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Autore Discussione: VLADIMIR LUXURIA.  (Letto 4015 volte)
Admin
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« inserito:: Marzo 08, 2008, 12:14:51 pm »

8/3/2008
 
L'8 marzo è anche un po' mio
 
VLADIMIR LUXURIA

 
C’è un filo rosso sangue che unisce la nascita della Giornata Internazionale della Donna al tragico bollettino di 4 morti al giorno sul lavoro: lo sfruttamento e la morte di tante donne nelle fabbriche. Non è importante accertare se la morte di 129 operaie dell'industria tessile «Cotton» a New York fu causata dal doloso incendio appiccato dal datore di lavoro per punirle di aver scioperato, quello che è certo è che con la rivoluzione industriale la donna fu scandalosamente sfruttata con turni di lavoro in fabbrica dalle 12 alle 17 ore e paghe dimezzate rispetto a quelle maschili. E qui c'è un primo paradosso: la «NATURA»! Una trappola per precludere per genere molte cose alle donne. Secondo il potere maschilista la donna era troppo fragile per affrontare le gravi responsabilità di comando, però poteva essere lo stesso massacrata dal lavoro con tanti casi di morti bianche femminili neanche degne di essere riportate dalle cronache.

Le condizioni del lavoro femminile sono cambiate ma non è cambiata la disparità rispetto agli uomini: il gap per le retribuzioni nette annue tra uomo e donna è meno 3.800 euro per i dipendenti a tempo indeterminato a oltre meno 10.000 euro per gli autonomi. Il 54% del lavoro precario è donna, un rullo compressore sui diritti sindacali, un arretramento rispetto alle conquiste degli Anni 50 sul divieto di licenziare o svolgere lavori pesanti durante la gravidanza e l'allattamento. La legge 30 non prevedeva neanche tali ammortizzatori sociali con un passo indietro rispetto addirittura alle intenzioni dello stesso Biagi disattese da Maroni. Molte lavoratrici precarie desiderano essere mamme. Però rimandano l'attuazione di questo desiderio perché temono di non veder rinnovato il proprio contratto di lavoro ed è incredibile pensare che coloro che vorrebbero «santificare» i promotori del precariato siano poi quelli che blaterano al vento la difesa della famiglia e della natalità. Mi colpì molto il caso di una donna siciliana, Ivana Maugeri, sospesa dal call center Incoming perché incinta, nonostante avesse tentato di nascondere il pancione con una maglia più larga, quasi che il diventare madre rappresenti un handicap nella logica dello short-termism, il più alto profitto nel più breve tempo, dove l'assenza retribuita per maternità e allattamento rappresenta solo un costo per l'azienda e non una risorsa per la società. Mi colpì anche il caso di Raffaella, una donna licenziata dall'azienda Icp Faip a Vaiano Cremasco perché a causa della riduzione della pausa mensa di mezz'ora aveva accumulato dei ritardi per andare a prendere la figlia a scuola e dunque il «ritardo ingiustificato protratto» diventa giusta causa. Nel settembre dello scorso anno siamo riusciti come Sinistra a far approvare un ddl contro i licenziamenti in bianco, ovvero una lettera di dimissioni che sottoscriveva con il ricatto chi aveva disperato bisogno di lavorare, 18.000 casi l'anno in cui rientrava anche la donna incinta. Se è difficile essere donna, madre e lavoratrice è altrettanto difficile trovare donne nei posti «di potere»: tante donne lavorano nella scuola ma poche sono le presidi, tante donne lavorano in ospedale ma poche sono primarie, fino alla discrepanza tra elettorato attivo e passivo femminile con uno scarso 16% di elette in Parlamento e mosche bianche come ministri, al punto di esserci meritati il 63° posto nella classifica mondiale della rappresentanza femminile nei parlamenti nazionali.

Da noi l'idea di primarie tra una donna e un uomo di origine africana sembra fantascienza, come il fatto che ci sia una donna di colore, Michaëlle Jean, a ricoprire il ruolo di governatrice del Canada. L'8 marzo ripropone il tema della violenza sulle donne, soprattutto entro le mura domestiche, e la mancata approvazione di una legge sullo stalking per la prematura caduta di questo governo, il tema di una infausta legge 40 che obbligando l'impianto di tutti gli embrioni fecondati che non possono essere congelati ha provocato un vertiginoso aumento di parti gemellari e trigemini, casi di gestosi e di aborto, l'offesa di essere paragonate a un boia che inietta veleno in un carcere in Texas se si vive il dramma dell'aborto… insomma il grande tema che devono essere gli altri a decidere per te e farti sentire sottomessa perché per «natura» è così. Io sono transgender, la femminilità per me non è un dato anagrafico ma un terreno di conquista e se è difficile farsi rispettare come donna dagli uomini pensate quanto lo sia per chi rinuncia a una maschilità che non sente. Alle trans il tema della «natura» è stato strumentalizzato anche per negarci il diritto di essere quello che siamo, di essere tutelate dal Servizio Sanitario Pubblico per la nostra transizione, porte in faccia sbattute dove si va a chiedere un lavoro appena mostri quel pezzo di carta del documento di identità che non ti rappresenta.

