconsole inviato alla periferia dell’impero. «Il capo della sezione locale della Cia non aveva nessuna informazione supplementare da fornirmi: nessun dossier, nessuno studio o indagine delle Br... Era incredibile, l’agenzia si era completamente addormentata. Il colmo era il nostro ambasciatore a Roma, Richard Gardner. Non era una diplomatico di razza, doveva la sua nomina ad appoggi politici». Cossiga è molto franco con lui. «Mi fornì un quadro terribile dalla situazione. Temeva che lo Stato venisse completamente destabilizzato. Mi resi conto che il paese stava per andare alla deriva».

Nella sua stanza all’hotel Excelsior, e in una saletta del ministero dell’Interno, Pieczenick comincia lo studio dell’avversario. Scopre che invece sono i terroristi a studiare lui. «Secondo le fonti di polizia dell’epoca, ventiquattr’ore dopo il mio arrivo mi avevano già inserito nella lista degli obiettivi da colpire. Fu allora che capii qual era la forza delle Brigate Rosse. Avevano degli alleati all’interno della macchina dello Stato».

Una sgradevole verità gli viene spiegata in Vaticano. «Alcuni figli di alti funzionari politici italiani erano in realtà simpatizzanti delle Brigate Rosse o almeno gravitavano nell’area dell’estrema sinistra rivoluzionaria. Evidentemente era in questo modo che le Br ottenevano informazioni importanti». Così gli danno una pistola. «Ogni volta che uscivo in strada stringevo più che mai la Beretta che avevo in tasca».

Comincia una drammatica partita a scacchi. «Il mio primo obiettivo era guadagnare tempo, cercare di mantenere in vita Moro il più a lungo possibile, il tempo necessario a Cossiga per riprendere il controllo dei suoi servizi di sicurezza, calmare i militari, imporre la fermezza a una classe politica inquieta e ridare un po' di fiducia all’economia».

Ma la strategia di Pieczenick diventa presto qualcosa di più. E’ il tentativo di portare per mano i brigatisti all’esito che vuole lui. «Lasciavo che credessero che un’apertura era possibile e alimentavo in loro la speranza, sempre più forte, che lo Stato, pur mantenendo una posizione di apparente fermezza, avrebbe comunque negoziato».

Alla quarta settimana di sequestro, però, quando comincia l’ondata delle lettere di Moro più accorate, tutto cambia. Una brusca gelata. Il 18 aprile, viene diramato il falso comunicato del lago della Duchessa. Secondo Pieczenick è un tranello elaborato dai servizi segreti italiani. «Non ho partecipato direttamente alla messa in atto di questa operazione che avevamo deciso nel comitato di crisi». Il falso comunicato serve a preparare l’opinione pubblica al peggio. Ma serve soprattutto a choccare i brigatisti. Una mossa che mette nel conto l’omicidio di Moro. E dice Pieczenick: il governo italiano sapeva che cosa stava innescando.

«Fu un’iniziativa brutale, certo, una decisione cinica, un colpo a sangue freddo: un uomo doveva essere freddamente sacrificato per la sopravvivenza di uno Stato. Ma in questo genere di situazioni bisogna essere razionali e saper valutare in termini di profitti e perdite». Le Br di Moretti, stordite, infuriate, deluse, uccidono l’ostaggio. E questo è il freddo commento di Pieczenick: «L’uccisione di Moro ha impedito che l’economia crollasse; se fosse stato ucciso prima, la situazione sarebbe stata catastrofica. La ragion di Stato ha prevalso totalmente sulla vita dell’ostaggio».

da lastampa.it
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« Risposta #2 inserito:: Marzo 16, 2008, 11:51:22 am »

16/3/2008 - TRENT'ANNI FA IL RAPIMENTO DI ALDO MORO

1978 e niente fu più come prima
 
L’anno in cui tutto cambia: via Fani, Pertini, Wojtyla...

GIOVANNI DE LUNA


Per 55 giorni l’Italia ebbe la sensazione di sprofondare in un incubo senza fine. Aldo Moro fu rapito il 16 marzo 1978 e ucciso il 9 maggio. La sua lunga prigionia sembrò distorcere la stessa percezione della realtà. Le Brigate Rosse apparvero come una potente e infallibile macchina da guerra. E invece nel giro di pochi anni erano destinate a crollare, schiacciate dal peso dei pentiti e dalle loro stesse contraddizioni. Il sistema politico si schierò più o meno in maniera compatta sul fronte della fermezza, quasi a voler dimostrare la forza e la solidità delle istituzioni repubblicane. E invece dietro quella fermezza si aprivano le prime crepe della grande slavina che nel decennio successivo avrebbe travolto tutti i partiti della Prima Repubblica.

Oggi, a trent’anni di distanza, risulta ovviamente più facile capire quello che allora si nascose nelle nebbie dell’emotività e dell’angoscia e guardare al 1978 con la consapevolezza che in quell’anno, offuscate dal clamore del «caso Moro», ci furono molte altre cose che finirono e cominciarono. Alcune di queste decisamente ludiche come i campionati mondiali di calcio in Argentina che nella totale inconsapevolezza della tragedia dei desaparecidos fece vivere agli italiani un’euforica vigilia della vittoria che sarebbe arrivata quattro anni dopo in Spagna.

Finì, innanzitutto, proprio il terrorismo così come lo interpretarono le Brigate Rosse. Lo Stato «diffuso» e globalizzato che nasceva al tramonto del Novecento non aveva nessun «cuore» da colpire, nessun centro nevralgico da paralizzare. Le Brigate Rosse avevano seminato tante vittime innocenti, inseguendo un passato che era già passato. Ma a finire fu anche il nostro sistema politico così come si era strutturato a partire dal 1946. Il fallimento dei governi di «solidarietà nazionale» fu vissuto come una normale oscillazione del pendolo della politica italiana, mentre era la spia di un disagio molto più complessivo.

Proprio allora il referendum contro il finanziamento pubblico ai partiti - con il suo 43,8% di abolizionisti - segnalò per la prima volta quanto vistosa stesse diventando la frattura nei confronti della «partitocrazia». Per sfuggire alla pressione fiscale e ai controlli sindacali era nato infatti un nuovo settore dell’economia, fondato sul mancato rispetto delle norme di protezione dei lavoratori e sulla totale o parziale evasione fiscale. Era il regno del lavoro «in nero», ma anche un serbatoio di nuove energie imprenditoriali che affondavano le loro radici nel mondo dell’artigianato, delle aziende agricole a conduzione familiare, del lavoro dipendente più professionalizzato. Contemporaneamente saltava il vecchio schema dualistico dell’economia italiana: alla tradizionale contrapposizione tra un Nord industriale e sviluppato, e un Sud sottosviluppato, si affiancava ora una «terza Italia», fitta di medie e piccole imprese industriali, collocate nelle regioni del Nord-Est e del Centro. La crescita vertiginosa delle classi medie (dal 38,5% della popolazione attiva del 1971, passarono al 46,4% nel 1983) fu il risvolto sociale di uno inedito scenario economico.

A questi fermenti si legarono la nascita di movimenti collettivi come il femminismo (nel 1978 fu approvata la legge sull’aborto e quella sulla parità salariale e - per la prima volta, a Verona - le donne ottenero di costituirsi parte civile in un processo per stupro) e l’emergere di nuovi valori di riferimento, come l’appartenenza territoriale. Alle elezioni politiche del 1979 si sarebbe presentata la prima lista leghista, quella della Liga veneta.

A un sistema politico rinchiuso nel «palazzo» intravisto da Pasolini, Sandro Pertini (eletto Presidente della Repubblica l’8 luglio 1978) offrì una tempestiva scorciatoia «presidenzialista». Il suo modo di interpretare quella carica apparve all’inizio come una bizzarìa legata alla sua prorompente personalità. Iscritto al Psi fin dal 1918, Pertini durante il fascismo aveva conosciuto l’esilio, il carcere, il confino. Proprio attingendo a questo suo passato di perseguitato, seppe trovare un modo di comunicare molto lontano dai modelli tradizionali del potere politico italiano, provocando una decisa rottura rispetto alla prassi «notarile» dei suoi predecessori. Carisma personale a parte, questo mutamento era invece destinato a influenzare anche tutti i suoi successori e, da allora in poi, sempre più spesso, alla Presidenza della Repubblica.

Su tutti gli episodi che si affollarono in quell’anno, uno però sovrasta tutti gli altri: l’avvento di un papa polacco dopo 44 pontefici italiani, avvicendatisi dal 1523 in poi. Giovanni Paolo II fu eletto 16 ottobre 1978; già all’atto del suo insediamento, enunciò un programma fondato sulla fedeltà al Concilio, il rispetto assoluto della disciplina ecclesiastica, la massima attenzione per i problemi della pace e della giustizia internazionale, l’impegno per la difesa della libertà religiosa e dei diritti umani e, soprattutto, il suo disegno di una «Chiesa per l’uomo». Il suo pontificato si avviò sotto il segno di un marcato attivismo (soltanto nei primi sei mesi tenne oltre cento discorsi!), che, negli Anni Ottanta, lo renderà protagonista di uno dei più grandi eventi del secolo, la caduta del muro di Berlino, la fine dei regimi comunisti nella sua Polonia e negli altri Paesi dell’Est europeo e alla disintegrazione dell’Urss.

In questa nuova dimensione del papato e della religione, in cui si intravvedono già i contorni di un mondo totalmente postnovecentesco.

da lastampa.it
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« Risposta #3 inserito:: Marzo 16, 2008, 11:52:59 am »

Moro, 30 anni dopo

Il caso Moro e la seduta spiritica

Giovanni Bianconi risponde alle domande dei lettori (risposta unica alla fine delle domande)



Seduta spiritica
A 30 anni dal delitto, sarà possibile conoscere la verità sulla fantomatica seduta spiritica, nella quale venne fatto il nome di Gradoli? Sarebbe l'unica seduta spiritica che abbia avuto successo di cui si ha conoscenza. Ed è tutto agli atti delle commissioni parlamentari d'inchiesta...Alessandro Lussemburgo 


Non so se questa mia domanda sia già stata posta. Potete dirmi qualcosa circa la fantomatica seduta spiritica. Cosa ha vacillato oltre il tavolino nella previsione medianica? Francesco Negri, Salerno 


Il Sig. Prodi quando si deciderà a svelare la fonte che gli ha parlato di Gradoli? Quanti italiani sanno che il Sig. Prodi ha dichiarato in due commissioni d'inchiesta parlamentari che questo nome è venuto fuori dal gioco del piattino? Manuele - Firenze


Mi ha sempre fatto riflettere l'episodio, mai smentito da Prodi che era presente, del tavolo spiritico a Bologna in cui venne fatto il nome di Gradoli, che era proprio la via dove erano prigioniero il Presidente Moro. Le pare possibile che nessuno verificò se a Roma c'era una Via Gradoli ? Maurizio S.Stino di Livenza (Ve)Maurizio S.Stino di Livenza (Ve)


Il risultato della seduta spiritica era evidentemente pilotato da qualcuno che sapeva molte cose sulle BR e sui suoi covi. Secondo me è la pista più importante per capire se ci furono "affiancamenti" di ipotetici Servizi alle BR ma mi sembra una pista mai stata troppo seguita. Che ne pensa?


Vorrei sapere se è vera (è stata piu' volte smentita)la famosa seduta spiritica in cui usci' "gradoli". Dove la polizia cerco' in lago e poi arrivarono davanti la porta dove era imprigionato Moro. Altra domanda: E' vero che per motivi logistici scelsero di rapire Moro anzichè Andreotti. grazie Marco D. C. - Roma 




Perchè nessuno ha mai chiesto di più di questa vicenda? Perchè Prodi ha preferito dire che era una "seduta spiritica"? Questi sono i scheletri nell'armadio che ha l'italia. Al di là di qualsiasi tendenza politica vorrei veramente capire perché Prodi sapeva di Gradoli. Grazie


E' riuscito a farsi un'idea sull'informazioni che Prodi passò al viminale riguardo "GRADOLI" uscite nel corso di una seduta spiritica tenuta a casa di un'amico del prof Prodi? Emiliano - Roma

Bianconi mi sa dire che ruolo ha avuto prodi nella vicenda Moro? grazie Leo Bari


Caro Bianconi, complimenti per il libro Una domanda sola: che idea si è fatto del ruolo di Prodi e del gruppo di amici nella famosa vicenda della seduta spiritica e della parola Gradoli che ancora non risulta molto chiara? Grazie Matteo Zanieri - Lucca 



Ma la storia della seduta spiritica alla quale partecipo' Prodi e che ebbe come oggetto appunto il sequestro Moro ha basi di verità o è solo una congettura? Rocco Reggio Calabria




Vorrei avere conferma che nel processo Moro venne esibita una disposizione di non compiere ulteriori accertamenti su Via Gradoli, dopo una prima visita infruttuosa. Tale disposizione venne però costruita a posteriori su una carta intestata diversa da quella in uso dalla Polizia all'epoca dei fatti Roberto (Roma) 

Ma è vero che PRODI durante il sequestro sapeva il nome della via dove era tenuto Aldo MORO ed ha poi giustificato la cosa con una seduta spiritica? Io non credo a che lui veramente sapesse ma altrimenti non potrei credere di aver avuto un presidente del consiglio che faceva sedute spiritche ...  Alberto


Qualcuno può fare finalmente luce sul "mistero" della famosa seduta spiritica ed il famigerato nome "Gradoli" nonchè i rapporti tra Prodi le sue affermazione alle commissioni del Processo Moro e cio'che ne esce dall'affaire "Mitrokin" nei rapporti diretti ed indiretti del KGB in Italia?  Sergio, Roma   

 Perchè non si è mai voluto veramente indagare sulla famosa seduta spiritica durante la quale è emerso il nome Gradoli che era chiaramente frutto di una informativa o di una soffiata da parte di qualcuno molto ben informato?  Alberto, Venezia

A trent'anni di distanza ancora non si è fatta luce sulla vicenda Prodi ed il gioco del piattino...Qual è stata la fonte di Prodi? Perché non ha mai fatto causa a Guzzanti come annunciato ai tempi della vicenda del Polonio?


Come spiega la seduta spiritica in cui uscì l'indirizzo del covo delle brigate rosse a Roma e nella quale, tra l'altro, sembra prese parte anche un giovane Romano Prodi? Qual è la verità al riguardo? Grazie Fabio Varese   

Che cosa ne pensa del caso della seduta spiritica, a cui aveva preso parte anche il presidente Prodi, in cui era "spuntato" fuori il nome Gradoli, nome della via in cui era detenuto Moro? E cosa pensa del fatto che la polizia fosse invece stata mandata nel comune di Gradoli, in provincia di Viterbo?  Matteo di Rimini ()


 Non è forse il caso, dopo 30 anni, di fare luce e costringere l'interessato a dire la verità riguardo la famosa seduta spiritica? A suo tempo, sarebbe stato da mettere in galera per favoreggiamento. Claudio-Voghera

L'episodio è noto, Romano Prodi durante dice di aver avuto una informazione sul luogo di prigionia di moro durante una seduta spiritica. vorrei sapere se questo episodio ha spiegazioni definitive e convincenti per essere archiviato definitivamente. Grazie Rossana Lessi Firenze

Buongiorno, vorrei sapere se è vero che alcuni politici parteciparono a una seduta spiritica per conoscere il luogo dove era tenuto prigioniero Moro e se a tale seduta partecipò anche l'ex presidente del Consiglio Prodi. Grazie e cordiali saluti  Francesca, Ancona 


 

 

A tutte queste domande credo si possa dare un’unica e generale risposta. E’ del tutto evidente che la versione fornita dal prof. Prodi e da altri partecipanti a quella seduta spiritica – tra i quali altrettanto autorevoli professori, tutti rintracciati e interrogati sia dalla magistratura che dalla commissione parlamentare d’inchiesta – può apparire per molti aspetti poco verosimile.

La mattina del 4 aprile ’78 Prodi si presentò a piazza del Gesù, nella sede della Dc, e comunicò di aver avuto un’indicazione su Gradoli, riguardante la prigione di Moro, condita con alcuni particolari che riferivano questo nome a una località del Lazio, nei pressi de lago di Bolsena. Disse anche che l’informazione arrivava da una seduta spiritica, versione poi ribadita negli interrogatori a partire dall’ottobre 1978.

E’ difficile immaginare che quella versione possa cambiare a trent’anni di distanza, mentre è plausibile immaginare che la tesi della seduta spiritica fosse una “copertura” di un’altra fonte che si voleva mantenere coperta (anche se in quest’ultima ipotesi sembrerebbe poco realistico coinvolgere più persone, e anche di un certo rango, in una falsa verità, non fosse che per il rischio di ritrovarsi improvvisamente di fronte qualche “incrinatura” di quella verità ufficiale).

Fatto sta che l’informazione riguardante “Gradoli” (subito girata ad un collaboratore del ministro dell’Interno Cossiga, che la trasmise al capo della polizia) aveva un senso se 14 giorni dopo la segnalazione, e cioè il 18 aprile ’78, per cause fortuite fu scoperta una base delle Brigate rosse – non la prigione di Moro, ma l’appartamento in cui viveva, a Roma, il “regista dell’operazione Moro, Mario Moretti, e barbara Balzerai, partecipante all’agguato di via Fani e membro della direzione della colonna romana delle Br – proprio in via Gradoli, a Roma. E siccome l’indicazione fornita da Prodi riguardava non solo il nome ma anche l’aggiunta “sulla strada per Viterbo” (come ricorda Giuseppe Pisanu, allora capo della segreteria politica di Benigno zaccagnini, segretario della Dc) non è privo di suggestione ilfatto che via Gradoli sia una traversa della via Cassia, cioè la strada che da Roma porta a Viterbo.

In ogni caso, resta la realtà che all’indomani della segnalazione di Prodi a nessuno venne in mente o comunque nessuno se ne fece carico) di controllare in via Gradoli a Roma, anziché nel paese di Gradoli, in provincia di Viterbo dove il 6 aprile ci fu una grande quanto infruttuosa battuta delle forze di polizia.

La signora Moro ha testimoniato che quando seppe della vicenda provò a suggerire di controllare in via Gradoli a Roma, anziché nel paese di Gradoli, ma gli fu risposto che sulla stradario della capitale non compariva una strada con quel nome. Invece compariva. Va aggiunto, per completezza, che la signora Moro non ha indicato a chi, precisamente, fece quella domanda ottenendo quella falsa risposta, né che cosa fece (se, e a chi si rivolse) quando scoprì che invece esisteva una via Gradoli a Roma.

Infine, la scoperta del covo di via Gradoli avvenne in circostanze quanto meno curiose (una improvvisa quanto copiosa perdita d’acqua, verificatasi per un rubinetto della doccia lasciato aperto, nell’appartamento al piano inferiore, dubito dopo che i brigatisti che vivevano lì erano usciti di casa: per entrare nella casa chiusa e fermare l’allagamento dell’appartamento inferiore furono chiamati i pompieri, che una volta penetrati nell’appartamento dei brigatisti si resero conto della situazione e chiamarono la polizia, che arrivò con grande dispiegamento di mezzi e di pubblicità: all’ora di pranzo la notizia era di pubblico dominio, e fu trasmessa dai telegiornali.

Se non si vuole credere alla casualità, bisogna a rigor di logica ritenere che quelle modalità di scoperta furono un modo per avvisare i brigatisti che la loro base si stava bruciando, facendola venire pubblicamente alla luce mentre loro non c’erano, in maniera tale che la notizia si divulgasse il più presto possibile e si evitasse che loro tornassero lì e venissero intercettati e arrestati. Se c’era stata un’informazione che poteva portare a quel covo insomma (attraverso la soffiata giunta al professor prodi) qualcuno fece in modo da vanificarne la portata: prima concentrando l’attenzione sul paese di Gradoli anziché su via Gradoli, e poi svelando al mondo intero (e in primo luogo ai brigatisti mentre erano fuori dall’appartamento) che quella base non era più sicura.

Se c’è un mistero è proprio questo, e sinceramente mi pare molto più rilevante della credibilità o meno della seduta spiritica raccontata da Prodi e i suoi amici per giustificare l’informazione inutilmente riferita ai vertici democristiani.

Giovanni Bianconi
14 marzo 2008

da corriere.it
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« Risposta #4 inserito:: Marzo 16, 2008, 11:56:03 am »

Caso Moro, le risposte a tutte le domande dei lettori

Il giornalista Giovanni Bianconi replica a tutti i partecipanti della videochat


Nei giorni scorsi il giornalista del Corriere della Sera Giovanni Bianconi, esperto di giudiziaria e da anni attento alle vicende del rapimento Moro, ha partecipato ad una videochat su Corriere.it dal titolo "Il caso Moro. Il dietro le quinte del sequestro" (guardala).