Il tema della «natura» è stato usato per negare alle donne storicamente il diritto al lavoro, allo studio, alle pari opportunità così come «contro-natura» viene bollato un rapporto affettivo omosessuale e quindi senza diritti pubblici. Dalla critica al potere maschilista, misogino e omo/transfobo è nato il movimento lesbo-gay-trans parallelamente e in simbiosi con il movimento femminista. Io sarò sempre dalla parte di chi è discriminato per genere, orientamento sessuale o identità di genere e mi auguro che questa alta battaglia non venga inquinata da più bassi argomenti di ripicche per scelte (non mie) di candidature. L'8 marzo è anche mio.

da lastampa.it
« Ultima modifica: Luglio 04, 2010, 09:19:12 am da Admin » Registrato
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« Risposta #1 inserito:: Maggio 07, 2008, 04:07:27 pm »

Gay Pride ostentare è un diritto  
 
Vladimir Luxuria


«La donna diventa pericolosamente determinata a disertare dal chiuso dell'alcova e a solidarizzare con le altre donne. L'uomo in crisi da dominatore si spaccia per dominato». Mi ha colpita questa frase scritta a mano sul tema del maschilismo. L'ho trovata a Cinisi, nella casa-memoria dedicata a Peppino Impastato, dove il fratello Giovanni mi ha lasciata spulciare tra gli appunti. Anche gay, lesbiche e trans hanno disertato dal chiuso della segretezza e dell'autocolpevolizzazione solidarizzando con altri e uscendo allo scoperto ( out of the closed ) per rivendicare i propri diritti, dal '69 con la storica rivolta di Stonewall a New York al '94 con il primo Pride a Roma.

Gli etero-destrorsi spacciandosi per dominati vorrebbero continuare a vederci invisibili e clandestini riducendo il pride a una mera ostentazione.

"Ostentare" è un termine preso dal linguaggio liturgico (l'ostensorio) che si è allargato a definire anche la scelta di manifestare pubblicamente una realtà, un'identità, un proprio orientamento sessuale. Tutti gli anni, puntuale come un'influenza, alla vigilia delle manifestazioni del pride salgono le voci di coloro che osteggiano tale manifestazione bollandola come un'ostentazione di cattivo gusto.

In attesa della manifestazione del 28 giugno a Bologna, la candidata ministra alle pari opportunità Giorgia Meloni ha dichiarato di aver visto «scene raccapriccianti». Poiché Meloni non è una testimone oculare deve aver avuto un'idea riduttiva, fuorviante e terroristica di questa manifestazione o per ciò che le è stato riferito da altri o per suoi personali incubi notturni.


07/05/2008
 
da liberazione.it
« Ultima modifica: Febbraio 23, 2010, 11:12:50 am da Admin » Registrato
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« Risposta #2 inserito:: Novembre 26, 2008, 11:00:02 am »

SPETTACOLI & CULTURA    IL COMMENTO

Produzione Comunista

di ANTONIO DIPOLLINA

 
La vittoria che "cambia la tv", il paese e forse il pianeta intero, e adesso sotto coi Pacs e le Unioni di fatto e i diritti legali dei transessuali. Sono le prime reazioni da sinistra, soprattutto estrema, al trionfo di Vladimir Luxuria all'Isola. Lei che dice "Niente politica, non mi candido alle Europee" e il segretario rifondarolo, il temutissimo e accigliato Ferrero che in teoria era nettamente contrario allo sbarco luxurioso in Honduras, che dice: "Come no? La aspettiamo a braccia aperte". Tacendo il conseguente: "E quando ci ricapita?".

L'immagine dei rifondaroli che nella notte di lunedì mitragliano l'Isola con inutili e costosi sms - una vittoria piuttosto annunciata - dovrebbe chiudere il cerchio epocal-televisivo. Luxuria sull'Isola era stata in fondo la conseguenza più visibile e popolare del tracollo della sinistra radicale alle elezioni. Tutti assenti dal Parlamento, i più a cercarsi un futuro.