Bianconi, oltre a parlare del suo ultimo libro "Dietro le quinte del sequestro Moro" ha ricevuto tantissime domande dai lettori. Dato che durante la diretta non è riuscito a rispondere a tutti, ha deciso di rispondere per scritto alle questioni sollevate da chi seguiva la videochat. Tante ed interessanti.

Ne esce così un nuovo spaccato su una vicenda, quella del sequestro Moro di cui ora ricorrono i trent'anni, che interessa ancora molto e di cui ancora non è stato detto tutto. Oltre alle risposte in questa pagina, ci sono altre due parti specificatamente dedicate al ruolo dei servizi segreti nella vicenda Moro e al giallo di Gradoli e la seduta spiritica.


Dinamica del rapimento
Caro Giovanni, sono un collega di RaiSat, ho letto il tuo libro e ho trovato la tua una chiave interpretativa molto interessante. Che ne dici riguardo alla dinamica del rapimento del Presidente Dc a Via Fani e dell'esplosione di circa 70 colpi da parte di due soli tiratori? Grazie per l'attenzione
Alessandro, Roma

La dinamica che si conosce, ricostruita da uno dei quattro tiratori “ufficiali” delle Br, cioè Valerio Morucci, consiste nell’apertura del fuoco da un solo lato delle due macchine (di Moro e della scorta) da colpire, e cioè il lato sinistro delle auto. Morucci stesso riferisce che alcune delle armi si incepparono, e questo potrebbe spiegare perché a sparare la maggior parte dei colpi siano state solo due armi. Le diverse perizie prodotte nei processi hanno dato risultati che (come quasi tutte le perizie, in quasi tutti i processi) sono stati contraddetti da altre considerazioni tecniche, col risultato che sono stati ritenuti compatibili o meno (a seconda dei punti di vista) con le dichiarazioni dei testimoni. Cosa che è puntualmente successa anche con Valerio Morucci. E’ molto difficile raggiungere delle verità, ancorché processuali, solo attraverso le perizie.

E la giustizia?
A costo di sembrare naif, trovo assurdo che i brigatisti siano liberi e personaggi televisivi e le vittime dimenticate con i loro famigliari. Tutto il resto è retorica. Roberto da Parigi

E’ sicuramente ingiusto che le vittime siano dimenticate, e questa è una responsabilità dei mezzi d’informazione prima ancora che dello Stato che forse s’è occupato troppo poco delle persone uccise o ferite. Questo però ha poco a che fare con la rimessa in libertà di alcuni terroristi al termine di specifici e personali percorsi giudiziari che in molti casi si sono conclusi (ad oltre venti anni dagli arresti) con il lavoro esterno al carcere la semilibertà o la liberazione condizionale anche per chi era stato condannato all’ergastolo. Credo che occuparsi in maniera più adeguata delle vittime renderebbe forse meno stridente la realtà dei terroristi che lasciano le prigioni (nella quasi totalità dei casi senza creare ulteriori problemi di sicurezza alla collettività) con il senso di ingiustizia rispetto alla irrimediabilità dei “danni” da loro provocati.


Assassini impuniti.
Per quale motivo non si è voluto punire fermamente gli artefici di questa tragica stagione politica?Ancora oggi si parla di tregua politica..forse perché esistono ancora frange politiche che non hanno mai rinnegato quegli atti? Samuele Cagliari

Non so a quali frange politiche si riferisca, ma nella sinistra italiana, dalla quale provenivano la quasi totalità dei terroristi di sinistra, la “presa di coscienza” di una realtà negata all’inizio dell’esperienza della lotta armata risale ormai ad almeno trent’anni fa, cioè proprio dal sequestro Moro. La “tregua politica” di cui ogni tanto si parla sarebbe in realtà una “soluzione politica” per i brigatisti che ancora hanno a che fare col carcere, partendo dalla considerazione che non si trattava di criminali comuni ma, appunto, politici, figli di una determinata stagione ormai definitivamente chiusa. Tuttavia rispetto a questa soluzione “generale” resta da un lato la difficoltà dovuta ai danni provocati alle vittime e alle rispettive famiglie, e dall’altro l’esistenza di frange di terroristi che, dal carcere, non hanno rivisto nulla e continuano a sostenere la validità della lotta armata. Rimettere in circolazione anche loro (seppure dopo tanti anni di carcere) sarebbe effettivamente un problema, e anche per questo si è andati avanti finora (e prevedibilmente si andrà avanti ancora per molto tempo) con le soluzioni individuali anziché collettive. Infine, servirebbe un dibattito generale s un’epoca che ha prodotto anche il terrorismo, al quale la classe politica e l’opinione pubblica non sembrano al momento particolarmente disposte.

Diterologie
Secondo Lei bisognerebbe trattare anche con la Mafia? Trattare con la mafia per il rilascio di un politico sarebbe un atto di debolezza o di forza? Daniele, Padova
E i rapporti con la criminalità organizzata?
Rinfrescare la memoria è sempre importante. Tra le cose che ricordo in modo non preciso vorrei Lei potesse ricordare che tipo di rapporti intercorsero tra le br e la criminalità organizzata, mafia e camorra. Ci fu una sorta di giustificazione rivoluzionaria anche a questi rapporti? Vincenzo G. Roma
Pippo Calò
Ci sono novità sul ruolo della Banda della Magliana e di Pippo Calò , eventualmente, nella vicenda del Caso Moro? Marco Roma

Certo non sarebbe un atto di forza. Secondo le dichiarazioni di alcuni pentiti di mafia riscontrate da alcune indagini) durante il sequestro Moro ci fu un tentativo da parte di “settori delle istituzioni” – in particolare servizi segreti ed esponenti di partito – di coinvolgere la mafia (ma anche la camorra napoletana e la ‘ndrangheta calabrese) affinché si attivassero per raccogliere informazioni sulla prigione di Moro (attraverso il loro “controllo del territorio”, che evidentemente era o si riteneva più efficace di quello esercitato dallo Stato) o per sondare i brigatisti detenuti nelle carceri. Ma non si arrivò a nulla. Il pentito di mafia Tommaso Buscetta ha anche riferito che a un certo punto il suo capomafia Stefano Bontate fu invitato proprio da Pippo Calò a non darsi più da fare perché all’interno del suo partito (cioè la Dc) non c’era più la volontà di liberare Moro.

I rapporti tra criminalità organizzata e brigatisti. Sotto questo punto di vista, sarebbero dovuti avvenire in carcere, cioè nei comuni luoghi di detenzione. Fuori, questi rapporti sono sempre stati negati dai brigatisti (e quindi mai giustificati da motivi “rivoluzionari”), mentre da parte di mafiosi o ‘ndranghetisti non sono mai stati svelati; le informazioni che potevano dare erano più legate al controllo del territorio o ai contatti con uomini delle istituzioni che a loro volta (per altre vie) sapevano o pensavano di sapere qualcosa sulle Br o la prigione di Moro.

Il ruolo della banda della Magliana è stato evocato soprattutto sul piano del “controllo del territorio”, visto che la “prigione del popolo” si trova vicino al quartiere della Magliana, ma non c’è nessun riscontro concreto. Piuttosto il presunto autore del falso comunicato n. 7 delle Brigate rosse (quello che annunciava l’avvenuta esecuzione di Moro e “sepoltura” del lago della Duchessa), il falsario Tony Chichiarelli (assassinato nel 1984) aveva dei contatti con la Magliana, ma lì il mistero riguarda chi ha ordinato quel falso, e non furono le Br. In ogni caso bisogna tenere presente che nella primavera del 1978 la banda della Magliana per come fu successivamente conosciuta (cioè un’entità criminale che aveva quasi assunto il controllo delle attività illecite su Roma, e che è stata utilizzata per diversi “servizi” esterni ai propri interessi) era appena agli albori, visto che si formò nel novembre del ’77 con un sequestro di persona, e prese piede soltanto negli anni successivi.

Craxi e la trattativa
Cosa pensa del tentativo di craxi di aprire una trattativa e cercare canali per entrare in contatto con le BR? era un posizione politica interessata solo ad intralciare il compromesso storico o una posizione "umanitaria"? Come spiega la vicinanza del PSI all'ambiente che oggi definiremo antagonista? Dario Sassari
Craxi
A suo avviso, la linea di Craxi, la linea della trattativa era volta solo a distaccarsi dal resto dei partiti per prendersi un suo spazio di fronte all'elettorato o aveva capito che c'era margine per salvare Moro? Antonio da Formia

Tra i motivi che spinsero Craxi, nella seconda parte del sequestro, a “smarcarsi” dalla fermezza fino a quel momento condivisa con la Dc, il Pci e gli altri partiti della maggioranza, ci fu probabilmente anche qualche considerazione politica sul futuro del suo partito, a cominciare dalla necessità di non restare schiacciati (e senza un ruolo) dai due principali partiti che perseguivano il cosiddetto “compromesso storico2. Tuttavia, al di là delle motivazioni che lo spinsero a diversificare la sua posizione, resta la strada da lui indicata, ed effettivamente percorsa attraverso un contatto concreto che arrivò ai brigatisti rossi: quel contatto però non portò a nulla di concreto anche per il modo in cui fu condotto da Craxi (senza avvisare gli investigatori e gli altri partiti), per stessa ammissione degli “intermediari” che per suo conto entrarono in contatto con le Br.

Riconoscimento?
Come sarebbe stato possibile mantenere lo stato democratico, pur con tutti i suoi problemi, dopo che fosse stata data una patente di legittimità politica alle BR? a me pare una cosa folle. Paolo, Bologna


La sua opinione è la stessa di chi, all’epoca, non volle distaccarsi mai – anche in linea di principio – dalla linea della fermezza. Si potrebbe replicare che per essere credibili su questo fronte bisognerebbe esserlo poi altrettanto sulla garanzia di sconfiggere le Br sotto il profilo investigativo e della repressione, cosa che nel periodo del sequestro non avvenne minimamente. Inoltre un “riconoscimento politico” non è un’entità immutabile, e nel corso di un dialogo a distanza si possono dire tante cose e poi dirne altre, anche solo per tenere aperto un canale che eviti l’uccisione dell’ostaggio, e nemmeno questo è accaduto


Prova di forza
Non sarebbe stata una prova di forza da parte delle Br liberare Moro? Non si sarebbero conquistate il favore del popolo? Non sarebbe stato questo un riconoscimento politico più forte rispetto quello dello Stato? Cristian Favarin - Modena

Questo è ciò che hanno provato a sostenere i brigatisti “dissidenti” rispetto alla decisione di uccidere Moro, una ristrettissima minoranza che non è riuscita a imporre la propria opinione su quella della maggioranza che – invece – sosteneva che non poteva finire come quattro anni prima, nel 1974, con sequestro Sossi, liberato senza contropartita politica.


Il ruolo della DC
Si vuol far passare la morte di moro come responsabilità della DC. ma Moretti & C. non erano mica iscritti alla DC... Franco da Bolotana


Certamente no, e infatti qualunque discussione sul ruolo della Dc e sulle eventuali “mancanze” del partito di Moro rispetto a quella situazione particolare (a cominciare da quelle imputate dallo stesso Moro al suo partito nelle lettere dalla “prigione del popolo”) non può prescindere dalla riconferma della primaria e diretta responsabilità dei brigatisti rossi nel sequestro e nella decisione di uccidere Moro. Non negata, del resto, dagli stessi brigatisti.


Le talpe
Buongiorno, vorrei sapere se secondo lei,al momento del rapimento del defunto vi erano delle ''talpe'' all'interno della Democrazia Cristiana o addirittura all'interno della Guardia personale di Moro. Grazie e saluti Carlo da Milano


Non risulta da nulla.

Segreti rivelati
Moro ha rivelato segreti che le br hanno girato all'URSS? Giorgio, Lecco
Non risulta da nulla, né che Moro abbia rivelato particolari segreti né che le Br li abbiano girati all’Urss.

Trattativa si o no?
Perchè per Moro non si volle trattare, quando poi per Ciro Cirillo si scomodarono i camorristi? Marco Sulmona
Due pesi, due misure
E' accertato che la dc scelse di non trattare con i terroristi per Moro, salvo poi affidarsi alla camorra di Cutolo per la liberazione dell'assessore cirillo. E' plausibile affermare che moro non sia stato ucciso solo dalle BR? Peppe Salerno

Questo problema è esattamente ciò che viene rimproverato da molti (ad esempio alcuni familiari di Aldo Moro) quando si dice che lo Stato non poteva trattare, ed è uno degli argomenti per contestare la cosiddetta “linea della fermezza” irremovibilmente tenuta durante il sequestro Moro. Prima (con Sossi) e dopo (con Cirillo e D’Urso) si è trattato; oppure si è riusciti a liberare l’ostaggio (come nel casi del gen. statunitense James Lee Dozier). Nel caso di Moro non s’è fatta né l’una né l’altra cosa, e questo è uno degli argomenti con i quali si può sostenere che forse, all’interno dello Stato, c’era anche chi, dal momento del rapimento, ha pensato che sarebbe stato meglio che Moro non tornasse a casa.



Corpo nella Renault 4
E' vero che le scarpe dell'on. Moro presentavano tracce di sabbia ? Pippo Trapani


Sì, e i brigatisti hanno spiegato che quello fu un depistaggio organizzato da loro stessi. Andarono a raccogliere la sabbia e altri detriti, poi applicati alle scarpe e ai vestiti di Moro, per far credere agli investigatori che la prigione fosse stata in una località di mare.

I media
C'è una colpa dei media nel caso moro? Cristiano - Milano


Forse la principale fu quella, da parte della grande maggioranza de giornali, di aderire senza troppa criticità (e in qualche caso di sostenere), anche attraverso interviste a presunti esperti) la non autenticità morale delle lettere di Moro. Durante il sequestro, poi, furono anche pubblicate molte notizie sulle indagini o sull’universo brigatista (per come si conosceva allora) poi rivelatesi completamente false. Ma di questo è difficile dare la colpa ai giornali, che probabilmente si limitavano a pubblicare ciò che veniva riferito (anche non ufficialmente) da inquirenti e investigatori. Oppure dai politici, come nel caso della falsa notizia di una delle vedove di via Fani che si sarebbe bruciata davanti alla sede della Dc se lo Stato avesse trattato per liberare Moro. Probabilmente, da questo punto di vista i giornali rispecchiavano (forse in maniera troppo acritica) lo stato delle conoscenze e di volontà di veicolare certe informazioni degli inquirenti e dei politici.

Il covo di via Montalcini
Dott. Bianconi, c'è chi sostiene che il covo di via Montalcini non sia stato l'unico luogo della prigionia di Moro: si pensa a una seconda sede, molto più vicina al luogo dove fu rinvenuto il cadavere, via Caetani. Lo ritiene possibile? Andrea Pisa

In teoria è possibile, ma non è provato da nulla. Chi lo dice fonda le sue certezze soprattutto sulla distanza tra la prigione di via Montalcini e il luogo in cui fu trovato il cadavere di moro, considerando troppo rischioso per i brigatisti percorrere quel lungo tragitto con il corpo dell’ostaggio in macchina. E poi sul fatto che la salma di moro fu fatta trovare ben curata nell’igiene personale, e gli arti non troppo indeboliti da due mesi di costrizione in un luogo troppo ristretto. Queste due considerazioni, però, non sono in contrasto insanabile col fatto che Moro sia stato tenuto sempre nella stessa prigione, e alimentano altre “controdeduzioni”; i rischi del trasbordo del prigioniero vivo in un altro covo, ad esempio, sarebbero stati in qualunque altro momento anche più gravi di quelli corsi nel trasporto del cadavere. . Del resto quell’appartamento è stato scoperto, a terra ci sono tuttora i segni del tramezzo (costruito e poi abbattuto dai brigatisti) nella stanza in cui fu costruita la prigione, e ci sono testimoni che hanno visto la Renault 4 rossa nel garage di via Montalcini la mattina del 9 maggio: fatto poco conciliabile con l’ipotesi che il trasporto in via Castani su quella macchina (dove furono trovati anche i bossoli dei colpi che hanno ucciso Moro) sia avvenuto da un altro luogo.

Archivi
E' vero che saranno aperti archivi coperti fino ad ora dal segreto di stato riguardo il caso Moro. Se si, di che natura? Cosa ci si troverà? Carlo, Barcellona

La nuova legge sul segreto di Stato rende possibile la rimozione del segreto e l’apertura degli archivi di documenti riservati a trent’anni di distanza dai fatti. Questo significa che da quest’anno anche eventuali documenti segreti sul caso Moro (se ce ne sono) potrebbero essere resi pubblici. Che cosa ci si troverà, ovviamente, si potrà sapere solo dopo l’eventuale loro pubblicazione.

Paolo VI
Alla luce delle Sue conoscenze dott. Bianconi, quale fu il ruolo di Sua Santità Paolo VI, durante i terribili giorni del sequestro? Nicola da Padova


Il più importante fu quello dell’appello divulgato il 22 aprile, dopo la lettera a lui indirizzata fattagli avere da Moro.In quella famosa lettera agli “omini delle Brigate rosse il papa li invitò a liberare l’ostaggio “semplicemente, senza condizioni”: un particolare in linea con la linea della fermezza tenuta dal governo e, secondo l’opinione che ho ricavato da testimonianze e documenti, in qualche modo caldeggiata dal presidente del Consiglio Andreotti. Moro, che conosceva Paolo VI da lunga data, rimase deluso da quella lettera (cosa che scrisse anche alla moglie). Su altri piani gli uomini di Chiesa hanno tentato di aprire altri canali attraverso i cappellani delle carceri, o promuovere una raccolta di denaro per un eventuale riscatto da consegnare ai brigatisti in cambio della libertà dell’ostaggio. Iniziative sicuramente gradite al papa, se non da lui promosse, che però non portarono a nulla.

Chi fu il "cecchino" di Via Fani?
Allo stato delle indagini e dei suoi studi, chi fu la persona che, in Via Fani, usò la mitraglietta Skorpion con la quale furono assassinati quasi tutti i membri della scorta di Aldo Moro? Stefano Reggio Emilia


Da quanto s’è accertato nei processi (attraverso le dichiarazioni di uno degli sparatori, cioè Valerio Morucci), a fare fuoco sulle due auto di Moro e della scorta furono lo stesso Morucci e gli altri brigatisti Raffaele Fiore, Franco Bonisoli e Prospero Gallinari.


DC e altri.
Mi ha colpito molto il personaggio Zaccagnini (l'onesto ZAC) davvero è stato così onesto nei confronti della famiglia Moro? E della richiesta in passato della Faranda di equiparare le BR che hanno scontato la pena ai familiari delle vittime cosa ne pensa? Ci sono ad oggi ancora punti oscuri del sequestro? Alessandro Poggio Moiano

La famiglia Moro ha sempre rimproverato a Zaccagnini l’immobilismo della Democrazia cristiana che – a loro giudizio, ma anche, per molti versi, oggettivamente – contribuì ad arrivare alla tragica conclusione del sequestro. Zaccagnini si sentiva stretto tra il desiderio di fare qualcosa di utile per salvare il suo maestro e amico Moro e la convinta adesione all’impossibilità di fare qualche passo che legittimasse le Br sul piano politico; probabilmente rimasto lui stesso vittima di questa strettoia dalla quale non è riuscito a uscire. L’idea di equiparazione che lei attribuisce ad Adriana Faranda (che non so quando e come sia stata espressa, e in quali precisi termini) mi sembra difficile anche solo da immaginare, visto che è difficile mettere sullo stesso piano chi si è trovato vittima di scelte compiute da altri e chi invece s’è trovato in carcere per scelte fatte da se stesso.

Perchè
Perchè le brigate rosse non pubblicarono subito il testo degli interrogatori di Moro? Il contenuto di quei documenti non sarebbe stato più destabilizzante della morte dell'ostaggio? Marco - Roma

Perchè le br non hanno mai reso pubblici gli interrogatori di Moro? Le informazioni contenute in quei documenti (in parte ritrovate in via monte nevoso) non sarebbero state molto più destabilizzanti dell'uccisione dell'ostaggio? Marco T. - Roma

Le Br stavano trascrivendo il testo del cosiddetto “memoriale di Moro”, che poi sarebbero le sue risposte ai temi sottopostigli dai brigatisti nell’interrogatorio, a loro detta per la pubblicazione annunciata nell’ultimo comunicato emesso durante il sequestro. Ma nell’ottobre del 1978 i carabinieri fecero irruzione nel covo milanese di via Montenevoso arrestando due dei quattro membri del comitato esecutivo (cioè il “governo” dell’organizzazione) Bonisoli e Azzolini, e sequestrando quelle carte che, di conseguenza, non poterono più essere diffuse dalle Br che videro bloccata l’operazione che stavano facendo.