Luxuria dallo spettacolo ci arrivava, in fondo: ma subito erano sbucati i distinguo. L'ex parlamentare andava a mescolarsi coi peones in Honduras soprattutto per nobili motivi, la causa transgender, i nativi del luogo e altri buoni propositi millenari.

In molti iniziano a preoccuparsi. Ma arriva subito qualche segnale tranquillizzante: la Produzione (maiuscolo, un'entità che decide l'Isola in ogni piccola piega) lascia cadere come una notiziola di poco conto il fatto che Luxuria ha chiesto e ottenuto di indossare sempre un pareo, o almeno un costume adeguato nonché deterrente verso eventuali curiosità insistite da parte delle telecamere (quelle, per non girarci intorno, esplicitate in seguito dalla debordante contessa De Blanck con il quesito decisivo: "Ma insomma, ce l'ha o non ce l'ha?").

Lei, Vlady, in qualche modo abbozza da subito, ma prima di prendere davvero le misure (doppiosenso che farà impazzire di gioia l'intero studio della trasmissione) ci vorrà parecchio. Memorabile una scena nelle primissime puntate, Vlady è rinfrancata e decide di farlo sapere in diretta. Guarda fisso in camera e va: "Vorrei dire una cosa a tutti quelli che mi hanno criticato: qui mi stanno trattando benissimo, hanno una umanità incredibile, nessuno mi considera diversa. Sono quelli che scrivono a essere intolleranti, che guardino nelle loro redazioni, è lì che si trova l'intolleranza".
In studio, la conduttrice ci pensa un attimo e va anche lei: "Bene Vladimir, ma adesso dimmi una cosa: è vero che ieri hai preso tu il primo pesce?".
In studio un paio si ribaltano dalla poltrona dalle risate, Vlady fa una faccia un po' così, chissà che sta pensando davvero, poi lo fa: sorride, appena appena, e ammicca un po'. In quell'esatto momento comincia davvero il programma e Vlady comincia davvero a vincere.

Le cronache ci tramandano come momenti decisivi quello della delazione luxuriana sull'inciucio tra la Belen e il cacciatore di ereditiere. Puntata in effetti memorabile, appena la Produzione coglie l'attimo e mette le due a confronto scatta il clou, si parla di invidia e Luxuria pone la semplice questione "Ma cosa dovrei invidiarti, scusa?". E Belen, tra le molte opzioni possibili, soprattutto quella posteriore, sceglie quella anteriore e gliela indica anche con un gesto efficace.

Roba forte, che tempra tutti e in qualche modo condanna la sudamericana al ruolo di seconda. Perché nei lunghi giorni sull'Isola e per un pubblico che si appassiona sempre più, Luxuria ha buon gioco: se una volta indossa il tanga di Valeria Marini come bandana - le misure corrispondono - quasi sempre ha le battute migliori e gli atteggiamenti migliori, e senza faticare nemmeno un po', vista la concorrenza. Finché arriva addirittura la scenamadre, coniugando San Martino e qualche eroe popolare che riscatta gli umili, Vlady si toglie la felpa con quella copre il povero bidello fuggito sull'isola per motivi gelminiani e rimasto seminudo perché l'atroce contessa lo aveva lasciato ad assiderare, rivendicando il predominio totale della proprietà privata soprattutto se riferita ai nobili.

A quel punto il gioco è più che fatto, figuriamoci se la Produzione si lascia scappare uno spunto simile fino alla vittoria finale. Vlady è parte più che integrante del programma, la fine è scritta e si chiama vittoria, e almeno lì si vince: consolarsi e accontentarsi è l'unica strada praticabile a sinistra, in fondo, di questi tempi. Altri sghignazzano, altri ancora provano un minimo di raccapriccio. Ma di fronte ai pronunciamenti ufficiali delle associazioni che rappresentano gay e trans, al loro giubilo e alle incrollabili convinzioni, alla sinistra estrema che riprende voce e vigore, ci vuole davvero un cuore di pietra per mettersi a eccepire. Oppure, come milioni e milioni di italiani bisogna essere di quelli di cui dell'Isola non importa niente, secondo i quali - disfattisti che non sono altro - quanto vi accade non rappresenta un accidenti e che infine, come negarci la bottarella moraleggiante finale, la vita, e magari la politica e le conquiste sociali, passano da tutto fuorché da lì.

(25 novembre 2008)
da repubblica.it
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