Chi sono i mandanti?
Mi sembra chiara la domanda spero altrettanto nella risposta. Saluti Renato dalla Comasina

A costo di deluderla, credo che i mandanti del sequestro e dell’omicidio di Aldo Moro siano semplicemente i brigatisti che l’hanno realizzato e commesso. Altro discorso sarebbe quello su chi aveva interesse a che finisse in quel modo, e bisognerebbe discuterne a lungo.

Nuove indagini
Vi sono nuove indagini? E se vi fossero, o si facessero con nuove metolodogie RIS, si avrebbe qualche novità? Donato Toritto

Al momento non mi risulta che ci siano nuove indagini, nonostante la richiesta di riapertura fatta da Maria Fida Moro sulle mosse di uno studente sovietico che seguiva le mosse di Moro all’università. Non mi pare che su quel fronte si siano raggiunti risultati di rilievo. Non credo che dalle nuove metodologie di indagini scientifiche possano arrivare conclusioni differenti da quelle che si conoscono.

segue
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« Risposta #5 inserito:: Marzo 16, 2008, 11:57:38 am »


segue da parte 1


Perchè l'esecuzione?
Perchè condannare a morte Moro, quando un Moro libero avrebbe messo fine al sistema politico vigente? Può trattarsi solo di miopia politica? Antonio di Formia


Perché le Br ritennero di non aver ottenuto nemmeno la minima parte di ciò che avevano chiesto allo Stato, e valutarono che liberare il prigioniero avrebbe significato ammettere la propria sconfitta politica. Qualcuno all’interno delle Br era di altra opinione e propose di liberarlo ugualmente, ma era in netta minoranza e prevalse – dopo una consultazione formale – la decisione di uccidere Moro.

Misteri Italiani
Quanti Misteri Italiani ci sono ancora che non si nulla? Emanuele Terni


Tanti, purtroppo.

Dalla Chiesa
Quale ruolo positivo o negativo ha avuto generale Dalla Chiesa nel sequestro Moro? Lino - Olbia

Nelle indagini sul sequestro praticamente nessuno, essendo stato il suo nucleo sciolto prima del marzo 1978. Dopo l’omicidio di Moro, invece, Dalla Chiesa fu richiamato a occuparsi di terrorismo e cinque mesi dopo furono i suoi uomini ad entrare nella base brigatista milanese di via Montenevoso, arrestate gli occupanti e trovare il famoso memoriale (almeno una parte, perché un’altra saltò fuori dal retro di un pannello murato a dodici anni di distanza, sempre nello stesso appartamento) .

Memoriale Moro
Cosa pensa dei memoriali ritrovati negli anni novanta? Sono attendibili? Le informazioni in essi contenuti sono significative? Samuele Cagliari (15:42:24)

Attendibili lo sono, perché sono scritti da Moro come quello trovato nel ’78. L informazioni che Moro aveva fornito ai brigatisti non rivelavano segreti inconfessabili o chissà che altro, e furono gli stessi terroristi a giudicarle di scarso rilievo.

Fine del segreto di Stato
Passati ormai 30 anni da questo triste episodio della nostra storia, non dovrebbe andare in "scadenza" il segreto di stato sui documenti e sul memoriale? E' incredibile come su una vicenda del genere ci siano ormai talmente tante versioni e tanti studi poter dire tutto ed il contrario di tutto Cristina, Milano

Ufficialmente sul caso Moro non è mai stato apposto alcun segreto di Stato. Diverso discorso sarebbe se venissero aperti gli archivi dei servizi segreti e si trovassero documenti riservati di cui finora non s’è saputo nulla.

Quarto uomo
E' mai esistito un quarto brigatista, come dice Flamigni, e se sì è possibile che fosse un altissimo esponente dello Stato? Marco Salerno

Il “quarto” brigatista era il quarto carceriere di Moro rispetto ai tre di cui già si conosceva l’identità (Mario Moretti, Prospero Gallinari e Anna Laura Traghetti) e dal 1993 si sa chi fosse: era Germano Maccari, un brigatista “di borgata” come molti altri, che non aveva nulla a che fare con lo Stato.

Perchè lo hanno ucciso?
Perchè la Cia si è infiltrata nelle BR e ha ucciso Moro? Per via del "compromesso storico"? Andrea Bari

Io non so (e sinceramente non credo) che la Cia si sia infiltrata nelle Br, quindi…

Le svolte della Storia
La vicenda di Moro secondo alcuni rappresenta una di quelle svolte della storia, che accadono ogni tanto: una sorta di impennata "negativa". Lei che ne pensa di questa lettura dell'episodio? Francesco da Conversano (Ba)

Sicuramente fu una svolta, perché ha cambiato il corso della storia dell’Italia repubblicana.

L'inizio della fine
Gentile Bianconi, lei si sente di sposare la tesi che le Br con il sequestro prima e l'uccisione poi dell'on.Moro si sia avviata con le sue mani verso la fine? Matteo Milano

Rapimento
Come si spiega che con il rapimento di Aldo Moro ci fu un'apice del terrorismo che poi negli anni 80 tutto rotolò nel dimenticatoio con la fine Terrorismo Rosso? Renzo-Milano

Dal punto di vista politico è una lettura che può essere fatta, ma sul piano militare e della propaganda il periodo di massima espansione delle Br (sia per adesioni che per azioni commesse) è successivo al sequestro, nel 1979. Poi dall’80, con i pentiti, è cominciata la sconfitta “militare”. Fu quella la vera e decisiva “arma” messa in campo dallo Stato nella lotta al terrorismo, che si andò esaurendo con gli arresti andati avanti per tutto il decennio Ottanta. Poi è rispuntato nel ’99, con altri presupposti e con altre dimensioni.

Non come, ma perchè?
Sono stati consumati fiumi di inchiostro per indagare su come venne rapito Moro, sui depistaggi delle indagini e altri misteri, a volte fin troppo fantasiosi. Questo probabilmente oscura la domanda più importante: perchè venne rapito? Come mai non era protetto abbastanza?

Perché è stato rapito l’hanno spiegato abbastanza chiaramente i suoi rapitori, durante e dopo il sequestro. Sulla protezione, certamente insufficiente visto ciò che è accaduto, c’è da ricordare che in quel periodo erano pochissimi gli uomini politici a cui era dedicato un servizio di protezione migliore, cioè con 5 agenti di scorta intorno. La differenza l’avrebbe fatta, probabilmente l’auto blindata, ma non è detto che le Br non avrebbero escogitato in quel caso un piano alternativo, o usato le armi adeguate.


Tragitto casa Moro–Montecitorio
Buongiorno, ho letto su uno dei numerosi libri che trattano il caso che le Br già sapessero del tragitto del segretario Dc . Com'è possibile datosi che Moro e la scorta cambiavano tragitto ogni giorno? Grazie Franz da Roma

Non è esatto che Moro cambiasse tragitto ogni giorno,. Ne aveva due o tre a secondo di dove doveva recarsi. Ma un edicolante di via Fani disse alla polizia il giorno stesso del sequestro che vedeva passarlo quasi ogni mattina.

Anni di piombo
Cosa sono e perché si chiamano cosi esattamente gli anni di piombo? grazie Gregorio Oxford

La definizione del periodo prende il nome da un film tedesco della regista Von Trotta che trattava il tema del terrorismo in Germania, e si riferisce al piombo sparato dai gruppi armati in quegli anni.

Prigionia
Caro Bianconi, cosa ci può dire dei tanti misteri sul caso, come ad esempio quello sul luogo della prigionia? E, soprattutto, cosa ne pensa delle clamorose rivelazioni fatte dall'ex vicepresidente del CSM ed ex vicesegretario della Democrazia Cristiana Giovanni Galloni qualche anno fa a Rainews24? Segreta


Io credo che sulla prigione non ci siano troppi misteri, e che effettivamente fu nell’appartamento di via Montalcini dove abitava Anna Laura Traghetti. Quanto alle rivelazioni dell’onorevole Galloni, il quale ha riferito nel 2005 presunte confidenze che gli avrebbe fatto Moro prima di essere rapito, mi chiedo solo come mai non ne abbia mai fatto cenno durante i giorni del sequestro, quando lui stesso partecipò non si sa bene a che titolo (era uno dei due vice-segretari della Democrazia cristiana) alle prime riunioni del comitato tecnico del Viminale per affrontare l’emergenza.

Moro e Banda della Magliana
Buongiorno Bianconi, mi può chiarire i collegamenti tra il caso Moro e la Banda della Magliana? Grazie Andrea Shanghai

In realtà di chiaro non c’è nulla. Non fosse perché la “banda della Magliana” in quanto tale nel 1978 s’era messa insieme da pochi mesi e non s’era ancora affermata sul territorio romano con il proprio primato sul piano criminale. Inoltre non era un’organizzazione verticistica da coinvolgere in quanto “entità”. Secondo alcune testimonianze ci fu, tra i membri della banda, chi fu contattato per avere qualche informazione sulla prigione di Moro, perché si pensava che attraverso il “controllo del territorio” dei banditi potessero arrivare informazioni sconosciute alle forze dell’ordine, ma non ne venne fuori nulla di concreto.

Dominio pieno e incontrollato
A cosa si riferisce Moro quando in una delle sue lettere fa una profonda riflessione sulla situazione del suo partito e parla di un dominio pieno e incontrollato?. Non era forse un messaggio in codice per farsi trovare? Condominio pieno di gente e non ancora controllato(incontrollato) Saluti Elio da Tempio Pausania


Se anche fosse stato quello il messaggio (come qualcuno ritenne, già all’epoca), l’indicazione sarebbe stata talmente vaga da rivelarsi inutile, visto che a Roma, all’epoca, c’erano migliaia e migliaia di condomini pieni e non controllati dalle forze dell’ordine. Ma quella è una frase precisa, “dominio pieno e incontrollato” può anche voler dire ciò che significa in italiano, e cioè che Moro non controllava la situazione proprio perché si trovava nel "pieno dominio” dei suoi carcerieri, situazione che lo spingeva a dire il resto delle cose scritte in quella lettera.

Il vaticano
Ma effettivamente il concordato fra comunisti e democristiani poteva essere accettato dalla politica del vaticano,se cosi fosse perché poi brigatisti hanno potuto aver scampo grazie anche all'interessamento di alcuni funzionari della santa sede. A chi faceva paura questo nuovo governo? Antonio Roma

I buoni rapporti tra Moro e Paolo VI, così come quelli tra Andreotti e la santa Sede, fanno ritenere che le mosse dei due uomini politici non fossero così mal viste dalla dirigenza vaticana del 1978. Non credo che quello che è accaduto circa l’interessamento di alcuni religiosi al destino di alcuni brigatisti detenuti abbia a che fare con la politica vaticana di quella stagione.

Moro e misteri
Secondo lei è vero che Moro poteva realmente essere ritrovato ed è vero che il rapimento Moro è stata una faccenda che ha travalicato i confini nazionali mettendo in campo anche "forze" estere? Emanuele Roma

Certo le indagini fatte per individuare i brigatisti che l’avevano sequestrato e la prigione dove era tenuto non rappresentarono il massimo della professionalità e dell’efficienza. La polizia e i carabinieri conoscevano fin dall’inizio del sequestro i nomi di alcuni brigatisti che effettivamente avevano a che fare con il rapimento Moro, ma non furono in grado di arrivare a nulla durante i 55 giorni. Subito dopo l’omicidio di Moro, lo Stato richiamò in servizio antiterrorismo il generale dalla Chiesa,e i pochi mesi fu trovato il covo milanese di via Monte nevoso dove furono arrestati due dei quattro membri del comitato esecutivo delle Br e buona parte delle lettere e del memoriale di Moro.

I documenti
Dove si trovano i vari documenti che lei cita? Sono riservati o liberamente consultabili? E se consultabili, sono stati usati per altre pubblicazioni? Paola da Roma

Io ho lavorato su atti giudiziari e parlamentari in gran parte pubblici, oltre che sulla memorialistica e sulle testimonianze dei protagonisti che ho personalmente intervistato.

Le armi nel bagagliaio
Quando venne sequestrato Moro, in via Fani, i cinque uomini della scorta stavano in un'auto che seguiva quella dell'esponente politico. Mi risulta che essi non abbiano potuto rispondere al fuoco delle Brigate Rosse perché tenevano le armi nel bagagliaio della macchina! Perché questa leggerezza? Vito - Palermo

Uno dei mitra in dotazione alla scorta di Moro era nel bagagliaio dell’Alfetta di scorta, altre armi erano invece a disposizione degli agenti, che però non ebbero il tempo di usarle. Uno dei cinque uomini della sicurezza, l’agente Iozzino, riuscì a uscire dall’auto e sparare un paio di colpi, ma fu subito ucciso da uno dei brigatisti che parteciparono all’agguato.

Morte annunciata
L'attenzione di Moro nei confronti del Pci creava problemi sia a destra che a sinistra, rompeva gli schemi nell'Alleanza Atlantica e nel Patto di Varsavia. La fine di Aldo Moro fu quindi inevitabile: "Una morte annunciata", come scrisse più tardi il fratello Carlo Alfredo Moro? Francesco Fondelli - Firenze


Certamente la politica di Moro veniva seguita a livello internazionale, e certamente anche le superpotenze dell’epoca, Usa e Urss, erano interessate agli sviluppi della politica italiana così come Moro – insieme ad altri – la stava conducendo.. Ma di qui a immaginare un ruolo delle forze straniere nella decisione delle Br di uccidere l’ostaggio ce ne corre. Non foss’altro perché con le ipotesi senza prove (e in questo caso le prove mancano) non si può fare la storia. E’ comunque più verosimile – semmai – un condizionamento esterno degli eventi che possa aver indotto i brigatisti a uccidere Moro che non un intervento diretto sulle loro scelte.

Le foto di via Fani
Vorrei sapere se esistono le foto scattate a via Fani da una signora durante l'attacco. Ci sono ancora, ci sono mai state? Marco Sulmona

Una testimone ha riferito che suo marito scattò delle foto in via Fani subito dopo l’agguato e che poi il rullino fu consegnato alla magistratura. Quel rullino, poi, è sparito. E’ uno dei misteri dell’inchiesta sul rapimento Moro, mai risolto. Tuttavia è da precisare che le foto si riferivano al dopo, cioè quando i brigatisti se n’erano già andati portandosi via Moro.


Affaire Moro
Secondo lei, Andreotti e Cossiga potrebbero chiarire i dubbi rimasti sull'affaire Moro? Se si perchè? grazie Giuliano Arezzo

Potrebbero raccontare molte verità su come loro – e quindi il governo – si comportarono nei 55 giorni. Per quel poco che l’hanno fatto, purtroppo, molte cose non sembrano coincidere con la verità.

Guardare avanti
Ero piccolo a quel tempo, ma ho il ricordo vivo delle immagini televisive e del clima che si respirava. L'ho rivissuto da più grande con l'11 settembre. La domanda però che mi faccio è: perchè c'è bisogno di parlarne ancora dopo 30 anni? Non è forse questo un modo per non guardare avanti? Lodi

Sinceramente non credo. Piuttosto, visto che questa vicenda ha segnato in modo irreversibile la storia d’Italia, approfondirla e cercare di chiarirla il più possibile, anche per i più giovani, potrebbe essere un modo per affrontare meglio il futuro. Come del resto dimostra l’intervento di un’altra persona che trascrivo qui sotto

Ieri, oggi, e domani?
Dopo 30 anni di duro lavoro,si sa tanto ma non abbastanza. Basteranno altri 30 per vedere un po' più chiaro? Perchè si continua a bussare ad una porta che nessuno vuole aprire? Saluti e buon lavoro Pietro dall' Olanda

Li conosciamo tutti?
Da quanti terroristi era composto il commando che operò il 16 marzo ? E li conosciamo tutti? Angelo Garbellano Montescaglioso

Per quello che se ne sa sì. Il gruppo era composto da dieci persone, tutti individuati. Una sola non è stata condannata (ma è detenuta, con l’ergastolo da scontare, per altri reati mentre un altro è stato condannato ma mai arrestato (è tutt’ora latitante all’estero, in Nicaragua). Gli altri hanno scontato pene variabili, e sono tutti liberi, “similiberi” o in regime di detenzione “attenuata”.

Memoriale
Quanta parte del memoriale Moro e' stato ritrovato ? Da chi ? E' stato reso tutto pubblico o è stato segretato ? Grazie Giorgio - Torino

Quello ritrovato è stato reso pubblico, in due fasi che coincidono coi due ritrovamenti (1978 e 1990) Non è certo, però, che sia la versione integrale di quanto Moro ha scritto. Inoltre è stata ritrovata solo la fotocopia, mentre dell’originale non s’è mai avuta notizia.

Alla fine
Secondo lei su questa vicenda si è gia detto tutto? Ho letto il suo (bellissimo) libro e (mi sembra) emerga una classe politica ed un apparato investigativo non all'altezza. Ma personaggi come Moretti o altri cosa nascondono? Sulla Dc solo un giudizio politico o anche storico? Grazie Ettore Froio

Anche Moretti e altri brigatisti, potrebbero certamente aggiungere dettagli o sciogliere interrogativi che ancora restano insoluti (per esempio il destino dell’originale del memoriale Moro) ; allo stesso modo i dirigenti democristiani dell’epoca, in modo da consentire un giudizio storico oltre che politico sul comportamento di quello che fui il partito di Moro.

Moro
Chi ha voluto Moro morto non certo i brigatisti (solo esecutori). Tu che ne pensi? Aurelio Mazara del Vallo (12:44:39)

....doveva morire.....
Salve, un nuovo libro. E' presto per parlarne, o lo Statista era scomodo in un periodo di guerra fredda, che sappiamo, come influisca su milioni di grandi elettori (la gente che va al voto). I bilanci sulla sicurezza e sulla salute passano come fiumi in piena. Lei, di cosa è convinto del caso Moro? Albino da Roma

Sinceramente penso che i brigatisti l’hanno voluto visto che l’hanno ucciso e avrebbero potuto non farlo. Dopodiché, molti altri potrebbero aver voluto la morte dell’ostaggio, magari anche cercando di “indirizzare” le indagini o la politica italiana in maniera che le Br uccidessero Moro.

Bobine
Risulterebbe che l'interrogatorio di Moro sia stato registrato. Dove sono finite le bobine? e ancora, a proposito delle trascrizioni trovate in via Monte Nevoso, erano le uniche in circolazione? Roberto Milano

L’interrogatorio, secondo le testimonianze dei brigatisti presenti nella prigione di Moro, fu inizialmente registrato per poi essere trascritto, ma dopo i primi giorni i brigatisti si resero conto che il lavoro sarebbe stato lungo e difficile. Allora decisero di rinunciare, e le bobine con la voce di Moro sarebbero state distrutte. Quanto alle “risposte scritte” dell’ostaggio alle domande dei suoi carcerieri, cioè il cosiddetto memoriale, quello trovato è solo la fotocopia e non è escluso che ci possano essere altre parti mai uscite.

Carriere folgoranti
E' curioso scoprire come i protagonisti principali e marginali alla vicenda Moro abbiano intrapreso carriere di tutto rispetto negli anni a seguire, in particolare mi riferisco a Tavaroli e Mancini comandati allora dal Gen.Dalla Chiesa nella sezione antiterrorismo.Coincidenze? Badiani Firenze


Dai dati anagrafici che ricordo mi pare che Mancini e Tavaroli avessero all’epoca del sequestro Moro meno di vent’anni, quindi ritengo che con il sequestro Moro c’entrassero poco o nulla. Hanno partecipato ad operazioni antiterrorismo solo negli anni successivi.

Rimorso o fallimento?
Vorrei sapere una Sua opinione, non avendo vissuto direttamente quegli anni a causa della giovane età, sulle dimissioni dell'allora Ministro degli Interni Cossiga. Fu effettivamente la constatazione del fallimento dello Stato oppure il rimorso per non essere riusciti a salvare Moro? Pietro De Montis - Modena

Probabilmente tutte e due le cose….

Realtà dei fatti
Secondo voi l'On. Aldo Moro e' stato veramente abbandonato dalle istituzioni e dal suo partito(Zaccagnini, Andreotti Etc.) Armando L'Aquila


Che ciò sia avvenuto mi pare indubbio. Il problema è se questa sia stata una scelta obbligata, come gli uomini di governo e di partito di allora dissero e dicono ancora oggi, oppure se se ne poteva fare un’altra…

Teoria del complotto
Pur non avendo mai creduto alla teoria del complotto internazionale sono sempre rimasto incuriosito dalla vicenda. Vorrei sapere cosa pensa dei punti oscuri come: 1-presenza di almeno un soggetto non identificato sul luogo dell'agguato; 2-luogo della prigionia; 3-memoriale Giuseppe Firenze


Al momento non risulta che ci sia un soggetto non identificato in via Fani. Si continua piuttosto a parlare di una moto con due persone a bordo dalla quale sarebbero partiti dei colpi contro un testimone, ma i brigatisti hanno sempre smentito che quelli ipotetici) motociclisti facessero parte del commando.

Il luogo della prigionia è l’appartamento di via Montalcini appositamente acquistate dalle Br. Qualcuno sostiene che dev’esserci almeno un’altra prigione, ma non solo non s’è mai saputo nemmeno indicare dove fosse; non s’è mai nemmeno saputo spiegare adeguatamente per quale motivo dovrebbe esserci

Sul memoriale resta il mistero dell’originale (quelle trovate sono solo le fotocopie) e se sia completo.

Giovanni Bianconi
10 marzo 2008(ultima modifica: 15 marzo 2008)

da corriere.it
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« Risposta #6 inserito:: Marzo 16, 2008, 12:00:00 pm »

Trent'anni dopo

Caso Moro, il ruolo dei servizi

Giovanni Bianconi replica ai lettori. Risposta unica alla fine delle domande



Colonnello a Via Fani
Che ci faceva la mattina dell'agguato in via Fani il colonnello Guglielmi? Stefano Roma 

Servizi segreti
Qual è stato il ruolo del colonnello del Sismi Guglielmi, presente quel 16 marzo in via stresa,a duecento metri da via Fani? Marco, Bergamo 

 Amara
Cosa pensa del libro di Emmanuel Amara, "Nous avons tué Aldo Moro". Cosa pensa poi delle dichiarazioni di Cossiga sui mille comunisti che avrebbero saputo dov'era il covo BR ? Grazie

Servizi e BR
Egr. Sign, vorrei sapere la sua opinione riguardo gli eventuali rapporti e contatti tra le BR e i Servizi segreti rispetto ai memoriali dell'on Moro. Alcuni (Giorgio Galli) sostengono che ii servizi segreti concessero una sorta di immunità a Moretti per ottenere questi preziosi documenti. Grazie. Vito - Cagliari 

Carlos "Lo sciacallo"
Era forse questo pseudo agente del KGB detto Carlos "Lo Sciacallo", molto sanguinario e fanatico, ma esperto nell'uso delle armi il tiratore scelto di via Fani? Alessandro Roma 

CIA?
Potrebbe,per favore,smontare una volta per tutte la diceria che il sequestro di Aldo Moro fu organizzato dalla CIA tramite il loro agente Mario Moretti? Grazie. Paolo - Milano 

Moretti infiltrato
Però Alberto Franceschini sostiene che Moretti sia un infiltrato. O sbaglio? Ludovico (Padova) 

 Sequestro Moro
Ritengo che Moro sia stato vittima di un complotto politico che ha utilizzato strumentalmente le BR. Per svelare i molti retroscena della questione bisognerebbe fare piena luce sulla cattura del brigatista Moretti. Chi copriva e chi ha arrestato Moretti? Di chi era ospite durante la latitanza? Bruno Solerte, Pavia 

Licio Gelli
Andreotti, Cossiga- Felli- ed i servizi segreti americani hanno delle responsabilità nell'omicidio che vogliono farci credere che è stato tutto architettato dalle BR?

 Ma sarà andata proprio così?
Egr. Dr. Bianconi, a distanza di molti anni sono più i dubbi che le certezze su ciò che è realmente avvenuto in quei giorni e in quell'epoca. Sarei lieto di conoscere la sua opinione sulla commistione tra le BR ed i servizi segreti di Stato. Lorenzo Edera, Pavia 


Piazza delle cinque lune
Cosa ne pensa della tesi sostenuta da Martinelli nel suo film "Piazza delle cinque lune"? Firenze 


I tre livelli delle Br.
Condivide la teoria dei tre livelli delle Br? Ossia: base ideologizzata che fornisce manovalanza, alcuni capicolonna eterodiretti (vedi Moretti), centro studi Hiperion di Parigi. E ritiene possibile che Moro abbia trascorso i giorni del rapimento, in un luogo diverso da quello 'ufficiale'? Grazie. Edotri, Cosenza 


I brigatisti

Tra i capi storici delle brigate rosse Alberto Franceschini da tempo si dice convinto che le BR furono "eterodirette". Mario Moretti al contrario rivendica la piena autonomia di delle scelte e delle azioni del gruppo armato, Renato Curcio tace. Vorrei conoscere la Sua opinione in proposito. Carmine Arnone Napoli 


I legami francesi di Moretti
Sono un collega e ti chiedo: perchè nessuno ha approfondito sino in fondo il legame di Moretti con la 'gladio' francese e con la Hyperion, scuola di lingue che era in realtà una stazione coperta in Europa della Cia? E dove sono le foto scattate dal corazziere in via Fani? Marcello Altamura, Napoli 


Il colonnello del sismi?
Ho letto che quel giorno nei pressi del luogo del rapimento era presente un ufficiale del sismi? è una notizia confermata? Sergio, Catania 


Misterioso intermediario
Alla luce delle Sue nuove indagini ha trovato conferme o meno sul presunto decisivo ruolo del cosiddetto "misterioso intermediario" Markevic nell'affaire Moro ed in particolare sul presunto tentativo di liberarlo attraverso una trattativa super-segreta gestita fuori dai canali ufficiali? Paolo da Napoli 

La sfinge
Qual era il ruolo della Gladio francese? E quali i collegamenti con Mario Moretti?


Dietrologia
Sig. Bianconi, ma dietro il rapimento e l'assassinio di Moro, chi ci fu? Ci furono i servizi segreti americani in partnership con l'intelligence italiana, timorosa della fagocitazione sovietica all'indomani del "compromesso storico"? Domenico, Bari 


Tiratore scelto
Alla luce di queste nuove rivelazioni, chi era il "tiratore scelto" che da solo spara più della metà dei colpi? E se Moro lo tenevano nel Ghetto Ebraico, come sembra plausibile, c'entra qualcosa il Mossad con il sequestro visto che Moro era dichiaratamente filopalestinese? Franco Siracusa 


Il perchè delle verifiche e poi...
Mi sono sempre chiesto perchè le forze dell'ordine non hanno avuto un'azione coordinata. Perchè le verifiche si sono fermati sull'uscio della porta di via Fani? Perchè nello stesso stabile vi erano anche appartamenti civetta dei sevizi? solo il caso? E poi dietro Moretti chi c'era? Matteo Vabanesi - Torino 

Cinque lune
Gentile sig. Bianconi, stimo molto il suo lavoro che ho avuto modo di apprezzare in "Ragazzi di malavita". Volevo domandarle quanto peso dà alla ricostruzione fatta da Renzo Martinelli nel film "Piazza delle Cinque Lune", ovvero di un coinvolgimento di servizi segreti stranieri nel sequestro. Grazie Massimiliano, Roma 

 Delitto Moro e probabili coinvolgimenti esterni
Quanto -e se- è stata provata la fondatezza del coinvolgimento dei servizi segreti americani (della Marina, per esempio), anche se solo a livello di raccolta di informazioni e non di responsabilità diretta? E' vero che c'è traccia di questo aspetto negli atti della Commissione Parlamentare? R. Pizzini - Roma 

Mario Moretti
Chi è veramente mario moretti? brigatista o uomo dei servizi? Michele Del Ben - Roma 

 Perché?
Perché finalmente non dire che Cia e Mossad hanno ammazzato Moro? Tanto ormai non importa a nessuno, nessuno pagherebbe per questo. Forza, abbiate solo un po' di coraggio! Ivan, Palermo

 Il ruolo della P2 su Moro
Desidero sapere, che ruolo ha avuto la P2, loggia massonica eversiva, nel comitato di crisi istituito al Ministero dell'Interno dopo il rapimento del Presidente Moro; e se c'erano all'interno del comitato di crisi persone legate alla P2? E il mistero di via Gradoli? Agrigento 

Mossad
E' ipotizzabile un ruolo del mossad nel caso moro? Franco


Moretti
Buongiorno, sig. Bianconi. Mi spiace contraddirla, ma più di un brigatista ha affermato di nutrire sospetti su un possibile doppiogioco di Moretti con i servizi segreti (Franceschini, Morucci e altri). 

Moretti
Come mai nessuno ha preso in esame i collegamenti tra Moretti e la Gladio francese e il ruolo di Hyperion, scuola di lingue che nascondeva una stazione coperta della Cia, nel sequestro Moro? Dove sono le foto scattate dal corazziere in via Fani?  Malt 


Il tradimento 
Moretti mi risulta fosse un ex uomo dei servizi segreti italiani. Ora, coloro che avevano interesse a fermare l'unione dell'On. Aldo Moro con la sinistra italiana erano le forze d'occupazione ancora presenti sul territorio italiano, americane. Uccisione=tradimento valori di pace Italiani  da: Paolo - Varese

Servizi segreti
Licio Gelli che ruolo ha ricoperto in questo rapimento e quale alleanza può delinearsi fra p2 e brigate rosse nell'eventualità ce ne siano.bussare ad una porta per un rapimento è effettivamente azione da compiere oppure meglio fare un'irruzione?  Antonio-Roma

"Nous avons tué Aldo Moro"
"Nous avons tué Aldo Moro" di Emmanuel Amara, Patrick Robin Editions. In questo libro Steve Pieczenik, il famoso consigliere americano "invitato" da Cossiga a risolvere la crisi dei 55 giorni, dopo trent'anni si decide a rivelare che deliberatamente, con il beneplacito della DC, decisero di far morire Moro al fine di bloccare piduisti da un lato e comunisti dall'altro. Il comunicato del lago della Duchessa? Farina del suo sacco. I servizi segreti italiani? I resti della repubblica di Salò. Leggendolo quasi tutti i dubbi maturati dopo anni Flamigni e Franceschini trovano conferma. Allora mi domando, se il libro non è una pagliacciata, si tratta di una vera bomba. Cosa si aspetta a parlarne in Italia?



Potrebbe,per favore,smontare una volta per tutte la diceria che il sequestro di Aldo Moro fu in realta'organizzato dalla CIA tramite il loro uomo Mario Moretti? Grazie. Paolo - Milano

Lati oscuri
Ci sono ancora troppi lati oscuri, quando si conoscerà la verità? La Cia come mai finge di essere all'oscuro di tutto?  Mino Perrini Alberobello

Moro e Sismi 
Se l'appartamento e il supporto logistico erano del Sismi, se l'intelligence statunitense e italiana avevano infiltrato le BR (qualcuno sostiene le abbiano addirittura create) perché'non intervistare Nicolò Pollari che appena pochi mesi orsono si è dichiarato disposto a svelare i misteri italiani  Michele Semilia, Palermo

Via Gradoli 
Il covo di via Gradoli, le proprietà immobiliari dei servizi in quella stessa zona. Il fatto che fossero note molte cose sugli spostamenti delle Br in quei 55 giorni. Il rapporto tra la DC e la nuova camorra organizzata che tramite la banda della Magliana era arrivata alle Br. Fatti o supposizioni?  Marcello da Roma


Chiarimenti 
Come si può non considerare alcuni aspetti del sequestro Moro tutt'ora irrisolti e centrali nella vicenda storica: dalle mezze verità dei brigatisti, al coinvolgimento della Massoneria/loggia P2, alla banda della Magliana, a Hyperion. L'autore ritiene questi aspetti infondati o poco importanti?  Marco Milano



Mossad e Moro
E' possibile che la teoria espressa in alcuni libri e film sulla partecipazione di un commando israeliano, in supporto alle BR, durante la strage di via Fani sia veritiera?  Fenzi, Verona

Buongiorno, volevo chiedere cosa ne pensa - tra i tanti falsi e veri misteri della vicenda - della presenza nei pressi di via Fani del Col. Guglielmi. E soprattutto sul fatto che non si è approfondito circa il suo ruolo in quel periodo, i suoi collaboratori, etc  Stefano Milano

Caso Moro 
Ci fu una soffiata a fine marzo 78 proveniente da Francoforte che fu passata ad un tale dei servizi militari di nome La Bruna circa il covo di Via Gradoli. Stando all'informatore gli occupanti del covo di Via Gradoli trasmettevano ad un tizio della Valle del Salto grazie ad un’antenna per trasmissioni radio. Ma la Valle del Salto non e' dove si trova il lago della Duchessa? Cosa sono questi giochi, Gradoli-Duchessa? Roberto, Londra

Ruolo Kgb
Gradirei sapere se si conosce il ruolo del KGB nella vicenda, pare attraverso uno studente russo che si diceva fosse vicino a Moro.  Massa

Ricerca della verità
Secondo me nel rapimento di Aldo moro hanno influito molti settori deviati dei sevizi segreti che non volevano che realizzassero gli accordi tra dc e pci per una nuova stagione democratica guarda caso dopo quel il processo come può succedere oggi?  Bruno Firenze

Gladio
Qual'era secondo Lei la percezione che avevano le Brigate Rosse e i "gruppi terroristi" in generale delle strutture NATO coperte tipo "Stay Behind" o Gladio. Era la natura e gli scopi di queste strutture di cui si chiedeva conto al presidente Aldo Moro ? Grazie. Daniele , Roma

Gladio
Quanto c'e' di vero sulle rivelazioni dell'ex Gladio Antonino Arconte, secondo il quale (che ha dato i documenti a GQ anni fa) era provato che si sapeva che Moro sarebbe stato rapito addirittura in anticipo, con ordine di trovarlo e cercare informazioni alla varie basi di Gladio? Andrea da Padova 

Risposta unica:

Che alla vicenda Moro si siano interessati i Servizi segreti non solo italiani ma anche stranieri, e ovviamente quelli dei principali Paese, mi sembra naturale. Ma non c’è prova, né s’è mai raggiunto qualche elemento concreto che andasse al d là di semplici ipotesi o illazioni, che i Servizi abbiano partecipato o in qualche modo etero-diretto la conduzione del sequestro (fino all’omicidio) da parte delle Br.


Che Mario Moretti, il vero capo delle Br durante il sequestro Moro che ha gestito la vicenda insieme al comitato esecutivo dell’organizzazione (oltre a lui ne facevano parte anche Lauro Azzolini e Franco Bonisoli, che successivamente si sono dissociati e hanno risposto a molte domande dei magistrati, e Rocco Micaletto) fosse in realtà un infiltrato di qualche Servizio è una di quei sospetti che hanno sempre aleggiato sulla vicenda ma non sono mai stati dimostrati. Perfino i brigatisti ebbero dei dubbi sul suo conto, prima del sequestro Moro: fecero degli accertamenti, non uscì nulla e lui poté restare ai vertici del gruppo. Oggi – e comunque solo di recente – alcuni suoi ex “colleghi” come Franceschini dicono apertamente che Moretti era una spia, ma ancora una volta non forniscono prove concrete, al di là delle supposizioni.


E’ un fatto che i massimi dirigenti dei Servizi durante il sequestro Moro fossero appartenenti alla Loggia P2, e questo è certamente un elemento che può essere tenuto presente nel valutare i loro comportamenti. Sulla conduzione delle indagini, sulle interferenze americane attraverso il “consigliere” Steve Piecznick affiancato al ministro Cossiga, sulla “casuale” presenza di un colonnello del Sismi nei dintorni di via Fani la mattina del sequestro, sulla “messinscena” del falso comunicato numero 7 delle Br che annunciava l’esecuzione di Moro e l’abbandono del cadavere del lago gracchiato della Duchessa, e tanti altre vicende più o meno misteriose si possono formulare – anche legittimamente, e a volte a ragione – le ipotesi più svariate. Credo però che tutto questo non possa intaccare le verità di un sequestro organizzato, realizzato, gestito e portato a termine dalle Brigate rosse e dalla loro volontà di incidere, come in effetti è avvenuto, sul corso della politica italiana del 1978, per le loro finalità così come sono state espresse nei comunicati e negli altri documenti prodotti all’epoca. Che poi su questa realtà se ne siano infiltrate altre per far sì che il sequestro si concludesse proprio con la morte di Moro, anche da parte di settori dei servizi o di altri protagonisti della realtà geopolitica di quel periodo, è una possibilità altrettanto reale. Ci sono certamente degli indizi che ciò sia avvenuto (e la vicenda del lago della Duchessa, peraltro avvenuta nello stesso giorno della strana scoperta del covo brigatista di via Gradoli ne è l’esempio più lampante, anche se ancora non è stato chiarito chi ne fu il regista, e per conto di chi: si sa solo chi, verosimilmente, ha realizzato il falso comunicato brigatista, ma è ovvio che l’ha fatto su mandato di qualcuno che non s’è scoperto), ma mancano le prove sul “regista”. Sia che esso fosse unico, sia che – come potrebbe essere più probabile – fossero diversi e non necessariamente collegati tra loro.

Giovanni Bianconi
13 marzo 2008(ultima modifica: 14 marzo 2008)

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« Risposta #7 inserito:: Marzo 16, 2008, 02:47:04 pm »

Moro, ingiustizia ripara ingiustizia

di Antonio V. Gelormini


E’ una sorta di pellegrinaggio laico quello che compio, ogni volta che mi
capita di tornare a Roma, recandomi anche solo per pochi momenti in via
Caetani. Davanti alla lapide che ricorda la tragedia umana di un grande
statista: “Cinquantaquattro giorni dopo il suo barbaro rapimento, venne
ritrovato in questo luogo, la mattina del 9 maggio 1978, il corpo crivellato
di proiettili di Aldo Moro. Il suo sacrificio freddamente voluto con
disumana ferocia, da chi tentava inutilmente d’impedire l’attuazione di un
programma coraggioso e lungimirante a beneficio dell’intero popolo italiano,
resterà quale monito e insegnamento a tutti i cittadini per un rinnovato
impegno di unità nazionale nella giustizia, nella pace, nel progresso
sociale”.

E’ l’omaggio spontaneo, con un viaggio nella memoria che si ripete ogni
volta davanti a quella lapide, a chi un giorno entrò con dolcezza e senza
saperlo nel percorso formativo di un ragazzino di paese. Ponendo riparo col
sorriso, la calma e la forza del progetto politico ad un’ingiustizia, che ne
aveva segnato l’intera adolescenza.

Flash back al 2 maggio del 1967 nell’aula di quinta elementare dell’Istituto
di Suore della Carità di Troia, un piccolo centro della Daunia, in Puglia.
Quella mattina Raffaele, uno dei nostri “compagni di classe” (che bizzarra è
la vita, se penso alla terminologia), venne punito, rimanendo fuori e in
piedi fino al nostro rientro a casa, per aver partecipato il giorno prima,
insieme a suo padre, alla sfilata del 1 maggio. Una punizione
incomprensibile. Uno strappo che segnò le nostre coscienze e che accese
inquietanti interrogativi: Raffaele veniva punito per aver seguito suo
padre. Incredibile. Ancor più per me, che facevo il chierichetto e vedevo
quella famiglia di “comunisti” ogni domenica a Messa fare anche la
Comunione.

Quella mattina del 16 marzo 1978 Aldo Moro in Parlamento avrebbe sancito il
riparo a un’antica ingiustizia. Il suo era stato un lavoro tenace e
paziente, per poter convincere molti cattolici (non tutti) ad accogliere i
comunisti nella maggioranza. Lo dettava il senso di responsabilità verso il
Paese. Lo suggeriva proprio l’ispirazione cristiana, che imponeva di
anteporre il bene comune all’affermazione di ogni identità di parte.

La riparazione venne interrotta violentemente da un’improvvisa frenata, a
cui seguì una micidiale raffica di mitra, che lasciò a terra all’incrocio di
via Fani le vite innocenti di cinque servitori dello Stato. L’impotenza, la
paura e poi il terrore presero il sopravvento e per 55 giorni tennero il
mondo sul filo di un’inutile speranza. Fino al dolore, all’amarezza e al
dramma del corpo giustiziato e abbandonato in una Renault rossa in via
Caetani. L’ingiustizia aveva trovato riparo in un’ingiustizia ancora più
grande.

Ero convinto che ce l’avrebbe fatta. Nessuno aveva il diritto di spegnere
quel sorriso rassicurante, che aveva calmato i miei timori di bambino con la
sua stessa ciocca di capelli bianchi, messogli in braccio, in una singolare
forma di omaggio, durante uno dei tanti tour elettorali nei paesi di
provincia. Il sorriso e la carezza confortante avevano fatto di quel segno
di diversità un elemento di uguaglianza. Anzi, un vero e proprio motivo di
orgoglio: avevo il ciuffo bianco come Aldo Moro. E lui lo sapeva.

Anche per questo continuerò ad andare a pregare davanti a quella lapide. E
chiederò ai miei figli, Eduardo e Benedetta, di farlo con me e dopo di me, e
di insegnare a farlo anche ai figli dei loro figli. Affinché la forza del
ricordo e dolcezza di quel sorriso alimentino a lungo la fiamma dei giusti.

(gelormini@katamail.com)



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